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Autore: Samael    02/03/2012    0 recensioni
Un angelo caduto sulla Terra, quello che tutti ricordiamo con vari nomi, Lucifero, Satana. Tutti sinonimi per indicare solo una persona, un essere: Il Demonio.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buio. Luce. Non riuscivo più a definire concretamente ciò che era attorno a me.

I miei occhi erano chiusi, questo lo percepivo bene, ma c'era qualcos'altro, una sensazione di vuoto che non riuscivo a spiegare. Tentai di aprirli invano, era come se le mie stesse mani non riuscissero ad arrivarci. Quasi poi come se tutto questo non fosse nient'altro che un incubo, quelle piccole fessure poste sul mio volto che mi permettevano di guardare intorno a me, si aprirono di scatto, investiti poi da una luce più che luminosa. Istintivamente portai una mano su di essi, scoprendomi ora capace di riuscire a muoverla. Cosa stava accadendo? Appena riuscii ad abituarmi a quell'eccessiva luce, scorsi i lineamenti della mia mano. La pelle diafana a contrasto con quel bagliore sembrava brillare, o forse era essa stessa composta in quel modo? Appena fui abbastanza lucido da capire che il posto in cui non mi trovavo non era casa mia, ne rimasi estremamente affascinato. Il bianco e l'azzurro dominavano incontrastati in quel paesaggio che pareva uscito dalla più bella delle fiabe o direttamente dall'immaginazione di un bambino, ricca di magia, di fantasia come nessuno potrebbe mai avere. Mossi lentamente e in maniera titubante i miei piedi, avanzando in avanti e rendendomi conto solo in un secondo momento degli abiti che indossavo. Erano completamente bianchi, anch'essi capaci di emanare una luminescenza fuori dall'ordinario. Ad un tratto mi sentii cadere nel vuoto, la sensazione che mi attanagliò alla bocca dello stomaco fu strana, una di quelle cose che raramente si riescono a provare. Mi guardai intorno incuriosito, stavo cadendo, ma allo stesso tempo c'era qualcosa su di me che impediva di farlo. Chiusi per un istante gli occhi, udendo un lieve fruscio alle mie spalle. Tentai di girarmi il più possibile e con la coda dell'occhio intravvidi delle candide piume dietro di me, attaccate all'altezza delle mie spalle. Sgranai gli occhi provando a muovere quello strano muscolo che sentivo mio, che era mio. In breve tempo queste si allargarono quasi fossero le vele di una nave colte dalla tempesta, aprendosi nella loro più gloriosa magnificenza. Fu proprio in quel preciso istante che iniziai a capire veramente ciò che mi stava succedendo. I ricordi affiorarono nella mia mente come fossero un fiume in piena, qualcosa di assopito ma che adesso riprendeva ad essere parte integrante di me. Sbattei le ali più forte, ergendomi sopra al candore di quel paesaggio. Un banco di nubi bianche come il latte balenò sotto i miei occhi, intervallate qua e là da piccoli puntini scuri o chiari, date dalle capigliature dei vari angeli lì presenti.

 

- Il Paradiso..

 

Queste sono le uniche parole che riuscii a sussurrare quando vidi quel paesaggio, quel mondo sconfinato di cui io stesso facevo parte, stagliarsi nuovamente dinanzi ai miei occhi. Un fulgido bagliore attirò la mia attenzione, un uomo, un angelo come me, mio fratello. Era intento ad accogliere le nuove anime che stavano entrando nel Paradiso, lui era stato sempre il più misericordioso dei due. Mi avvicinai ad egli dandogli dei piccoli colpetti sulla schiena in modo tale da attirare la sua attenzione e gli sorrisi quando si girò verso di me.

 

- Fratello mio, non penso che si perderebbero senza te che gli indichi la strada.
- Se non ci fossi io Samael tutti saremmo perduti, tu tra tutti. Cosa ci fai qui? L'Eterno ci ha chiamati ai 7 troni. A quanto pare è una comunicazione abbastanza importante.
- Non ne sapevo nulla. Allora tu che ci fai ancora qui? Andiamo.

 

Gli sorrisi appena aprendo nuovamente le ali e spalancandole maestosamente, accompagnato poco dopo da un fruscio altrettanto familiare. Mi stava seguendo e l'aria sul mio viso mi faceva stare bene, mi faceva sentire finalmente libero. Sentii però qualcosa che non andava, una sensazione sgradevole alla bocca della stomaco, un presagio per un avvenimento che doveva accadere.

 

Dopo qualche minuto arrivammo esattamente nel punto in cui tutti gli angeli si dovevano riunire, nella radura incontaminata in cui vi era solo il trono dell'Eterno, circondato da una luce tanto accecante che nemmeno gli angeli più importanti riuscivano a scorgerne le sue reali fattezze. Michele si avvicinò a me, la sua aura brillava della stessa luminosità della mia, gli sorrisi radioso appena sentii Lui parlare. Dopo qualche istante la felicità che mi aveva colto poco prima sembrava sparita, scomparsa, risucchiata in un buco nero. Perchè il mio stesso padre aveva creato questa nuova razza, gli umani, donandogli il libero arbitrio, una dei privilegi più grandi che potessero mai essere stati dati? Ero confuso, non mi sembrava reale tutta questa situazione. Le parole che però seguirono, pronunciate dall'Altissimo, portarono la mia anima nella confusione totale. Che significava che noi dovevamo piegarci a loro? A dei semplici esseri senza alcun potere, senza alcuna caratteristica particolare, ma unicamente fatti di carne ed ossa? Abbassai la testa, non riuscivo a guardare dinanzi a me ancora per molto. Percepivo le mie ali fremere, vibrare nella stessa maniera in cui in quel momento la mia anima confusa stava facendo. Vidi i fratelli intorno a me piegarsi dinanzi al Supremo, in un elegante inchino che solo un angelo aveva la grazia di compiere in quel modo. Rimasi con lo sguardo sbigottito nel guardare quelle file di schiene sul cui dorso sorgevano delle ali, variabili a seconda del rango a cui l'angelo era stato destinato. Quelle mie e di mio fratello erano le più grandi, le più possenti e allo stesso tempo le più temute. Mi voltai alla mia sinistra per cercare i suoi occhi turchesi tanto cristallini da riuscire a rispecchiarmici dentro, ma ciò che vidi fu il candore indiscusso delle sue piume. Alzai un poco il mento nella sua direzione, un gesto troppo altezzoso per appartenermi ma che in quel momento sorgeva spontaneo in me.

Un 'No' uscì silenzioso dalle mie labbra, spinto a scaturire da una forza che pareva insita in me, troppo forte da poter individuare o addirittura contrastare. Alzai lo sguardo verso di Lui, perdendomi in quella forte luminescenza che schiariva tutto intorno a noi, più forte addirittura del Sole. Il portamento fiero che tendevo a far trasparire in quel momento stava a significare quanto fossi deciso ad oppormi a quella scelta, sapendo però che le conseguenze non sarebbero state affatto piacevoli. La mano di mio fratello sfiorò la mia solo per un istante, costringendo i miei occhi a voltarsi nuovamente in quella direzione. La sua espressione carica di rammarico e di una sorta di fiducia, di speranza nei miei confronti, portò una sorta di strana tenerezza nella mia voce, una delle poche volte che però sentivo sarebbe stata l'ultima.

 

- Fratello, non lo fare, sono i Suoi voleri, non ti opporre.
- Non posso Michele, non posso inchinarmi ad una razza tanto infima. Siamo angeli, siamo tra gli esseri più importanti e divini di tutto il creato, perchè mai dovremmo abbassarci a servire quegli sporchi umani?
- In questo modo, fratello mio, non avrai nient'altro che dolore.

 

Abbassai lo sguardo, non riuscendo più a sostenere quello costernato e limpido dell'unico essere a cui avrei potuto donare la mia vita per quanto fosse forte il legame che ci univa. Poi però una voce tuonò imperiosa dall'alto, l' Eterno stava parlando ed un piccolo sospiro concitato si alzò tra le fiere angeliche, stupiti come lo ero d'altronde io che un evento come questo stesse accadendo. Mai quell'aria di tristezza era trasparita dalla Sua voce che pareva l'eco di mille campane che suonavano a festa, e mai Lui si era rivolto in maniera così solenne ad uno dei suoi figli. Mi avvicinai a Lui, a quel trono luminoso che mi faceva sentire così piccolo da paragonarmi ad una formica in confronto ad esso, e alzai lo sguardo verso quella luce abbagliante, cercando in tutti i modi di trattenere l'impulso di portare la mano dinanzi ai miei occhi per ripararli dalla stessa e sfidandolo in questo modo ancora più apertamente.

 

- Perchè figlio vuoi rendermi ancora più dispiaciuto di quanto non lo sia già? La tua scelta è pericolosa. Andando contro tutto questo, andrai contro tutti noi, contro di me. Nessuno ti vorrà più, sarai esiliato, ripudiato dal tuo stesso Padre,  mai più creduto da chiunque parlerà con te, diverrai un essere maligno. Sei sicuro della tua scelta?
- Io non posso adorare gli uomini Padre mio, non posso credere in una razza che ritengo estremamente insignificante nel piano dell'universo. 
- La scelta è stata fatta. Da ora in poi non potrai mai più tornare indietro. Ti spoglio di tutti i tuoi onori figlio mio e ti auguro solamente che la tua pena sia pari alla colpa che hai commesso. Michele, è un tuo compito, il mio unico dispiacere in questo momento è che sia proprio tu, suo fratello, a eseguire questo onere.

 

E fu con queste esatte parole che vidi quella luce affievolirsi ancora di più fino a quando non scomparve. La mia mano si alzò in quella direzione, come per fermarlo, per fargli capire le mie motivazioni, ma era ormai troppo tardi. Mi voltai e dietro di me file di angeli abbassarono la testa, costernati, a causa il dolore che stava per essere arrecato al loro cuore per la perdita del loro fratello. Vidi Michele avvicinarsi a me, la sua aura splendente più che mai, i capelli di una colorazione dorata più intensa del solito. ll suo aspetto era maestoso, regale, nessun angelo del paradiso poteva superarlo in potenza, nemmeno io. Dalla sua mano scaturì una spada, una lunga spada dalla fattura argentata, donata agli angeli per punire il male. Ma ero io il male in quel momento? Potevano davvero vedermi così i miei fratelli e mio Padre? Fu quando incrociai i suoi occhi però che avvertii quel suo stesso dolore farsi mio, il senso di dovere che aveva nei confronti del Supremo ma l'angoscia assoluta data dalla consapevolezza che proprio lui, mio fratello, doveva compiere quel gesto assoluto, che, lui sapeva, ci avrebbe divisi per sempre.

 

- Sei anche tu d'accordo con il Suo volere, Michele?
- Non posso sottrarmi ai miei doveri Samael, fa parte di ciò che sono e allo stesso tempo, faceva parte di ciò che ora tu hai messo da parte, divenendo un nemico per tutti noi, un nemico per me.

 

Ancora una volta non riuscii a andare contro a quelle parole, mi risultava difficile contrastare l'unica persona per cui provavo un vivo affetto e che in quel preciso istante brandiva la sfolgorante lama, come fosse la cosa più naturale del mondo, verso di me. I suoi affondi erano puliti, silenziosi, era il perfetto stile di combattimento, quello che io stesso utilizzavo nelle battaglie. Non riuscivo però a non pensare a quanto fossero prevedibili, facili da scansare o anche da contrastare, ma il mio scopo non era quello, non volevo ucciderlo, volevo che capisse quale fosse il motivo della mia scelta. Appena sentii il vuoto sotto i miei piedi decisi di muovere le ali, quella parte di me tanto importante da essere considerata come lo specchio dell'anima di tutti gli angeli. Purtroppo però, quello che mi ritrovai ad avere non erano più le magnifiche e sfolgoranti ali che fino ad adesso mi avevano reso uno degli angeli più fieri del paradiso, ma membra strappate, lacerate come in quel momento era la mia anima. Guardai mio fratello sgranando gli occhi, non vi erano parole che potevano  descrivere il mio stato in quel momento. Rabbia, frustrazione, angoscia, dolore, senso di derisione nei confronti dei miei fratelli e dello spettacolo che stavano assistendo. Tutto questo mi stava sconvolgendo, portandomi sull'orlo dell'oblio, e lasciandomi lì, attonito a guardare quell'unico angelo di cui mi ero sempre ed incondizionatamente fidato, tradirmi per seguire il Padre celeste. Alzò di poco il mento, facendo la stessa espressione con cui poco prima lo avevo guardato mentre si inchinava per quegli sciocchi esseri umani. Capii solo in quel momento che mi aveva osservato durante tutto quel tempo, che a lui non erano passati inosservati quegli atteggiamenti che lentamente mi avevano condotto sino a questo punto. La spada si alzò ancora una volta sulla mia testa, per poi essere conficcata nel morbido terreno composto dalla moltitudine di nuvole, ma anzichè sprofondare in esse, provoco un foro, una voragine nel bianco suolo, che piano piano diventava sempre più grande, sempre più presente ed oscura, nera come la pece.

 

- La tua punizione fratello mio, è l'esilio in uno dei posti più infimi della Terra, in cui nè uomini, nè angeli, nè qualsiasi altro essere vivente e non vivente, desideri passare anche un solo giorno in quell'oscura desolazione: l' Inferno.
- No.. Michele, posso redimermi, posso provare a cambiare per questo...
- La tua anima è nera ormai, squarciata come lo sono le tue ali, niente potrà mai farti cambiare idea Samael. Il tuo odio ingiustificato verso creature che nemmeno conosci ti ha portato a questo, e per sempre di odio tu vivrai.

 

Altre sentenze giunsero alle mie orecchie, altre parole di odio, di derisione e di scherno mi colpirono come uno schiaffio in pieno viso. Arretrai da quel vortice senza fine, non volendo entrare e desiderando come non mai di fuggire da lì. Per mia sfortuna però questo sembrava essere dotato di vita propria. Un possente vento spirò al suo interno, attanagliandomi in quel posto e conducendomi solo in un secondo momento verso la voragine oscura. Mi guardai intorno un ultima volta, imprimendo nella memoria quei volti familiari che mai sarei riuscito a dimenticare. Per ultimo ci fu quello di mio fratello, i suoi occhi e le sue ali non fremevano, rimaneva indifferente ad assistere allo spettacolo, come se tutto qusto fosse solo un avvenimento sfortunato destinato poi a sparire con la morte del suo fautore. Caddi all'interno del profondo buco nero, vorticando solo per un istante per poi voltarmi e guardarlo, era lì, ancora lì, i suoi occhi i mi seguivano come se non potessero farne a meno.

Mio fratello...mi aveva tradito.

 

 

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Mi svegliai di soprassalto, la fronte imperlata di sudore. Un sogno o un incubo? Non sapevo come definirlo. Chiusi per un istante gli occhi, gettando il mio corpo stanco nuovamente sulla lastra di pietra su cui mi ero addormentato, non importandomene del dolore che ne avrebbe conseguito. Ultimamente la mia unica arma per rimanere sveglio, lucido in quell'Inferno, era dato proprio dal continuare in un modo o nell'altro a sottopormi qualunque genere di sforzo, di tortura. Incrociai le braccia dietro la testa sospirando piano e sentendo quel calore attorno a me divenire sempre più forte, incessante e traumatizzante allo stesso tempo. Mi alzai da lì, un lieve fruscio alle mie spalle accompagnò i miei movimenti fino a quando non mi fermai, guardando in basso allo strapiombo dinanzi a me. La mia mente era ancora persa nei meandri di quel ricordo, un qualcosa di troppo indelebile da poter cancellare solamente con un sogno. Ancora oggi, dopo millenni che erano passati, quel dolore mi squarciava il petto, impedendomi di respirare ogni qual volta ci ripensavo. Il volto di mio fratello era ancora fin troppo vivo nella mia memoria, il rancore nei suoi confronti era un'arma ormai da poter sfruttare contro il senso di perdita che tutto questo mi aveva procurato. Un dolore acuto iniziò a corrodermi dall'interno, in corrispondenza del mio stesso petto. Un antico male, uno che mai sarebbe mai scomparso, mai stato distrutto, mai assopito. Alzai lo sguardo fiero al cielo, trovandovi però solo terra e sassi sulla mia testa, quella caduta durata 7 gioni mi aveva portato in questo luogo infimo e maledetto, strappandomi a tutti i miei fratelli, dal Paradiso  in cui ero nato, e conducendomi nello stesso posto in cui risiedeva l'unica razza che odiavo più di tutti: gli umani. Mi portai una mano tra i capelli, lasciandola poi cadere senza alcuna forza lungo i fianchi dopo essermi voltato nella direzione opposta ed essermi diretto verso un masso. Guardai sotto di me la lava ribollire, divenire sempre più densa mentre impregnava l'aria stessa di esalazioni che nessun normale essere vivente avrebbe potuto respirare. Ero solo, completamente solo. Come potevo mai passare le mie giornate in questo modo? Tutto il tempo passato lì era stato inutile, infruttuoso, però aveva portato solo ad una cosa buona: La mia anima era diventata sempre più nera man mano che i giorni passavano, più oscura, e aveva iniziato a rimpiazzare sentimenti come amore, felicità e qualunque altra emozione positiva, con odio, rabbia e rancore. Chiudendo gli occhi l'unica cosa che riuscivo a focalizzare in maniera nitida era tutto quello che mi era stato tolto, come una sorta di maledizione che doveva essere stata inflitta più e più volte, senza possibilità di essere revocata. Un fiotto di rabbia colpì in pieno il mio corpo, conducendo le stesse gambe ad alzarsi di scatto e le mie ali ad aprirsi in tutta la loro ampiezza, piegai poi poco la testa per fissarle. Il mio simbolo di potenza, l'attestato che riconsoceva il livello che avevo ormai raggiunto nel paradiso, ora era a brandelli, squarciato e nero, nero come la pece, nero come la mia anima.

 

 

Fuoco, fiamme, l'oscurità più nera incombeva su di me. Il mio corpo lacerato, dilaniato più e più volte, non vi era pace per me, non ci sarebbe mai stata per una scelta sbagliata che avevo intrapreso. Scossi violentemente la testa tentando di reprimere l'urlo di dolore acuto che tentava di uscire dalle mie labbra, a causa delle pene che le mie ormai stanche membra erano costrette a subire. Chiusi le mani l'una contro l'altra mentre una vampata bollente mi colpiva in pieno volto, facendomi cadere in terra, sconfitto. Battei un pugno al suolo, non era concepibile che io, il potente Samael doveva essere sconfitto da quel luogo dato come punizione divina. Mi alzai, il mio viso contratto in una forma di assoluto odio. Guardai nuovamente sopra la mia testa, ero sicuro che mi stava guardando ed era con i Suoi occhi puntati sul mio corpo che avrei attuato la mia vendetta. Ghignai prima di portare una mano in direzione del mio cuore, verso l'unico luogo in cui mi era rimasta ancora un pò di purezza. Infilai la mano nel mio petto, sentendo quella luce viva dimenarsi sotto la stretta possente della mia stessa mano, volendo rimanere in me ancora, desiderando con tutta sè stessa di far parte di quel corpo privo ormai di qualsivoglia tipo di redenzione. La strappai con forza da dentro me e vidi quella piccola fiammella di luce bianca galleggiare sulla mia mano. L'osservai a lungo, contemplandola quasi. Una parte della mia anima. L'unico frammento di me rimasto ancora pura. Inclinai piano la testa prima di avvicinarvi l'altra mia mano. Fremette per un solo istante, aveva paura come l'avevo avuta io in passato ma da questo giorno non sarebbe successo più niente di tutto questo. Niente mi avrebbe fermato, sarei stato sempre e per sempre invincibile.

 

La modellai con lentezza, mettendoci giorni e giorni e prelevando degli elementi dall'ambiente esterno: fuoco per i suoi capelli, rossi come le fiamme dell'Inferno, e acqua per i suoi occhi, di un azzurro splendente che stava a rimembrarmi ogni giorno il Paradiso, luogo che mi aveva provocato atroci sofferenze al suo distacco. La sua anima sarebbe stata pura, una punizione abbastanza pesante per una creatura che avrebbe dovuto appartenere al Paradiso ma che invece sarebbe stata sempre e per sempre legata a me, alle atrocità dell'Inferno che mi era stato creato intorno come luogo in cui scontare i miei peccati, ma che con il tempo era divenuto il mio regno, con me come nuovo Dio. Pian piano vidi quell'essere che stavo creando strutturarsi sempre di più, divenire vero e perfetto. Le sue sembianze erano quelle di una donna, la sua carnagione candida dalle forme perfette, il viso dai lineamenti angelici con le labbra rosse e piene, le guance dotate di  una leggera sfumatura rossa, gli occhi grandi e perfetti che sembravano scrutarti ed analizzarti dentro. Sistemai l'ultimo dettaglio di quella chioma ribelle, la parte di me che l'aveva creata era ormai al suo posto, nel suo cuore. Mi sedetti notevolmente provato per ciò che avevo fatto, ma allo stesso tempo felice, gioioso come mai lo ero stato da quando tutto era successo. Un'anima pura, un futuro angelo relegato nel fuoco dell'Inferno.

Edith, si sarebbe chiamata Edith.

 

Prima del suo risveglio altre anime prave e corrotte furono condotte nel mio piccolo regno, angeli caduti ormai schierati dalla mia parte, uomini dediti solamente al peccato e alla violenza. Acquisti notevoli per la mia schiera di dannati. Ghignai soddisfatto seduto su di un masso accanto alla lastra di pietra su cui era adagiato la mia protetta, colei che avrei potuto definire come una 'figlia'. Notai piccoli fremiti attraversare il suo corpo, un dito della mano contrarsi. Mi alzai di scatto ponendo il mio sguardo sul suo viso, sui suoi occhi, desideroso più che mai di vedere la sua anima, la mia creatura. Quando li aprì però qualcosa cambiò, qualcosa si modificò. La luce che fino a qualche attimo fa sentivo in lei come parte del mio stesso essere, divenne oscura, nera come la mia anima. Il suo potere crebbe, divenne tanto forte che un'aura scura come la pece iniziò ad irradiarsi intorno al suo corpo. Sgranai gli occhi, cosa poteva mai essere andato storto? Che essere era questo che si ergeva dinanzi a me? Dov'era la purezza dell'anima che avevo iniettato nel suo corpo e da cui lei stessa era stata tratta? Le palpebre sbatterono velocemente mentre arretravo di qualche passo dinanzi a quello spettacolo atroce. Che fosse anche questa una conseguenza dell'esilio, della mia maledizione? Non potevo crederci, in un modo o nell'altro non riuscivo a contrastarlo, non riuscivo a fargli provare lo stesso dolore che adesso lui stava facendo provare a me. Spalancai le ali in un atto di collera e sbriciolai le pietre presenti intorno a me mentre il mio sguardo era ancora fisso su quella figura longilinea e prestante che si stava alzando dinanzi a me. I suoi piedi si spostarono da quel rozzo letto in pietra per andare a poggiarsi in terra. Appena ci fu il contatto della sua pelle con il suolo, una piccola nuvola di vapore si alzò da terra, provocando come reazione a tutto questo un piccolo fischio. La vedevo avvicinarsi a me con una grazia inaudita, sembrava un angelo, capace di far piegare ai suoi piedi qualunque uomo solo con il suo aspetto, ma purtroppo per lei questo su di me non influiva.

- Cosa sei tu. Che ne hai fatto dell'anima pura che ho creato?

Domandai poi con un nodo in gola mentre la vedevo percorrere quel poco spazio che ci separava. L'aria intorno a noi diventava sempre più rarefatta a causa delle potenti auree negative che entrambi emanavamo. La sua era però qualcosa di familiare, qualcosa che sarei riuscito a fronteggiare in un modo o nell'altro e che, così come avevo creato, avrei distrutto. Nessuno nel mio nuovo regno poteva eguagliarmi in potenza, nemmeno lei. L'unico che sarebbe stato in grado di distruggermi, magari un giorno, sarebbe stato proprio mio fratello, a meno che io stesso non avessi precendetemente ucciso lui. Che destino avverso il mio. Cercai di ridestarmi da quegli stessi pensieri notando la mano che stava alzando verso il mio volto, quasi volesse sfiorarmi. Gliela bloccai con un gesto che mi parve assolutamente istintivo e la continuai a guardare desideroso di risposte

-Voi mi avete creata, Padre. Non sono ciò che voi vi aspettavate?

La sua voce, così come tutta sè stessa, era cristallina, risuonava nell'aria quasi fosse intonata da mille angeli. Non riuscivo a capire, in quel momento i pensieri che affollavano la mia stanca mente erano confusi, come un grovigio indistinto che non riusciva ad essere sbrogliato. Potevo io aver creato un essere dall'animo tanto maligno con quel frammento puro che avevo in me? La sua mano nella mia aveva uno strano calore, come se riuscisse ad assorbire le fiamme di quel posto e tenerle in sè, al sicuro, alimentandosi anche di queste. L'allontanai schifato per quello che ero a venuto a creare anche se involontariamente. Dovevo distruggerla.

- Io non ho creato un mostro del genere. Non ho dato vita un misto di sadismo, falsità e lussuria. Io desideravo un anima pura, un anima che avrebbe patito con me le pene di questo Inferno. Non ho bisogno di te.

E fu proprio dopo aver pronunciato queste parole che quella forza sopita da tempo fece sempre più breccia in me. Allungai un braccio verso quel profondo buco nero pieno di magma e lava e dallo stesso si alzò lentamente una colonna rossa come i suoi capelli. Lentamente questa prese la forma di un elsa di una spada che andò a combaciare perfettamente con la forma della mia mano. La impugnai alzandola e lanciando piccoli schizzi roventi sul terreno, fin quando la stessa non si condensò per divenire una magnifica lama di pura luce incandescente. La avvicinai alla sua gola, lasciando che un piccolo rivolo di sangue cadesse lungo quel collo perfetto. Una sola pressione e sarebbe caduta morta ai miei piedi, con la testa mozzata pronta ad andare a far parte della pira di cadaveri che si ergeva dinanzi al mio trono. Però poi, proprio quando ero sul punto di porre fine alla sua vita dopo una manciata di minuti che essa era stata creata, capii che molto probabilmente mi sarebbe stata d'aiuto. A causa dei sigilli che erano stati posti al dì fuori di quel luogo, io non potevo uscire, ero costretto a rimanere lì per la maledizione che mi era stata imposta per evitare di fare del male agli umani, per non seminare fame, malattie e pestilenze ovunque mi fossi recato; ma lei avrebbe potuto spezzarli, sacrificando degli esseri per me. La guardai ancora una volta poggiando la spada sulla mia spalla ed avvicinandomi a lei sorridendole ed accarezzandole lentamente il viso

 

- Mia dolce Edith, penso proprio che non verrai uccisa. Verrai usata per ben altri scopi.

 

Sogghignai soddisfatto recandomi poi sul trono che avevo costruito e guardandola con fare complice.

La mia rinascita, da adesso, sarebbe cominciata.

 

 

Passò un altro millennio, io ero ancora rinchiuso in quell'inferno, mentre al dì fuori Edith iniziava a spezzare i primi sigilli. La rottura del primo non era stata ben vista dai piani alti, non volevano che uscissi di lì ma non avevano tenuto conto di questa eventuale arma che potevo creare, anche se questa volta è stato tutto frutto del caso. Passegggiai avanti ed indietro nervosamente, questa era la sua ultima missione, il suo ultimo sigillo. Grazie alla capacità che aveva avuto di riuscire a spostarsi come nuvola di fumo, poteva benissimo attraversare le pesanti porte che mi chiudevano all'interno protette da una magia a me impossibile da rompere. Lei però non era un angelo, era un essere infimo, maledetto, un essere che pian piano stava dando vita a tutto il mio esercito: lei era la mia Principessa delle Tenebre.

Ad un tratto un rumore sordò iniziò a scaturire dai più profondi meandri di quel luogo, un boato ed un fremore scossero la terra dalle sue radici. Rimasi immobile guardandomi intorno mentre una nube nera mi veniva incontro. Era lei. Un sorriso soddisfatto lentamente iniziò a fare breccia sul mio viso, mentre allargavo le braccia andandole incontro. Lentamente quella nube indistinta prese i contorni della donna che per tutto questo tempo mi era stata affianco, aiutandomi in quell'intento che da sempre era stato il punto focale delle mia esistenza. Si spostò una ciocca di capelli rossi che le erano ricaduti dinazi al viso e mi sorrise, gioiosa come me di aver portato finalmente a compimento la sua missione. Andai con lei nell'esatto punto in cui erano stati posti all'inizio dei tempi i sigilli angelici, atti a bloccarmi nel mio piccolo Inferno personale, e mossi dei passi in quella direzione, non sapendo ancora se quella maledizione era stata sciolta e nel caso che effetti avrebbe potuto avere sulla mia persona. Appena oltrepassai quella barriera invisibile sentii la mia anima fremere come non mai per la felicità scaturita dalla frenesia del momento. Niente ora mi avrebbe mai e poi mai fermato, mi bastava solo trovare un contenitore con il quale potermi muovere liberamente ed il gioco era fatto. Fortunatamente avevo già una vittima al caso mio.

Liam Gallanghèr. Un giovane ragazzo di Brooklyn che aveva ucciso il fratello qualche tempo fa, un anima sporca, macchiata: un anima dannata. Dopo qualche giorno mi recai da lui e gli proposi questo scambio riuscendo a vincere anche questa partita con un semplice gioco di parole, con farle promesse, meri inganni. Appena entrai nel suo corpo, per un primo istante non pensai fosse capace di trattenere al suo interno la mia possente anima. Tutto quel potere in un solo involucro, eravamo addirittura asserviti agli umani per poterci spostare liberamente su questo ormai sudicio pianeta. Che destino  ingrato era mai questo che ci era stato assegnato.

Ormai però niente di tutto questo aveva importanza, niente contava più.

L'unica cosa che finalmente avrebbe cambiato tutto era una, l'unica che poteva modificare le sorti tra bene e male

 

La vendetta.

  
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