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Autore: Deilantha    04/03/2012    7 recensioni
Pasi è una diciannovenne impulsiva e socievole, dal futuro incerto ma dal buon cuore, che vive una situazione di conflitto in famiglia, sentendosi sempre la pecora nera rispetto ad una sorella apparentemente perfetta. Provando un vuoto affettivo tra le mura domestiche, Pasi si circonda di amici, che reputa la sua vera unità familiare.
Emile è il suo esatto opposto: non è un tipo socievole e vive esclusivamente per la musica, sul cui argomento è terribilmente arrogante. Ma il suo modo di essere così rigido e poco aperto agli altri, nasconde un dolore che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia, dovuto ad una madre caduta vittima della depressione quando lui era ancora in fasce.
Emile e Pasi si scontreranno la prima volta che si vedranno, ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi e farli crescere nella reciproca conoscenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Filrouge'
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Capitolo 30









 

 

Un bacio. Sento il calore delle labbra sulla mia pelle e poi un altro e un altro ancora. La sensazione di calore m’invade sempre più, risvegliando lentamente la mia coscienza dallo stato di oblio in cui si trovava. Sento brividi di piacere ovunque si posino quelle labbra e la coscienza prende il sopravvento, insieme alla sensazione di un dolce calore…

Quando riaprii gli occhi quella mattina, ancora inebetita e travolta da quelle sensazioni provate nel dormiveglia,  mi resi conto che tutto ciò che sembrava parte del mio sogno era più vivo che mai e nel girare lo sguardo, vidi un paio di occhi grigi che mi osservavano, corredati da un sorriso estatico.

«Buongiorno, streghetta.»

Emile era vicinissimo a me, disteso su un fianco, intento a reggersi la testa con un braccio e aveva un’espressione così serena e soddisfatta, da farmi pensare di essere in Paradiso: non potevano esistere risvegli così belli sulla terra!

«Scusami se ti ho svegliato, ma non ho saputo resistere… sei particolarmente invitante oggi.» restò ad osservarmi  ancora per qualche secondo e poi si chinò a darmi un bacio, nemmeno tanto casto, che mi risvegliò del tutto. In un attimo mi ritrovai avvinghiata a lui: le nostre gambe intrecciate, i nostri respiri sempre più affannosi…

A stento riuscii a formulare una frase di senso compiuto quando lentamente si staccò da me, per respirare.

«Se questo è il risveglio che mi riservi, non ti lascio andare più via.»

Emile sghignazzò soddisfatto e continuò a baciarmi tra il collo e la clavicola… «Purtroppo invece devo andarmene.» …per poi passare di nuovo a posare le sue labbra sulle mie.

«Noo… resta qui… con me…» Non avevo fiato e la mia protesta risultò alquanto debole.

«Mi piacerebbe, ma devo andare in bottega, non posso saltare il lavoro.» Mi diede un bacio sul lobo dell’orecchio…

«Prendi un giorno… libero…» Risposi ansimando…

 «Non posso… devo lavorare il più possibile ora…» un bacio sul collo, «…perché non credo che avrò ancora quel lavoro…» due baci sugli occhi, «…quando sarò tornato…» un bacio sul naso, «…dal tour.» un altro bacio infuocato, prima di staccarsi da me.

A malincuore sciolsi il mio abbraccio da lui, cercando di tornare in me, per poter portare avanti quella discussione: mi misi a sedere mentre Emile scendeva dal letto.

«Credi che ti licenzieranno? Non puoi chiedere, non so… delle ferie per malattia?»

«No, Pasi, non posso: ho già abusato fin troppo della pazienza e del buon cuore di Gustavo, non posso chiedergli dei mesi di ferie, per tornare da lui in modo sempre più saltuario. Una volta tornati dal tour, avremo sempre più da fare, se i primi mesi di vendita avranno esito positivo. Voglio dedicarmi completamente alla band: finora anche la casa discografica ci è venuta incontro, adattandosi con orari impossibili perché eravamo in forte ritardo, ma in seguito dovremo seguire i normali orari e dovrò essere libero di dedicarmi alla promozione dell’album, non avrò più tempo da dedicare alla bottega.»

«Tutto sta per cambiare.» 

Dissi quelle parole più a me stessa che a lui: non mi ero resa conto di quanto la vita di Emile potesse essere travolta dall’eventuale successo del suo album e sentirgli dire quelle parole mi aveva spaventato, come se la stabilità che stavo ancora faticando ad avere, fosse nuovamente in pericolo di crollare.

Avvicinai le ginocchia al petto e mi strinsi in un mutismo pieno di timori: Emile era in procinto di scendere le scale ma vedendomi in quello stato si avvicinò. sedendosi dal mio lato del letto.

«Cosa c’è che non va?»

Mi dannai per non essere stata capace di nascondergli il mio stato d’animo, ma non riuscii nemmeno a mostrargli un sorriso sereno. La mia testa era nascosta dalle gambe e biascicai la mia risposta  con la voce ovattata:  «Ho paura.»

«Paura? E di cosa?» sentii la mano di Emile che mi accarezzava la testa.

«Dei cambiamenti. Ho paura che qualcosa cambi in peggio. Ho paura di perdere quello che ho ora.»

«E tutto questo, in base al mio lavoro?»

La voce di Emile era scettica e un po’ divertita: sapevo che non avrebbe compreso e alzai la testa per spiegargli meglio le mie ragioni.

«Non è per il lavoro in sé, è il cambiamento che porterà! La tua vita cambierà, così come anche la mia…»

Il mio Pel di Carota mi guardò con un’espressione mista tra rammarico e durezza: «Pasi, lo sai che è questo che voglio, è questo che inseguo, non ho intenzione di cambiare strada e dov….»

«Sì lo so, Emile, non sto affatto mettendo in discussione questo e men che meno sto cercando di polemizzare! Ho solo paura di perdere ciò che ho ora…»

«Ma non perderai alcunché! La tua vita sarà sempre la stessa ed io ci sarò sempre.»

«Ma non come adesso…»

«Magari ci sarò anche di più: avendo solo la musica a cui dare conto, potrei avere più tempo per te, non c’hai pensato?»

Girai la testa in senso di diniego stringendo le labbra, guardandolo con rimorso per aver creato un problema, che per molte ragioni poteva essere del tutto inesistente. Emile si fece una risata e mi accarezzò il viso:  «Certe volte sei proprio una buffa bambina.»

«Scusami, non volevo farti preoccupare inutilmente…»

«Stai tranquilla e non angosciarti per delle sciocchezze: io sono qui non vado via; anzi inizia a liberare i cassetti, che porto qualche ricambio.» Rivolgendomi un sorriso incoraggiante, mi diede un bacio e si alzò diretto al piano sottostante.

«Emile!» vedendolo andar via, mi alzai sul letto allungandomi in sua direzione prima che scendesse del tutto le scale e il mio Pel di Carota si girò verso di me incuriosito.

«Mmh?»

«Ecco, volevo precisare che… ti ho dato quella chiave, ma non devi sentirti costretto a venire qui sempre. Se vuoi stare con tuo padre è più che logico e non pretendo che tu ti traferisca qui… Mi piaceva sapere che in qualsiasi momento tu voglia, puoi aprire quella porta e stare qui con me, ecco tutto.»

Il viso di Emile si addolcì di colpo sorridendomi: «Lo so Pasi, stai tranquilla, non mi sento sotto pressione, ho capito cosa intendevi con quel regalo… e sono felice che tu me l’abbia fatto.» continuò a sorridermi prima di girarsi verso i gradini e riprendere la sua discesa. Sentii per un po’ svanire le mie paure, confortata dall’immagine di quel sorriso dolce e rassicurante.

 

*****

 

«Eccoci qui!»

«E… dove siamo, di grazia?»

«Scendi da questo catorcio e vedrai!» Iulia mi sorrise soddisfatta, fermando l’auto.

Mi aveva letteralmente prelevato dal mio monolocale, una mattina: dopo avermi chiesto l’indirizzo di casa, mi aveva avvisato che entro mezz’ora sarebbe venuta a prendermi e nell’arco di una quarantina di minuti era al citofono. Avevo percorso tutto il tragitto in auto con la curiosità addosso, ma i miei tentativi di comprendere dove fossimo dirette, puntualmente facevano un grande buco nell’acqua perché quella ragazza mi rispondeva solo con un grande sorriso, aggiungendo qualche volta la frase criptica: «Aspetta e vedrai.»

Il tragitto non durò molto, in meno di tre quarti d’ora ci fermammo davanti ad un palazzo alto, provvisto di grandi vetrate: aveva tutta l’aria di essere sede di qualche tipo d’ufficio e rimasi ancor più senza parole a quell’idea. Cosa mai potevo aver a che fare con quell’edificio?

Scendemmo dall’auto e Iulia mi prese per mano: «Ti avevo detto che ti avrei fatto conoscere meglio il mondo dei GAUS, vero? Questa è la sede della casa discografica.»

Il mio sbigottimento, fu pari al sorriso soddisfatto della ragazza che avevo di fronte: tra tutte le cose che avrei potuto immaginare, non avevo affatto pensato ad una gita nella casa discografica che stava producendo l’album della band di Emile!

«Dai non fare quella faccia, vieni con me.» Iulia continuò a prendermi per mano e con la volontà di un automa, mi feci condurre all’ingresso dell’edificio.

Una volta entrate, ci dirigemmo subito verso l’ascensore e arrivate al quarto piano vidi l’insegna “RIOTRecords”, che campeggiava sul pianerottolo: una porta a vetri sulla destra aveva lo stesso nome e una volta aperta, mi trovai davanti ad una sala ampia, che dava su un lungo corridoio pieno di porte. La sala aveva sulla sinistra alcune sedie e sulla destra un bancone a cui verosimilmente, bisognava annunciarsi: Iulia vi si avvicinò con molta familiarità, salutò la ragazza addetta alla reception e in un batter d’occhio avemmo i nostri due pass.

«Come diavolo hai fatto?»

Ero del tutto sbalordita: se fossimo stati in qualche avventura fantasy, avrei pensato che avesse incantato quella ragazza con qualche sorta di magia, ma dato che non era lontanamente possibile, l’unica spiegazione poteva essere che… 

«Sono di casa qui, mi conoscono tutti.» …ecco, appunto!

«Ma com’è possibile? È un luogo aperto al pubblico? Ho capito! Sei una cantante anche tu!» Sgranai gli occhi sorpresa, felice di aver capito finalmente la realtà, ma il viso di Iulia non mi stava confermando quella teoria, nonostante sorridesse divertita.

«Nient’affatto Pasi, sono stonata come una campana!»

«Ma allora…»

«Non è merito mio, è a causa di mio padre… lui lavora qui, è uno dei discografici.»

Per la seconda volta in pochi minuti, restai totalmente a bocca aperta: Iulia era figlia di un pezzo grosso!  Ed io che pensavo che i suoi genitori fossero altri due insegnanti con poco senso dell’umorismo come i miei, invece l’ambiente in cui era cresciuta doveva essere stato totalmente diverso: doveva essere vissuta attorniata dalla musica, sin da piccola!

«E perché diamine non me l’hai detto prima?! Ho fatto la figura dell’imbecille!»

«Perché sennò si sarebbe persa la sorpresa e le facce che hai fatto sono impagabili, peccato che non abbia potuto fotografarti!» Fece una risata a mie spese che mi ricordò molto quella del suo ragazzo e capii quanto quei due dovessero condividere lo stesso animo burlone, oltre ad avere la predisposizione per il sorriso.

«Allora, ora basta scherzi e fammi capire: tuo padre è il discografico dei GAUS? È lui che li sta aiutando?»

«No, purtroppo non è lui, altrimenti credo che avrebbe buttato a calci nel sedere Claudio, trovando qualche soluzione migliore per i ragazzi; mio padre li ha solo presentati ad un suo collega che poi è diventato il loro personale produttore.»

«Quindi è tramite te che hanno avuto i contatti con questi studi!»

Iniziammo a camminare lungo il corridoio, mentre cercavo di comprendere meglio le dinamiche che avevano unito la vita privata di Iulia e la vita professionale del gruppo di Emile.

«Sì, in effetti ne ho parlato a mio padre, ma anche lui aveva in mente di portare i GAUS qui: io Franz e Fil ci conosciamo da quando eravamo bambini e mio padre ha visto crescere quei due, insieme alla loro musica. Una sera è venuto a sentirli in un locale e ha conosciuto anche il resto del gruppo, ma non volendo dare adito a chiacchiere, promuovendo il ragazzo di sua figlia, ha preferito presentare i GAUS ad un collega, sperando che il loro talento facesse il resto… E a quanto sembra ha funzionato, perché una volta entrati qui, non sono stati più abbandonati!»

«Che meraviglia Iulia, quindi è come se fossi anche la madrina del gruppo oltre che la sua mascotte! I ragazzi ti devono davvero tanto!»

«Ma no! Io ho solo accelerato un po’ i tempi, è la loro bravura che ha fatto il resto.»

Iniziai ad osservare quella ragazza con una coscienza nuova: mentre m’indicava i vari uffici e le rispettive competenze, la sentii così padrona di quel mondo, così capace di destreggiarsi in un ambiente su cui io avevo solo fantasticato, che d’un tratto mi sembrò di avere accanto non una coetanea, come me in cerca della sua strada, ma una donna adulta perfettamente inserita nel suo ambiente di lavoro. 

L’ascoltavo rapita da tutto ciò che sapeva di quel mondo e più ne parlava, maggiormente mi rendevo conto di esserne del tutto estranea e che, quella che era una parte preponderante della vita di Emile, io non la conoscevo affatto.

Mi raccontò che la RIOTRecords era nata da pochi anni, ma si era fatta conoscere subito come etichetta indipendente in grado di portare alla luce i musicisti che meno si adattavano alle regole di mercato delle majors e da questo derivava il loro nome: volevano essere un esempio di rivolta, contro lo strapotere del mercato discografico, capace di atterrare un artista se non aveva i favori delle grandi case produttrici.

Proprio come era accaduto a Claudine.

Non feci fatica ad immaginare l’entusiasmo di Emile nello scegliere quell’etichetta per farsi produrre; se era vero ciò che mi stava dicendo Iulia, era la casa discografica perfetta per lanciare i GAUS e soprattutto per andare incontro alle decisioni insindacabili di Emile, sulla gestione di tutto ciò che riguardava il suo gruppo.

«Quindi tuo padre è uno dei fondatori?»

«No, non ha tutto questo potere: al vertice ci sono due fratelli con un passato da musicisti, ma ormai si occupano solo  della parte amministrativa e commerciale. Mio padre e i suoi colleghi, sono quelli che agiscono sul campo, ascoltando le demo che arrivano sulle loro scrivanie e a volte andando a scovare potenziali talenti, nei locali in cui si fa musica live.»

«Quindi tu non hai fatto altro che suggerire a tuo padre dove andare!»

«Esatto! Come vedi ho fatto ben poco e anche mio padre del resto, perché quei ragazzacci sono bravi e non hanno bisogno di grosse presentazioni per farsi notare.»

«Hai ragione, sono davvero bravi… e dal vivo sono ancora meglio! È da tanto che non li ascolto mentre si esibiscono su un palco, mi piacerebbe risentirli in un’occasione simile.»

«Vedrai che accadrà presto, appena termineranno di mettere a punto l’album; non possono lasciarci senza un live, prima di andar via!»

«Già…» 

Puntualmente come ogni volta che si accennava a quel tour, il mio umore s’incupì, preda della paura di restare senza il mio Pel di Carota per mesi interi. Iulia non si rese conto del mio stato d’animo e ne fui felice, poiché non avrebbe potuto comprendere ciò che provavo, dato che lei avrebbe seguito Francesco durante il tour.

D’un tratto la voce della mia compagna mi distolse dai cupi pensieri in cui ero immersa: «Toh! Guarda un po’ chi c’è!»

Alla nostra destra si apriva un’ampia finestra che dava sul cortile interno dell’edificio, ma alla stessa nostra altezza permetteva di scorgere le persone che transitavano nel corridoio ortogonale a quello in cui ci trovavamo, tramite un’altra finestra uguale che vi si affacciava: voltai il viso in direzione del dito di Iulia e attraverso quei vetri vidi i GAUS intenti a parlare con qualcuno.

«C’è Anton con loro, avranno avuto una riunione improvvisa.»

«Anton?»

«Il loro discografico, vedi quel tipo alto con i capelli chiari e il codino.»

Il tipo in questione aveva l’aria di del tipico artista scova talenti: era sulla quarantina, alto e magro, quasi scheletrico a guardarlo bene. Indossava un gilet con qualche tipo di ricamo sopra e la camicia con le maniche arrotolate, i capelli erano lisci e biondi, non molto lunghi, ma raccolti in piccolo codino, che lasciava scoperto l’orecchio da cui pendeva un orecchino. Ad un’occhiata generale tutto sembrava tranne un  uomo d’ufficio e probabilmente non lo era affatto.

«Anton è slovacco e la sua cultura musicale così eclettica lo ha fatto scegliere da mio padre, per proporgli i GAUS.»

Il gruppo stava ascoltando il discografico parlare con a capo proprio Emile, che evidentemente ne era il portavoce e la cosa non mi stupì, conoscendo il modo imperioso in cui gestiva tutto ciò che riguardava la band. Feci un sorriso  a quell’idea, ma subito dopo mi resi conto che stavo assistendo ad una scena che apparteneva alla vita lavorativa del mio Pel di Carota e realizzai quanto fosse strano per me, osservarlo mentre sfoggiava il suo piglio professionale: ora quella gita improvvisa acquistava toni del tutto realistici, iniziavo davvero a collocare Emile in quel luogo, alle prese con documenti, presentazioni, riunioni e tutto ciò che serviva alla promozione di un album, iniziai a guardarlo con occhi nuovi, come se lo stessi conoscendo per la seconda volta.  

L’unica cosa che disturbava quel momento così speciale arrivò appena andai con lo sguardo al resto del gruppo: la mia gioia morì sul colpo trasformandosi in rabbia appena posai gli occhi su Claudio.

Era sfacciatamente soddisfatto e sicuro di sé, a debita distanza da Emile, ma ugualmente imponente:  tutti i suoi gesti emanavano sicurezza e quella tracotanza che gli avevo  sempre visto addosso, Anton parlava rivolgendosi prevalentemente ad Emile, ma lui puntualmente s’intrometteva nel discorso e ogni volta che lo faceva, vedevo il mio ragazzo irrigidirsi.  Nel vedere Claudio così sereno e sicuro di sé, sapendo quanto costasse al mio Pel di Carota quella presenza, mi salì una rabbia feroce: al pensiero che per essere in quel luogo in quel momento, aveva minato la tranquillità dell’animo di Emile e l’aveva costretto ad affrontare una sofferta scelta tra me e la band, sentii il classico prurito alle mani fremere sui miei palmi e venni travolta da una voglia impetuosa di fargli un occhio nero. Se l’avessi avuto a tiro, non avrei scommesso sulla mia diplomazia!

«Che ne dici, li raggiungiamo?»

Iulia mi osservava con una luce speranzosa negli occhi, ma non volevo scherzare col fuoco, non volevo dare in escandescenza in quel luogo, minando l’equilibrio precario all’interno dei GAUS mettendo Emile nuovamente nei guai.

«No, ti prego Iulia, non posso avvicinarmi a loro, non riuscirei a rispondere di me…»

La mia interlocutrice mi guardò per un attimo perplessa, ma poi la luce della comprensione apparve sul suo viso: «È vero, Claudio... che stupida, come ho fatto a non pensarci?»

«Non preoccuparti, non hai alcuna colpa… ti chiedo solo di allontanarci da qui!»

«Sì, sì certo, andiamo via, tanto i nostri ragazzi li possiamo vedere quando vogliamo, vero?»  Continuando a sorridere in modo conciliante, mi prese nuovamente per mano e andammo via da quel corridoio.

 

Iulia mi fece girare tutto l’edificio, instancabile nell’indicarmi ogni attività che si svolgeva in quel luogo, così quando uscimmo, mi ritrovai i piedi distrutti dal troppo cammino e la testa piena di termini e di situazioni, legate al lancio e alla promozione di un musicista e della sua opera. Ma in un angolo della mia mente continuavo a vedere Claudio, il suo viso soddisfatto e il suo atteggiamento arrogante e la rabbia all’idea che fosse in quel luogo grazie alla sua prepotenza, tornò ad impossessarsi di me. In quel momento compresi in pieno quanto costasse al mio Pel di Carota dover avere a che fare con quel tipo e doverlo avere dietro le spalle per tutta la durata del tour.

«Non vedo l’ora che questi mesi passino!» sussurrai debolmente, rivolta più a me stessa che alla mia interlocutrice, mentre aprivo la portiera della sua auto.

 

 

*****

 

«Je ne veux parler pas.»

«Se parli in francese, non ti capisco!»

«Très bien, alors Je parlerai toujours en français!»

«Oh Lucien andiamo! Cos’è questo modo di fare, ora? Sembri Emile!»

«…»

«Aaaah! Accidenti alla vostra testardaggine! Ma c’è qualcuno che non sia così testone nella vostra famiglia?»

«Testarossa calmati, è una cosa normale, in fin dei conti chi di noi non ha litigato con Sofia, almeno una volta?»

«Lo so Stè, però…»

Testa di Paglia non poteva minimamente comprendere ciò che si agitava dentro di me in quel momento: quella serata a teatro si era rivelata un totale disastro e sentivo dentro di me, di esserne la sola responsabile.

Avevo immaginato grandi risvolti tra i miei due protetti e avevo fatto in modo di farli stare vicini durante la rappresentazione, senza possibilità di distrarsi. Li avevo immaginati intenti a scambiarsi pareri e magari anche qualche sorriso (anche se Sofi non sorrideva mai di gusto… e speravo davvero che quel ragazzo potesse operare anche quel miracolo), ma a rappresentazione terminata, trovai un Lucien gelidamente adirato e Sofi chiusa nel suo mutismo risentito.

Avevo forzato la mano: quei due erano stati troppo vicini ed era accaduto qualcosa che li aveva allontanati ed io non avevo la più pallida idea di cosa fosse accaduto, per farli reagire in quel modo!

Dopo la rappresentazione, andammo a mangiare una pizza tutti insieme, ma durante tutta la cena quei due non fecero altro che ignorarsi e solo quando arrivò il momento di tornare a casa, il cugino di Emile diede il suo freddo e impersonale saluto a Sofi, gelandomi del tutto: non ero abituata a vederlo in quello stato, Lucien era sempre cordiale e gentile con tutti, sempre pronto a sorridere e quell’atteggiamento distante e freddo era terrificante… Cosa diavolo era potuto accadere, per cambiare in quel modo le cose tra loro due?

Tornò a casa in auto con me e Stè e durante il tragitto sperai di riuscire a strappargli la verità di bocca, invece ogni mio tentativo fu frustrato dal suo ostinato silenzio ed io non potei fare altro che sentirmi terribilmente in colpa, per aver rovinato la serata sia a lui che alla mia amica… Mi chiesi se Rita fosse stata più fortunata di me con Sofi, ma conoscendo quest’ultima, dubitai fortemente che si fosse lasciata andare a qualche confidenza.

«Sofia come al solito avrà detto qualcosa di troppo, almeno ora anche Lucien l’ha conosciuta in pieno!»

 Stè ironizzò sull’accaduto con la sua solita bonarietà, ma qualcosa mi diceva che l’umore del cugino di Emile, seduto alle nostre spalle, era ben lontano dall’atteggiamento del mio amico…

«Posso fare qualcosa?»  dissi a Lucien, tentando il tutto e per tutto per placare il mio senso di colpa.

«No Pasi, non c’è alcunché da fare e pour plaisir, smettila d’insistere, non voglio diventare maleducato.»

«Ok… scusami.»

Mi sentivo davvero a pezzi: era vero ciò che diceva Stè, prima o poi anche Lucien avrebbe dovuto scontrarsi con il carattere spigoloso di Sofi, ma vederlo così adirato, rendendomi conto di avergli rovinato la serata e probabilmente anche il suo rapporto con la mia amica, iniziò a farmi ricredere sui miei propositi di Cupido. Forse avrei dovuto lasciar fare al Destino il suo lavoro, mi ero intromessa troppo e avevo solo portato la situazione a peggiorare, rispetto a quanto avevo immaginato io.

Ammettendo che avessi avuto la giusta intuizione e che Sofi e Lucien fossero fatti l’uno per l’altra, con il mio comportamento avevo solo fatto sì che si allontanassero, avevo remato contro la mia volontà e avevo reso le cose ancora più difficili! Non avrei dovuto impicciarmi, aveva ragione Emile, avevo camminato su un campo minato ed era esploso ed ora non mi restava che raccoglierne i pezzi e fare le mie scuse alla mia amica.  Sì, sarei andata da lei per scusarmi il prima possibile e non mi sarei più impicciata della sua vita privata. Non potevo sfogare i miei sensi di colpa verso mia sorella su di lei, non potevo cercare di forzare la mano ad una situazione già precaria… Avrei dovuto interessarmi solo della mia vita, avrei imparato anche quella lezione una volta per tutte!

 

 

«Stè scendo anch’io qui, ma aspettami.»

 Quando Testa di Paglia si fermò davanti casa Castoldi, decisi di controllare se Emile fosse in casa: nello stato d’animo in cui ero, avevo bisogno di stare con lui, di sentire la sua presenza confortante accanto a me, così una volta arrivati fuori la sua abitazione, decisi di accertarmi che fosse rientrato.

«Controllo se Emile è in casa e ti faccio sapere se resto qui o se torno con te.»

«Ok Testarossa, ti aspetto qui.»

Non parlai a Lucien, del resto non era affatto dell’umore per farlo, tutte le energie da dedicare alla finta allegria, le aveva esaurite per la cena e a quell’ora probabilmente, voleva solo chiudere quella serata con una bella dormita. Salimmo le scale insieme ma in cupo silenzio, finché arrivati sul pianerottolo, svoltò a sinistra, verso l’unica stanza che non avevo ancora visto di quella casa e mi diede la buonanotte. Andai subito in camera di Emile per controllare che fosse lì e mi bastò aprire lievemente la porta per vedere la sua sagoma addormentata. Sentii un improvviso calore nel petto nel vederlo e mi precipitai a dare la buonanotte al mio amico, ansiosa di raggiungere il mio amato Pel di Carota. Testa di Paglia era rimasto in auto e si stava intrattenendo con i suoi mp3, poiché lo vidi andare a tempo con la testa… Almeno prima  che quella stessa testa si mosse per sbadigliare alla grande.

«Sicuro di farcela ad arrivare a casa? Sembri sul punto di crollare!»

«Ma no, stai tranquilla! Quando guido mi concentro, è l’immobilità a farmi venir sonno.»

Su quello aveva ragione: da quando lo conoscevo, Testa di Paglia era sempre stato una persona attiva e facile ad annoiarsi se costretto all’immobilità; di sicuro quei pochi minuti in auto, gli erano pesati più di qualche chilometro da percorrere, guidando.

«Resto qui Stè, Emile è in camera sua  e non ho voglia di tornare a casa mia, stasera.»

«Sei troppo giù di morale per questa faccenda, sicura che non ci sia qualcosa sotto?»

«Ma no, cosa vuoi che ci sia? Mi dispiace che Lucien e Sofi abbiano litigato, ecco tutto… e non mi spiego come quei due siano potuti arrivare a non rivolgersi la parola.» Il che non era così tanto lontano dalla realtà, per cui nonostante mentirgli continuasse a darmi fastidio, non sentii  su di me il peso di quella frottola.

«Uhm… tu non me la conti giusta, Pasi! Io non mi stupisco più di tanto, perché Sofia sarebbe capace di far imbestialire anche Buddha e questa tua preoccupazione mi sembra del tutto eccessiva. Vabbè, tanto se non vuoi parlarmene, non lo farai di certo sotto mia insistenza.  Allora, ci salutiamo qui?»

«Sì… buonanotte Testa di Paglia, grazie del passaggio.»

«Figurati! Buonanotte Testarossa, dormi bene. Salutami Emile.»

 Con un sorriso sereno come solo lui poteva avere, Stè andò via dopo avermi detto quella frase che riuscì ad incupirmi più della mia panzana. Quel suo “Salutami Emile”, era stato detto in modo del tutto sereno, ma c’era sul suo sorriso una piccola nota di tristezza. Forse era stato il mio umore tetro a farmi notare qualcosa che in realtà non c’era, ma pensare alla gentilezza del mio amico e  al fatto che da quella sera a casa mia, lui ed Emile non si erano più visti, mi riempì il cuore di tristezza. Il mio Pel di Carota mi aveva detto che non avrebbe più reagito in quel modo nei confronti di Stè, ma era anche vero che ancora non avevano avuto modo di relazionarsi e temevo che nonostante fosse davvero sommerso d’impegni,  Emile evitasse di proposito il confronto con Testa di Paglia, per non mettermi nuovamente in imbarazzo: sarei mai riuscita a vedere quei due andare d’accordo?

Con quei pensieri cupi, rinchiusi la porta di casa alle spalle e salii al piano superiore.  Dopo essermi data una rinfrescata in bagno, entrai in camera di Emile: era ancora immerso nel sonno e non aveva dato segni di avermi sentito entrare. Silenziosamente e con calma, mi avvicinai a lui e rimasi ad osservare il suo viso rilassato che riposava. Il solo guardarlo mi commuoveva, ogni volta che i miei occhi si posavano su di lui, mi sentivo serena e tranquilla, come se avessi potuto affrontare con forza tutte le tragedie di questo mondo, solo per il fatto che lui fosse accanto a me e ancora una volta mi sentii completa e in pace sentendo la solidità della sua presenza. M’infilai nel letto con cautela e l’abbracciai, sentendomi immediatamente protetta e serena.  Il calore del suo corpo e la familiarità del suo odore furono la mia ricarica: l’indomani avrei trovato sicuramente la forza, di affrontare le conseguenze del mio operato e di andare a trovare Sofia, per scusarmi con lei.

 

*****

 

«Buongiorno, moglie!» 

Quando aprii gli occhi quel mattino, vidi nuovamente il volto di Emile che mi sorrideva divertito e ancora semincosciente m’illuminai in un sorriso felice alla visione del suo volto. Ma quando il mio cervello si fu liberato dall’ottenebramento del sonno, riuscii a scorgere su quel viso che tanto amavo anche una sfumatura perplessa e solo allora mi resi conto che la notte precedente, gli ero piombata nel letto senza che lui ne sapesse il motivo.

«‘Giorno… visto che sorpresa?» gli dissi con un tono tra l’ironico e l’imbarazzato.

«Una bellissima sorpresa… anche se quando ho aperto gli occhi e ti ho vista, ho iniziato a pensare che ci fossimo sposati e che non lo ricordassi più…» a quelle parole persi tutta l’ironia per far spazio all’imbarazzo: ancora una volta ero stata invadente…

«Scusami, lo so che se avessi voluto la mia presenza, saresti venuto a casa mia, ma ieri sera avevo bisogno di stare con te e…»

«Ehi, ehi, Pasi calmati, non ho detto che non sia felice di vederti qui, stavo scherzando, era una battuta.» Abbassai il viso afflitta: ero ancora troppo giù di morale per comprendere le sue battute, quella faccenda di Sofia e Lucien mi stava pesando davvero tanto sulla coscienza…

«Cosa c’è, streghetta? Cos’è accaduto per farti stare così  giù di morale? Hai visto i tuoi genitori?» Emile mi fece una carezza sul viso per incoraggiarmi dolcemente a parlare ed io confortata da quel gesto tenero e pieno di calore, liberai tutte le mie preoccupazioni con lui, proprio come avrei voluto fare la sera precedente, se fosse stato sveglio.

«Ho combinato un disastro, Emile!» Mi rifugiai nel suo abbraccio mentre gli spiegai lo svolgersi degli ultimi avvenimenti e di quanto mi sentissi in colpa per aver forzato Sofia e Lucien a stare vicini.

«Uhm, immaginavo che sarebbe accaduto, la piccoletta è un osso duro… ma secondo me stai prendendo troppo drammaticamente la cosa: se quei due litigano non è certo colpa tua, non c’eri tu a innescare la lite, hanno fatto tutto da soli.»

«Ma se io non li avessi forzati a vedersi e a sedersi uno accanto all’altra, forse non sarebbe capitato, forse non sarebbero arrivati ai ferri corti, come invece è accaduto!»

«Pasi, è solo un litigio! Quante volte abbiamo discusso anche io e te? Non mi sembra che siamo arrivati ad ignorarci definitivamente…» ero ancora abbracciata al mio Pel di Carota che, vedendomi particolarmente turbata, iniziò ad accarezzarmi i capelli, in un gesto confortante e protettivo.

«Ho paura che Sofi non mi voglia più come amica, Emile! Ho paura che sia talmente arrabbiata con me per la mia intromissione nella sua vita, da non volermi più tra i piedi… So che non è una persona facile e probabilmente ti starai chiedendo anche cosa ci trovi d’interessante, ma io le voglio bene e non sopporterei di essere allontanata anche da lei, voglio vivere in pace con i miei amici!»

«Allora l’unica cosa che puoi fare è parlarle, dirle tutto a cuore aperto e vedere come reagisce. Se resti ancora così, con la paura di affrontare la realtà, ti fai solo del male. Va da lei il prima possibile e parlale chiaro, da amica. Se non capirà, allora probabilmente non avrà davvero compreso chi sei e si sarà rivelata un’amica molto superficiale.»

«Ma sono io in torto! Sono stata io ad  insinuarmi nella sua vita privata!»

«Lo so, ma credo che una persona che ti è amica, sia anche propensa ad ascoltarti e comprendere le tue ragioni… In fondo non le hai causato alcun problema grave, ha solo litigato con una persona e ho l’impressione che sia abituata a farlo!»

«Sì, ma…»

«Streghetta, tu sei un’adorabile rompiscatole: non ti fai mai gli affari tuoi e speri sempre di salvare gli altri da se stessi, ma lo fai perché hai buon cuore e nonostante ti si dica di smettere, tu continui imperterrita convinta della causa che hai abbracciato. E questa caratteristica fa di te una persona meravigliosa. Se ho imparato ad amare queste tue doti, io che ti conosco da poco, non credo che la tua amica ti metta alla porta per una scemenza simile.»

«Lo spero tanto, Emile…»

«Coraggio, andiamo a fare colazione così ti ricarichi e potrai affrontare Sofia con tutte le energie pronte.»

 

 

*****

 

«Nemmeno questa volta hai portato i ricambi?!»

«Ehm…no… non era previsto che venissi qui, ieri notte…»

«Bambina sei davvero cocciuta, come devo fare con te?»

«Ma non è la fine del mondo! Torno a casa e mi cambio.»

«Sei proprio senza speranze!»

Quando scendemmo a fare colazione, Alberto ebbe poco tempo per rimproverarmi, poiché doveva scappare a lavoro e il collega era già fuori la porta ad attenderlo. Per questo motivo non mi travolse con la sua ramanzina e non si soffermò a parlare con me come sempre bensì,  dando un bacio a me e una scrollata tra i capelli ad Emile, fuggì diretto alla sua giornata di lavoro.

«Certo che con questo calore, lavorare su un cantiere non dev’essere affatto facile.»

«Io lo odio!»

Sentendo quell’esclamazione, mi girai stupita in direzione di Emile: «Cosa?»

«Odio il fatto che debba buttare il suo talento in un cantiere edile, che potrebbe anche rovinargli le mani per sempre. Se solo fossi in grado di sostenere tutte le spese, l’obbligherei a dire addio a quel lavoro che non gli rende giustizia.»

Emile aveva i pugni serrati e lo sguardo di fuoco: era palese il senso di rabbia e impotenza che provava davanti al fatto di non poter fare qualcosa per migliorare la vita di suo padre e dopo aver visto Alberto dipingere, non potei che essere d’accordo con il desiderio del mio Pel di Carota. Cercando un modo per dargli conforto, gli presi la mano incoraggiante:

«È solo questione di tempo. Appena avrai il successo che meriti, potrai realizzare il tuo desiderio e lasciare che Alberto si occupi solo della sua arte.»

«È per questo che quest’album dev’essere perfetto! Deve vendere assolutamente! Ogni giorno che passa è sempre più intollerante per me, vedere mio padre che butta la sua vita in quel modo.»

«Avrà successo; ci stai mettendo l’anima nella realizzazione di quest’album e sono sicura che il pubblico percepirà tutto il lavoro che c’è dietro.» 

Emile mi guardò per qualche secondo e mi diede un bacio sulla fronte,  prima di cambiare del tutto argomento.

«Sbrighiamoci a far colazione, sennò farò tardi.»

 

 

Lucien non scese a farci compagnia; del resto non aveva un lavoro ad attenderlo e poteva permettersi di dormire fino a tardi, ma mi chiesi se fosse ancora giù di morale per la sera precedente. Mi sentivo terribilmente in colpa anche con lui e avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto fargli capire quanto fossi dispiaciuta di aver forzato la mano tra lui e Sofi…

Tuttavia mi resi conto che dicendogli ciò che avevo nella mente, avrei rivelato cose riguardanti la mia amica che forse lei non gli aveva detto e prima di fare qualcosa che di sicuro avrebbe messo chilometri di distanza tra me e Sofi, decisi di concentrare le mie scuse solo nei confronti di quest’ultima.

 

 

*****

 

Non appena giunsi davanti casa Gardini, la paura iniziò ad attanagliarmi: e se quella fosse stata l’ultima volta che avrei messo piede in quel luogo? Se Sofi non avesse voluto nemmeno parlarmi? Ero ad un metro dalla porta di casa sua e non riuscivo a percorrere quel breve spazio tra me e la verità, la paura mi stava immobilizzando del tutto. Ma Emile aveva ragione: non avrei potuto vivere a lungo evitando la realtà, era meglio affrontarla immediatamente e pagare le conseguenze del mio agire istintivo e imponderato. Feci un sospiro enorme e raccogliendo a me tutte le energie che avevo, mi diedi coraggio e bussai al citofono.

 

Quando aprì la porta di casa sua, Sofi mi accolse con un viso stanco e assonnato: probabilmente non aveva dormito bene e quella constatazione aumentò terribilmente il mio senso di colpa, al punto che non riuscii a dirle chiaramente quale fosse il motivo della mia visita.

«Ciao Sofi… mi sono ricordata che avevi ancora i miei vestiti e sono venuta a prenderli…» era una scusa ben poco credibile e sicuramente si leggeva la verità sul mio volto, ma non riuscii ad essere diretta con lei… Cosa che invece non mancò di fare la mia amica.

«Risparmiami le frottole, Pasi, so benissimo per quale motivo sei qui e non ho alcuna intenzione di risponderti!»

Come immaginavo, le mie paure stavano prendendo sempre più forma: Sofi era arrabbiata con me e probabilmente non avrebbe tollerato un minuto di più la mia presenza. Mi sentii del tutto scoraggiata e priva di speranze così, senza più nasconderle il mio stato d’animo, le chiesi mesta: «Posso avere i vestiti almeno?»

A quel punto non credevo più di avere una possibilità di vederla e mi preparai a darle il mio ultimo saluto da amica. Sofi però non reagì con irritazione come credevo, ma diede un sospiro e mi fece cenno di entrare. Tuttavia mi mancò il coraggio di seguirla mentre prendeva i miei vestiti e rimasi ferma sull’uscio della porta ad attenderla.

«Guarda che non ti ho messo alla porta, ti ho solo detto che non voglio parlare di ieri con te.»

Non ce la facevo più a reggere quella tensione e mentre la mia amica (se ancora lo era) si avvicinava, vuotai il sacco, lasciando scorrere i miei pensieri e il mio senso di colpa a ruota libera: «Sofi, io… volevo chiederti scusa… Lo so che ho esagerato, lo so che non sono una buona amica, che sono invadente, che non ho rispettato la tua volontà, ma credimi non l’ho fatto con cattiveria, non avevo alcuna intenzione di…»

«Ok, ora calmati Pasi, fermati!»  m’interruppe all’improvviso e le parole morirono sulle mie labbra. «Come ho detto prima, non ti sto mettendo alla porta… non sono arrabbiata con te fino a questo punto!»

Non mi stava mettendo alla porta… Allora dopotutto, non la stavo perdendo!

Anche se non potevo nemmeno dire che fosse felice di vedermi…

«Però sei arrabbiata con me…»

«Certo che sono arrabbiata, ma non per ciò che è accaduto ieri sera, non c’è motivo per cui debba prendermela con te, se litigo con qualcuno… e se devo dirla tutta la stai prendendo un po’ troppo tragicamente.»

Iniziavo a non capire: era arrabbiata con me per tutto il macello che avevo fatto, ma pensava che la stessi facendo tragica! Eppure avevo visto bene il modo in cui lei e Lucien si erano ignorati tutta la sera precedente e avevo visto quanta elettricità ci fosse tra loro… Come faceva a dire che stavo vedendo la cosa in modo troppo drammatico?  

«Ma Lucien…»

«Ma Lucien cosa, Pasi? È stato un semplice litigio, quante volte litighiamo anche io te? Non c’è nulla da dire al riguardo!»

Le stesse parole che mi aveva detto Stè… eppure non riuscivo a credere che fosse tutto così semplice… era mai possibile che sia io che Rita avessimo preso un granchio di proporzioni immani, perché Sofi non era minimamente interessata a Lucien?  

«Però sei arrabbiata con me perché ho cercato di spingerti vicino a lui.»

«Sì,  perché la mia vita privata deve restare tale, non voglio alcuna intrusione da parte di anima viva! E per fortuna quella situazione è terminata prima ancora che potessi dirti qualcosa.»

A quelle parole, iniziò a girarmi per la testa uno strano sospetto: «Sofi… non avrai litigato con Lucien solo per far smettere me!?»

«Cosa? Ma… NO! Certo che no! Cosa diavolo vai farneticando?»

«Il fatto è che proprio non capisco! Lucien è la persona più tranquilla che conosco e per farlo arrabbiare in quel modo, non riesco proprio ad immaginare cosa possa essere accaduto… Ha provato a baciarti e ti sei girata male verso di lui?»

«Eh? Ma no!»

Sofi mi diede le spalle all’improvviso turbata da quella domanda: avevo buttato a caso quella teoria stralunata per cercare di capire cosa fosse accaduto davvero, ormai la curiosità mi stava mangiando e non riuscivo proprio a capire cosa diamine fosse accaduto tra quei due, per farli reagire in quel modo… Ammettendo che non ci fosse stata alcuna connessione sentimentale, cosa che quel suo atteggiamento non confermava affatto…

«Ora smettila per favore, non è un argomento su cui voglio discutere, ok? Non sono cose che ti riguardino, sei venuta qui per sapere se fossi arrabbiata con te e ti ho detto che non lo sono, o meglio non al punto da metterti alla porta,  ora dovresti essere tranquilla!»

… Sofi però non era intenzionata a parlarne e dato che non volevo più giocare col fuoco e mi ero ripromessa di rispettare la sua privacy e di non intromettermi più nelle vite altrui, decisi di smettere di fare domande.

«Ho capito… ok Sofi, non ne parlerò più… scusami ancora.»

Ero ancora sull’uscio e non riuscivo a trovare la forza di avanzare in quella casa: nonostante Sofia mi avesse assicurato che non aveva intenzione di allontanarmi dalla sua vita, mi sentivo in torto marcio e troppo colpevole, per osare muovermi con disinvoltura in quell’abitazione, come un’ospite desiderata.

Ma mentre ero intenta nel mio personale Mea Culpa, Sofi mi stupì con una domanda che non mi sarei mai aspettata: «Pasi… tu credi che sia una persona sgradevole?»

Ero io quella che pensava di essere invadente ed ora lei se ne usciva con una frase del genere?!  

«Sgradevole? No, assolutamente, Sofi! Sei un tantinello acida e aggressiva, ma non sei affatto sgradevole e poi sai tantissime cose, ogni volta che sei con noi imparo qualcosa: non sai quante volte i tuoi esercizi di respirazione hanno aiutato anche me!»

«Già…. Sono una biblioteca vivente, vero?»

Solo allora mi resi conto di quanto la mia amica fosse strana quella mattina: aveva il solito tono acido nel rispondere, ma c’era in lei una cupezza insolita ed una malinconia nello sguardo, che non le avevo mai visto. Qualsiasi cosa fosse accaduta la sera precedente, doveva averle lasciato un umore davvero tetro addosso.

«Sofi… ecco, probabilmente ora sarò di nuovo la solita invadente, ma… sei giù di morale, vero? Non ti chiederò il motivo, però se posso fare qualcosa per te,  se vuoi confidarti o se solo vuoi svagare un po’ la testa… io sono qui.»

 Non volevo più parlare di Lucien, ma se in qualche modo, potevo dimostrarmi una vera amica nei suoi confronti, avrei tentato immediatamente di dimostrarle che non ero solo una stupida impicciona e che il mio affetto nei suoi confronti era autentico.

Sofi tornò a guardarmi negli occhi, prima di rispondermi: «Grazie Pasi ma sto bene, sono solo assonnata, ho dormito troppo oggi ed ora mi sento più stanca del solito.»

Ok, mi aveva lasciato nel giro delle sue amicizie, ma con quella frase era stata chiara, non dovevo più impicciarmi.

«Ah, ho capito… beh, allora vado via, scusami se ti ho infastidito.»

Girai le spalle rassegnata e mi diressi verso la porta, comprendendo che la mia presenza in quella casa non era più gradita, ma quando stavo per aprire la porta, Sofi mi stupì per la seconda volta nel giro di pochi minuti: «In realtà c’è qualcosa che mi ha innervosito: ho sognato mia madre.»

«Ah!»

Forse non era tutto perso: se Sofia aveva deciso finalmente di aprirsi a me su sua madre, probabilmente avevo ancora qualche speranza di esserle davvero amica!

«Non capitava da anni e non mi è piaciuto affatto.»

Mi sentii sollevata all’improvviso e tornai a respirare a pieni polmoni, libera da quella sensazione di soffocamento che mi stava intrappolando la gola. Per la prima volta da quando avevo bussato alla sua porta, riuscii a parlarle in tono sereno e naturale.

«Non sai quanto ti capisco, Sofi! Ogni volta che penso ai miei genitori ci sto male, ho anche visto mia madre qualche giorno fa e ho capito che forse hai ragione tu: se una persona ti allontana, probabilmente è perché non vuole più avere contatti con te, non vuole capirti e non vale più la pena di cercarla… Devo farmene una ragione.»

«Beh, io e mia madre di certo non abbiamo qualcosa da dirci, ma nel tuo caso è diverso: non posso di certo spingerti ad andarle incontro, ma  lei non ti ha abbandonato infischiandosene di te… Vuoi un po’ di caffè freddo?»

Finalmente mi spostai da quell’uscio dove avevo messo radici e con uno stato d’animo del tutto diverso da quello che avevo solo pochi minuti prima, seguii Sofi in cucina, dove ci accomodammo a parlare tranquillamente, mentre ci preparava una bella tazzina di corroborante caffè freddo.

Trascorremmo tutta la mattinata a chiacchierare e ritrovai finalmente la gioia di parlare con quella mia ispida amica, dalla corazza dura ma dal cuore generoso. Osservai il lavoro che aveva fatto sui miei abiti: con la colorazione erano diventati di un unico colore e le macchie che mi aveva lasciato Alberto erano state assorbite dal blu scuro, che aveva salvato in una volta sola il mio completo. Mi brillarono gli occhi dalla felicità, quante cose avrei dovuto imparare da Sofi! Se fosse stato per me, quei vestiti avrebbero fatto un triste viaggio nella pattumiera, invece lei aveva mille risorse casalinghe che io ignoravo del tutto e dato che ormai vivevo da sola, avrei fatto meglio a imparare tutti i trucchetti da brava massaia, che la mia amica sembrava conoscere a menadito, essendosi occupata della casa in cui viveva praticamente da sempre!

Felice per la salvezza dei miei abiti e ancor di più per quella della mia amicizia con Sofi, mi sentii finalmente serena e rilassata: rimasi a pranzo da lei e ci facemmo compagnia finché non giunse per me l’ora di andare a lavoro; lavoro che quel giorno fu molto più piacevole del solito.

 

 

*****

 

Con Sofi avevo risolto, ma con l’altra parte della mela, proprio non sapevo come comportarmi. Qualche giorno dopo la visita a casa della mia amica, io, Stè e Lucien ci vedemmo per una nuova lezione di francese: il cugino di Emile sembrava essere del suo umore abituale e ci richiamò all’ordine come sempre, tutte le volte che sbagliavamo; con la solita pazienza, senza dare segni d’insofferenza. Ma quando Testa di Paglia nominò Sofi, chiedendogli se gli avesse risposto in merito al farci da insegnante, l’espressione di Lucien s’indurì in un batter d’occhio  e ci rispose con tono glaciale, che avremmo dovuto chiedere direttamente all’interessata. Quei due non dovevano aver fatto passi avanti, anzi probabilmente non avevano mosso nemmeno un dito per venirsi incontro!

Mi ero ripromessa che non avrei più interferito e quindi non chiesi altro, ne cercai di carpire informazioni, però vedere Lucien in quello stato mi stringeva il cuore: era una persona così socievole e cordiale e quello sguardo gelido non si addiceva al suo volto sempre sereno, temevo che stesse soffrendo anche lui per quella situazione... Ero combattuta, tra il mio desiderio di aiutarlo e il monito fatto a me stessa di non impicciarmi, così feci finta di niente ma ribollendo d’ansia dentro di me.

Ansia che esplose nel momento in cui, appena usciti da casa di Stè,  Lucien mi diede i testi tradotti delle canzoni di Claudine.

Ero così felice che avesse trovato il tempo di farmi quel dono che l’abbracciai senza pensarci due volte, così come le parole mi uscirono di bocca, senza essere prima filtrate dal cervello.

«Oh Lucien grazie! Con il brutto momento che stai attraversando, hai avuto la gentilezza di tradurmi le canzoni di tua zia, sei un amore!»

Il cugino di Emile si stava abituando ai miei abbracci impetuosi e sorrise sulle prime, ma una volta sentite tutte le mie parole, il suo tonò risultò alquanto dubbioso: «Brutto momento? Quale brutto momento?»

«Ehm… ecco… Scusa, lo so che non devo impicciarmi e che la tua vita privata non deve assolutamente interessarmi…»

«Pasi… a quale brutto momento ti riferisci?»

Mi allontanò da sé per guardarmi negli occhi e colpita dall’intensità di quello sguardo, chinai la testa e mi accomodai su un muretto poco distante, feci un gran sospiro e vuotai il sacco:  «Mi riferisco al tuo litigio con Sofi… lo so che non vuoi parlarne ed io non voglio chiederti qualcosa al riguardo… però vedo che ci stai male e mi dispiace, perché ne risento anche io quando due persone a cui tengo litigano tra loro… è come se litigasse anche un pezzo di me.»

 Lucien s’irrigidì nel sentire il nome della mia amica, ma quando terminai di parlare dette in un sospiro e si accomodò accanto a me.

«Pasi tu es une fille très  gentille, ma non devi accollarti tutti i problemi degli altri. C’est vrai che non sono felice di aver litigato avec Sophie, ma è una cosa tra me e lei e tu non devi sentirti presa in causa, ne tantomeno essere triste. Sono cose che capitano.»

«Ma ci stai male!»

«Oui, parce que non mi piace litigare, ma non è qualcosa d’irrimediabile… sono solo arrabbiato, ma mi passerà.»

«Mi dispiace tanto!» Chinai la testa sconfitta, ricolma del senso di colpa che mi aveva schiacciato in presenza di Sofia e che tornò a fare capolino davanti alle parole di Lucien.

«Non è colpa tua, di che ti dispiaci? Non tutte le persone riescono a comprendersi e si finisce col litigare, non è niente di strano.»

«Ma io non lo sopporto! Non ce la faccio a vedere che litigate e che non parlate, non ce la faccio a pensare che quando ci riuniremo la prossima volta, v’ignorerete di nuovo come se non vi conosceste! Non voglio spaccature tra i miei amici!»

Quella parte meno nobile delle mie ragioni aveva finalmente fatto capolino: non potendo dirgli il motivo per cui mi sentissi terribilmente in colpa, esternai l’altra motivazione che mi faceva star male, ogni volta che pensavo a quei due che non si rivolgevano più la parola. Temevo di percepire di nuovo l’atmosfera tesa, temevo di vedere i loro volti che s’indurivano incontrandosi, temevo di respirare la stessa tensione che mi aveva fatto fuggire da casa mia. Non doveva capitare anche nel mio gruppo d’amici! Era già accaduto con la discussione sul comportamento di Emile ed ora si ripeteva questo clima di tensione, che non mi faceva dormire tranquilla: era mai possibile che non potessi vivere in pace e armonia all’interno di un gruppo di persone a me care?

«Mi dispiace che ci stai male in questo modo e devo dire che ti capisco in pieno: nemmeno io amo i litigi, soprattutto all’interno de ma famille, proprio per questo sono venuto qui, per riunire ciò che era stato diviso par ma mère… Però ci sono volte in cui bisogna tenere alto l’orgoglio Pasi… spero che tu possa comprendermi.»

Tenere alto l’orgoglio… già, Lucien era una persona che metteva spesso da parte l’amor proprio con Emile: si era fatto dire le cose peggiori da suo cugino senza battere ciglio e probabilmente tutti noi avevamo sottovalutato il fatto che anche lui avesse un orgoglio personale… E di sicuro Sofi non ci andava leggera, quando iniziava ad inveire contro una persona! Iniziai a comprendere quale potesse essere stato il motivo del litigio, ma non feci domande inopportune, rispettando la sua privacy e la sua volontà di tenersi per sé ciò che era accaduto tra lui e Sofi.

«Non credo di capire tutto, ma sull’orgoglio ti capisco e ti prometto che non tirerò più fuori quest’argomento, se non sarai  tu a volerlo.» Feci uno dei miei sorrisi più veri per rassicurare Lucien sulla mia sincerità.

«Bien, sono contento che tu abbia capito.» Mi sorrise di rimando e tornammo ad incamminarci.

 

*****

 

La musica è l’unica forma di comunicazione davvero universale. L’essere umano cambia modo di porsi, cambia gesti, usi e costumi a seconda del luogo in cui cresce e un gesto che in un luogo indica gentilezza, in un altro potrebbe significare odio o maleducazione.

La musica no.

La musica non la si può fraintendere, perché parla direttamente all’anima, fa vibrare le nostre corde e ci parla senza mistificazioni, senza incomprensioni… Riesce a farsi comprendere nell’intero universo di cui siamo parte.

Ecco perché le canzoni di Claudine mi sono entrate subito nel cuore: pur non conoscendone i testi, la loro melodia e il suono dolce e leggiadro della sua voce, mi arrivavano direttamente al centro del petto senza bisogno di essere interpretate.

Fu quindi una piacevole sorpresa, scoprire che quei testi non facevano altro che rinforzare la sensazione che ogni singola canzone mi aveva donato, quando le ascoltavo senza comprenderle. Lucien era stato attento a spiegarmi ogni licenza poetica contenuta nei testi, descrivendomi anche il significato di eventuali frasi fatte che in Francia avevano un significato particolare. Grazie alla precisione che lo contraddistingueva, attraverso quei testi capii molto dell’anima di Claudine ma anche qualcosa in più del modo di vivere dei francesi. In quelle canzoni c’era sempre un velo di malinconia: persino quando si trattava di amore felicemente vissuto, la voce della madre di Emile dava delle intonazioni malinconiche al brano e alcune di quelle canzoni mi commossero profondamente.

Claudine era davvero brava.

Lo stroncamento della sua carriera era stato una ferita che aveva colpito profondamente lei, ma aveva anche privato noi pubblico di una voce meravigliosa e di una lyricist davvero poetica e commovente. Immersa nella commozione, piansi le ennesime lacrime per la sua perdita, per la sua vita distrutta, per il dolore che aveva accompagnato lei e la sua famiglia negli ultimi anni.

Avrei fatto il possibile per sostenere Emile nella sua lotta.

Claudine meritava di essere conosciuta, meritava di ricevere il successo che le era stato negato. Compresi ancora di più la rabbia che il mio Pel di Carota si portava dentro e ricordando la sensazione di furiosa impotenza, provata vedendo Claudio nella casa discografica, mi resi conto che più m’immergevo nella vita del mio ragazzo, maggiormente comprendevo tutto ciò che lo spingeva a vivere ed andare avanti.

 

*****

 

Gl’incontri che facciamo, le esperienze che viviamo, non sono altro che allenamenti continui per far crescere il nostro animo, non sono altro che continui esercizi alla scoperta di se stessi e degli altri e ogni avvenimento apparentemente casuale, accade per darci un insegnamento che prima o poi capiremo.

E solo col senno di poi riusciamo a vedere la perfetta concatenazione degli eventi a cui partecipiamo.

Questa piccola grande verità, la compresi qualche sera dopo Ferragosto: non avevo preso le ferie e quindi avevo lavorato anche in quella settimana, poiché il fast food che mi consentiva di vivere, aveva deciso di restare aperto persino durante la metà di Agosto.

Furono giorni di fuoco: tutta la città aveva chiuso i battenti e i pochi che ancora non erano in vacanza, si riversarono tutti in quel locale, con il risultato che quella cucina diventò davvero l’antro dell’inferno, per me! Stella era in vacanza e Paolo si presentava a giorni alterni: era impossibile gestire tutto da sola e qualche volta mi trovai ad essere aiutata da Serena che, come me, non era ancora andata a godersi le meritate ferie.

«Mamma mia che caldo qui, non possiamo aprire la porta, Pasi? Sto sudando!»

«No, non possiamo, saremmo a vista di tutti e inoltre potrebbe entrare la polvere dell’esterno… dobbiamo sopportare.»

«Ma mi si scioglie il trucco, così!»

«E allora non truccarti!»

«Impossibile! Io devo essere sempre impeccabile, non ho mica la fortuna di avere un ragazzo che mi ama anche se sono sfatta, come te!»

«Molte grazie Serena, sei davvero gentile!»

«È la verità Pasi, se ti truccassi un po’, saresti di certo più carina e…»

«Serena IO STO LAVORANDO! Non ho bisogno di truccarmi e non ho bisogno di essere carina per la carne che cucino!»

«Mamma mia, quanto sei acida! Io lo dico per te sai, bisogna essere sempre belle e interessanti per il proprio uomo, altrimenti si stancherà di averti accanto!»

«Non so che gente frequenti tu, ma di certo Emile non è così superficiale!»

«Mah… intanto io questo Emile devo ancora vederlo… stasera resterò fino alla fine, voglio conoscerlo!»

«Ti vuoi concentrare un secondo, per favore? Abbiamo una montagna di ordinazioni!»

«Sì, sì, d’accordo… mamma mia cercavo di rendere l’ambiente un po’ più piacevole, come sei pesante!»

La mia collega era irritante come sempre e parlava tantissimo, mentre io cercavo di concentrarmi con le ordinazioni: le ore trascorse esclusivamente in sua compagnia sembravano davvero eterne! Tuttavia dovevo ammettere che Serena era una buona lavoratrice, seguiva diligentemente le mie direttive e dopo due giorni, divenne una presenza indispensabile per la mia sanità mentale.

Ma ciò che mi aveva detto era vero: nonostante il suo aiuto, a fine serata ero ridotta come uno straccio vecchio e avevo a mala pena la forza di tornare a casa. Per questo motivo, Emile venne a prendermi ogni notte a lavoro, accogliendomi ogni volta con il suo sorriso e i suoi corroboranti abbracci… e Serena che andava via sempre prima di me, era diventata un ammasso di curiosità al pensiero che il “fantomatico Emile”, come aveva iniziato a chiamarlo su suggerimento di Paolo, fosse dietro l’angolo e puntualmente non riuscisse a vederlo. Così quella sera decise che avrebbe allietato le mie ore di lavoro fino alla fine, pur di riuscire a vedere questo personaggio mitologico!

Quando finalmente giunse l’ora di chiudere, prima di dare una spazzata alla cucina, feci uno squillo al mio Pel di Carota per avvisarlo che poteva venire a prendermi e Serena saltò dalla gioia.

«Oh, che meraviglia! Finalmente, finalmente!»

Quella sua manifestazione di allegria mi sembrò fin troppo entusiastica e le rivolsi uno sguardo in tralice privo di benevolenza:  «Mi spieghi in che modo cambierà la tua vita, conoscere il mio ragazzo?» calcai volutamente il suono della parola mio: a buon intenditor poche parole!

«Oh, Pasi, non dirmi che sei gelosa! Come potrebbe il tuo Emile, interessarsi ad una sciacquetta bionda come me?»

Ahia, doveva avermi sentito durante una delle volte in cui la criticavo, insieme a Stella… Improvvisamente iniziai a sentirmi un verme: nonostante sapesse cosa pensavo di lei, Serena non si era mai comportata male nei miei confronti; era irritante e pungente, ma non mi aveva mai mancato di rispetto, né come persona né come collega… Avrei dovuto tenere a bada quell’acidità tipicamente femminile nei suoi confronti, anche se non avrei mai dovuto abbassare la guardia, soprattutto quando si parlava di Emile!

«Non capisco perché tu sia così interessata a lui.»

«Perché lo nomini sempre e sono mesi ormai che lo conosciamo attraverso ciò che ci racconti. Sono curiosa di vederlo in faccia, così almeno avrò un viso a cui associare quello che ci dici sul suo conto.»

«Uhm… ok, questo te lo concedo, ma sta’ attenta a come spargi i tuoi ormoni, perché io sarò lì a controllarti! Guai a te se ti prendi troppe libertà!»

Serena fece un sorrisino prima di parlare:  «Mi lusinga che ti senta minacciata da me, dopotutto allora è vero che chi disprezza vuol comprare.»

«COSA?»

Prima che potessi aggredirla con la scopa, uscì dalla cucina per andare a ripulire i tavoli e darmi il tempo di sbollire la furia che mi aveva travolto. Quella ragazza riusciva sempre a confondermi: aveva un lato sincero e gentile che puntualmente mi faceva pensare di essere crudele con lei, ma nel momento stesso in cui cercavo di rabbonirmi,  se ne usciva con qualche frase che m’irritava a morte!

Quando terminammo tutte le pulizie e finalmente chiudemmo tutte le saracinesche, scorsi nel parcheggio la sagoma del mio principe, in attesa all’esterno dell’auto: immediatamente m’illuminai in un sorriso e non feci in tempo a girarmi per salutare i miei colleghi, che Serena mi si avvicinò lesta:

«È lui, vero? Sì, sì, è lui!»

La guardai in tralice, irritata e mezza assordata dalle sue grida, che mi avevano trapanato un orecchio.

«Sì, è lui… Serena, sai come tornare a casa?» Iniziò a salirmi un orrendo sospetto e prima di ritrovarmi a fare da tassista alla mia collega, volevo accertarmi che ci fosse un’alternativa, mentre eravamo ancora con gli altri.

«Ma certo, non preoccuparti, Matteo mi dà uno strappo a casa.»

Matteo era il gestore del fast food: evidentemente si era mosso a compassione, dato che eravamo in pochi a lavorare eroicamente in quel periodo e si era offerto di riaccompagnare Serena a casa… Oppure le grazie della mia collega avevano parlato per lei… Qualunque fosse stata la ragione, tirai un sospiro di sollievo al pensiero che quell’incontro tra Serena ed Emile non sarebbe durato che qualche secondo.

«Ok, allora vieni con me e togliamoci questo dente!»

«Sìììì!!!»

Soddisfatta come non mai, Serena mi prese sottobraccio, mentre coprivamo la distanza tra noi e il mio Pel di Carota e giunti finalmente a destinazione, ebbi solo il tempo di osservarlo negli occhi, che Serena si presentò con la furia di un uragano.

«Quindi sei tu Emile! Oh, finalmente ti conosco! Io sono Serena, una collega di Pasi, lei non mi sopporta molto e credo che in fondo sia anche un po’ invidiosa di me, ma sai come siamo fatte noi donne, vero? Comunque sono davvero felice di conoscerti, Pasi ti nomina sempre e non vedevo l’ora di stringerti la mano! Posso stringerti la mano?»

Emile fu letteralmente  travolto dalle parole della mia collega e l’osservò sorpreso e anche un po’ perplesso… ma vidi sul suo viso una luce particolare, che non ero riuscita a notare in quei pochi secondi precedenti e compresi che doveva essere accaduto qualcosa… 

«Sì, sono Emile e non credevo di essere così famoso.» Continuò ad osservare Serena con curiosità, ma mentre tenne le sue mani saldamente infilate nelle tasche, vidi emergere un sorrisetto ironico sul suo viso: Serena lo stava divertendo?

«Oh sì che sei famoso! Non vedevo l’ora di conoscerti! Non vuoi darmi la mano? Guarda che non ho malattie, non ti trasmetto alcun virus, nonostante ciò che può averti detto Pasi.»

«EHI! Ma cosa vai…»

«In verità Pasi non mi ha mai parlato di te… Però hai ragione, è maleducato da parte mia non porgerti la mano, piacere di conoscerti, Serena» Le strinse la mano continuando a mantenere quel sorriso ironico sul volto e mi rabbuiai, al pensiero che trovasse divertente la compagnia della mia collega.

«Credo che Matteo ti stia chiamando!»

Serena si girò verso di me con una luce maliziosa negli occhi e un sorriso soddisfatto sul volto… 

«Certo, hai ragione, ora vado.» …si avvicinò a me e mi sussurrò ad un orecchio: «Non preoccuparti, potrei rubartelo quando voglio, ma te lo lascio.» e poi si girò verso Emile. «È stato un piacere, spero di rivederti presto!» Mandò un bacio volante in sua direzione, mi rivolse di nuovo quello sguardo malizioso e si allontanò cinguettando: «Sogni d’oro, Pasi!»

«Quella strega! Quella megera, come diavolo si permette?!»

Stavo per allungarmi in sua direzione, per darle un bel pugno sul viso, quando sentii Emile prendermi una mano.

«Lasciala stare, stai facendo il suo gioco, non vedi? Anche se mi piace vederti così gelosa.» Mi girai verso il mio Pel di Carota e vidi il suo volto più luminoso che mai: emanava luce, gioia, soddisfazione e mi guardava con una vivacità negli occhi che raramente gli avevo visto.

«Ti sei divertito a vedermi in difficoltà, vero? Brutto sadico che non sei altro!»

«Sì, devo dire che mi è piaciuto ciò che ho visto.» il suo sorriso aumentò diventando malizioso.

«Stai scherzando col fuoco, Pel di Carota! Fai solo un elogio a Serena e alle sue curve e ti cambio i connotati!»

Per tutta risposta Emile mi abbracciò e si mise a ridere: «Non m’importa un fico secco della tua amica e soprattutto non stasera.»

Ecco la conferma ai miei sospetti, era accaduto qualcosa.

«C’è qualche novità, vero?»

«Sì.»

«E cosa aspetti a dirmelo? Invece di parlare di quel…» Non feci in tempo a finire la frase, che mi ritrovai ad un’altezza vertiginosa: Emile mi sollevò da terra girando felice su noi stessi.

«Abbiamo il nuovo batterista, streghetta!»

Lo guardai in viso incredula: le sue iridi erano poco visibili alla luce notturna, ma quella luce febbrile che gli avevo visto poco prima, riluceva più viva che mai.

«Oh Mio Dio, Emile! Dimmelo di nuovo ti prego, dillo di nuovo!»

«Abbiamo trovato il nuovo batterista! Claudio sarà definitivamente fuori dai giochi!» 

Ecco a cosa erano serviti la gita alla casa discografica, l’osservare Alberto dipingere e ascoltare Claudine: quelle esperienze concatenate tra loro, mi avevano fatto immergere nel mondo di Emile, nella sua anima, nei suoi dolori e nelle sue speranze e quando mi diede quella notizia con la gioia negli occhi, ero pronta a comprendere la portata della sua felicità, cosa che avvenne quando sentii il mio cuore fare eco a quella gioia, con un’improvvisa esplosione di pura esultanza dentro di me.

«Oddio Emile! Oddio, che bello, quanto sono felice!»

Mi strinsi a lui così forte, che sentii il battito convulso del suo cuore fare cassa di risonanza col mio e in quel momento provai nuovamente la sensazione di essere diventata un tutt’uno con lui, di essere riuscita a comprenderlo al punto da sentirmi parte della sua essenza, parte della sua anima.

«Ora devi raccontarmi tutto!»

Solo pochi minuti prima ero distrutta dalla fatica e imbufalita con Serena, ma dopo quella notizia splendida, la felicità provata aveva rinnovato la scorta delle mie energie e risollevato il mio umore al punto da sentirmi così carica di adrenalina, che avrei potuto restare sveglia tutta la notte, ascoltando tutto ciò che il mio Pel di Carota aveva da raccontarmi su quella novità, che ci aveva donato una contentezza al di sopra di ogni altra.

«È assurdo se ci penso, perché avevamo la soluzione proprio sotto il naso e abbiamo atteso così tanto per trovarla!»

«Oh insomma, non tergiversare! Sto morendo dalla curiosità!»

Ci appoggiammo al cofano dell’auto, troppo presi da quella notizia per attendere persino di entrare nell’abitacolo, prima di parlarne.

«Oggi è tornato dal Canada un amico dei gemelli, Luca… fino a qualche mese fa, viveva qui e ci seguiva sempre durante le nostre serate nei locali...» Emile raccontava con calma ma gesticolava freneticamente, stava cercando di trattenere la gioia per farmi un resoconto migliore possibile. «Ha un laboratorio di Tattoo e piercing, ma ci ha detto che sarebbe andato a fare uno stage in Canada per migliorare le sue conoscenze…»

«In Canada? Non c’era un luogo più vicino?»

Emile tornò a sorridere maliziosamente: «Dato che l’istruttrice era una donna che aveva incontrato ad una fiera, immagino che dovesse migliorare un determinato tipo di conoscenza…»

«Ah… Ma questo cosa c’entra con il batterista?» La mia ansia cresceva di minuto in minuto, perché mi stava raccontando le cose partendo da Adamo ed Eva?  

«Adesso ci arrivo, non sei stata tu a chiedermi di raccontarti tutto?» Touchée…  «In pratica, Luca è tornato qualche giorno fa e quando i ragazzi l’hanno aggiornato sulla nostra situazione, si è offerto di sostenere l’audizione come batterista!»

«M-ma cosa c’entrano i tatuaggi con la batteria?» Forse spinta dall’ansia avevo perso qualche passaggio nel discorso…

«Ecco, per la fretta ho dimenticato di dirti la cosa essenziale:  oltre a fare tatuaggi, Luca suona la batteria da anni e seguendo il nostro gruppo da sempre, conosce a menadito  anche l’esecuzione dei brani.»

Ora mi era tutto chiaro!

«Ha mantenuto il tempo perfettamente, come se suonasse con noi da anni e quasi non si sente la differenza tra lui e Claudio!» Mentre mi diceva quest’ultima frase, la gioia di Emile esplose tutta sul suo viso e quella contenuta felicità che aveva mantenuto mentre parlava, fu libera finalmente di esprimersi. «Non potevo chiedere un dono migliore, Pasi, è tutto così perfetto che ho paura che sia un sogno!»

Totalmente coinvolta dalla gioia di Emile, l’abbracciai e lo tenni stretto a me: «Sono così felice! Così felice! Finalmente tutto gira per il verso giusto!»

Sentii le braccia del mio Pel di Carota che si serravano su di me: «Devono solo passare questi mesi di tour e poi sarò finalmente libero.»

Non replicai a quella frase, mi tenni stretta a lui, godendomi quel momento di totale felicità, mentre nel mio cuore le sue parole echeggiavano i miei pensieri: sarebbe stato un lungo e pesante tour, ma oltre ad essere l’ultimo scoglio da superare, sarebbe stato anche il trampolino di lancio per il cambiamento che ci stava aspettando. Era un male necessario che avrebbe riportato il sole nella vita di Emile e di conseguenza, nonostante temessi le implicazioni legate a quel cambiamento, non vedevo l’ora che arrivasse.

 















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NDA

SCUSATEMIIII!!! GOMEN NASAI!!!! ç_ç

Un mese intero, è la prima volta in assoluto che faccio trascorrere così tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro e sono senza parole verso me stessa!
Purtroppo verso la fine del mese scorso mi è salito addosso un umore tetro e pessimista che non ha lasciato spazio all'ispirazione e non vi dico che fatica è stata cercare di scrivere due righe!
Per fortuna non mi sono data per vinta, soprattutto considerando che mai come questa volta, sapevo esattamente cosa scrivere e quindi anche sforzandomi, ho iniziato a mettere giù il testo, che poi per fortuna tra Giovedì e Venerdì ha preso la sua forma completa, grazie al ritorno della mia Musa che mi ha permesso di ritoccare tutti i punti scritti sotto un cattivo influsso e che apparivano freddi e privi di vita.
Venerdì inoltre, ho modificato alcune parti e aggiunto tutto il pezzo con Serena (che non era stata considerata nella prima stesura) e sono felice di averlo inserito perché personalmente mi sono davvero divertita a scriverlo xD (Ed ora Testarossa mi ammazza!)
Quando ho spedito il capitolo alla mia Beta, mi sono anche accorta che, alla faccia della mancanza d'ispirazione precedente, è risultato il capitolo più lungo che abbia scritto finora: 17 pagine di Word!!! Sono fiera di me :D
(Spero ovviamente che siano 17 pagine interessanti e non una sequenza di roba che non vi sia piaciuta, non c'è nulla di peggiore di un barboso e chilometrico capitolo!)
Per chi sta leggendo anche Love Sucks, chiedo scusa se la ripetizione del dialogo tra Pasi e Sofi è risultata noiosa; in un primo momento avevo pensato di riassumerlo, ma poi mi sono resa conto che avrei fatto un torto a Pasi, perchè era un momento importante e riassumerlo non sarebbe stato in linea con il resto del racconto, inoltre per chi non sta seguendo lo spin-off, ci sarebbe stata una lacuna importante e non era minimamente considerabile. Quindi spero che leggere la scena dal punto di vista di Pasi, sia risultato abbastanza gradevole da non farvi annoiare per la ripetizione :D
And Last bun not Least, vogliamo innalzare tutte un ALLELUJA perché finalmente è stato trovato il batterista?!
Ho fatto i salti di gioia insieme ad Emile e Pasi mentre Pel di Carota dava la notizia alla sua streghetta!!! ERA ORA!!!!


Angolo dei Ringraziamenti

Prima di tutto, grazie a tutte per aver atteso pazientemente l'arrivo di questo capitolo senza lamentele, siete state dolcissime e pazienti. Grazie Mille!!! :D
Ed ora ovviamente un grazie di dimensioni titaniche a:
Fiorella Runco, la mia beta-tomodachi sorella d'anima perché nonostante i mille impegni, trova sempre del tempo per me.
Grazie sorellina, sei un tesoro <3

Vale, Niky, Saretta, Concy, Cicci, le mie sister del cuore che sono sempre pronte a recensire, a darmi sostegno a farmi morire dalle risate (recensitrice folle, ce l'ho con te xD) e a far vivere i miei ragazzi dentro di loro, attraverso l'entusiasmo che dimostrano dopo ogni lettura. Vi adoro in blocco!!! <3
Ana-chan ed Ely, le mie sister in pausa, che non mancano di sostenermi a priori. Grazie tesore mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth, che ho scoperto essere anche una sorella Alexina (magnifica scoperta!) oltre che una delle lettrici più affezionate di questa storia. Grazie perché nonostante la febbre hai avuto la forza di leggere e commentare, grazie mille! :*
ThePoisonofPrimula, che oggi compie gli anni, e che nonstante stia attendendo spasmodicamente il prossimo capitolo di Love Sucks, spero trovi appagante anche la lettura di questo capitolo, come piccolo regalo di compleanno da parte mia. AUGURONI PRIMULINA!!!!!! :******
Kira1983, che si è legata a questa storia in un batter d'occhio e che continua a seguirla sempre con interesse e trasporto. Grazie Kiruccia!! :*
Inoltre un enorme grazie va a sel4ever, che mi ha rallegrato non poco con la sua recensione allo scorso capitolo, dicendomi che questa è tra le storie più belle che abbia letto! Grazie grazie e ancora grazie!!!

E un grazie dal più profondo del cuore va a tutte voi che leggete silenziosamente, che avete inserito questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lovedreams, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, green apple, incubus life, princy_94, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, costanzamalatesta, cris325, epril68, georgie71, IriSRock, Kira16, LAURA VSR, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, smile_D, smokeonthewater, Strega Mangia Frutta, Veronica91, _anda, _Calypso_
Grazie grazie e sempre più grazie!!


ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!

   
 
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