Breve nota di inizio: Questa è una ff dedicata interamente a Rory e Jess. l'ho iniziata quando ancora nutrivo un qualche genere di speranza, quando ancora nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto dopo la 6.08, né che Milo sarebbe tornato nella puntata che avrebbe finito per decretare la completa fine delle mie illusioni lit. i fatti avvengono tre anni dopo la sesta serie; Rory è tornata a Yale e si è laureata, e ora ha il lavoro che ha sempre sognato; Jess vive a Philadelphia e si sente finalmente a casa, in pace con sé stesso, dopo così tanto tempo passato a tormentarsi con il ricordo dell'unica persona che abbia mai amato. li riunisce un caso, un caso che li avvicina e li allontana, che crea occasioni di idillio e di nostalgia, e altre di rabbia e rancore sordo a causa di innumerevoli problemi mai risolti. è la mia ultima ff su di loro, l'ultima che conserva ancora le tracce di una passione distrutta.
avvertenza: i titoli dei capitoli sono tratti da spezzoni e espressioni di canzoni. ancora una volta, il mio ringraziamento va agli artisti che amo, in particolare Sam Phillips, Wilco, Counting Crows, R.E.M., Joseph Arthur, Coldplay, Damien Rice, e Jeff Buckley, a cui nuovamente è ispirato il titolo della fic.
Un volantino. Che dovrebbe farsene di un volantino?
Questa ragazzina vestita da punk va in giro a distribuirne a bizzeffe. L'avranno
pagata bene allora. Mah, rimane il fatto che lui non è un tipo da volantini. Non
li colleziona per casa, questo è poco ma sicuro.
E che importa, alla fine
decide di dargli un'occhiata. Giusto per vedere di che altra idiozia si tratta.
Poi lo getterà nel primo cestino che gli capita mentre va a trovare i ragazzi in
stamperia.
Lo sguardo si posa sopra quel pezzo di carta ripiegato. Con la
coda dell'occhio fa attenzione a non andare addosso a nessuno. Poi ecco che può
leggere con più attenzione, è un volantino sgargiante, con una band sullo
sfondo. E' l'invito ad un concerto. Non costa nemmeno tanto il biglietto. Ma ci
sono pochi gruppi che per lui vale la pena andare a sentire. Questi non li ha
mai sentiti nominare. Non ha nessuna buona ragione per tenere quel volantino, ma
non ha niente da fare e lo apre. Non gli importa se anche tra pochi passi lo
getterà nel cestino.
Un nome bizzarro, mai sentito, annunciano un concerto di
tre ore in cui suoneranno vecchie cover e brani inediti per chiudere in
bellezza. Il repertorio non gli dispiace, effettivamente. Ricorda tanto la
musica che gli faceva compagnia a Stars Hollow. Ma questi chi sono? Da dove
vengono? Perché mai lui dovrebbe spendere una certa cifra per andare a
sentirli?
Si infila il volantino nella tasca della giacca, senza più
pensarci. Era da tanto che non andava a sentire qualcuno suonare, e se avesse
appurato che poteva valerne la pena avrebbe raccolto qualche informazione al
riguardo. Il luogo in cui era prevista la serata lo conosceva, forse era un po'
fuori mano per la zona della città che frequentava lui ma non gli era ignota,
non aveva mai faticato nell'imparare a conoscere bene le grandi città.
Ormai
dopo qualche isolato percorso non si ricorda più di essersi tenuto il volantino
in tasca. La sua mente è già da un'altra parte. Philadelphia lo fa riflettere in
modo così profondo che quasi non guarda la strada che percorre. Viene
piacevolmente assalito da quel sereno caos, da quell'aria di vita che pervade la
metropoli, e ogni volta pensa che è contento di aver cambiato città. New York
era troppo piena di ricordi. E ormai la conosceva troppo bene. Era tempo di
allontanarsi. Di distaccarsi fisicamente e spiritualmente da tutto. Doveva
dimostrare a sé stesso che era capace di ricominciare.
E ci era riuscito alla
grande. Nuovi amici, nuova vita, quel libro che tanto l'aveva coinvolto. Non
aveva mai pensato sul serio di poter scrivere qualcosa. E invece, era successo,
ci si era messo a lavorare, aveva iniziato a convogliare tutta la fervida
creatività del suo cervello in un progetto sensato. Aveva avuto la sua
possibilità di riscatto. C'era stato un periodo in cui non gliene fregava più
niente, in cui era disposto a subirsi le critiche di tutti, era frustrato ma non
sentiva il bisogno di controbattere, evidentemente se lo dipingevano in un certo
modo poteva anche darsi che fosse davvero così, e che quei pochi che invece
pensavano - o avevano pensato - il contrario, in realtà fossero quelli che
avevano torto.
Ma dopo un po' ne aveva avuto abbastanza. Se nessuno in un
dato luogo era disposto a considerare veritiero il suo cambiamento, allora tanto
valeva cercare un posto che lo facesse sentire più appagato. E solo così era
riuscito a risollevarsi. Doveva a Philadelphia più di quanto non avrebbe mai
creduto, in effetti.
Di nuovo stava quasi per mancare il semaforo giusto.
Eppure, lungo il suo percorso era l'unico a cui doveva ricordarsi di girare a
destra. La sua mente ormai vagava senza controllo. Non riusciva più a
concentrarsi sulla realtà. Philadelphia gli aveva riempito la testa di speranze,
di sogni che mai avrebbe creduto di avere.
Ora a ventiquattro anni si sentiva
più giovane di quando ne aveva diciassette. Tutti quei pesi, quelle
responsabilità, quei ruoli da interpretare erano spariti. Era soltanto sé
stesso, ora, e la gente lo conosceva per quello che era. E nessuno lo guardava
storto perché si prendeva la briga di dire quello che pensava. Era una cosa di
cui non gli era mai importato molto, ma dopo un po' diventava seccante.
E
invece, ora finalmente era riuscito a lavarsi via di dosso Stars Hollow e tutti
i ricordi a lei connessi. Il suo clima soffocante e la sua aria d'inferno lo
avevano perseguitato per troppo tempo. Ma Philadelphia lo aveva fatto rinascere,
e quando molto tempo fa si era ritrovato ad Hartford non si era fatto prendere
da nessuna cupa nostalgia. Quell'esperienza era rimasta chiusa nei suoi ricordi
come una scappatella fuori dal mondo, una specie di ritorno al passato nelle sue
nuove vesti. Nonostante fossero passati quasi tre anni, conservava quel momento
dentro di sé con una strana serenità. Non si era mai soffermato ad analizzare il
possibile significato che quell'episodio poteva aver avuto per lui.
E in
fondo, non aveva importanza. Quello non era più il suo mondo. Ora viveva lì, e
lì era felice. Lì si era realizzato.
Ecco che riprende la vita di tutti i
giorni, relegando i ricordi al loro spazio dentro il suo subconscio. Non si fa
più tante domande sulla vita. Ora sa quello che è, e sa che non vuole più
diventare nessun altro, perché non ci sarà più bisogno di chiedergli di essere
migliore per poter aspirare a raggiungere i suoi obiettivi.
***
Solo
una foto.
Non sa come sia stato possibile che sia capitata nelle sue mani.
Non sapeva nemmeno della sua esistenza. Sa solamente che un secondo prima si era
seduta sul tappeto di casa Kim e aveva iniziato a parlare con Lane, erano state
prese da un improvviso attacco di nostalgia dei vecchi tempi e avevano
intavolato una vivace discussione sul liceo, sul diploma, sul ballo di fine anno
e sulle vecchie conoscenze di Stars Hollow. Era da tanto che non tornava a casa.
Il nuovo lavoro l’ha assorbita completamente, e finalmente fa quello che da
tempo desiderava fare, viaggiare di continuo. Ha dovuto faticare per avere quel
posto, fare domanda in diverse sedi giornalistiche, dimostrare che valeva
qualcosa. Ma alla fine ci è riuscita, ha iniziato a realizzare il suo sogno. Ha
assimilato ogni critica, ha dato fondo a tutte le sue risorse per mettercela
tutta e migliorare. Ma ogni tanto la nostalgia di casa torna, anche se sente
quasi tutti i giorni sua madre. Le manca la vita di quegli anni, le ore sui
libri, le lotte con Paris alla Chilton, il caffè da Luke, le innumerevoli feste
di Stars Hollow, le cene del venerdì sera dai nonni, le chiacchierate con Lane,
e soprattutto casa sua. Anche se la linea telefonica la tiene ancora sottilmente
ancorata a sua madre. Anche se sa che ora ci vive felice con Luke, e che lei
ormai deve cercarsi un altro posto, che dia spazio alla sua nuova
vita.
Ricordare quei bei tempi le fa apparire un largo sorriso sul volto.
Forse perché all’epoca era fiera di sé stessa, di come riusciva a gestire le
cose, mentre poi, una volta allontanatasi da casa, aveva iniziato a non esserlo
più molto. Aveva avuto bisogno di una spinta decisiva per andare
avanti.
Parlano di tutto e di tutti, lei e Lane, di come fossero buffi tutti
quanti con quelle toghe, di tutti gli stratagemmi che Lane era costretta ad
inventarsi per andare a suonare nel garage di Rory, di come fosse indecisa lei
nello scegliere fra Harvard e Yale, ma non parlano di lui, e non capisce perché.
Ed ecco che poi salta fuori la sua foto.
Non c’è solo lui, in realtà è
soltanto in secondo piano, sul lato estremo. Non guarda l’obiettivo, è seduto al
banco, immerso in uno dei suoi libri. Rory rimane ferma per diversi secondi a
osservare quella foto, e nonostante voglia sforzarsi di riconoscere anche gli
altri, continua ad osservare ogni suo dettaglio. Cerca di leggere il titolo del
libro sulla copertina, ma la scritta è troppo piccola e sfuocata e le fanno male
gli occhi. Si sofferma sulla sua maglietta dei Distillers. Poi si accorge che è
rimasta immobile per troppo tempo e che Lane si è accorta di tutto.
"Non
voleva mai farsi fotografare, sai" le dice, mentre Rory evita di alzare gli
occhi e sostenere la sua occhiata indagatrice- "Non gli piaceva. Ci prendeva per
scemi o ci ignorava. Ma eravamo sempre in giro a scattare foto e alla fine in
una l’abbiamo beccato, per sbaglio. Credo non l’abbia mai saputo, altrimenti ci
avrebbe bruciato il rullino."
L’ombra di un sorriso le offusca il volto. In
effetti, lei non ha neanche una foto di loro due insieme. Non perché le abbia
gettate, ma perché non ha mai avuto il coraggio di chiedergli che gliene
facessero una. Sapeva che odiava le fotografie. Non aveva senso forzarlo a fare
qualcosa che detestava.
"Beh, non so cosa avesse da lamentarsi tanto. In
fondo, non è venuto male, qui. Aveva paura di non essere fotogenico? Non me lo
ricordavo così vanitoso."
Lo attacca scherzosamente, così, per riderci sopra.
Perché è un modo per esorcizzare i discorsi seri su di lui. Non vuole parlarne,
altrimenti sa che salterà fuori di nuovo tutta la storia, e lui tornerà ad
invadere i suoi ricordi sotto le spoglie del ragazzo che le ha spezzato il
cuore.
"Non lo so, però faceva molta attenzione a tenersene fuori. Qui
evidentemente era troppo preso dal suo libro."
"Non riesco a capire qual
è."
"Non ti ricordi che cosa stava leggendo in quel periodo?"
"Leggeva
talmente tanto, come faccio a ricordarmelo."
"Già, è vero."
La pausa di
silenzio le mette paura. Non vuole parlare di lui. Non vuole rovinare il momento
sostenendo un discorso serio. Lei e Lane sono lì per divertirsi, per rivangare
vecchi ricordi in modo da ravvivare il loro legame di amicizia. Lane non sa che
l’ultima volta che si sono incontrati è stato tre anni fa ad Hartford, non sa
che è stato lui a scuoterla a sufficienza perché tornasse a Yale. Non sa che gli
deve tutto, tutto quello che è diventata ora. Ormai l'ultima immagine che ha di
lui non è più quella sull'autobus della scuola, ora il suo ricordo ha trovato
pace dentro di lei. Ha sentito tante volte il desiderio di ringraziarlo ma poi
non è mai riuscita a farlo, né ha mai trovato la forza di mettersi a cercare un
mezzo pratico per farlo. Quanta distanza c’è fra Stars Hollow e Philadelphia?
Quanta fra Philadelphia e il resto del mondo?
Non ha mai osato cercarlo.
Sapeva che era il suo turno, lui era venuto da lei ad Hartford a rompere il
ghiaccio. Ma lei non ha mai osato. E quasi le sembra di avvertire uno strano
senso di rimorso per tutto questo. Ma la sensazione che ormai le loro vite siano
del tutto separate è diventata troppo forte e ha prevalso su tutto.
"Allora,
dove eravamo rimaste?"
Il sorriso ritorna ad occuparle il volto, scacciando
via ogni constatazione nostalgica. La conversazione con Lane riprende
rapidamente. L’amica non si sofferma ulteriormente su di lui, ha già capito che
lei non vuole parlarne. Non che non possa, ma le manca la voglia. Quell’incontro
ad Hartford è un’esperienza solo sua, che è rimasta chiusa nel suo cuore per
troppo tempo perché ora riesca a confidarla a qualcuno.
La sera arriva
presto. Sentono che giù di sotto la signora Kim sta chiudendo il negozio. Lei
deve prepararsi per la serata con sua madre e sa già che le ci vorrà del tempo.
Lane inizia a rimettere a posto le foto, dentro quello scatolone da cui
probabilmente non usciranno più ancora per molti anni, finché i ricordi non si
saranno affievoliti di nuovo e loro due non sentiranno il bisogno di
rinfrescarli un’altra volta.
"Vuoi tenerla?" Indecisione e un pizzico di
disagio traspaiono da quella domanda. Rory si gira e guarda la foto. Poi sposta
lo sguardo su Lane. È in imbarazzo per quello che si sente spinta a fare ma sa
che Lane capirà, e non ingigantirà la cosa facendole strane domande sul perché
della sua scelta.
"Sicura?"
"Certo, in fondo era il tuo ragazzo, non il
mio, e ho altre mille foto del resto della classe. E poi, considera i lati
positivi: quando avrai una figlia potrai sventolarle sotto il naso questa foto e
dirle guarda come si dava da fare la tua mamma con i bei
ragazzi!"
Sorride. Il senso dell’umorismo è ciò che apprezza di più in
queste situazioni. E lei e Lane sono della stessa pasta. Pensa che quella è
un’ottima scusa ma poi si corregge e si dice che non ha bisogno di scuse. Non
c’è niente di male nell’essere uscita per un anno con un bel ragazzo. Perché in
fondo, inutile negarlo, era davvero un bel ragazzo. Non c’è niente di male
finché nessuno sa cosa c’è sotto.