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Autore: Woland in Moskau    02/03/2012    0 recensioni
-Tu quando ti sei accorto di esserti innamorato di Alfred?-
Arthur si imporporò se possibile ancor più del cielo che ormai rasentava un’oscurità dai toni caldi, quel momento del tramonto in cui il firmamento sembra macchiato di sangue. Assunse un’espressione un po’ avvizzita e imbarazzata, ma poi, tornando indietro con la mente al passato, il suo volto si distese, quasi riassumendo i lineamenti giovanili di quel periodo.
(One-shot tratta da "C'è posta per te", ma è ugualmente comprensibile anche senza aver letto la suddetta storia)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Complice il tramonto parigino

 


 
L’aria serale era così dolce quando sferzava con quella lieve pressione sul suo corpo. Era come se volesse accarezzarlo lentamente e cospargerlo col suo profumo delicato, proveniente da chissà dove. Doveva proprio ammetterlo, per quanto odiasse la Francia, Parigi era uno spettacolo. Specialmente in quel periodo dell’anno.
Dal Cafè vicino al negozio di Francis poteva scorgere l’intera città, con quella sua nota un po’ malinconica ma romantica, sempre attenta a catturare ogni dettaglio per mostrarlo agli occhi di Arthur con la maggiore magnificenza possibile. Lo stesso atteggiamento tipico di Francis.
Alzò gli occhi in direzione del cielo rosato, puntellato appena da qualche stella frettolosa, che sembrava competere con le sue vicine per brillare più luminosa di tutte le altre. Ma alla fine erano tutte ugualmente magnifiche, specialmente a contrasto con quella tinta incantevole, che sfumava dal blu tenue al rosa del tramonto, che ormai era alla fine.
Si girò, sospirando appena e appoggiandosi con un sorriso (raro sorriso!) al corrimano del piccolo balconcino vittoriano, così consono in relazione alla città di cui faceva parte.
Dentro poteva ancora vedere Francis e Alfred ridere allegramente, tirando fuori qualche reminescenza del passato, del quale probabilmente era stato protagonista lui stesso. Più lontano Antonio e Gilbert si versavano da bere l’ennesimo bicchiere di Chardonet, sporcandosi con il vino e ridendo a crepapelle per l’idiozia reciproca. Sul divano Ludwig e Feliciano parlavano intimi, erano talmente teneri che interromperli sarebbe stato un vero peccato.
La sua tranquilla e rassicurante perlustrazione fu interrotta nell’incontrare due occhi castani tristi, rivolti verso di lui, senza nemmeno vederlo. Erano fissi e spalancati, conservavano quel barlume di innocenza che è solito solo dei bambini, ma che Arthur non poteva non ricollegare a quella ragazzina che aveva cresciuto.
Ragazzina che si apprestava a diventare donna, con scontate conseguenze.
Si morsicava il pollice distrattamente, mentre una ciocca corvina cadeva spettinata proprio sopra le iridi perse. In realtà, aveva smesso di capirla come voleva quando era entrata nel periodo adolescenziale, quando aveva iniziato a guardarsi allo specchio urlando e piangendo a causa del suo fisico “rachitico”, dei brufoletti comparsi qua e là, di quell’improvviso avvenimento ingestibile da due uomini, quali erano lui e Alfred, quest’ultimo poi aveva tatto pari a zero in quanto a ragazze!
E poi boom, come un fulmine a ciel sereno si era accorta di avere un cuore in grado di accelerare i propri battiti, delle mani che non potevano fare a meno di sudare, si era accorta di incantarsi davanti a delle labbra che non poteva fare a meno di desiderare con tutta sé stessa. Tutta quella frustrazione era evidentemente riversata sull’unghia del povero dito, che martoriato e silenzioso accettava il proprio ingrato destino.
Arthur non era certo di chi fossero quelle labbra, ma era indubbio che ciò che turbava così profondamente Sam era evidentemente una cotta adolescenziale, di quelle anche relativamente coinvolgenti. Gli ormoni c’entravano in minima parte, a giudicare dal rossore che ogni tanto le imporporava le guance da un momento all’altro, dall’improvvisa mancanza di parole, dalla distrazione sempre più frequente.
Sospirò piano, sorridendo ancora mestamente. Era inevitabile che la sua bambina crescesse, ormai era quasi una donna ed era assolutamente lecito che provasse tutto quello scompiglio. Anche se, probabilmente, non era in grado di gestire né la sua mente, né i suoi sentimenti in quel dato momento.

 

 *

 

-Arthur, posso farti compagnia?-
 
La piccola era uscita, si toccava in modo meccanico le mani, nascondendole nelle tasche dei jeans larghi, per poi ritirarle fuori repentinamente e strofinarsele sulla stoffa, evidentemente percependole troppo sudate. Le accarezzò i capelli scarmigliati, mantenendo quello sporadico sorriso.
 
-Sai, se non ti conoscessi abbastanza, direi che ti sei presa una bella sbandata!-
 
Ed eccole, le guance che colpevoli arrossivano repentinamente, quasi a voler confessare senza sforzo un sentimento da tempo represso e portato con peso e sollievo al contempo nel cuore.
Sam ridacchiò appena, portandosi una mano alla bocca, con l’inutile tentativo di nascondere quell’evidente prova che le si era manifestata così velocemente sul viso. Quasi se ne sorprendeva.
 
-Forse è così.-
 
Lo sussurrò appena, tenendo la testa bassa e lo sguardo lontano da Arthur. Sapeva che se lui l’avesse guardata negli occhi allora non avrebbe più potuto tener nulla per sé. Era matematico, lui era la sua “mamma”, la persona più vicina che avesse insieme ad Alfred.
 Anche se l’inglese aveva sempre avuto una maggiore protezione e predisposizione materna nei suoi confronti, quasi rivedesse in lei un tesoro prezioso che un tempo gli era appartenuto. Era possessivo Arthur. Aveva paura di vederla fuggire dalle sue braccia, per finire in quelle di uno sconosciuto, che avrebbe potuto ferirla, abbandonarla, bistrattarla, spezzarle il cuore, ma soprattutto allontanarla da lui.
 
-Ti va di parlarne?-
 
La sua voce rimaneva bassa, quasi un sussurro dolce, come quando da piccola doveva convincerla che nell’armadio non c’era alcun mostro orribile intenzionato a divorarla.
 
-In realtà non saprei. Mi sento un’emerita idiota, non so quando ho iniziato a comportarmi come una di quelle ragazzine innamorate dell’Amore. Non ci capisco nulla, mi sembra di vivere sotto una campana di vetro, è tutto così ovattato, anche il dolore quasi.-
 
L’uomo spostò lo sguardo da quello della ragazza per fissare gli occhi smeraldini in direzione del tanto amato paesaggio.
 
-Non è una cosa così brutta, sai? Detto da me risulta strano, lo so che lo pensi, ma è umano innamorarsi.-
 
-Lo so che è umano, è che ho paura. È una cosa totalmente nuova per me.-
 
-L’hai detto. Hai paura perché è una cosa totalmente nuova.-
 
Questa volta si volse in sua direzione, trovandola intenta a fissarlo con gli occhi sgranati e la bocca semidischiusa, il viso ancora leggermente arrossato, le orecchie invece erano in fiamme.
Sospirò piano e si sistemò i capelli dietro queste, abbassando le braccia sul balcone, per appoggiarci la testa. Si prese qualche secondo in più del solito per pensare, poi chiese:
 
-Tu quando ti sei accorto di esserti innamorato di Alfred?-
 
Arthur si imporporò se possibile ancor più del cielo che ormai rasentava un’oscurità dai toni caldi, quel momento del tramonto in cui il firmamento sembra macchiato di sangue. Assunse un’espressione un po’ avvizzita e imbarazzata, ma poi, tornando indietro con la mente al passato, il suo volto si distese, quasi riassumendo i lineamenti giovanili di quel periodo.
 
-Temo di esserne stato innamorato da subito, anche se all’inizio era come un fratello minore per me, o così mi ero riproposto che fosse, o forse le circostanze mi avevano costretto a ciò. Però, ti posso dire che non esistono motivi, né scusanti, né definizioni. Ti potresti innamorare della persona con cui vai maggiormente d’accordo, così come di una persona che con te non ha nulla a che fare.-
 
-Be’ sì questo è proprio vero. Però, in ogni caso, come fai ad essere certo che non sia un sentimento univoco?-
 
La sua voce era appena appena udibile. Aveva progressivamente abbassato il tono, quasi timorosa di esplicare quel pensiero tanto funesto per una persona innamorata.
 
-Sarò utopico, ma credo che se ne valga la pena, sia necessariamente un sentimento biunivoco. Ricorda che non siamo fatti per rimanere soli. Hai mai letto il Simposio di Platone?-
 
Sam alzò lo sguardo in sua direzione, confusa, sovrappensiero e incuriosita.
 
-Sì, mi pare che ce l’avessero dato un paio di mesi fa a scuola… E’ quello che parla dell’amore, no?-
 
-Esatto. Ricordi cosa diceva Platone sulle anime gemelle?
 "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi.”
Troverai la tua parte complementare nel mondo, fidati. Anche se puoi non avere molta fortuna, come me: mi è capitato un americano rumoroso ed egocentrico!-
 
Sam rise, questa volta di gusto e rincuorata. Amava davvero molto Arthur, amava come si era preso cura di lei sin da piccola, come era in grado di capirla con un solo sguardo, come facesse così poca fatica a concedersi e ad aprirsi, semplicemente per aiutarla a crescere.
 
-Me ne ricorderò papà, grazie davvero.-












NDA: Salve a tutti! Non ho potuto fare a meno di scrivere questo "missing moment", che può essere ricollegato all'ultimo capitolo pubblicato di "C'è posta per te". Spero che vi piaccia e che siano comprensibili le dinamiche. Comunque lascio detto per comodità che Sam sarebbe la figlia adottiva di Arthur e Alfred, "protagonista" della long-fic che sto scrivendo.
Un bacione e buon pomeriggio :)
  
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