Lo
so, lo so, lo so. Non voglio farla lunga, perché avete aspettato tanto
(ma davvero TANTO) e farvi penare ancora per questo benedetto aggiornamento
sarebbe davvero troppo.. Niente da dire se non che, anche se può sempre
sembrare che io abbia mollato tutto, non è così. Questa long non sarà
interrotta ne abbandonata fino a quando non sarà postato l'ultimo capitolo.
Dovessero volerci millenni.v__v
Per
quanti periodi di merda io possa passare e per quante crisi possa attraversare
in un modo o nell'altro, Gabrielle non
l'abbandono. Perché per me, come per voi - o almeno è ciò che mi auguro -, è
stata silenziosa compagnia di tanti momenti in cui rifugiarsi tra una parola e
l'altra era l'unico modo per non crollare.♥
A
questo punto non mi resta che ringraziarvi tutte per le recensioni, per la
pazienza e la costanza, per le 50 e passa persone che hanno questa storia nelle
preferite, le 45 nelle seguite e le 66 che mi tengono fra gli autori che amano
di più.♥ Non ho parole,
davvero, per esprimere ciò che siete per me. Siete il motore di questa storia,
del cuore e delle mani che ci stanno dietro. Grazie mille.
Ah, un
piccolo doveroso P.S. Questo capitolo è dedicato alla ragazza, l'amica
che il 14 di gennaio mi ha permesso di realizzare il mio sogno e
incontrare Joe.♥ Perché avevo promesso. Lei sa.;3
A questo
punto mi metto tranquilla ad aspettare i vostri commenti.*3* Buona lettura,
bellissime.♥
- Capitolo 32° -
{ Cut it out. I've
got no claim on you now,
not allowed to wear your freedom down.
Is there a chance? A fragment of light at the end of the tunnel? }
Ashes and Wine - A Fine Frenzy
Kevin
si tirò a sedere sul letto sfatto, gli occhi ancora pesanti di sonno. Non che
fosse riuscito seriamente ad addormentarsi nel vero senso della parola. Era più
un dormicchiare pallido e agitato, interrotto continuamente da brividi d'ansia
e incubi troppo compliessi e lontanti per
rimanergli nella mente anche da sveglio. Scostò le coperte e s'avvicinò alla
finestra aperta, silenzioso come un gatto coi suoi piedi nudi sul parquet:
lanciò uno sguardo al minore dei suoi fratelli, la cui curva rilassata di
schiena e spalle mostrava chiaramente che lui sì, era beatamente nel mondo dei
sogni. Quanto a Joe... Joe era fuori.
Membri della troupe, loro amici, amici di amci: ogni sera ed ogni
scusa erano buone per rientrare a casa soltanto quando non ci sarebbe stato
nessuno ad accoglierlo, a parlargli. A vedere l'ombra di tristezza negli occhi
d'ambra, nascosta dietro all'entusiasmo posticcio di un drink in più. Quello
poteva durare al massimo fino al mattino. Sospirò. Non era esattamente ciò che
si era immaginato le volte che si era concesso di pensre a come sarebbe stato se. Joseph e
Gabrielle si erano lasciati, d'accordo. Avrebbero potuto prenderlo per stupido,
ma lui non era felice.
Non
era felice che non si parlassero praticamente più, non era felice che suo
fratello buttasse la testa in qualsiasi cosa potesse tenerlo sospeso al di
sopra dei pensieri - fosse il lavoro, una ragazza carina che gli faceva il filo
o quell'ennesimo bicchiere di birra. Non era felice che Coco avesse
improvvisamente smesso di trattarlo in modo speciale per cercare in qualche
assurdo modo di reprimersi e non rischiare.
Per come la conosceva, avrebbe potuto giurare sulla sua Gibson che lei si
stesse autopunendo per quello che era successo e nel contempo si fosse convinta
di essere una specie di veleno tossico con cui era molto meglio non entrare in
contatto. Guardò la luna piena finchè non ne ebbe lo
sguardo colmo, poi la ributtò fuori con un lungo sospiro: l'amore era una
fottuta fregatura. Li aveva presi - travolti - poi sbatacchiati qui e là,
confondendoli l'una con gli altri ed infine li aveva lasciati così. A pezzi che
non sapevano più nemmeno loro come rimettere assieme. Niente era andato come
sarebbe stato prevedibile, alla fine.
Aveva
sempre avuto chiara in mente l'espressione di Joe, nel momento preciso in cui
avesse saputo cosa era successo quella fatidica notte d'inverno. Lo sguardo
tagliente, il pugno che si sarebbe preso - presumibilmente dritto in mezzo agli
occhi, o sul labbro - i denti stretti e quel "ci sei andato a letto, brutto stronzo" che doveva coronare il
tutto. Plateale, forse, ma decisamente legittimo. E invece no, la rabbia di Joe
si era espressa in modo molto più sottile. Il modo in cui trattava Gabrielle,
quella era la vendetta inconsapevole che stava portando avanti. Che la
trattasse praticamente come una sconosciuta e - viceversa - fosse rimasto
sempre lo stesso con lui era per Kevin un'autentica tortura. Perchè
l'amava con tutto sè
stesso, quella piccola ragazza francese. E lei di certo voleva ancora Joseph...
Joseph che stava cercando disperatamente di cancellare e soffocare quell'amore.
Ecco, in quella specie di assurda partita a patata
bollente, il senso di colpa non faceva altro che scivolare inesorabilmente
e continuamente dall'uno all'altro.
-
Fottuto triangolo di merda. - Sussurrò, mordendosi le labbra per il nervoso. -
Finirà, prima o poi. Qualcuno lo romperà e basta. Finirà. -
{Qualcuno.}
°°°
- Sei sicuro che non sia troppo? - La
donna al bancone squadrò Joe con aria poco convinta, prima di versare un altro
mezzo bicchiere di whisky nella sua Coca-cola. Lui sbuffò
pesantemente ed agitò nervosamente il capo, mentre si rivolgeva al ragazzo
biondo seduto sullo sgabello accanto.
-
Non capisco un accidente di quello che dice, D...! - Brontolò. Sentiva la testa
pesante e sapeva benissimo di non essere del tutto lucido, cosa che in quel
momento era un gran sollievo. Pensare il minimo indispensabile.
-
Cose sensate. - Dorian LaRoche si
allungò sul bancone appena lucidato e trattenne l'altro per il polso,
impedendogli di prendere l'ennesimo sorso. - Se sia il caso di farti buttar giù
altra di questa roba, ad esempio. -
Joseph
sbuffò di nuovo, piuttosto irritato: il fatto che si fosse avvicinato per primo
a quello strano ragazzo, forse perchè era l'unico sul set a
conoscere così bene l'inglese - Do ci
lavorava lì, come assistente cameraman o qualcosa del genere - o che si fosse
divertito a provare una di quelle grosse videocamere grazie a lui, non gli dava
comunque il permesso di prendersi certe confidenze. Se voleva bere e quanto non
era certo cosa che lo doveva interessare. Se lo scrollò di dosso e vuotò il
bicchiere con un'espressione ostile impressa addosso.
- Dì
pure al tuo gemello antipatico e alla signora che, stando alla legge di questo
paese, sono abbastanza maggiorenne da
poter decidere per me. -
-
D'accordo, scusa. - Con un sospiro si rivolse nuovamente alla proprietaria e le
fece una rapida traduzione simultanea di quanto il suo nuovo amico aveva appena
borbottato.
I
fratelli Jonas erano parecchio interessanti, lo aveva
pensato da subito. Il modo in cui si muovevano, ad esempio, In mezzo alla gente
così come davanti ad una telecamera: era come se nei loro gesti non potesse
esserci nulla di sbagliato o fuori posto. Armonici. Erano armonici anche in quello, oltre che nella loro musica. Il più
piccolo aveva un modo di camminare e di porsi leggermente rigido che denunciava
sicuramente una buona dose di timidezza e riflessività, non gli piaceva il
contatto fisico con gli altri, quasi nemmeno Kevin o Joe potevano toccarlo
senza un valido motivo. Il mondo doveva tenersi a debita distanza da lui,
almeno fino al momento in cui non avesse stabilito d'averlo analizzato e
sviscerato abbastanza. Il maggiore, al contrario, era una di quelle persone per
cui non si poteva provare antipatia. Aveva questa fantastica capacità di
entrare in sintonia con chiunque, dovesse scambiarci anche solo due parole. Si
sintonizzava diretto sulla stessa lunghezza d'onda, con una delicatezza ed una
discrezione quasi assurde e del tutto d'altri tempi: Kevin era come il
personaggio di un vecchio romanzo classico, aveva esattamentye quel tipo di valori.
E poi c'era Joseph. Lui era decisamente il fratello di mezzo, in tutti i sensi: quello era il suo posto nella vita
della gente con cui decideva di avere a che fare, nel centro. Dove poteva
calamitare l'attenzione. Era decisamente un sole,
luminoso e irruento. Probabilmente in quello si spiegava come nemmeno lui - che
era sempre stato allergico a qualsiasi tipo d'interazione con il resto del
genere umano - non aveva trovato alcun modo di evitarlo. Aveva un amico, adesso.
-
Assicurami soltanto che uscirai di qui sulle tue gambe. - Joe lo scrutò con
quei suoi grandi occhi scuri ed agitò appena il capo. A Dorian bastò per sapere che
era sincero.
-
Voglio solo riuscire a non soffrire, per un po'. - Strizzò il bicchiere sino a
farsi illividire le nocche.
-
Non te la toglierai di dosso così. Lo sai questo? - Era difficile trovare la
cosa giusta da dire. - Non puoi sradicarla dalla tua vita con un sorso di
liquore. -
-
Non c'è bisogno che tu me lo dica. - Sorrise amaramente. - L'unico modo sarebbe
strapparmi via un pezzo d'anima. -
Do
si passò le mani fra i capelli biondissimi e li scompigliò con aria nervosa. Lei, ovvero Gabrielle Lemoin, era l'unico elemento
che non riusciva in alcun modo ad inserire nella complicata ma ben definita
trama che si era creato. L'incognita che finiva sempre per uscire dallo schema
e sconvolgere tutto, riscrivendo di volta in volta l'ultima pagina. Era
cresciuto in mezzo ai libri, nel piccolo appartamento affacciato sul porto di
Marsiglia e più tardi nel negozietto di sua madre Cècil. Aveva imparato bene,
da lei, a leggere la vita.
Sfogliarla, come fosse un profumatissimo volume nuovo che man mano invecchiava
e si riempiva di pieghe, appunti, macchioline di caffè. Pagina dopo pagina.
Durante gli ultimi cinque anni, Parigi era stata il suo scenario ed i volti che
incontrava per strada, la gente con cui si soffermava a parlare, i suoi
personaggi. Così Joe, in quel momento, era un protagonista tormentato... I suoi
fratelli probabilmente dei buoni comprimari e la ragazza incarnava senz'ombra
di dubbio l'oggetto del desiderio.
Seppur in modo completamente diverso, tutti e tre le gravitavano attorno e la
volevano, l'amavano. Li sconvolgeva: lei era quella per cui Nicholas
abbandonava ogni riserva e si lasciava toccare, accarezzare, baciare come e
quanto lei avesse voluto. Quella per cui Kevin smetteva di stare costantemente
entro i limiti e si buttava a capofitto... Quella per cui l'esuberante Joseph
aveva perso la testa da star male.
-
Vorrei poter dire di sapere cosa significa, amare così. - S'allungò a prendere
la lattina di aranciata che la barista gli aveva posato davanti. - E che so
precisamente quando passerà. -
-
Nessuno lo sa, questo. Nemmeno chi lo ha provato. - Bevve un lungo sorso echiuse gli
occhi di scatto, mentre il liquido scuro gli bruciava la gola. - E' certo che
ti fa soffrire come un cane, questo sì. Perciò tu sei quello fortunato. -
- Io
sono semplicemente fatto per stare solo. - Obbiettò. - ... Te la posso fare una
domanda? -
-
Sempre che io sia in grado di rispondere. -
-
Lei. Cosa ti ha colpito così, di lei? - Per quanto sembrasse sempre tranquillo,
in quel momento si sentiva invece profondamente imbarazzato. Fare una domanda
del genere non era affatto facile, piuttosto sfacciato. Nel suo caso, però, era
più come la curiosità ingenua di un bambino piccolo che non sappia di star
toccando un tasto delicato.
- E'
inutile anche provare a spiegartelo. Dovresti conoscere Coco, per capire. - Joe
lo guardò per una frazione di secondo, prima di fissare lo sguardo sul muro che
aveva di fronte. Senza per altro vederlo realmente: poggiò la schiena al piano
lucidato e socchiuse le ciglia scure. Poi sorrise appena, come si fa davanti
alle immagini sbiadite di un vecchio film nostalgico che ci è sempre piaciuto
molto.
- Io
penso che sia molto bella. - Esordì. - Ma non è poi solo questo. Mi sembra
anche piena di sentimento, pensiero - se intendi quel che voglio dire. -
- Lo
è. - Piegò il capo in un lieve cenno d'assenso. Per quanto parlare di Coco gli
facesse male, non poteva impedireai
suoi occhi d'iluminarsi al
solo suono di quel nome.
- Il
suo sguardo parla di sogni. Tanti. E' come un libro un po' datato, ma
terribilmente incredibile e avvincente. Di quelli in cui le ragazze andavano
ancora in giro con bei vestiti ed ampi mantelli e i matrimoni venivano
combinati. E poi c'è la protagonista, seppur timorosa, che cerca il vero amore
e l'avventura, la realizzazione dei desideri. - A quel punto doveva aspettare slenziosamente una
risposta.
- Orgoglio e Pregiudizio. - Mormorò Joe,
sconvolto. - Uno dei suoi libri preferiti. Tu... come cazzo ci riesci? -
-
Sono cresciuto in mezzo alla carta stampata, J. - Per la prima volta, da quando
Joseph l'aveva incontrato, Dorian si
sciolse in un ampio sorriso spontaneo, luminoso. - Leggo l'essenza delle
persone come una quarta di copertina. E funziona. -
-
Impressionante...! E puoi farlo anche con me? -
-
Troppo facile. - Scoppiò a ridere e ciocche di capelli color del grano
scivolarono a nascondere gli occhi cerulei. - L'Alchimista. Coelho. -
-
Non so che dire. Non ci si crede, sei un mago. - Ridacchiò. sentiva di nuovo
l'alcool salire ad annebbiargli i pensieri.
- E'
solo che ti si legge facilmente. Tu sei quello che si definisce letteralmente
un libro aperto. - Senza preavviso
cacciò un paio di banconote dalla tasca e le lanciò alla proprietaria del pub.
Poi diede un colpetto al braccio di Joe e lo invitò a seguirlo fuori. - Non sei
fatto per nascondere, probabilmente sono gli altri a nascondere a te. -
-
Troppo vero. - Gli salì alle labbra un sospiro di quelli che ti raschiano
l'anima.
-
Per quel che può contare, ti auguro di guarire presto da questo amore, Joseph.
- Lasciò una mano sulla spalla dell'altro, stringendo appena. - Però, sai,
credo di aver cominiciato a
vederla con i tuoi occhi. E' stupenda e non potevi che innamorartene. Dovresti
stare attento a ciò che decidi di fare con questo tuo sentimento, cosa sei
disposto a lasciar andare, a tenere. Per cosa soffrire. -
- E'
molto più complicato di così. - Ficcò le mani nelle tasche dei jeans e prese a
marciare sul marciapiede. - Ti ringrazio comunque del consiglio. Lo so bene,
che è stupenda...! - Dorian
scelse di non replicare. Gli rivolse un altro breve sorriso, poi abbassò lo
sguardo mentre lo raggiungeva.
- Ti
accompagno a casa. - S'incamminarono fianco a fianco e non scambiarono più una
parola per tutto il tragitto. Fu un silenzio lungo e compatto, eppure per nulla
pesante: erano soltanto due ragazzi che rincasavano insieme, complici, sotto la
luna di mezzanotte. In quell'istante, Joseph capì d'aver trovato in lui un
amico vero.
°°°
Nicholas
affondò con un sospiro nella sedia pieghevole che era stata disposta al tavolo
per il trucco. Lanciò uno sguardo sbieco al suo riflesso nello specchio e vide
due profonde occhiaie livide sotto gli occhi scuri, quasi come se gliele
avessero dipinte con un carboncino: ultimamente non avevano fatto che
peggiorare, di pari passo con la qualità del suo sonno. C'erano un'infinità di
pensieri nella sua testa, acuminati come spine. Vorticavano, si intrecciavano
tra loro e lo ferivano continuamente, per quanto si sforzasse di districarli e
trovare loro un senso. Tuffò le dita fra i ricci scompigliati e se le premette
sulle tempie. Aveva perfino voglia di piangere.
Che
avrebbe dovuto raccogliere i frammenti di tutta quell'assurda devastazione lo
sapeva fin da subito, ma questo non aiutava per niente a rendere la cosa meno
dolorosa o difficile. Sarebbe stato incredibilmente bello, se tutto si fosse
risolto bene e in fretta. Peccato soltanto che quello non fosse un bel film
americano ambientato a Parigi. Nella vita reale l'happy ending non era per nulla
telefonato e tantomeno obbligatorio, Joe non avrebbe perdonato nè tantomeno dimenticato
Coco per un bel pezzo, lei avrebbe continuato a martoriarsi l'anima di senso di
colpa, senza che nessuno potesse effettivamente fare nulla di concreto e Kev... Kev sarebbe stato
condannato a guardare in silenzio, per l'ennesima volta. Quanto a sè stesso, Nick si
riteneva preparato a parare quei colpi bassi e probabilmente più forte
determinato della maggior parte dei suoi coetanei, però sapeva anche di avere
dei limiti oltre cui non ce l'avrebbe fatta a sopportare tutto quel dolore
premergli addosso. Limiti pericolosamente vicini.
-
Buongiorno. - Trasalì, come se il saluto della make-up artist lo avesse svegliato
da un qualche sogno troppo coinvolgente.
-
Buongiorno... - Le rivolse un sorriso lievemente imbarazzato, prima di tornare
a sprofondare nel silenzio.
Claire,
dal canto suo, era già presa a fissarsi i capelli color prugna sulla nuca con
una specie di spillone intarsiato. Scrollò le spalle, dandogli ad intendere che
non aveva alcun motivo di sentirsi a disagio: era una giovane donna decisamente
troppo pratica per dare peso a questioni del genere. Iniziò ad estrarre una
quantità esorbitante di trousse e pennelli dal trolley verde petrolio che si
era trascinata dietro - fin dal suo microscopico appartamento alla periferia
sud della città - e li dispose sul tavolo secondo un suo ordine mentale
piuttosto preciso, mentre Nicholas si rilassava leggermente e tornava a
poggiarsi contro la spalliera di finto metallo. L'osservò diligentemetne
fare il suo lavoro, affascinato dal modo esperto in cui le sue mani si
muovevano tra barattolini e coperchi - tastando la morbidezza delle setole o il
contenuto dei flaconi.
-
Siamo quasi pronti per cominciare. - Esordì lei. - Detto fra noi, spero mi
diano presto il via libera, perchè ci
vorrà del tempo per far sembrare che non ti abbiano preso a pugni prima di
uscire di casa...! -
- Lo
so. - Claire sorrise della sua risata sincera. - Faccio schifo. -
-
Diversi milioni di fanciulle in tutto il mondo dissentirebbero...! Ed io potrei
dirmi d'accordo con loro, hai solo troppi pensieri per la testa. - Spremette un
tubetto di fondotinta sul dorso della sua mano. - Per tua fortuna, io
padroneggio abilmente la grande magia del correttore. Basterà stenderlo bene. -
- Grazie. - Si passò le dita fredde sulla
fronte e cercò di rilassarla, aspettandosi che inziasse a stendere subito la
crema color cipria. Gli picchiettò le palpebre e poi il piccolo incavo tra il
naso e l'occhio sinistro.
- E'
per lei, vero? La ragazza di ieri. - Il tono della donna era leggero e
scherzoso, ma Nick non potè
trattenersi dallo stringere convulsamente i braccioli della poltroncina, di
nuovo visibilmente a disagio.
-
Anche. Ma non è come pensi tu. - Sospirò.
-
Non venire a raccontarmi che non sono problemi di cuore. Balle. -
- E'
solo che non riguarda me. Sono i miei fratelli che... Gabrielle è la mia
migliore amica. - La luce nei suoi occhi era di una purezza tanto disarmante,
che lei finì per credergli subito e senza riserve.
-
Due ragazzi e una ragazza, brutta storia. - Arricciò il naso e finì di
applicare il cosmetico. - Non vanno mai a finir bene...! -
-
Non ne hai un'idea. - Si morse le labbra e per poco non inghiottì la spolverata
di qualsiasi cosa sia quella che Claire gli aveva soffiato in faccia col suo
grosso pennello morbido.
- Se
posso darti un consiglio- -
-
Bontà del cielo, eccoti qui! - Debra planò come un'avvoltoio
color pervinca alle loro spalle e la costrinse ad inghiottise silenziosamente il
resto della frase, qualunque esso fosse stato. Nicholas piantò gli occhi in quelli
della donna e non si frenò dal guardarla in cagnesco, sapeva sempre essere
inopportuna.
-
Sono esattamente dove mi è stato detto d'essere, quando sono arrivato sul set.
- Replicò, apparentemetne
tranquillo.
-
Sì, beh. Qualcuno avrebbe anche potuto dirmelo. - Ovviamente si era
indispettita. - Comunque ti devo parlare urgentemente, qui puoi finire dopo. -
Fece un cenno alla truccartice,
che abbandonò la spugnetta imbevuta di polvere nella ciotola dell'illuminante e
si allontanò, non prima di avergli rivolto un sorriso rassegnato.
- E'
successo qualcosa di grave? - Era scettico. Si sentiva più incline a credere
che fosse uno dei suoi soliti drammi orribilmente ingigantiti: probabilmente
avrebbero dovuto rigirare una scena o reincidere una parte della canzone.
-
Grave non direi, ma è qualcosa che tu e i tuoi fratelli decisamente dovreste
sapere. - Si sistemò gli occhiali sul naso, quasi come se volesse prendere
tempo. - Diciamo che a conti fatti, siamo decisamente in anticipo sui tempi
previsti per il documentario. - Lo guardò di sottecchi, come aspettandosi
chissà quale strana reazione.
- A
conti fatti? - Nicholas, dal canto suo, ancora non capiva.
- Il
regista ha parlato con il team di montaggio scene e gli effettisti. -
Snocciolò. - Ma non è questo il punto. -
-
No? -
-
No. Il punto è che abbiamo praticamente finito il materiale girabile che ci
occorre. -
Gli
allungò un plico di fogli spillati fra loro. Li sfogliò, scorrendo un lungo
elenco di scene appuntate e spuntate. Un brivido di nervosismo gli si arrampicò
lungo la spina dorsale: c'era qualcosa che non andava sul serio se perfino Debra, che era sempre
rimasta tutto d'un pezzo in qualsiasi situazione, ora non riusciva a mascherare
quell'irrequietezza d'animo. Sentì l'ansia aggredirlo con violenza, mentre
tornava a guardare la donna. Arricciò le labbra, quasi come fece lui con le
pagine che teneva fra le mani. Un'orribile rumore di carta scrocchiata riempì
il silenzio che si era allargato tutt'intorno. Per un singolo, rapido istante,
si ritrovò a pensare a Coco, al suo sorriso. Il profumo di caffè che riempiva
l'aria del piccolo appartamento, durante le prime ore del mattino - quando si
alzava e la trovava già in piedi con la sua tazza turchese fra le mani -, il
modo in cui, le volte che l'aiutava a sistemare i letti, finivano sempre per
doverli rifare almeno un paio di volte. E un'infinità di altre cose di lei che
gli erano entrate letteralmente dentro, dettagli apparentemente di nessuna
importanza. Col senno di poi avrebbe potuto giurare che fosse come un allarme a
livello inconscio. La manager prese un lungo respiro tremulo e cacciò una mano
nel palmo dell'altra, come a trovare la fermezza ed il coraggio per ucciderlo.
- La
produzione non pagherà per un mese e mezzo in più, a vuoto. Entro una settimana saremo tornati negli Stati
Uniti. -
{ So many things that you wish I knew,
but the story of
us might be ending soon. }
The Story of Us - Taylor Swift