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Autore: Christine23    26/02/2012    5 recensioni
«Perché non gli porti dei fiori come fanno le persone normali?» la canzonò Ron, arrivatole alle spalle di soppiatto.
Hermione rimase inginocchiata sull’erba, senza distogliere lo sguardo dall’iscrizione.
«Harry è allergico ai fiori, Ron» lo rimproverò, brusca.
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La speranza è la forma normale del delirio


 

Note dell’autrice.
Premetto che questa storia sarà particolare; non è da escludere che qualcuno mi insulterà o additerà come "eretica" (capirete più avanti di cosa sto parlando).
La Rowling ha volutamente evitato di parlare di religione nei suoi libri, infatti, non abbiamo alcuna idea di che religioni si pratichino nel Mondo Magico.
Io ho immaginato che ogni mago abbia il suo credo, liberissimo di scegliere quale. Quello che leggerete è soltanto frutto della mia invenzione, niente di più.  Nel caso voleste lasciarmi una recensione, vi prego, non scrivete solo "Bella, continua", preferisco che non lo facciate in quel caso, perché non mi insegna nulla. Preferisco mille volte di più che scriviate "Mi fa schifo" elencandone tutti i motivi, però.
Il titolo è una citazione di  
Èmile M. Cioran.
Ringrazio Venenum per aver betato questo capitolo, se questa storia è stata partorita dalla mia mente è anche merito suo, dato che è nato tutto da una conversazione tra me e lei X'D.

Il secondo capitolo è già pronto, lo posterò dopo l'1 Marzo (giorno del mio esame di Storia Greca ç_ç).
Bene, credo di aver detto tutto, vi lascio al primo capitolo-prologo ^^!
Ps: per qualsiasi cosa, questo è il mio gruppo personale di fb come autrice efp: http://www.facebook.com/#!/groups/143669559026639/

 


I capitolo

 
 
 

Era già stata in quel luogo, in un tempo neanche troppo lontano. Anzi, a dir la verità, le sembrava fosse stato ieri.
La neve cadeva, candida e soffice, si avvolgeva intorno ai sepolcri come un mantello di fine seta. Il cimitero era inghiottito da un silenzio spettrale, facevano eccezione solo il battito del suo cuore affannato e il pianto disperato del vento, che costringeva le foglie degli alberi a danzare spasmodicamente.
Le mani le erano diventate blu, due arti insensibili, due lastre di ghiaccio che non avrebbero più trovato il calore delle sue mani. Mai più.
Nevicava anche quella volta che ci era andata con lui, si ricordò, nulla era mutato; gli alberi innevati, i passerotti che, di tanto in tanto, allietavano il sonno eterno degli abitanti con il loro canto, ma, soprattutto, l’oblio.
Sotto altri aspetti, però, il prospetto del luogo si era alterato: vi era una lapide in più. Si ergeva trionfante sulle altre per la sua inusuale iscrizione, la quale rendeva mediocre giustizia al proprietario, secondo la ragazza.
 

Harry James Potter
1980 -  1998
Saver of the Magic World

 

 

 

 
La sola e amara consolazione alla quale Hermione  poté aggrapparsi, quando assistette, impotente, alla tumulazione del corpo, fu pensare che il suo migliore amico avrebbe riposato accanto ai propri genitori, che avrebbero vegliato su di lui per l’eternità.
Chissà se esisteva il paradiso. Hermione lo immaginava come un immenso giardino  pieno di fiori profumati. L’idea che Harry fosse lì la faceva sorridere, poiché ne era allergico.
Si inginocchiò sul prato innevato, da cui facevano capolino timidi ramoscelli di erba selvatica, e vi posò una fetta di torta di zucca un po’ bruciacchiata. Era tanto abile nella magia quanto negata ai fornelli.     
Di quella precedente erano rimaste solo alcune briciole. Gli uccellini dovevano averne fatto una gran scorpacciata, come sempre del resto: da sette anni, ogni settimana, gliene portava una nuova, sostituendola a quella vecchia. A volte, immaginava stupidamente che fosse lui a mangiarla; così si metteva all’opera, giorno dopo giorno, nel vano tentativo di riuscire a fare una torta di zucca decente. Prima o poi ci sarebbe riuscita, cercava di convincersi, ostinata.
La sistemò con maniacale attenzione, premurandosi che fosse perfettamente incastrata nel contenitore di plastica, che era privo del coperchio.
«Perché non gli porti dei fiori come fanno le persone normali?» la canzonò Ron, arrivatole alle spalle di soppiatto.
Hermione rimase inginocchiata sull’erba, senza distogliere lo sguardo dall’iscrizione.
«Harry è allergico ai fiori, Ron» lo rimproverò, brusca.
Ron sospirò, afflitto, ormai si era rassegnato all’idea che la sua amica non sarebbe più tornata come prima. La morte di Harry l’aveva cambiata, era come se avesse trascorso quei sette anni guidata dal pilota automatico, un’anima in pena che si trascinava ogni giorno in mezzo alle persone viventi, coloro che rappresentavano ciò che lei non era più.
E lui non aveva smesso di amarla, nonostante tutto.  Nonostante sapesse che nel suo cuore c’era spazio per un solo uomo, il quale, anche da morto, avrebbe continuato ad occuparlo.
«E poi … è la sua torta preferita» aggiunse Hermione, addolcendo il tono.
No,  quella torta aveva un significato molto più profondo, ma Ron non doveva saperlo. Era una cosa tra Harry e lei, e tale sarebbe rimasta per sempre.
Addentrarsi nei sotterranei di Hogwarts, con l’ausilio del Mantello dell’Invisibilità di Harry, era divenuto piuttosto semplice. Quella sera avevano deciso di sgattaiolare dal Dormitorio per infiltrarsi nelle cucine del castello, dove si trovavano, a detta di tutti, le più succulente leccornie di tutta la Gran Bretagna. Hermione aveva opposto resistenza all’inizio, talmente ligia alle regole, ma alla fine lui era riuscito a convincerla.
Voleva mostrarle il luogo in cui si rifugiava quando si sentiva il mondo contro e ogni cosa sembrava volesse volgere al peggio.
L’ ingresso era celato da un grande dipinto raffigurante un piatto di frutta. Per far aprire la porta bisognava fare il solletico alla pera, cosa che Harry fece tempestivamente non appena se la ritrovarono di fronte.
Entrando si trovarono davanti ai familiari quattro lunghi tavoli di legno, in corrispondenza dei quali, al piano di sopra, nella Sala Grande
, c’erano quelli delle case. Quotidianamente il cibo, preparato da centinaia di Elfi Domestici, veniva depositato sui tavoli e magicamente si Materializzava al piano superiore.
«Dovrebbe esserci della torta di zucca nei paraggi …» rifletté ad alta voce Harry, indaffarato a cercare tra le dispense.
Hermione si sedette al tavolo che corrispondeva a quello dei Grifondoro, poi prese a osservarlo in silenzio, riscaldata dal tepore proveniente dal grande focolare di mattoni.
«Trovata!» esclamò alla fine, trionfante, provocandole un sorriso.
Corse a sedersi di fronte alla ragazza, sistemando il piatto e due forchette nel centro del tavolo.
«Perché proprio la torta di zucca?» chiese lei, curiosa.
Harry alzò le spalle, già impegnato a portarne una porzione alla bocca.
«Non so, riesce a lavare via la tristezza. Mi rende felice. Credo sia la mia preferita» rispose semplicemente.
Hermione comprendeva la malinconia dell’amico. Negli ultimi tempi sembrava che qualcuno avesse complottato contro di lui affinché tutto gli andasse storto, per non parlare della pressione che sentiva su di sé a causa del Torneo Tremaghi. Lui, che odiava essere al centro dell’attenzione, per un motivo o per un altro, ci finiva ugualmente, attirandosi antipatie e non richieste simpatie.
I giornali non facevano che parlare di lui, diffondendo notizie fasulle e impertinenti sulla sua vita privata e non, grazie alle interviste invadenti della famosa Rita Skeeter; infine, la sua inaspettata partecipazione al Torneo aveva dato vita alla lite tra lui e Ron, il quale era convinto fosse stato Harry a mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco, mostrando di avere poca fiducia nei suoi confronti. Questo lo aveva ferito molto.
Decise di assaggiarne un po’ anche lei, arrivando alla conclusione che quel sapore non la facesse proprio impazzire.
«Sai, Hermione, non mi sono mai fermato a pensare cosa farò da grande. È come se dentro di me sentissi che non vivrò a lungo» le confidò d’un tratto, cupo.
Hermione sobbalzò leggermente, preoccupata e allo stesso tempo arrabbiata per l’affermazione pessimistica del ragazzo.

«Harry, non essere sciocco, tu non morirai. Dici questo solo perché sei giù di morale» cercò di rassicurare lui, ma anche se stessa.
 Harry scosse la testa, sorridendo con amarezza.
«Pensi davvero che io sia in grado di sconfiggere Voldemort?» replicò, scettico.
La ragazza gli afferrò le mani, intrecciandole con le sue; lo avvolse uno strano calore a cui non seppe dare nome, era come se quel contatto gli trasmettesse coraggio, speranza, voglia di lottare.
«Sì. Tu ci salverai, Harry. Salverai tutti noi».
Suonò così bene detto da lei, riuscì persino a convincerlo con quei suoi occhi battaglieri, che in quel momento stesso aveva scoperto di adorare.
«Cosa vuoi fare da grande?» gli chiese, infine, rafforzando la presa sulle sue mani.
Harry acciuffò una sua ciocca di capelli, che se ne stava beatamente all’aria, al contrario degli altri che mostravano un ordine solo apparente.
«Voglio stare con te. E avere altri momenti come questo» confessò, puntando lo sguardo, che era divenuto impacciato, sulla torta.
Una lacrima cadde ribelle sulla neve, un puntino scuro che nessuno avrebbe notato.
Strofinò il naso arrossato dal gelo con la manica del cappotto, rimettendosi in piedi. Ron la prese per un braccio con delicatezza, dopodiché le intimò di tornare a casa.
Annuì col capo, nonostante le venisse sempre una stretta al cuore quando arrivava il momento di andare via.
Qualcosa che attirò la sua attenzione,  però, le impedì di muoversi: un’inquietante figura, avvolta da una sorta di abito sacerdotale, pareva che li stesse osservando dal fondo del cimitero. Il suo viso era celato dal cappuccio grigio, pertanto riuscì a scorgere solo la grande croce gotica che egli portava al collo.
«Ron, chi è quell’uomo?» domandò d’istinto, scossa dai brividi, senza distogliere lo sguardo.
«Non saprei. Un guardiano del cimitero, forse?» ipotizzò lui, non molto convinto.
A Hermione quell’uomo diede l’impressione di svolgere un ruolo molto più spirituale, non poteva essere un semplice guardiano.
Si ritrovò a pensare che, in fondo, lei ignorava molte cose riguardanti il Mondo Magico, cose che ancora non aveva avuto il piacere di scoprire, nonostante avesse a che fare con esso da quando aveva dodici anni. Restava sempre una figlia nata da Babbani e, come tale, doveva sapere di più su quel mondo che aveva imparato ad amare.

   
 
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