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Autore: TheComet13    26/02/2012    5 recensioni
Sembrava una missione come tante altre per Maya, assassina professionista al servizio di un'organizzazione segreta. Eppure nei diciassette giorni in cui Maya ha osservato il suo bersaglio, qualcosa è iniziato a cambiare. Come può terminare la missione, quando il suo bersaglio è una donna che è inspiegabilmente riuscita a farle battere il cuore come nessun altro prima? Maya deve capire cosa conta di più per lei: l'amore verso quella donna misteriosa, o la lealtà nei confronti dell'organizzazione?
[ Questa storia si è classificata terza al concorso Love (Never) Fails]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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NOTA DELL'AUTRICE: Questa storia prende spunto da diversi telefilm (Nikita e Warehouse 13 in primis), ma è a tutti gli effetti una storia originale. Mi sono semplicemente limitata a cogliere alcuni elementi presenti nei telefilm sopra citati, modificarli e fonderli insieme per creare una storia nuova (per esempio, l'organizzazione di cui si parla in questa storia può assomigliare alla "Division" di Nikita per quanto riguarda il concetto di base, ma ha ovviamente caratteristiche differenti; e le due protagoniste possono fisicamente ricordare Myka e Helena di Warehouse 13, ma non sono loro. Semplicemente ho un debole per le due attrici che interpretano quei personaggi, Joanne Kelly e Jaime Murray, e mi piace creare storie basandomi su di loro).
Ho scelto "romantico" come categoria principale perchè questa è soprattutto una storia d'amore, ma è anche una storia d'azione e a tratti drammatica. Se non vi piacciono le storie d'azione non leggete. Stessa cosa vale se non vi piacciono storie d'amore e sesso tra due donne.
Con questa storia ho partecipato al concorso "Love (Never) Fail", dove mi sono classificata terza.
E' una storia divisa in quattro parti e farò il possibile per postare gli aggiornamenti ogni due o tre giorni.
Un'ultima cosa: per quanto l'italiano sia la mia lingua nativa, non è la lingua che parlo e scrivo tutti i giorni (nè è la lingua in cui il mio Word corregge gli errori, quindi se trovate cose strane, date la colpa all'autocorrect). Per questo motivo, alcune espressioni potrebbero suonarvi un pò strane, ma altro non sono che la traduzione più o meno letterale di altre espressioni inglesi.
Detto questo, buona lettura e non dimenticatevi di lasciarmi una recensione, fosse anche solo un "mi piace" o "mi fa schifo", così posso farmi un'idea di come viene recepita questa storia.



Parte 1 – Love at first sight
 
Was tired of running out of luck
Thinking ‘bout giving up
Didn’t know what to do
Then there was you
And everything went from wrong to right
And the stars came out to fill up the sky
It was love at first sight
Cause baby when I heard you
For the first time I knew
We were meant to be as one
 
Maya non aveva mai creduto nell’amore a prima vista. Le era sempre sembrata una nozione assurda…l’amore richiede tempo, due persone devono conoscersi, viversi, per innamorarsi. Concepiva l’attrazione al primo sguardo, quello si. A chi non era mai capitato in fondo di sentirsi irrimediabilmente attratto da una persona sconosciuta? Ma amore no. Si ricordava ancora le interminabili discussioni con le sue compagne ai tempi della scuola. Qualcuna aveva persino affermato che l’amore era solo una questione di chimica, di particelle impazzite, di ormoni, o qualcosa di simile…in realtà Maya non aveva neanche prestato molta attenzione a quei vaneggiamenti perchè li considerava completamente assurdi. No, per lei l’amore era qualcosa da costruire nel tempo. Non che fosse mai stata veramente inamorata. Qualche cotta, e una volta c’era stato anche qualcosa di più, ma mai vero e proprio amore. Mai quel sentimento che sconvolgeva completamente i sensi, che annebbiava la mente, che faceva perdere totalmente la ragione. Ed essendo Maya una persona molto pratica e con i piedi per terra, una di quelle donne che si affidavano totalmente alla ragione, le era sempre andato bene così. Inoltre, in una vita come la sua non c’era spazio per l’amore. Non più. A volte rimpiangeva di non aver sperimentato quel sentimento quando ne aveva avuta la possibilità. Era convinta che non sarebbe mai più potuto succedere.

Era del tutto naturale, quindi, che ora si sentisse turbata e sconvolta.

A dirla tutta, tecnicamente quello non si poteva considerare amore al primo sguardo. Maya aveva osservato la persona che era finita a rubarle il cuore per un totale di diciassette giorni. Certo, c’era stata attrazione a prima vista (sempre che il guardare una fotografia presa dal video di una telecamera di sorveglianza si potesse classificare come “prima vista”). C’era stata curiosità e uno smuoversi di qualcosa nel suo stomaco che non aveva saputo definire. Erano stati gli occhi, aveva concluso Maya, gli occhi di quella donna, puntati dritti alla telecamera, come se avesse saputo di essere stata osservata. Qualcosa in quegli occhi aveva provocato una specie di terremoto nelle interiora di Maya. Ma non aveva avuto tempo di analizzare quella sensazione, perchè dopo aver ricevuto la foto era stata subito spedita in una cittadina sperduta del Sud Dakota, insieme a un ordine ben preciso: “fà che sembri un incidente!”

Era la prima volta che le veniva dato un ordine del genere. Solitamente, LORO (Maya non sapeva come chiamarli, nessuno le aveva mai spiegato chi ci fosse nei piani alti dell’organizzazione e lei non aveva mai chiesto perchè sin da quando era arrivata aveva capito che le domande non erano ben apprezzate) non si erano mai preoccupati troppo di coprire le tracce. Non che gliene importasse molto delle motivazioni dietro a quella richiesta. Gli ordini erano ordini e andavano eseguiti. Fine della storia. L’unico problema nell’esecuzione, era che Maya non avrebbe potuto usare il 90% delle armi che era solita usare. Un proiettile in fronte difficilmente sarebbe potuto passare per incidente, e lo stesso valeva per coltelli e affini. “Potrei sempre fingere una rapina andata a male” aveva pensato Maya, ma dopo aver dato uno sguardo all’appartamento del suo bersaglio, si era resa conto che anche quell’opzione era da scartare. Nell’appartamento, o meglio, nella stanza della donna, non c’era praticamente niente. Un tavolo con due sedie, un materasso a una piazza e mezzo appoggiato direttamente sul pavimento, una lampada, un armadio con dentro qualche capo d’abbigliamento visibilmente non costoso, un paio di libri, un piccolo frigorifero e un computer portatile collegato a un modem, computer che la donna portava sempre con lei. Nient’altro. Nessuno avrebbe mai pensato di andare a rubare in quella stanza…sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa.

Maya era completamente a corto di idee. Mai, nei tre anni che aveva lavorato per l’organizzazione, le era capitato di dover inventarsi un piano per uccidere qualcuno. Solitamente attirava la vittima in qualche posto secluso, un colpo di pistola con silenziatore e tanti saluti, missione compiuta. Ma non quella volta. Quindi si mise ad osservare la donna 24 ore su 24. L’organizzazione le aveva messo a disposizione un appartamentino dal quale aveva una visuale perfetta della stanza della donna, e un binocolo modificato in chissà quale modo per permetterle di cogliere ogni minimo dettaglio. Con quello riusciva a vedere perfettamente l’espressione della donna mentre dormiva; un’espressione turbata, inquieta, come se non fosse in grado di rilassarsi neanche nel sonno. Maya la capiva perfettamente. Anche lei dormiva spesso sonni agitate. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva dormito serena. E spesso, quando era in missione, non si disturbava neanche a chiudere gli occhi. Viveva di caffè e osservava il suo bersaglio in ogni spostamento. Non aveva tempo di dormire. Avrebbe potuto riposarsi durante il volo di ritorno, e poi, sperava, avrebbe avuto un paio di giorni per recuperare le ore di sonno perdute prima di essere mandata di nuovo in missione.

Era sempre grazie al binocolo che era riuscita a scoprire il nome della donna. Solitamente, quando assegnavano le missioni, non davano mai il nome del bersaglio. Solo una fotografia e una posizione geografica, insieme ai mezzi per raggiungere il luogo. Biglietti aerei, chiavi della macchina, qualche soldo. Maya aveva sempre pensato che fosse un modo per tenerli distaccati dall’obiettivo della missione. Un bersaglio senza nome, senza una storia, non poteva suscitare alcun tipo di sentimento. Ma mentre osservava la donna china sul computer (era la sua unica attività quando era in casa, stare al computer e dormire), Maya aveva colto stralci di un’e-mail da cui aveva rilevato che il nome della donna era Kathryn.

Tutto di quella missione era diverso dal solito. L’ordine di farlo sembrare un’incidente, l’aver potuto dare un nome a quell volto, e la sempre più insistente sensazione che stava facendosi spazio nel corpo e nella mente di Maya, che quella donna, che Kathryn non meritasse quello che stave per succederle.

In tre anni, Maya non aveva mai provato dispiacere per le sue vittime. Non le considerava neanche vittime. Erano bersagli. Erano tutte persone che avevano fatto qualcosa di terribile, che costituivano un pericolo, e che andavano eliminate. Questo era quello che LORO le avevano insegnato, e Maya non aveva mai questionato. Non che le fosse data una scelta, in realtà. Ma in ogni caso, non aveva mai provato rimorso per le sue azioni. Arrivava sul luogo stabilito, localizzava il bersaglio, portava a termine il lavoro, tornava alla base (non a casa, perchè Maya non aveva una casa. Non più, e sicuramente la base non era casa sua). Nessuna domanda, nessuna deviazione, nessun intoppo, nessun sentimento.

Ma quella volta, sin da quando aveva visto la fotografia di Kathryn, Maya non era riuscita a scrollarsi di dosso l’idea che forse quel bersaglio non era da eliminare. E più la osservava, più quell’idea si radicava in Maya, insieme a quello strano sentimento a cui non era riuscita ancora a dare un nome.

Tornando sul discorso dell’attrazione a prima vista…Kathryn era bellissima. Doveva avere circa trentacinque anni, capelli e occhi scuri, pelle diafana, fisico snello e asciutto. Vestiva sempre con jeans più o meno logori, infilati in un paio di stivali neri da militare, e camicie sbottonate un pò più del dovuto. Al collo portava una catenina con un anello d’argento, che era sicuramente l’unico ornamento che possedeva. Non la toglieva neanche per dormire. Dormiva con solamente una canottiera e le mutande, e spesso durante la notte scacciava via il lenzuolo, lasciando le gambe completamente esposte. Maya si sentiva una pervertita a osservare il corpo quasi completamente scoperto di Kathryn, ancora di più considerando il fatto che aveva iniziato ad avere pensieri non propriamente casti nei confronti di quel corpo.

Col passare dei giorni, Maya iniziò a realizzare che non era solo attrazione quella che stava sperimentando. C’era qualcosa di più profondo, di più spirituale…era come una forza invisibile che la spingeva in direzione di Kathryn e Maya non poteva combatterla. Aveva iniziato ad avvicinarsi sempre di più durante i suoi pedinamenti, dimenticandosi completamente di ogni regola del pedinamento, oltre che quelle del buon senso. La prima volta che aveva sentito Kathryn parlare, era stato come se centinaia di farfalle avessero spiccato il volo nel suo stomaco. La voce di Kathryn era bassa, con uno spiccato accento inglese che dava musicalità a ogni frase, era una voce dolce e rassicurante. Maya era sempre più convinta che quella donna non poteva assolutamente essere come gli altri mostri che aveva eliminato in passato. Non era assolutamente possibile che Kathryn fosse un pericolo per il mondo.

Una volta giunta a quella conclusione, Maya si era ritrovata a buttare ogni precauzione al vento. E fu così che, in quel soleggiato pomeriggio estivo, si era ritrovata seduta in uno dei tavolini all’aperto dell’unico bar della cittadina, a sorseggiare caffè tenendo d’occhio Kathryn, che stava seduta poco distante da lei, come sempre immersa nel suo computer.

Maya non sapeva quantificare il tempo che era rimasta seduta a quell tavolo fissando la donna, che sembrava non percepire il peso di quello sguardo su di lei. Meglio così, pensò Maya. Stava rischiando tutto a stare così vicina a Kathryn ed era meglio che la donna fosse completamente ignara della sua presenza.

“Hai intenzione di rimanere a fissarmi ancora per molto o prima o poi ti deciderai a sederti qui con me e offrirmi un caffè?”

Il cuore di Maya fece un sussulto. Era indubbiamente la voce di Kathryn che aveva parlato. Maya si guardò intorno per cercare altre persone, sperando che la frase di Kathryn fosse stata diretta a qualcun altro. Ma gli occhi scuri di Kathryn erano su di lei. Non sembravano scocciati, ma divertiti. La donna sfoggiava un sorriso che Maya non aveva mai visto prima e che, manco a dirlo, scatenava dentro di lei una tempesta di emozioni.

Senza dire una parola, Maya si alzò dal suo tavolo e si andò a sedere di fronte a Kathryn, facendo cenno alla cameriera di portare altro caffè.

“Kathryn” si presentò, tendendo la mano.

Maya le strinse la mano e rispose con il suo nome. “Mi dispiace, non volevo infastidirti…non pensavo neanche che ti fossi accorta che ti stavo guardando.”

“Nessun fastidio” sorrise Kathryn. “Ti ho invitata al mio tavolo perchè dopo due ore che mi stavi fissando, ormai stavo iniziando a perdere le speranze che facessi la prima mossa.”

Maya sorrise, lievemente imbarazzata, e abbassò il volto per nascondere il rossore che si era formato. Era un’assassina addestrata che lavorava per un’associazione segreta, non aveva problemi a sparare in fronte a una persona a sangue freddo, ma per quanto riguardava le interazioni umane faceva veramente schifo.

“Non c’è bisogno di vergognarsi.” disse Kathryn dolcemente. “Le tue attenzioni mi hanno lusingata. Temo però di aver aspettato troppo a lungo per fare la prima mossa, ho un paio di faccende di cui devo occuparmi prima che faccia buio. Posso ardire di invitarti a cena questa sera?”

Parlava con termini quasi antiquati, e questo non faceva che aumentare il suo fascino agli occhi di Maya, che le diede l’unica risposta che le sembrava possibile in quel momento. “Si.”

Si accordarono per incontrarsi alle sette davanti a quel bar, poi Kathryn chiuse il portatile e se ne andò. Maya sapeva che avrebbe dovuto continuare a pedinarla, ma si era resa conto che nel suo (povero) guardaroba non c’era niente di adatto a una cena (“o un appuntamento?” si chiese), così decise di lasciare perdere Kathryn per un paio d’ore ed entrò in un negozio di abbigliamento, in cerca di un vestito.

Si fece una doccia e si truccò leggermente (quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva indossato del trucco?), si vestì e aspettò che Kathryn lasciasse la stanza prima di uscire a sua volta e dirigersi verso il luogo d’incontro.

Mentre camminava diretta al bar, il suo telefonò suonò per segnalare l’arrivo di un messaggio. Un messaggio che aveva temuto sarebbe potuto arrivare, ma che ingenuamente aveva sperato di non ricevere.

“Portare a termine la missione stanotte e fare rapporto entro mattina”

Maya sentì lo stomaco contorcersi. Come avrebbe fatto a portare a termine la missione? Non poteva, non ora, non dopo aver visto il sorriso dolce che Kathryn le aveva rivolto. Ne era certa, Kathryn non meritava tutto quello. Non aveva mai visto nessuno dei suoi bersagli sorridere così dolcemente. Maya non si era mai affidata alle sue sensazioni per prendere decisioni, ma quella volta…quella volta era sicura che il suo istinto non stava sbagliando. Aveva avuto dubbi sin dall’inizio e giorno dopo giorno, osservando Kathryn nella sua solitudine, quei dubbi si erano consolidati. Non poteva portare a termine la missione, ma non poteva neanche rifiutarsi. Prima di tutto, se non avesse compiuto il suo dovere, molto probabilmente LORO l’avrebbero cancellata, e poi avrebbero mandato qualcun altro a finire il lavoro, qualcuno che non si sarebbe fatto scrupoli, che non avrebbe visto niente in quegli occhi scuri che avevano così tanto stregato Maya. I giorni di Kathryn erano contati in ogni caso. Cosa doveva fare? Non importava da quante prospettive diverse guardava la situazione, l’esito era sempre e comunque negativo.

Senza rendersene conto, era arrivata al luogo dell’appuntamento, dove Kathryn la stave aspettando. Uno sguardo alla donna di fronte a lei, e Maya sentì il respire venirle a meno. Kathryn indossava un vestito nero molto semplice, che le arrivava a metà coscia, con una profonda scollatura in cui spariva l’anello attaccato alla catenina, e un collarino nero che si legava al vestito sul retro. Ai piedi portava dei sandal neri ornati da brillantini, col tacco alto a spillo. I lunghi capelli neri erano raccolti sulla nuca, con solo i ciuffi davanti lasciati sciolti a ricaderle sul viso. Maya pensò che non aveva mai visto niente di più bello in vita sua.

“Il gatto ti ha mangiato la lingua, mia cara?” chiese Kathryn con tono giocoso.

Maya arrossì. “Scusami è che…sei splendida, Kathryn, davvero.”

“Ti ringrazio.” rispose la donna. “Devo ammettere che anche tu ti sei ripulita bene.”

Maya sorrise riconoscente. Il vestito verde che aveva comprato si abbinava al colore dei suoi occhi. Non aveva mai portato tacchi alti in vita sua, non ne aveva mai avuto bisogno considerate la lunghezza esorbitante delle sue gambe, quindi aveva optato per un paio di sandali argentati con un leggero tacchettino. I riccioli castano chiaro erano tenuti indietro con un fermaglio anch’esso d’argento, fissato sulla tempia sinistra, e per il resto li aveva lasciati sciolti sulle spalle. Era riuscita anche a ottenere un risultato accettabile con il trucco, un ombretto dello stesso colore del vestito, un pò di matita, mascara e lucidalabbra.

“Vogliamo andare?” chiese Kathryn. Maya annuì, fece scivolare la mano attorno al braccio che Kathryn le stava offrendo e si incamminarono verso il ristorante.

Era l’unico ristorante un minimo elegante. Oltre a quello, la città offriva alla sua popolazione di 482 anime una tavola calda e una taverna. Le luci all’interno del ristorante erano leggermente suffuse e ogni tavolo era ornato da una candela accesa. Il cameriere condusse le due donne al loro tavolo, situato nell’angolo più lontano dall’uscita. Portò il vino, prese le ordinazioni, e lasciò le due donne alla loro serata.

Parlarono di tutto e di niente. Riuscirono a toccare una moltitudine di argomenti, ma senza entrare troppo nel personale. Cercavano di conoscersi a vicenda ma senza rivelare troppi dettagli della loro vita. Non parlarono del lavoro che facevano, non parlarono della famiglia, non parlarono della loro provenienza. Scoprirono, invece, di avere in comune l’amore per la letteratura classica, per il mare, per le giornate di pioggia e per il buon vino. Più la serata andava avanti, più condividevano piccoli particolari della loro personalità, della loro vita, ma sempre senza sbilanciarsi. Era come se entrambe nascondessero un segreto che non volevano rivelare, ma volevano disperatamente farsi conoscere dall’altra.

In trentun’anni di vita, Maya non si era mai sentita così tanto a suo agio con un altro essere umano. Persino i rari momenti di silenzio che c’erano stati tra di loro non erano stati imabrazzanti, ma rassicuranti. “Perchè?” si chiese Maya. “Perchè ho dovuto incontrare questa donna proprio in questo modo? Perchè non ho potuto incontrarla quattro anni fa? Saremmo state così bene insieme…”

Il tempo scorreva e le parole del messaggio che aveva ricevuto risuonavano incessanti nella mente di Maya. “Portare a termine la missione stanotte e fare rapporto entro mattina.” A quelle parole si alternavano quelle pronunciate da Kathryn, con una cadenza così melodiosa che faceva venire a Maya voglia di piangere.

Finita la cena, Maya si offrì di accompagnare Kathryn a casa. Passeggiarono per le vie quasi deserte della cittadina, in silenzio, scambiandosi sguardi che valevano più di mille parole. Arrivate davanti al portone di Kathryn, nessuna delle due voleva dare la buonanotte per prima. Rimasero in silenzio, guardandosi negli occhi, finchè la mano di Kathryn accarezzò dolcemente la guancia di Maya, e le loro labbra si incontrarono in un lieve bacio.

Quando si separarono, Kathryn sorrise, continuando ad accarezzare il viso di Maya.

“Io…” balbettò Maya. “Kathryn…sono stata mandata qui per ucciderti.”

Kathryn ritirò la mano, fece un passo indietro e incrociò le braccia attorno al corpo, come se stesse cercando di proteggersi. I suoi occhi non lasciarono un secondo quelli di Maya. Dopo qualche attimo di silenzio, Kathryn sospirò. “Fallo.”

Maya non riusciva a credere alle sue orecchie. Si era aspettata che Kathryn scappasse, o la supplicasse di risparmiarla, ma non quello. “Come?”

“Fallo.” ripetè Kathryn. Si guardò intorno per assicurarsi che fossero sole, poi tirò fuori dalla borsetta una pistola, la mise in mano a Maya e se la puntò in fronte. “Premi il grilletto. Uccidimi e poi scappa con la mia borsa, così può sembrare una rapina andata male. Fallo Maya. Lo so che non hai altra scelta, non te ne faccio una colpa. Spara.”

Il dito di Maya tremò contro il grilletto, mentre le lacrime iniziavano a formarsi. Gli occhi di Kathryn la guardavano con un’espressione che Maya non sapeva decifrare. Non c’era paura…c’era rassegnazione, comprensione, perdono…e qualcos altro, qualcosa che Maya riconobbe pericolosamente vicino all’amore. Com’era possibile? Si erano appena conosciute, eppure Kathryn la guardava come se per tutta la vita non avesse fatto altro che amarla, come se le loro anime fossero da sempre intrecciate. Maya finalmente capì il significato di amore a prima vista, che per tanti anni le era sfuggito: era quello che succedeva quando due anime gemelle finalmente si trovavano. Maya aveva letto Platone, ed era sempre stata affascinata dal mito della creazione. L’idea che nel mondo ci fosse un’altra persona che la completasse, l’altra metà di se stessa, era così meravigliosamente romantica che persino una persona razionale come Maya non poteva fare a meno di sperare che fosse vera. Kathryn era quella metà. La sua altra metà. Era come se Maya fosse stata incompleta per tutta la vita e finalmente, quando le sue labbra si erano fuse con quelle di Kathryn, era diventata un intero. Non poteva uccidere Kathryn. Se l’avesse fatto, insieme avrebbe ucciso anche lei.

“Non posso.” singhiozzò Maya. “Non posso farlo Kathryn…lo so che ti conosco solo da un giorno, ma l’idea di premere il grilletto mi uccide. Non posso farti del male! Non posso…”

Kathryn prese la pistola, la ripose nella borsa e poi accolse Maya tra le sue braccia, accarezzandole i capelli nel tentative di calmare i singhiozzi. “Shh, va tutto bene Maya, troveremo una soluzione. Stai tranquilla.”

Quando finalmente le lacrime smisero di scorrere, Maya si lasciò condurre da Kathryn nel suo appartamento. Visto da vicino, era ancora più spoglio e deprimente di quanto le era sembrato prima. Maya si chiese cosa stesse passando nella mente dell’altra donna. Da quanto aveva capito osservandola, Kathryn viveva la sua vita in completa solitudine. I pochi contatti umani che aveva avuto in quei diciassette giorni si erano limitati a parole di cortesia verso la cameriera del bar, la commessa del minimarket, il ragazzo che consegnava il cibo d’asporto. Persino le e-mail che avevano ricevuto non erano altro che messaggi formali, probabilmente d’affari. Sembrava che non avesse nessuno nella sua vita, nessun legame, nessun affetto. E ora, l’unica persona con cui aveva stabilito una connessione, le aveva detto che era stata incaricata di ucciderla. Maya non riusciva a immaginare come Kathryn si potesse sentire. Sembrava di una calma impressionante. Anche quando aveva esortato Maya a spararle, non aveva perso il sangue freddo per un solo istante. Maya, al suo posto, probabilmente avrebbe dato fuori di matto. E in effetti, era stata proprio lei a scoppiare in lacrime, a farsi consolare, mentre a rigor di logica sarebbe dovuta essere Kathryn quella spaventata, quella bisognosa di rassicurazione.

“Come fai ad essere così calma?” chiese Maya.

Kathryn le sorrise e alzò le spalle. “Aspettavo questo giorno da tanto, troppo tempo. Mi stupisce anzi, che ci sia volute così tanto a trovarmi e a mandare qualcuno per eliminarmi. Ero preparata a questo. Quello a cui non ero assolutamente preparata sei tu.”

Maya la guardò con aria interrogative e Kathryn sospirò. “Maya, ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a nascondermi. Mi sono spostata da un angolo all’altro degli Stati Uniti, senza fermarmi in un posto abbastanza a lungo da far si che la gente potesse imparare il mio nome. Non possiedo niente se non quello che vedi in questa stanza, che non è molto. Per sei anni, le uniche conversazioni che ho avuto sono ruotate attorno a cosa voglio da mangiare o quanto devo pagare per questa o quella cosa. Non ho mai degnato le persone intorno a me di un secondo sguardo, se non per considerare se fossero potenziali nemici. E poi, diciassette giorni fa, sei arrivata tu. Non fare quella faccia stupita, mi sono accorta che mi seguivi. Più volte. E ho preso in considerazione l’idea di scappare, ma il modo in cui mi guardavi non era quello di un’assassina mandata per uccidermi. Mi guardavi inizialmente con curiosità, e poi con dolcezza, desiderio, passione. Mi sono convinta che non potevi essere una di LORO, perchè altrimenti avresti già portato a termine la missione. E così ho abbassato le mie difese e ho concesso a me stessa la speranza che forse, in questa vita senza una dimora fissa e senza certezze, dove devo guardarmi le spalle a ogni passo che compio, potevo trovare qualcosa di più. Qualcosa di te e del tuo sguardo è riuscito a scaldarmi il cuore dopo anni, e ha fatto rinascere in me il desiderio e la possibilità di amare e lasciarmi amare.”

Il discorso di Kathryn fece riaffiorare le lacrime negli occhi di Maya. C’era così tanta dolcezza e insieme così tanto dolore in quelle parole…non riusciva minimamente a immaginare cosa quella donna avesse potuto fare di tanto terribile da meritarsi un’esistenza del genere. “Come fai a sapere dell’organizzazione? Dal modo in cui hai detto LORO ho capito che sai con chi hai a che fare. Dovrebbe essere un segreto…come fai a conoscerli? E perchè ti vogliono morta? Cos’hai fatto che ti ha portata ad essere considerata un pericolo per il mondo?” chiese.

“Ogni cosa a suo tempo, tesoro.” rispose Kathryn, raccogliendo con le dita la lacrima solitaria che stava rigando il volto di Maya. “Per prima cosa dobbiamo andarcene da qui. Se ti hanno mandata, vuol dire che sanno dove sono. E sanno dove sei tu. Siamo entrambe in pericolo ora. Immagino ti abbiano dotata di una macchina, o altrimenti non mi spiego come tu sia arrivata dalla base a questo posto dimenticato da Dio. Corri a prendere tutte le tue cose e ci rivediamo qui tra mezz’ora.”

Maya scosse la testa. “No. Non ti lascio sola, nemmeno per mezz’ora. Dovrei fare rapporto domani mattina, ma non si può mai sapere. Potrebbero aver mandato qualcuno a controllare che portassi a termine la missione, e magari stanno solo aspettando che io me ne vada per ucciderti. Prendi la tua roba e poi passiamo velocemente a prendere la mia. Il più in fretta possibile.”
Kathryn annuì e iniziò a radunare i suoi (pochi) averi. Una valigia era abbastanza per trasportare tutti i suoi vestiti e libri. Poi prese un borsone e si chino sul pavimento, spostando la lampada e rivelando una botola che, una volta aperta, si scoprì piena di armi. Un mitra, due fucili e quattro o cinque pistole, con relative caricatori, oltre che una quantità consistente di denaro.

Kathryn rise all’espressione stupita di Maya. “Che c’è? Te l’ho detto che ero preparata. Pensavi davvero che sarei riuscita a scappare per sei anni con solo la pistola che ho in borsa e senza una conspicua somma di denaro?”

Riempita anche la borsa con le armi e il denaro, lasciarono la stanza e si diressero all’appartamento di Maya, che nel giro di dieci minuti raccolse tutte le sue cose (non fece fatica, aveva portato giusto qualche cambio di vestiti, un paio di libri da leggere nei momenti di stallo, una pistola e un fucile da cecchino, in caso l’opzione incidente non si fosse rivelata possibile).
Improvvisamente Maya si rese conto che non aveva la più pallida idea della destinazione che Kathryn aveva in mente. “Uh, Kathryn…forse la domanda potrà sembrare idiota ma…dove diavolo stiamo andando?”

“New York.” rispose Kathryn. “Giusto stamattina sono riuscita a chiudere un accordo con un mio contatto. Tra quattro giorni una nave cargo salperà verso l’Inghilterra e mi riporterà a casa. Sono stanca di scappare, Maya. L’ho fatto troppo a lungo e sto iniziando a sentire il peso di tutti questi anni in fuga. Ho bisogno di riposarmi. I miei genitori mi hanno lasciato una casa in Cornovaglia, e sono finalmente riuscita a mettermi in contatto con persone che possono proteggermi dall’organizzazione. Questo, ovviamente, se sei disposta a venire con me.”

Maya si avvicinò e prese le mani di Kathryn tra le sue. “Come potrei lasciarti andare da sola? Non ho un posto dove andare, non ho una casa a cui tornare, e l’organizzazione non mi perdonerà per averti lasciata vivere. Ma anche se lo facesse, non mi interessa. Da tempo non so più qual è il mio posto nel mondo, ho vissuto gli ultimi tre anni come una macchina per uccidere. Ma ora…ora so che il mio posto è con te…dovunque tu voglia andare, io verrò con te.”

Si scambiarono un bacio, più appassionato di quello che si erano date neanche un’ora prima di fronte al portone e che ormai sembrava lontano anni luce.

“D’accordo allora.” disse Kathryn quando le loro labbra si staccarono e ripresero fiato. “Andiamo.”
  
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