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Autore: MariaChiraOtaku    29/02/2012    1 recensioni
Kira correva. Non sapeva perché, ma nessuno sa perché agisce nell'Organizzazione. Tutti, però, hanno un obbiettivo comune: distruggere l'Angelo. Ma non tutto è ciò che sembra. Scegli da che parte stare, decidi se essere fedele a te stesso: sei pronto a mettere in dubbio tutte le tue azioni?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Un gallo cantò, in lontananza.
Un suono a malapena udibile per gli abitanti della minuscola casetta. In più non era ancora sorto il sole. Perché mai, quindi, un contadino, distrutto dal lavoro e con così tanti problemi che era già un miracolo che i debitori non fossero ancora entrati in casa per trapassarlo da parte a parte con una spada, sarebbe mai dovuto essere sveglio, in quel momento?
Eppure lui era sveglio; e non da poco tempo. Era seduto sul letto, il cuscino dietro la schiena nuda, poggiata contro la parete di legno.
Ignorava il freddo pungente di quella mattina di inverno e teneva gli occhi fissi davanti a se, osservando la parete di fronte, spoglia, come tutte le pareti della casa, dopo tutto.
Inavvertitamente, lanciò uno sguardo all’orologio sul mobile e  sentì una stretta al petto, quando si accorse che era ora di svegliare la famiglia. Ancora una volta, gli passò per la testa il folle pensiero di fuggire dal suo visitatore. Scacciò quella folle, inutile idea: loro lo avrebbero trovato e se i debitori lo avevano risparmiato fino a quel momento perché erano stati magnanimi e pazienti, loro di sicuro lo avrebbero ucciso sul momento, senza pensarci due volte.
Ebbe un brivido freddo lungo la schiena ed era assolutamente certo che non era stato il freddo a causarlo. Scosse con gentilezza la moglie che, nonostante il tocco leggero, sussultò e si sedette sul letto, con gli occhi ben aperti. Si rilasso solo quando vide suo marito poggiarle una mano sulla spalla per rassicurarla.  – Ci siamo –, le disse, con voce falsamente neutra. Lei annuì, anche lei  con gli occhi lucidi. Scostò le coperte e scese dal letto. Lanciò uno sguardo al piccolo orologio sul mobile a muro di legno: le tre del mattino. Con un sospiro corse in camera della figlia. Aprì il separé di legno intrecciato e attraversò il piccolo salone rettangolare.
Aggirò le sedie di paia e il tavolino di pietra rotondo, unici elementi che costituivano l’arredamento dell’intera stanza, senza contare il camino, sempre di pietra. Tutto era fatto in casa, per di più: le sedie le avevano intrecciate lei e la figlia e il tavolino lo aveva ricavato il marito da un blocco di pietra che aveva tirato per più di cinquanta metri. La donna affrettò il passo e aprì l’ennesimo separé per entrare nella stanza della figlia.
Come tutte le stanze era piccola, ma lì si notava il tocco della giovane: nella parete di fronte alla porta erano appese migliaia di pellicce, ricavate dalle tante battute di caccia compiute dalla famiglia, inchiodate alla parete in modo disordinato ma armonioso. Ricoprivano una buona parte della parete, occupata in un angolo da un ritratto di tutta la famiglia, fatto quando i tempi erano ancora buoni. Era alto circa un metro, dipinto con le tempere. Rappresentava i due genitori che si tenevano abbracciati e sorridenti, mentre all’altezza dei loro ginocchi si teneva aggrappata al pantalone del padre la figlia, di scarsi quattro anni. Il ritratto era ingiallito dal tempo, ma ancora perfetto. Dietro al letto si scorgeva un unico minuscolo armadio alto meno di mezzo metro, che conteneva tutti i vestiti della giovane. Sopra l’armadio la ragazza aveva poggiato con cura tutti i suoi miseri beni. Si notavano denti di vari animali, sassi dalla forma curiosa, bottigliette di vetro colorato. Una finestrina era chiusa con due ante di legno sulla destra, ma i tanti buchi facevano entrare spifferi di aria fredda. Quando varcò la soglia, la madre si fermò un istante per ammirare la figlia mentre dormiva. I capelli neri le coprivano gli occhi chiusi e scendevano fino a metà schiena. Le spalle, coperte dal piumone, si alzavano e si abbassavano a ritmo dei suoi respiri regolari. La bocca era leggermente aperta.
Si avvicinò al letto e scostò i capelli dal viso della figlia. Il sonno leggero era una caratteristica della loro famiglia, infatti la ragazzina aprì piano gli occhi. La madre, dopo quindici anni, non si era ancora abituata a quegli occhi rossi come fuoco e si trovò a trattenere il respiro. Erano stati quegli occhi a condannarla. Li maledisse e maledisse anche chiunque li avesse tramandati a sua figlia. La ragazza non si  accorse, oppure fece finta di non vedere, della reazione della madre. Si sedette e si stiracchiò.
- Che ore sono? – chiese, con voce roca. La madre le sorrise – Le tre –. La figlia sgranò gli occhi, palesemente incuriosita e anche leggermente arrabbiata. – Devi vestirti –, le ordinò la donna. Si accorse tardi della nota di panico nella voce. La ragazza, invece, se ne accorse e aggrottò la fronte – Perché? Aspettiamo qualcuno? –. La madre sorrise e annuì. Non aveva mai fatto un sorriso più falso di quello.
La figli aprì la bocca per fare altre domande, me la madre le mise un dito sulle labbra. – Ti prego, non chiedere, ti spiegheremo, poi. Telo prometto –. La madre sapeva benissimo che forse non ci sarebbe stato nessun dopo per la loro famiglia, ma evitò di specificare con la figlia per ovvi motivi.
La ragazza la fissò per un secondo, cercando di decifrare lo sguardo della madre. La donna cercò di non far trasparire la paura e l’ansia che albeggiavano dentro di lei. La ragazzina studiò ancora per un attimo il volto della madre, poi annuì. Con un movimento fluido si tolse le coperte di dosso e scese dal letto.
 La madre si alzò e aprì la finestra. Guardando fuori si vedevano, in lontananza, le mura della capitale. A destra, invece, si riconoscevano degli alberi mentre, a sinistra, svettavano le montagne. La ragazza, intanto era entrata nel salotto. Il pavimento di legno era freddo. Non si sorprese granché: dopo tutto
era pur sempre inverno.
La cucina si trovava tra la stanza della figlia e quella dei genitori: era, come tutte le stanza, piccola e vuota, occupata solo dal tavolo, un caminetto, presente in tutte le camere, e tre secchi d’ acqua per lavare i piatti di legno, impilati in un angolo del grande tavolo che fungeva anche come piano da lavoro per il capo famiglia, quando riparava gli attrezzi con i quali lavorava la terra.
In cucina incontrò il padre. Era già seduto a tavola e stava sbriciolando tra il pollice e l’ indice una mollica di pane, lasciando poi cadere le briciole sul tavolo di legno scheggiato della cucina. Lei si fermò sulla soia: lui teneva lo sguardo fisso sulle dita seguendo con lo sguardo la caduta delle briciole. Sembrava completamente assorto nella caduta del pane, ma lei lo conosceva bene e sapeva che, in realtà, il padre stava seguendo un altro filo di pensieri. Rimase a guardare quella figura imponente, piegata sul tavolo da cucina per qualche secondo ancora, prima di schiarirsi la gola e fare qualche passo avanti per farsi notare. Lui non sussultò o mostrò alcun segno di sorpresa, mantenendo la sua maschera neutra. Lui la salutò con la mano e afferrò un piatto, per metterle dentro pane e latte di capre. Lei si sedette, cercando di essere il meno rumorosa possibile e iniziò la povera colazione. Mangiò in silenzio, sotto lo sguardo fisso del padre, che aveva smesso di sbriciolare il pane e che ora la fissava con attenzione. Una volta finito, mise nel primo secchio la tazza e corse in camera, messa in soggezione dal padre. Corse in camera sua e si vestì, velocemente. Sentì i genitori parlare tra di loro a bassa voce. Si sedette sul letto e guardò le pellicce. rimase seduta sul letto, aspettando che i genitori le dicessero qualcosa riguardo il loro fantomatico ospite. Dopo una decina di minuti, che la ragazza utilizzò per cambiare la posizione delle pellicce, la madre entrò nella stanza. Le passò un braccio sulle spalle e la condusse fuori senza una parola.
Erano le quattro del mattino, il sole era ancora poco visibile all’orizzonte, ma la casa era già completamente illuminata ed attiva.
La porta di legno si aprì con un cigolio e dalla casa uscirono tutti i membri della piccola famiglia.
Erano tutti vestiti e pronti ad accogliere il loro ospite.
 Alla loro destra c’era il recinto per il bestiame, coperto con un telone sostenuto da quattro pali a mo’ di tetto. Dentro due cavalli dormivano: uno nero e l’altro completamente bianco. Il respiro caldo si condensava in piccole nuvolette bianche a contatto con l’aria fredda di quella mattina d’inverno. Dietro i cavalli una pecora grigia mangiava la vecchia paglia ammucchiata in un angolo del recinto.
A sinistra c’era un piccolo steccato, che serviva a delimitare la misera proprietà della famiglia. Cinquecento metri dopo lo steccato si intravedeva un minuscolo villaggio, solito nelle zone più povere dello stato. Quei villaggi erano piccoli, composti da poco più di venti abitanti, tutti contadini o mercenari che si accontentavano di avere un tenore di vita basso.                                                                                                                      
La ragazza osservava i cavalli, come incantata, con le braccia strette al petto: odiava lamentarsi, ma le era difficile tenere a freno l’irritazione e mantenere la bocca chiusa. Iniziò a tamburellare per terra con il piede, scandendo il ritmo contando.
La madre le posò gentilmente una mano sulla spala, per farla smettere. Lei sbuffò, ma si fermò.
La cosa che più la infastidiva era che non le avevano detto chi sarebbe venuto, ne perché sarebbe venuto questo qualcuno, ma dalle espressioni dei genitori capiva che non si trattava di una persona amichevole.
Lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio alla madre che guardava dritto davanti a se, con gli occhi azzurri spalancati. Il vento le scompigliava i capelli biondi e portava l’odore di menta che si spruzzava nelle occasioni importanti. Con una mano cercava quella del marito.
L’uomo era alto e robusto, ma dal suo sguardo si capiva che aveva paura, anche se cercava in tutti i modi di nasconderlo. I capelli corvini erano spettinati: da quello che ne sapeva la ragazza, il padre non si era mai pettinato. Notò, con stupore, che si era fatto la barba.
La famiglia rimase immobile ad aspettare, nonostante il freddo pungente che li congelava sotto gli abiti pesanti ed i mantelli. Dopo circa mezz’ora videro un immagine in lontananza che si avvicinava sempre di più e sempre più in fretta.
La ragazzina sentì la madre irrigidirsi e trattenere il fiato. La donna spostò la mano fino alla sua spalla per stringerla alla sua vita. Negli occhi del marito passò un lampo di intensa paura, accompagnato da un leggero tremito delle mani. La ragazzina non aveva mai visto i suoi genitori così spaventati e non capiva il motivo di tanta angoscia; stavano solo accogliendo un ospite. La figura si avvicinò sempre di più: si fermò a pochi metri dal cancello d’acciaio che segnava l’inizio della proprietà della famiglia. La ragazza approfittò del momento per studiare per un attimo l’uomo: il cavallo era completamente marrone e dal lato destro pendeva un fodero di spada, posizionato in modo che l’elsa dell’arma si trovasse all’altezza della mano del guerriero. Il cavaliere indossava una tunica azzurra, un mantello di lana marrone e dei pantaloni grigi. Un elmo nero gli copriva il viso. A giudicare dai vestiti, era un uomo abituato a vivere bene, anche se la schiena diritta e le gambe tese dimostravano che non era invece abituato ad oziare.                                                                                                                                                                                   
La madre lasciò la spalla della figlia per andare ad aprire il cancelletto al visitatore. Il padre scrutava il cavaliere con occhi sgranati. Mosse leggermente la mano indietro, con un gesto tranquillo, anche troppo tranquillo per passare inosservato. La figlia seguì il movimento del padre. Solo il quel momento la ragazza si accorse di un rigonfiamento nella pare posteriore dei pantaloni, all’altezza della cintura: un coltello.
Il cavaliere arrivò fino al cancello aperto, smontò da cavallo e legò la cavalcatura allo steccato.
Camminava con passi lunghi e veloci. Decisione, ecco cosa dimostravano quei passi, mista a sicurezza. Mantenne il capo coperto anche quando ebbe superato il cancello, poi con un movimento fluido, tolse l’elmo per parlare alla famiglia.
La ragazzina osservò il viso dell’uomo: aveva i capelli marroni ricci che gli incorniciavano il viso giovane, non poteva avere più di venti anni, gli occhi neri e le labbra sottili, con una piccola cicatrice nel mezzo del labbro superiore.
Poi il padre parlò, la voce gli tremava leggermente, – Non è ancora pronta, dateci altro tempo per prepararla -. La sua voce era modificata dalla paura e si sentiva una nota di supplica.  Lo sconosciuto rise, con una risata cristallina e sincera, compiaciuto delle suppliche dell’uomo, poi, dopo essere tornato serio disse, con voce dura e profonda, troppo matura per un ragazzo giovane come lui. – A noi non interessano i vostri problemi, vogliamo la ragazza, stop, non avete altra scelta se non di cederci la giovane –. La voce del ragazzo era sicura, certo che avrebbe ottenuto quello che voleva.
Lo sconosciuto spostò lo sguardo dall’uomo alla figlia, che indietreggiò di fronte a quegli occhi. Il padre disse, con voce falsamente calma. – Ti prego, ti imploro, concedeteci altri tre anni, per spiegare a nostra figlia cosa dovrà fare e poi, adesso è ancora giovane, a voi non servirebbe a nulla –,  cercò di convincerlo. Per tutta risposta, lo sconosciuto lo squadro con il viso impassibile.
Il padre chiuse  gli occhi e con voce tremante disse – Siamo disposti a pagare, vi daremo tutto ciò che volete -. - Giusto -, intervenne allora la madre. – Cosa ve ne potete mai fare voi di una quindicenne? -. Lo sconosciuto guardò la donna, divertito – Se proprio vuole saperlo noi di solito non aspettiamo tutto questo tempo prima di prendere il soggetto a noi interessato – schioccò la lingua. – Più sono giovani più cose possono imparare e sono anche meno condizionati dalle idee contorte dei genitori –, concluse con un sospiro.
 – Ma ci deve essere qualcosa che può interessarvi, no? –, tentò ancora il padre con voce spazientita. Si batte una mano sul petto – Io posso lavorare per voi – .
Mentre parlava, la ragazza notò che il padre aveva abbassato l’altra mano, per stringere l’impugnatura del coltello.
 Il guerriero non se ne accorse. Rifletté per un attimo sulle parole dell’ uomo – Sai cosa? – fece, all’ora. – Ci sono due buoni motivi del perché non posso accettare la vostra richiesta. Numero uno: voi non avete i soldi o cos’altro che possa interessarci tranne vostra figlia e tu … bé abbiamo artigiani migliori alla base, tanto per dire . Numero due… –
Il capofamiglia iniziò a tirare fuori il pugnale dai pantaloni. Lo sconosciuto dovette accorgersi del gesto. In un secondo tirò fuori un coltello dallo stivale destro.
 – Non costringermi, Kevin –, lo ammonì.
La ragazza sussultò quando sentì lo sconosciuto pronunciare il nome del padre con tanta leggerezza. Tutti nutrivano profondo rispetto nei confronti del padre e solo gli amici intimi si azzardavano a chiamarlo per nome.
 Kevin mostrò il suo coltello, alto sopra il petto.
 – Sai bene che non hai possibilità –, continuò l’intruso, tranquillo. – Posa l’arma e riprendiamo il discorso –.
Il capofamiglia non accennò ad abbassare la guardia.
Deciso ad ignorare la sceneggiata del contadino, il soldato riprese – Dicevo, numero due : se ci pensi bene, vi converrebbe darci vostra figlia –.La ragazzina si accorse che il padre contraeva la mascella e vide le mani tremargli, facendo tremare anche il pugnale.
 – Non osare dire una cosa del genere –, sibilò il contadino e fece un paio di passi avanti.  L’ospite non vi fece caso e riprese il discorso – Voi non potete offrirle una vita che si avvicini al dignitoso, noi potremmo farla vivere meglio –.
A quel punto fu la ragazza a irrigidirsi. Quanto avrebbe voluto avere una spada per trapassare quell’uomo da parte a parte e farlo stare zitto. Stava per ribattere, quando il padre le mise una mano davanti al petto, per fermarla.
Aveva la bocca leggermente spalancata e lo sguardo pensieroso. Abbassò la mano armata: la considerazione del guerriero lo aveva fatto riflettere.
Era vero. Loro non potevano certo garantirle un istruzione o, cosa più importante, non potevano garantirle un pasto al giorno. Si rese conto che il comportamento suo e della moglie era assolutamente egoistico. Scambiò uno sguardo con la consorte, ancora vicino al cancello, e dal suo sguardo capì che aveva seguito il suo stesso ragionamento.
Vide la paura insediarsi nel suo sguardo e gli occhi farsi immediatamente umidi, portandosi una mano alla bocca per trattenere un singhiozzo, mentre si scioglieva in lacrime, comprendendo la decisione del marito, nel suo sguardo deciso e addolorato allo stesso tempo.
Lei sospirò e annuì. La figlia vide la madre piangere e le corse accanto. La donna cadde in ginocchio e abbracciò la ragazza all’altezza della vita, poggiando la testa sulla sua pancia. Lei le strinse confusa la testa.
Lanciò uno sguardo al padre, ma lui aveva portato la sua piena attenzione allo straniero. Il guerriero rimise l’arma nello stivale, certo che il contadino non si sarebbe azzardato a colpirlo, e batté le mani, con aria compiaciuta. – Bene –, sentenziò alla fine, – sembra proprio che siamo giunti a una conclusione -.
La madre si lasciò sfuggire un gemito, seguito da una fila di singhiozzi. Strinse più forte la figlia, che a quel punto non sapeva più come comportarsi, di fronte alla crisi della donna. Girò la testa e incontrò lo sguardo dello straniero. Lui la guardava con un sorrisetto sulle labbra e le mani incrociate al petto. Per un secondo rimasero a fissarsi, poi però lui interruppe la connessione tornando a fissare il capofamiglia. L’uomo non poté impedirsi di deglutire, ma si ricompose velocemente, – Sembra proprio di si –, gli tremò la voce sull’ultima parola e chiuse gli occhi. – Fai in fretta, ti prego –. Fu l’ultima cosa che disse, prima di voltare le spalle alla figlia.
Lo sconosciuto annuì, senza perdere il sorriso. Senza scomporsi si avvicinò alla ragazza. Lei cercò di indietreggiare, ma era bloccata dalla madre.
Cercò di liberarsi dalla presa della donna, che capì le sue intenzioni, ma non la lasciò. Si tirò in piedi e le prese i polsi. La guardò con gli occhi arrossati e pieni d’affetto, ancora singhiozzante e con le guancie arrossate. Non ebbe il tempo di dirle nulla.
Il visitatore afferrò il braccio della giovane e la tirò lontana dalla madre, cercando di essere il più gentile possibile. Quando la madre la lasciò, la ragazza rimase così spiazzata che per un secondo dimenticò anche di lottare contro il suo rapitore.
Quando trovò la forza di staccare gli occhi da quelli della madre prese a  strattonare il braccio con il quale l’uomo la trascinava. Vide di sfuggita il padre girarsi e sentì un dolore acuto al petto.
Lo sconosciuto sbuffò e le prese anche l’altro braccio. Lei gridò e scosse freneticamente la testa. Girò il capo e incontrò quello della madre, ancora inginocchiata e ancora in lacrime. – Aiutami! – la implorò, – mamma aiutami! –.
La donna, ricaduta per terra, allungò una mano nella sua direzione, ma non trovò dentro di se la forza di rialzarsi.
La giovane spostò lo sguardo sul padre, ancora girato, - Papà! Papà! Aiutami! –, ripeté impotente. L’uomo non si voltò nemmeno. Aprì la porta di casa, fermandosi un momento sull’uscio, poi entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
Arresa la ragazza si lasciò issare sul cavallo davanti all’uomo.
Sentì la voce del cavaliere. – Saluta la tua famiglia, perché dubito che la rivedrai –, le disse con voce mielata.
La ragazza provò l’improvviso desiderio di tirargli un pugno in faccia, ma era troppo scossa per provarci.
Seguì il consiglio.
Si girò ma vide solo sua madre, inginocchiata con la testa a terra, scossa da lunghi tremiti causati dai singhiozzi.
Suo padre non si vedeva nel giardino mal curato.
Osservò casa sua da dietro la spalla del guerriero: il camino di pietra, il tetto di paglia, la stalla. Il fuoco doveva essere stato acceso. Dal camino uscivano pennacchi di fumo grigio, che si mischiavano con l’aria, scomparendo velocemente.
Si alzò un lieve venticello che smosse i fiori e  portò odori dolci. Le nuvole oscuravano il sole del mattino, gettando lunghe ombre sulla casetta.
Il rapitore diede un colpo ai fianchi del cavallo, che partì ubbidiente. La ragazza rimase girata indietro per molto tempo ancora, poi guardò avanti, verso il suo futuro, ora così dubbio.
 
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Ciao a tutti! Questa è la prima storia che scrivo ed ero un po' preoccupata di come sarebbe venuta. Spero vi sia piaciuta e ogni commento è ben accetto, positivo o negativo che sia: ) La trama è un po' lunghetta ma abbiate pazienza!!

  
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