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Autore: LeftEye    29/02/2012    5 recensioni
Cercò di riportare alla mente cosa avesse visto nel sonno di tanto sconvolgente da farlo svegliare di soprassalto, ma tutto ciò che vedeva ancora del sogno erano degli occhi rossi.
Tanti occhi rossi.
E anche… ora ricordava! Una giovane donna.
***
Fanfic corretta e modificata! Il pianeta Vegeta è alle prese con un virus che trasforma tutti in zombie, come andrà a finire?
Genere: Avventura, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Livello cinque: paura

 

 

 

 
«Che cosa hai detto?!» tuonò Vegeta.
Ormai aveva acquisito una perenne espressione di stupore, da quando Kaarot si era unito a lui.
Era pomeriggio inoltrato quando avevano lasciato la città e stavano per addentrarsi nella foresta. Là dentro faceva molto caldo e l’atmosfera era umida: in aggiunta, le trovate di Kaarot che lo facevano essere perennemente furioso.
Più del solito.
«Devo cercare delle persone. Non te l’ho detto prima perché… non ce n’è stato il tempo. Devo trovare mia moglie e mio figlio. Ieri sera li ho aiutati a scappare dalla città insieme ad un gruppo di persone, e ho promesso loro che li avrei raggiunti al più presto.»
«Tua moglie e tuo figlio?» sbuffò Vegeta. «Loro vengono dopo quello che ti ordino di fare io.»
«No!» ribatté Kaarot, diventando serio. «Non sono mai stato agli ordini di nessuno; se proprio vuoi saperlo, io non sono nemmeno un soldato. Mi dispiace, ma devo assolutamente trovare Chichi e Gohan: ci dovevamo tenere in contatto con una radio trasmittente, ma la mia si è rotta. Si staranno preoccupando da morire! Prima cercherò loro, poi verrò ad aiutarti!»
«Aiutarmi? Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, anzi sai cosa ti dico? Vai dalla tua sgualdrina, io mi arrangio da solo!» esclamò Vegeta, sentendosi ferito nell’orgoglio.
Non aveva certo bisogno di quel patetico Saiyan.
«Però mi dispiace che tu te ne stia da solo…» si scusò Kaarot con un’espressione da angioletto.
Vegeta non ne poteva più di sentirlo parlare e gli sferrò un cazzotto che lo fece indietreggiare di qualche passo, ma non parve risentire molto del colpo.
«Vegeta… sii ragionevole» cercò di evitare lo scontro, ma il principe non era certo una persona pacifica.
«Non ti rivolgere a me in quel modo, io sono il tuo sovrano, non uno dei tuoi compagni di bevute!»
Si azzuffarono nel bel mezzo della foresta, incuranti del caldo e della notte che stava sopraggiungendo, continuarono a darsele di santa ragione ma anche così Kaarot non se ne stava zitto.
«Scusa… Aspetta! Avanti, perché non… ne parliamo…»
«Vuoi chiudere quella boccaccia?!»
Infastidito da quel continuo ronzio, ma soprattutto dalla forza e l’abilità che Kaarot stava dimostrando nella lotta: non riusciva a credere che un Saiyan di infimo livello fosse in grado di sostenere i suoi attacchi.
Finora era riuscito a colpirlo diverse volte, ma l’altro aveva sempre ricambiato.
Combatteva con uno stile diverso da quello degli altri Saiyan, e da lui.
Kaarot si lasciava guidare dall’intuito, Vegeta dalla rabbia; il primo pareva non conoscere molte strategie combattive, mentre l’altro possedeva un vasto repertorio di tecniche.
Due modi differenti di lottare, ma nessuno dei due in grado di sconfiggere l’altro.
Decisero di fermarsi solo quando videro il sole diventare color arancio e scendere a livello dell’orizzonte.
Si distesero entrambi sull’erba umida, boccheggianti e spossati.
«Vai… dove devi andare…» ansimò Vegeta, i pettorali che si alzavano e si abbassavano velocemente al ritmo del suo respiro. «Ma… non ho finito con te…»
«Grazie» sorrise Kaarot. «Prometto che non mi farò uccidere.»
Si alzò.
«E’ stato bello combattere con te, Vegeta. Ci vediamo.»
Il principe non lo guardò nemmeno e non rispose; solo quando se ne fu andato, mormorò:
«Idiota, pensa di potermi battere.»
 


 
 
Kauli aveva paura.
Se sua sorella avesse saputo che era terrorizzata, si sarebbe arrabbiata tantissimo e, per punizione, l’avrebbe fatta allenare fino allo sfinimento, nel cortile dietro casa.
Ma Ginger dov’era?
Le aveva insegnato quanto fosse sbagliato provare sentimenti come la paura, la vergogna e i sentimenti troppo forti per le persone.
Ogni Saiyan, le aveva detto, era come una cometa: un giorno c’era, e quello dopo… chi lo sapeva: poteva tornare a casa sano e salvo come poteva anche rimanere ucciso in combattimento.
Era una cosa normale, a cui doveva abituarsi, per questo i loro genitori non erano mai stati affettuosi con le figlie.
Per questo non doveva piangere per loro.
Per questo non doveva sentirne la mancanza.
Per questo Kauli doveva pensare a sopravvivere invece di aspettare la sorella.
Ma non ce la faceva, ero troppo spaventata per muoversi.
Dopo quello che le aveva detto di fare Ginger, aveva atteso, sperando che le due ore passassero in fretta e che sua sorella tornasse a casa, ma solo dopo tre quarti d’ora aveva sentito un gran trambusto per le strade della città; si era affacciata alla finestra e aveva visto un sacco di persone correre in direzione opposta al centro della città, urlando.
I Saiyan invece erano tutti usciti di casa per andare a vedere cosa fosse successo, e indossavano tutti le tute da combattimento.
Per un po’ la stradine di fronte a casa rimase deserta, poi arrivò altra gente, in massa.
Istintivamente, Kauli spense tutte le luci, ritornò alla finestra e quello che vide fu orribile.
Alcune persone scappavano, ma altre sembravano inseguirle.
Non erano persone normali… c’era qualcosa di spaventoso in loro, avevano gli occhi tutti rossi, parevano impazziti e, proprio davanti alla sua porta, si accorse di cosa avessero di diverso: uno di loro afferrò un’anziana donna per i capelli, la scaraventò contro il muro, proprio a pochi metri dalla bambina e, quando la tirò di nuovo verso di sé, le azzannò il collo.
Kauli si tappò la bocca con le mani per impedirsi di urlare, ma era traumatizzata.
Quell’uomo… la stava mangiando!
Ne vide altri fracassare a pugni e calci le porte di alcune case e così non restò lì a guardare oltre, prese la sua sacca ed uscì dal retro, dove i vicoli stretti le avrebbero permesso di fuggire inosservata.
Le urla aumentarono, e in lontananza sentiva anche il crepitio di un incendio, così si mise a correre, più veloce che poteva, e non si fermò finché non raggiunse la foresta.
Da lì non si udiva più alcun rumore, se non quelli della natura e il suo fiatone; lì era tutto più calmo.
Si sentì come abbracciata da un’entità protettrice, sapeva di essere ormai al sicuro, ma non riusciva a calmarsi.
Che cosa avrebbe fatto, ora?
Sentiva un disperato bisogno di vedere sua sorella, che poco prima le aveva dimostrato il suo affetto in un modo più esplicito del solito, ed era preoccupata per lei.
Calde lacrime iniziarono a scendere lentamente lungo le guance arrossate e paffute; si guardò intorno, come a cercare un aiuto, un consiglio su cosa fare, ma non lo trovò.
Era stanca, e decise di trovare un posto sicuro per riposare e attendere l’arrivo di Ginger.
Era certa che sarebbe tornata: lei era una guerriera forte, coraggiosa e, nelle sue fantasticherie di bambina, era convinta che combattesse accanto ai Saiyan più forti, magari anche il principe in persona.
L’aveva visto una volta, di sfuggita, e da allora, spesso l’aveva sognato mentre arrivava davanti alla porta della loro piccola casa e si complimentava con Ginger per aver sconfitto Freezer; decideva di sposarla, andavano a vivere al palazzo e lei diventava una principessa.
Immaginò che sua sorella, in quel momento, stesse combattendo contro quei mostri e che presto sarebbe venuta a cercarla: con quella speranza, si rannicchiò all’interno di un albero cavo e si addormentò.
Le sembrava di aver dormito solo poche ore quando venne svegliata dalla luce del sole ormai alto.
Non si mosse dal suo nascondiglio, ma rimase raggomitolata e all’erta, attenta ad ogni minimo rumore.
Più volte si disse che doveva alzarsi, sgranchirsi le gambe indolenzite e stirare i muscoli che le facevano malissimo, per la posizione scomoda che aveva mantenuto per tutta la notte, ma non ci riuscì.
Rimase ferma immobile forse per tutto il pomeriggio, respirando piano, finché all’improvviso sentì un rumore di passi e movimenti bruschi, quasi rabbiosi, tra l’erba alta.
Il suo cuore iniziò a battere furiosamente, tanto da farle temere che potesse essere sentita da chi si stava avvicinando.
Avrebbe voluto accendere lo scouter che aveva portato con sé, poiché non era ancora in grado di percepire da sola le auree e l’oggetto le avrebbe detto se si trattava di uno dei mostri o di una persona normale, però nell’accensione avrebbe provocato un fastidiosissimo “bip” e sarebbe immediatamente stata scoperta.
Chiuse gli occhi nascondendo la testa tra le ginocchia, pregando che si trattasse di un semplice animale, di sua sorella, o che si allontanasse il più presto possibile.
Per alcuni secondi non avvertì più alcun rumore, ma nel momento in cui sollevò leggermente la testa sentì una mano afferrarla per i capelli e tirarla brutalmente fuori dal suo nascondiglio, e lanciò un urlo acuto mentre veniva trascinata allo scoperto.
«Zitta!» ringhiò una voce maschile, dura, mentre la stessa mano che l’aveva catturata la strattonava, ma lei continuò a gridare.
«Chiudi quella bocca, o ci sentiranno!»
Kauli trovò il coraggio di aprire finalmente gli occhi, alzò lo sguardo e si trovò davanti il principe dei Saiyan in persona.
Si calmò di colpo.
Che i suoi sogni si fossero avverati?
Il principe la guardava severamente; le faceva soggezione, ma non era spaventata come prima.
«Da dove vieni?» le chiese.
«Dalla capitale.»
«Sei fuggita stanotte?»
«Sì; hai visto la mia…»
«Zitta» impose nuovamente. «Le domande le faccio io. Sei da sola?»
«Sì, ma sto aspettando mia sorella, si chiama Ginger. Era andata al palazzo ieri sera.»
«Allora sarà sicuramente stata infettata o, nella migliore delle ipotesi, morta.»
Kauli sussultò come se lui le avesse appena dato uno schiaffo.
«No!» strillò con fervore. «Mia sorella è viva! Lei è una guerriera fortissima!»
Ma il principe non mutò la sua espressione scettica e infastidita.
«Sono appena stato al palazzo, non c’era nessuno di vivo o sano. In città siamo rimasti solo io ed un altro Saiyan, tutti gli altri sono morti o contagiati. Se, come dici tu, tua sorella è viva, è scappata e si è dimenticata di te.»
Vegeta pronunciò quelle parole con crudeltà intenzionale: quella mocciosa aveva un carattere troppo debole, per i suoi gusti.
Difatti, i suoi occhi neri divennero umidi, ma continuarono a fissarlo con ira.
«Non sai percepire le aure?»
«Non me l’hanno ancora insegnato, all’accademia.»
«Quanti anni hai?»
«Sei, appena compiuti.»
«E che cosa ci fai qui?»
«Aspetto mia sorella.»
«Te l’ho detto, tua sorella non verrà.» La scrutò: era troppo piccola per essere in grado di difendersi da un Saiyan adulto, non aveva ancora iniziato a sviluppare i muscoli, le gambe erano ancora cicciotelle e il viso paffuto, da mocciosa, appunto. I capelli neri erano tagliati corti come ogni giovane matricola dell’accademia, per insegnare che donne e uomini erano uguali ma, che per realizzare ciò, le donne dovevano essere un po’ più uomini. «E’ meglio che tu venga con me, mi potresti essere utile. E smettila di frignare.»
«Non sto frignando!» protestò la bimba pestando un piede per terra e stringendo i pugni. «Io voglio aspettare mia sorella!»
Dannazione!”, pensò Vegeta. “Oggi devo avere a che fare con gli esseri più indisponenti del pianeta!”
«Ascolta mocciosa, forse non ti sei resa conto che ti sto offrendo una via di salvezza, perché se resti qui, morirai non appena il sole sarà tramontato. E, per quanto riguarda tua sorella, se è viva, come dici tu, non credi sarebbe già venuta a prenderti? Bada, non ho ricevuto in dono la pazienza, quindi se non vuoi venire, resta qui, a me non cambia niente.»
Kauli ingoiò la saliva, temendo di aver fatto arrabbiare il principe. Forse non era una cattiva idea andare con lui, l’avrebbe protetta e, magari, anche aiutata a trovare Ginger.
«Va bene, vengo con te.»



 
 
Non appena scese l’oscurità, delle ombre dagli occhi rossi uscirono dalle porte del palazzo di Freezer, lanciando ululati acuti: erano affamati di carne umana e la capitale ne era ormai sprovvista, bisognava muoversi e cercare altrove.
Ma una di quelle ombre bramava anche qualcos’altro: ella era colei che aveva dato inizio a tutto, era il capo branco, e non poteva sopportare che alcuni dei suoi figli fossero stati uccisi, proprio quella mattina.
Li aveva sentiti gridare, ma non era potuta accorrere in loro aiuto: a separarli, una striscia di luce che le sbarrava la via.
Adesso, voleva vendetta. 
   
 
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