Capitolo 30
Un bacio. Sento il
calore delle labbra
sulla mia pelle e poi un altro e un altro ancora. La sensazione di
calore
m’invade sempre più, risvegliando lentamente la
mia coscienza dallo stato di
oblio in cui si trovava. Sento brividi di piacere ovunque si posino
quelle
labbra e la coscienza prende il sopravvento, insieme alla sensazione di
un
dolce calore…
Quando
riaprii gli occhi quella mattina, ancora inebetita e travolta da quelle
sensazioni provate nel dormiveglia, mi
resi conto che tutto ciò che sembrava parte del mio sogno
era più vivo che mai e
nel girare lo sguardo, vidi un paio di occhi grigi che mi osservavano,
corredati da un sorriso estatico.
«Buongiorno,
streghetta.»
Emile
era vicinissimo a me, disteso su un fianco, intento a reggersi la testa
con un
braccio e aveva un’espressione così serena e
soddisfatta, da farmi pensare di essere
in Paradiso: non potevano esistere risvegli così belli sulla
terra!
«Scusami
se ti ho svegliato, ma non ho saputo resistere… sei
particolarmente invitante
oggi.» restò ad osservarmi
ancora per
qualche secondo e poi si chinò a darmi un bacio, nemmeno
tanto casto, che mi
risvegliò del tutto. In un attimo mi ritrovai avvinghiata a
lui: le nostre
gambe intrecciate, i nostri respiri sempre più
affannosi…
A
stento riuscii a formulare una frase di senso compiuto quando
lentamente si
staccò da me, per respirare.
«Se
questo è il risveglio che mi riservi, non ti lascio andare
più via.»
Emile
sghignazzò soddisfatto e continuò a baciarmi tra
il collo e la clavicola… «Purtroppo
invece devo andarmene.» …per poi passare di nuovo
a posare le sue labbra sulle
mie.
«Noo…
resta qui… con me…» Non avevo fiato e
la mia protesta risultò alquanto debole.
«Mi
piacerebbe, ma devo andare in bottega, non posso saltare il
lavoro.» Mi diede un
bacio sul lobo dell’orecchio…
«Prendi
un giorno… libero…» Risposi
ansimando…
«Non
posso… devo lavorare il più possibile
ora…» un bacio sul collo,
«…perché non credo che avrò
ancora quel lavoro…» due
baci sugli occhi, «…quando sarò
tornato…» un bacio sul naso,
«…dal tour.» un
altro bacio infuocato, prima di staccarsi da me.
A
malincuore sciolsi il mio abbraccio da lui, cercando di tornare in me,
per
poter portare avanti quella discussione: mi misi a sedere mentre Emile
scendeva
dal letto.
«Credi
che ti licenzieranno? Non puoi chiedere, non so… delle ferie
per malattia?»
«No,
Pasi, non posso: ho già abusato fin troppo della pazienza e
del buon cuore di
Gustavo, non posso chiedergli dei mesi di ferie, per tornare da lui in
modo
sempre più saltuario. Una volta tornati dal tour, avremo
sempre più da fare, se
i primi mesi di vendita avranno esito positivo. Voglio dedicarmi
completamente
alla band: finora anche la casa discografica ci è venuta
incontro, adattandosi
con orari impossibili perché eravamo in forte ritardo, ma in
seguito dovremo
seguire i normali orari e dovrò essere libero di dedicarmi
alla promozione
dell’album, non avrò più tempo da
dedicare alla bottega.»
«Tutto
sta per cambiare.»
Dissi
quelle parole più a me stessa che a lui: non mi ero resa
conto di quanto la
vita di Emile potesse essere travolta dall’eventuale successo
del suo album e
sentirgli dire quelle parole mi aveva spaventato, come se la
stabilità che
stavo ancora faticando ad avere, fosse nuovamente in pericolo di
crollare.
Avvicinai
le ginocchia al petto e mi strinsi in un mutismo pieno di timori: Emile
era in
procinto di scendere le scale ma vedendomi in quello stato si
avvicinò.
sedendosi dal mio lato del letto.
«Cosa
c’è che non va?»
Mi
dannai per non essere stata capace di nascondergli il mio stato
d’animo, ma non
riuscii nemmeno a mostrargli un sorriso sereno. La mia testa era
nascosta dalle
gambe e biascicai la mia risposta
con la
voce ovattata: «Ho
paura.»
«Paura?
E di cosa?» sentii la mano di Emile che mi accarezzava la
testa.
«Dei
cambiamenti. Ho paura che qualcosa cambi in peggio. Ho paura di perdere
quello
che ho ora.»
«E
tutto questo, in base al mio lavoro?»
La
voce di Emile era scettica e un po’ divertita: sapevo che non
avrebbe compreso
e alzai la testa per spiegargli meglio le mie ragioni.
«Non
è per il lavoro in sé, è il
cambiamento che porterà! La tua vita cambierà,
così
come anche la mia…»
Il
mio Pel di Carota mi guardò con un’espressione
mista tra rammarico e durezza: «Pasi,
lo sai che è questo che voglio, è questo che
inseguo, non ho intenzione di
cambiare strada e dov….»
«Sì
lo so, Emile, non sto affatto mettendo in discussione questo e men che
meno sto
cercando di polemizzare! Ho solo paura di perdere ciò che ho
ora…»
«Ma
non perderai alcunché! La tua vita sarà sempre la
stessa ed io ci sarò sempre.»
«Ma
non come adesso…»
«Magari
ci sarò anche di più: avendo solo la musica a cui
dare conto, potrei avere più
tempo per te, non c’hai pensato?»
Girai
la testa in senso di diniego stringendo le labbra, guardandolo con
rimorso per
aver creato un problema, che per molte ragioni poteva essere del tutto
inesistente. Emile si fece una risata e mi accarezzò il viso: «Certe volte sei
proprio una buffa bambina.»
«Scusami,
non volevo farti preoccupare inutilmente…»
«Stai
tranquilla e non angosciarti per delle sciocchezze: io sono qui non
vado via;
anzi inizia a liberare i cassetti, che porto qualche
ricambio.» Rivolgendomi un
sorriso incoraggiante, mi diede un bacio e si alzò diretto
al piano
sottostante.
«Emile!»
vedendolo andar via, mi alzai sul letto allungandomi in sua direzione
prima che
scendesse del tutto le scale e il mio Pel di Carota si girò
verso di me
incuriosito.
«Mmh?»
«Ecco,
volevo precisare che… ti ho dato quella chiave, ma non devi
sentirti costretto
a venire qui sempre. Se vuoi stare con tuo padre è
più che logico e non pretendo
che tu ti traferisca qui… Mi piaceva sapere che in qualsiasi
momento tu voglia,
puoi aprire quella porta e stare qui con me, ecco tutto.»
Il
viso di Emile si addolcì di colpo sorridendomi:
«Lo so Pasi, stai tranquilla,
non mi sento sotto pressione, ho capito cosa intendevi con quel
regalo… e sono
felice che tu me l’abbia fatto.»
continuò a sorridermi prima di girarsi verso i
gradini e riprendere la sua discesa. Sentii per un po’
svanire le mie paure,
confortata dall’immagine di quel sorriso dolce e rassicurante.
*****
«Eccoci
qui!»
«E…
dove siamo, di grazia?»
«Scendi
da questo catorcio e vedrai!» Iulia mi sorrise soddisfatta,
fermando l’auto.
Mi
aveva letteralmente prelevato dal mio monolocale, una mattina: dopo
avermi chiesto
l’indirizzo di casa, mi aveva avvisato che entro
mezz’ora sarebbe venuta a
prendermi e nell’arco di una quarantina di minuti era al
citofono. Avevo
percorso tutto il tragitto in auto con la curiosità addosso,
ma i miei
tentativi di comprendere dove fossimo dirette, puntualmente facevano un
grande
buco nell’acqua perché quella ragazza mi
rispondeva solo con un grande sorriso,
aggiungendo qualche volta la frase criptica: «Aspetta e
vedrai.»
Il
tragitto non durò molto, in meno di tre quarti
d’ora ci fermammo davanti ad un
palazzo alto, provvisto di grandi vetrate: aveva tutta l’aria
di essere sede di
qualche tipo d’ufficio e rimasi ancor più senza
parole a quell’idea. Cosa mai
potevo aver a che fare con quell’edificio?
Scendemmo
dall’auto e Iulia mi prese per mano: «Ti avevo
detto che ti avrei fatto
conoscere meglio il mondo dei GAUS, vero? Questa è la sede
della casa
discografica.»
Il
mio sbigottimento, fu pari al sorriso soddisfatto della ragazza che
avevo di
fronte: tra tutte le cose che avrei potuto immaginare, non avevo
affatto
pensato ad una gita nella casa discografica che stava producendo
l’album della
band di Emile!
«Dai
non fare quella faccia, vieni con me.» Iulia
continuò a prendermi per mano e
con la volontà di un automa, mi feci condurre
all’ingresso dell’edificio.
Una
volta entrate, ci dirigemmo subito verso l’ascensore e
arrivate al quarto piano
vidi l’insegna “RIOTRecords”,
che
campeggiava sul pianerottolo: una porta a vetri sulla destra aveva lo
stesso
nome e una volta aperta, mi trovai davanti ad una sala ampia, che dava
su un
lungo corridoio pieno di porte. La sala aveva sulla sinistra alcune
sedie e
sulla destra un bancone a cui verosimilmente, bisognava annunciarsi:
Iulia vi
si avvicinò con molta familiarità,
salutò la ragazza addetta alla reception e in
un batter d’occhio avemmo i nostri due pass.
«Come
diavolo hai fatto?»
Ero
del tutto sbalordita: se fossimo stati in qualche avventura fantasy,
avrei
pensato che avesse incantato quella ragazza con qualche sorta di magia,
ma dato
che non era lontanamente possibile, l’unica spiegazione
poteva essere che…
«Sono
di casa qui, mi conoscono tutti.» …ecco, appunto!
«Ma
com’è possibile? È un luogo aperto al
pubblico? Ho capito! Sei una cantante
anche tu!» Sgranai gli occhi sorpresa, felice di aver capito
finalmente la
realtà, ma il viso di Iulia non mi stava confermando quella
teoria, nonostante
sorridesse divertita.
«Nient’affatto
Pasi, sono stonata come una campana!»
«Ma
allora…»
«Non
è merito mio, è a causa di mio padre…
lui lavora qui, è uno dei discografici.»
Per
la seconda volta in pochi minuti, restai totalmente a bocca aperta:
Iulia era
figlia di un pezzo grosso! Ed
io che
pensavo che i suoi genitori fossero altri due insegnanti con poco senso
dell’umorismo come i miei, invece l’ambiente in cui
era cresciuta doveva essere
stato totalmente diverso: doveva essere vissuta attorniata dalla
musica, sin da
piccola!
«E
perché diamine non me l’hai detto prima?! Ho fatto
la figura dell’imbecille!»
«Perché
sennò si sarebbe persa la sorpresa e le facce che hai fatto
sono impagabili,
peccato che non abbia potuto fotografarti!» Fece una risata a
mie spese che mi
ricordò molto quella del suo ragazzo e capii quanto quei due
dovessero
condividere lo stesso animo burlone, oltre ad avere la predisposizione
per il
sorriso.
«Allora,
ora basta scherzi e fammi capire: tuo padre è il
discografico dei GAUS? È lui
che li sta aiutando?»
«No,
purtroppo non è lui, altrimenti credo che avrebbe buttato a
calci nel sedere
Claudio, trovando qualche soluzione migliore per i ragazzi; mio padre
li ha
solo presentati ad un suo collega che poi è diventato il
loro personale produttore.»
«Quindi
è tramite te che hanno avuto i contatti con questi
studi!»
Iniziammo
a camminare lungo il corridoio, mentre cercavo di comprendere meglio le
dinamiche che avevano unito la vita privata di Iulia e la vita
professionale
del gruppo di Emile.
«Sì,
in effetti ne ho parlato a mio padre, ma anche lui aveva in mente di
portare i
GAUS qui: io Franz e Fil ci conosciamo da quando eravamo bambini e mio
padre ha
visto crescere quei due, insieme alla loro musica. Una sera
è venuto a sentirli
in un locale e ha conosciuto anche il resto del gruppo, ma non volendo
dare
adito a chiacchiere, promuovendo il ragazzo di sua figlia, ha preferito
presentare i GAUS ad un collega, sperando che il loro talento facesse
il resto…
E a quanto sembra ha funzionato, perché una volta entrati
qui, non sono stati
più abbandonati!»
«Che
meraviglia Iulia, quindi è come se fossi anche la madrina
del gruppo oltre che
la sua mascotte! I ragazzi ti devono davvero tanto!»
«Ma
no! Io ho solo accelerato un po’ i tempi, è la
loro bravura che ha fatto il
resto.»
Iniziai
ad osservare quella ragazza con una coscienza nuova: mentre
m’indicava i vari
uffici e le rispettive competenze, la sentii così padrona di
quel mondo, così
capace di destreggiarsi in un ambiente su cui io avevo solo
fantasticato, che
d’un tratto mi sembrò di avere accanto non una
coetanea, come me in cerca della
sua strada, ma una donna adulta perfettamente inserita nel suo ambiente
di
lavoro.
L’ascoltavo
rapita da tutto ciò che sapeva di quel mondo e
più ne parlava, maggiormente mi
rendevo conto di esserne del tutto estranea e che, quella che era una
parte
preponderante della vita di Emile, io non la conoscevo affatto.
Mi
raccontò che la RIOTRecords
era nata
da pochi anni, ma si era fatta conoscere subito come etichetta
indipendente in
grado di portare alla luce i musicisti che meno si adattavano alle
regole di
mercato delle majors e da questo derivava il loro nome: volevano essere
un
esempio di rivolta, contro lo strapotere del mercato discografico,
capace di
atterrare un artista se non aveva i favori delle grandi case
produttrici.
Proprio
come era accaduto a Claudine.
Non
feci fatica ad immaginare l’entusiasmo di Emile nello
scegliere quell’etichetta
per farsi produrre; se era vero ciò che mi stava dicendo
Iulia, era la casa
discografica perfetta per lanciare i GAUS e soprattutto per andare
incontro
alle decisioni insindacabili di Emile, sulla gestione di tutto
ciò che
riguardava il suo gruppo.
«Quindi
tuo padre è uno dei fondatori?»
«No,
non ha tutto questo potere: al vertice ci sono due fratelli con un
passato da
musicisti, ma ormai si occupano solo
della parte amministrativa e commerciale. Mio padre e i
suoi colleghi,
sono quelli che agiscono sul campo, ascoltando le demo che arrivano
sulle loro
scrivanie e a volte andando a scovare potenziali talenti, nei locali in
cui si
fa musica live.»
«Quindi
tu non hai fatto altro che suggerire a tuo padre dove
andare!»
«Esatto!
Come vedi ho fatto ben poco e anche mio padre del resto,
perché quei ragazzacci
sono bravi e non hanno bisogno di grosse presentazioni per farsi
notare.»
«Hai
ragione, sono davvero bravi… e dal vivo sono ancora meglio!
È da tanto che non
li ascolto mentre si esibiscono su un palco, mi piacerebbe risentirli
in
un’occasione simile.»
«Vedrai
che accadrà presto, appena termineranno di mettere a punto
l’album; non possono
lasciarci senza un live, prima di andar via!»
«Già…»
Puntualmente
come ogni volta che si accennava a quel tour, il mio umore
s’incupì, preda
della paura di restare senza il mio Pel di Carota per mesi interi.
Iulia non si
rese conto del mio stato d’animo e ne fui felice,
poiché non avrebbe potuto
comprendere ciò che provavo, dato che lei avrebbe seguito
Francesco durante il
tour.
D’un
tratto la voce della mia compagna mi distolse dai cupi pensieri in cui
ero
immersa: «Toh! Guarda un po’ chi
c’è!»
Alla
nostra destra si apriva un’ampia finestra che dava sul
cortile interno
dell’edificio, ma alla stessa nostra altezza permetteva di
scorgere le persone
che transitavano nel corridoio ortogonale a quello in cui ci trovavamo,
tramite
un’altra finestra uguale che vi si affacciava: voltai il viso
in direzione del
dito di Iulia e attraverso quei vetri vidi i GAUS intenti a parlare con
qualcuno.
«C’è
Anton con loro, avranno avuto una riunione improvvisa.»
«Anton?»
«Il
loro discografico, vedi quel tipo alto con i capelli chiari e il
codino.»
Il
tipo in questione aveva l’aria di del tipico artista scova
talenti: era sulla
quarantina, alto e magro, quasi scheletrico a guardarlo bene. Indossava
un
gilet con qualche tipo di ricamo sopra e la camicia con le maniche
arrotolate,
i capelli erano lisci e biondi, non molto lunghi, ma raccolti in
piccolo codino,
che lasciava scoperto l’orecchio da cui pendeva un orecchino.
Ad un’occhiata
generale tutto sembrava tranne un
uomo
d’ufficio e probabilmente non lo era affatto.
«Anton
è slovacco e la sua cultura musicale così
eclettica lo ha fatto scegliere da
mio padre, per proporgli i GAUS.»
Il
gruppo stava ascoltando il discografico parlare con a capo proprio
Emile, che
evidentemente ne era il portavoce e la cosa non mi stupì,
conoscendo il modo
imperioso in cui gestiva tutto ciò che riguardava la band.
Feci un sorriso a
quell’idea, ma subito dopo mi resi conto
che stavo assistendo ad una scena che apparteneva alla vita lavorativa
del mio
Pel di Carota e realizzai quanto fosse strano per me, osservarlo mentre
sfoggiava il suo piglio professionale: ora quella gita improvvisa
acquistava
toni del tutto realistici, iniziavo davvero a collocare Emile in quel
luogo,
alle prese con documenti, presentazioni, riunioni e tutto
ciò che serviva alla
promozione di un album, iniziai a guardarlo con occhi nuovi, come se lo
stessi
conoscendo per la seconda volta.
L’unica
cosa che disturbava quel momento così speciale
arrivò appena andai con lo
sguardo al resto del gruppo: la mia gioia morì sul colpo
trasformandosi in
rabbia appena posai gli occhi su Claudio.
Era
sfacciatamente soddisfatto e sicuro di sé, a debita distanza
da Emile, ma
ugualmente imponente: tutti
i suoi gesti
emanavano sicurezza e quella tracotanza che gli avevo
sempre visto addosso, Anton parlava
rivolgendosi prevalentemente ad Emile, ma lui puntualmente
s’intrometteva nel
discorso e ogni volta che lo faceva, vedevo il mio ragazzo irrigidirsi. Nel vedere Claudio
così sereno e sicuro di
sé, sapendo quanto costasse al mio Pel di Carota quella
presenza, mi salì una
rabbia feroce: al pensiero che per essere in quel luogo in quel
momento, aveva
minato la tranquillità dell’animo di Emile e
l’aveva costretto ad affrontare
una sofferta scelta tra me e la band, sentii il classico prurito alle
mani
fremere sui miei palmi e venni travolta da una voglia impetuosa di
fargli un
occhio nero. Se l’avessi avuto a tiro, non avrei scommesso
sulla mia diplomazia!
«Che
ne dici, li raggiungiamo?»
Iulia
mi osservava con una luce speranzosa negli occhi, ma non volevo
scherzare col
fuoco, non volevo dare in escandescenza in quel luogo, minando
l’equilibrio
precario all’interno dei GAUS mettendo Emile nuovamente nei
guai.
«No,
ti prego Iulia, non posso avvicinarmi a loro, non riuscirei a
rispondere di
me…»
La
mia interlocutrice mi guardò per un attimo perplessa, ma poi
la luce della
comprensione apparve sul suo viso: «È vero,
Claudio... che stupida, come ho
fatto a non pensarci?»
«Non
preoccuparti, non hai alcuna colpa… ti chiedo solo di
allontanarci da qui!»
«Sì,
sì certo, andiamo via, tanto i nostri ragazzi li possiamo
vedere quando vogliamo,
vero?» Continuando
a sorridere in modo
conciliante, mi prese nuovamente per mano e andammo via da quel
corridoio.
Iulia
mi fece girare tutto l’edificio, instancabile
nell’indicarmi ogni attività che
si svolgeva in quel luogo, così quando uscimmo, mi ritrovai
i piedi distrutti
dal troppo cammino e la testa piena di termini e di situazioni, legate
al
lancio e alla promozione di un musicista e della sua opera. Ma in un
angolo
della mia mente continuavo a vedere Claudio, il suo viso soddisfatto e
il suo
atteggiamento arrogante e la rabbia all’idea che fosse in
quel luogo grazie
alla sua prepotenza, tornò ad impossessarsi di me. In quel
momento compresi in
pieno quanto costasse al mio Pel di Carota dover avere a che fare con
quel tipo
e doverlo avere dietro le spalle per tutta la durata del tour.
«Non
vedo l’ora che questi mesi passino!» sussurrai
debolmente, rivolta più a me
stessa che alla mia interlocutrice, mentre aprivo la portiera della sua
auto.
*****
«Je
ne veux parler pas.»
«Se
parli in francese, non ti capisco!»
«Très
bien, alors Je parlerai toujours en français!»
«Oh
Lucien andiamo! Cos’è questo modo di fare, ora?
Sembri Emile!»
«…»
«Aaaah!
Accidenti alla vostra testardaggine! Ma c’è
qualcuno che non sia così testone
nella vostra famiglia?»
«Testarossa
calmati, è una cosa normale, in fin dei conti chi di noi non
ha litigato con
Sofia, almeno una volta?»
«Lo
so Stè, però…»
Testa
di Paglia non poteva minimamente comprendere ciò che si
agitava dentro di me in
quel momento: quella serata a teatro si era rivelata un totale disastro
e
sentivo dentro di me, di esserne la sola responsabile.
Avevo
immaginato grandi risvolti tra i miei due protetti e avevo fatto in
modo di
farli stare vicini durante la rappresentazione, senza
possibilità di distrarsi.
Li avevo immaginati intenti a scambiarsi pareri e magari anche qualche
sorriso
(anche se Sofi non sorrideva mai di gusto… e speravo davvero
che quel ragazzo
potesse operare anche quel miracolo), ma a rappresentazione terminata,
trovai
un Lucien gelidamente adirato e Sofi chiusa nel suo mutismo risentito.
Avevo
forzato la mano: quei due erano stati troppo vicini ed era accaduto
qualcosa
che li aveva allontanati ed io non avevo la più pallida idea
di cosa fosse
accaduto, per farli reagire in quel modo!
Dopo
la rappresentazione, andammo a mangiare una pizza tutti insieme, ma
durante
tutta la cena quei due non fecero altro che ignorarsi e solo quando
arrivò il
momento di tornare a casa, il cugino di Emile diede il suo freddo e
impersonale
saluto a Sofi, gelandomi del tutto: non ero abituata a vederlo in
quello stato,
Lucien era sempre cordiale e gentile con tutti, sempre pronto a
sorridere e
quell’atteggiamento distante e freddo era
terrificante… Cosa diavolo era potuto
accadere, per cambiare in quel modo le cose tra loro due?
Tornò
a casa in auto con me e Stè e durante il tragitto sperai di
riuscire a
strappargli la verità di bocca, invece ogni mio tentativo fu
frustrato dal suo
ostinato silenzio ed io non potei fare altro che sentirmi terribilmente
in
colpa, per aver rovinato la serata sia a lui che alla mia
amica… Mi chiesi se
Rita fosse stata più fortunata di me con Sofi, ma conoscendo
quest’ultima,
dubitai fortemente che si fosse lasciata andare a qualche confidenza.
«Sofia
come al solito avrà detto qualcosa di troppo, almeno ora
anche Lucien l’ha
conosciuta in pieno!»
Stè
ironizzò sull’accaduto con la sua solita
bonarietà, ma qualcosa mi diceva che l’umore del
cugino di Emile, seduto alle
nostre spalle, era ben lontano dall’atteggiamento del mio
amico…
«Posso
fare qualcosa?» dissi
a Lucien, tentando
il tutto e per tutto per placare il mio senso di colpa.
«No
Pasi, non c’è alcunché da fare e pour
plaisir, smettila d’insistere, non voglio
diventare maleducato.»
«Ok…
scusami.»
Mi
sentivo davvero a pezzi: era vero ciò che diceva
Stè, prima o poi anche Lucien
avrebbe dovuto scontrarsi con il carattere spigoloso di Sofi, ma
vederlo così
adirato, rendendomi conto di avergli rovinato la serata e probabilmente
anche
il suo rapporto con la mia amica, iniziò a farmi ricredere
sui miei propositi
di Cupido. Forse avrei dovuto lasciar fare al Destino il suo lavoro, mi
ero
intromessa troppo e avevo solo portato la situazione a peggiorare,
rispetto a
quanto avevo immaginato io.
Ammettendo
che avessi avuto la giusta intuizione e che Sofi e Lucien fossero fatti
l’uno
per l’altra, con il mio comportamento avevo solo fatto
sì che si
allontanassero, avevo remato contro la mia volontà e avevo
reso le cose ancora
più difficili! Non avrei dovuto impicciarmi, aveva ragione
Emile, avevo
camminato su un campo minato ed era esploso ed ora non mi restava che
raccoglierne i pezzi e fare le mie scuse alla mia amica. Sì, sarei
andata da lei per scusarmi il prima
possibile e non mi sarei più impicciata della sua vita
privata. Non potevo
sfogare i miei sensi di colpa verso mia sorella su di lei, non potevo
cercare
di forzare la mano ad una situazione già
precaria… Avrei dovuto interessarmi
solo della mia vita, avrei imparato anche quella lezione una volta per
tutte!
«Stè
scendo anch’io qui, ma aspettami.»
Quando
Testa di Paglia si fermò davanti casa
Castoldi, decisi di controllare se Emile fosse in casa: nello stato
d’animo in
cui ero, avevo bisogno di stare con lui, di sentire la sua presenza
confortante
accanto a me, così una volta arrivati fuori la sua
abitazione, decisi di accertarmi
che fosse rientrato.
«Controllo
se Emile è in casa e ti faccio sapere se resto qui o se
torno con te.»
«Ok
Testarossa, ti aspetto qui.»
Non
parlai a Lucien, del resto non era affatto dell’umore per
farlo, tutte le energie
da dedicare alla finta allegria, le aveva esaurite per la cena e a
quell’ora
probabilmente, voleva solo chiudere quella serata con una bella
dormita.
Salimmo le scale insieme ma in cupo silenzio, finché
arrivati sul pianerottolo,
svoltò a sinistra, verso l’unica stanza che non
avevo ancora visto di quella
casa e mi diede la buonanotte. Andai subito in camera di Emile per
controllare
che fosse lì e mi bastò aprire lievemente la
porta per vedere la sua sagoma
addormentata. Sentii un improvviso calore nel petto nel vederlo e mi
precipitai
a dare la buonanotte al mio amico, ansiosa di raggiungere il mio amato
Pel di
Carota. Testa di Paglia era rimasto in auto e si stava intrattenendo
con i suoi
mp3, poiché lo vidi andare a tempo con la testa…
Almeno prima che
quella stessa testa si mosse per
sbadigliare alla grande.
«Sicuro
di farcela ad arrivare a casa? Sembri sul punto di crollare!»
«Ma
no, stai tranquilla! Quando guido mi concentro, è
l’immobilità a farmi venir
sonno.»
Su
quello aveva ragione: da quando lo conoscevo, Testa di Paglia era
sempre stato
una persona attiva e facile ad annoiarsi se costretto
all’immobilità; di sicuro
quei pochi minuti in auto, gli erano pesati più di qualche
chilometro da
percorrere, guidando.
«Resto
qui Stè, Emile è in camera sua
e non ho
voglia di tornare a casa mia, stasera.»
«Sei
troppo giù di morale per questa faccenda, sicura che non ci
sia qualcosa
sotto?»
«Ma
no, cosa vuoi che ci sia? Mi dispiace che Lucien e Sofi abbiano
litigato, ecco
tutto… e non mi spiego come quei due siano potuti arrivare a
non rivolgersi la
parola.» Il che non era così tanto lontano dalla
realtà, per cui nonostante
mentirgli continuasse a darmi fastidio, non sentii
su di me il peso di quella frottola.
«Uhm…
tu non me la conti giusta, Pasi! Io non mi stupisco più di
tanto, perché Sofia
sarebbe capace di far imbestialire anche Buddha e questa tua
preoccupazione mi
sembra del tutto eccessiva. Vabbè, tanto se non vuoi
parlarmene, non lo farai
di certo sotto mia insistenza. Allora,
ci salutiamo qui?»
«Sì…
buonanotte Testa di Paglia, grazie del passaggio.»
«Figurati!
Buonanotte Testarossa, dormi bene. Salutami Emile.»
Con
un sorriso sereno come solo lui poteva
avere, Stè andò via dopo avermi detto quella
frase che riuscì ad incupirmi più
della mia panzana. Quel suo “Salutami Emile”, era
stato detto in modo del tutto
sereno, ma c’era sul suo sorriso una piccola nota di
tristezza. Forse era stato
il mio umore tetro a farmi notare qualcosa che in realtà non
c’era, ma pensare
alla gentilezza del mio amico e al
fatto
che da quella sera a casa mia, lui ed Emile non si erano più
visti, mi riempì
il cuore di tristezza. Il mio Pel di Carota mi aveva detto che non
avrebbe più
reagito in quel modo nei confronti di Stè, ma era anche vero
che ancora non
avevano avuto modo di relazionarsi e temevo che nonostante fosse
davvero
sommerso d’impegni, Emile
evitasse di
proposito il confronto con Testa di Paglia, per non mettermi nuovamente
in
imbarazzo: sarei mai riuscita a vedere quei due andare
d’accordo?
Con
quei pensieri cupi, rinchiusi la porta di casa alle spalle e salii al
piano superiore. Dopo
essermi data una rinfrescata in bagno,
entrai in camera di Emile: era ancora immerso nel sonno e non aveva
dato segni
di avermi sentito entrare. Silenziosamente e con calma, mi avvicinai a
lui e
rimasi ad osservare il suo viso rilassato che riposava. Il solo
guardarlo mi
commuoveva, ogni volta che i miei occhi si posavano su di lui, mi
sentivo
serena e tranquilla, come se avessi potuto affrontare con forza tutte
le tragedie
di questo mondo, solo per il fatto che lui fosse accanto a me e ancora
una
volta mi sentii completa e in pace sentendo la solidità
della sua presenza.
M’infilai nel letto con cautela e l’abbracciai,
sentendomi immediatamente
protetta e serena. Il
calore del suo
corpo e la familiarità del suo odore furono la mia ricarica:
l’indomani avrei
trovato sicuramente la forza, di affrontare le conseguenze del mio
operato e di
andare a trovare Sofia, per scusarmi con lei.
*****
«Buongiorno,
moglie!»
Quando
aprii gli occhi quel mattino, vidi nuovamente il volto di Emile che mi
sorrideva divertito e ancora semincosciente m’illuminai in un
sorriso felice
alla visione del suo volto. Ma quando il mio cervello si fu liberato
dall’ottenebramento del sonno, riuscii a scorgere su quel
viso che tanto amavo
anche una sfumatura perplessa e solo allora mi resi conto che la notte
precedente, gli ero piombata nel letto senza che lui ne sapesse il
motivo.
«‘Giorno…
visto che sorpresa?» gli dissi con un tono tra
l’ironico e l’imbarazzato.
«Una
bellissima sorpresa… anche se quando ho aperto gli occhi e
ti ho vista, ho
iniziato a pensare che ci fossimo sposati e che non lo ricordassi
più…» a
quelle parole persi tutta l’ironia per far spazio
all’imbarazzo: ancora una
volta ero stata invadente…
«Scusami,
lo so che se avessi voluto la mia presenza, saresti venuto a casa mia,
ma ieri
sera avevo bisogno di stare con te e…»
«Ehi,
ehi, Pasi calmati, non ho detto che non sia felice di vederti qui,
stavo
scherzando, era una battuta.» Abbassai il viso afflitta: ero
ancora troppo giù
di morale per comprendere le sue battute, quella faccenda di Sofia e
Lucien mi
stava pesando davvero tanto sulla coscienza…
«Cosa
c’è, streghetta? Cos’è
accaduto per farti stare così
giù di morale? Hai visto i tuoi
genitori?»
Emile mi fece una carezza sul viso per incoraggiarmi dolcemente a
parlare ed io
confortata da quel gesto tenero e pieno di calore, liberai tutte le mie
preoccupazioni con lui, proprio come avrei voluto fare la sera
precedente, se
fosse stato sveglio.
«Ho
combinato un disastro, Emile!» Mi rifugiai nel suo abbraccio
mentre gli spiegai
lo svolgersi degli ultimi avvenimenti e di quanto mi sentissi in colpa
per aver
forzato Sofia e Lucien a stare vicini.
«Uhm,
immaginavo che sarebbe accaduto, la piccoletta è un osso
duro… ma secondo me
stai prendendo troppo drammaticamente la cosa: se quei due litigano non
è certo
colpa tua, non c’eri tu a innescare la lite, hanno fatto
tutto da soli.»
«Ma
se io non li avessi forzati a vedersi e a sedersi uno accanto
all’altra, forse
non sarebbe capitato, forse non sarebbero arrivati ai ferri corti, come
invece
è accaduto!»
«Pasi,
è solo un litigio! Quante volte abbiamo discusso anche io e
te? Non mi sembra
che siamo arrivati ad ignorarci definitivamente…»
ero ancora abbracciata al mio
Pel di Carota che, vedendomi particolarmente turbata, iniziò
ad accarezzarmi i
capelli, in un gesto confortante e protettivo.
«Ho
paura che Sofi non mi voglia più come amica, Emile! Ho paura
che sia talmente
arrabbiata con me per la mia intromissione nella sua vita, da non
volermi più
tra i piedi… So che non è una persona facile e
probabilmente ti starai
chiedendo anche cosa ci trovi d’interessante, ma io le voglio
bene e non
sopporterei di essere allontanata anche da lei, voglio vivere in pace
con i
miei amici!»
«Allora
l’unica cosa che puoi fare è parlarle, dirle tutto
a cuore aperto e vedere come
reagisce. Se resti ancora così, con la paura di affrontare
la realtà, ti fai
solo del male. Va da lei il prima possibile e parlale chiaro, da amica.
Se non
capirà, allora probabilmente non avrà davvero
compreso chi sei e si sarà
rivelata un’amica molto superficiale.»
«Ma
sono io in torto! Sono stata io ad
insinuarmi
nella sua vita privata!»
«Lo
so, ma credo che una persona che ti è amica, sia anche
propensa ad ascoltarti e
comprendere le tue ragioni… In fondo non le hai causato
alcun problema grave, ha
solo litigato con una persona e ho l’impressione che sia
abituata a farlo!»
«Sì,
ma…»
«Streghetta,
tu sei un’adorabile rompiscatole: non ti fai mai gli affari
tuoi e speri sempre
di salvare gli altri da se stessi, ma lo fai perché hai buon
cuore e nonostante
ti si dica di smettere, tu continui imperterrita convinta della causa
che hai
abbracciato. E questa caratteristica fa di te una persona meravigliosa.
Se ho
imparato ad amare queste tue doti, io che ti conosco da poco, non credo
che la
tua amica ti metta alla porta per una scemenza simile.»
«Lo
spero tanto, Emile…»
«Coraggio,
andiamo a fare colazione così ti ricarichi e potrai
affrontare Sofia con tutte
le energie pronte.»
*****
«Nemmeno
questa volta hai portato i ricambi?!»
«Ehm…no…
non era previsto che venissi qui, ieri notte…»
«Bambina
sei davvero cocciuta, come devo fare con te?»
«Ma
non è la fine del mondo! Torno a casa e mi
cambio.»
«Sei
proprio senza speranze!»
Quando
scendemmo a fare colazione, Alberto ebbe poco tempo per rimproverarmi,
poiché
doveva scappare a lavoro e il collega era già fuori la porta
ad attenderlo. Per
questo motivo non mi travolse con la sua ramanzina e non si
soffermò a parlare
con me come sempre bensì, dando
un bacio
a me e una scrollata tra i capelli ad Emile, fuggì diretto
alla sua giornata di
lavoro.
«Certo
che con questo calore, lavorare su un cantiere non dev’essere
affatto facile.»
«Io
lo odio!»
Sentendo
quell’esclamazione, mi girai stupita in direzione di Emile:
«Cosa?»
«Odio
il fatto che debba buttare il suo talento in un cantiere edile, che
potrebbe
anche rovinargli le mani per sempre. Se solo fossi in grado di
sostenere tutte
le spese, l’obbligherei a dire addio a quel lavoro che non
gli rende
giustizia.»
Emile
aveva i pugni serrati e lo sguardo di fuoco: era palese il senso di
rabbia e
impotenza che provava davanti al fatto di non poter fare qualcosa per
migliorare
la vita di suo padre e dopo aver visto Alberto dipingere, non potei che
essere
d’accordo con il desiderio del mio Pel di Carota. Cercando un
modo per dargli
conforto, gli presi la mano incoraggiante:
«È
solo questione di tempo. Appena avrai il successo che meriti, potrai
realizzare
il tuo desiderio e lasciare che Alberto si occupi solo della sua
arte.»
«È
per questo che quest’album dev’essere perfetto!
Deve vendere assolutamente!
Ogni giorno che passa è sempre più intollerante
per me, vedere mio padre che
butta la sua vita in quel modo.»
«Avrà
successo; ci stai mettendo l’anima nella realizzazione di
quest’album e sono
sicura che il pubblico percepirà tutto il lavoro che
c’è dietro.»
Emile
mi guardò per qualche secondo e mi diede un bacio sulla
fronte, prima di
cambiare del tutto argomento.
«Sbrighiamoci
a far colazione, sennò farò tardi.»
Lucien
non scese a farci compagnia; del resto non aveva un lavoro ad
attenderlo e
poteva permettersi di dormire fino a tardi, ma mi chiesi se fosse
ancora giù di
morale per la sera precedente. Mi sentivo terribilmente in colpa anche
con lui
e avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto fargli capire quanto fossi
dispiaciuta di aver forzato la mano tra lui e Sofi…
Tuttavia
mi resi conto che dicendogli ciò che avevo nella mente,
avrei rivelato cose
riguardanti la mia amica che forse lei non gli aveva detto e prima di
fare
qualcosa che di sicuro avrebbe messo chilometri di distanza tra me e
Sofi,
decisi di concentrare le mie scuse solo nei confronti di
quest’ultima.
*****
Non
appena giunsi davanti casa Gardini, la paura iniziò ad
attanagliarmi: e se
quella fosse stata l’ultima volta che avrei messo piede in
quel luogo? Se Sofi
non avesse voluto nemmeno parlarmi? Ero ad un metro dalla porta di casa
sua e
non riuscivo a percorrere quel breve spazio tra me e la
verità, la paura mi
stava immobilizzando del tutto. Ma Emile aveva ragione: non avrei
potuto vivere
a lungo evitando la realtà, era meglio affrontarla
immediatamente e pagare le
conseguenze del mio agire istintivo e imponderato. Feci un sospiro
enorme e
raccogliendo a me tutte le energie che avevo, mi diedi coraggio e
bussai al
citofono.
Quando
aprì la porta di casa sua, Sofi mi accolse con un viso
stanco e assonnato:
probabilmente non aveva dormito bene e quella constatazione
aumentò terribilmente
il mio senso di colpa, al punto che non riuscii a dirle chiaramente
quale fosse
il motivo della mia visita.
«Ciao
Sofi… mi sono ricordata che avevi ancora i miei vestiti e
sono venuta a
prenderli…» era una scusa ben poco credibile e
sicuramente si leggeva la verità
sul mio volto, ma non riuscii ad essere diretta con lei…
Cosa che invece non
mancò di fare la mia amica.
«Risparmiami
le frottole, Pasi, so benissimo per quale motivo sei qui e non ho
alcuna
intenzione di risponderti!»
Come
immaginavo, le mie paure stavano prendendo sempre più forma:
Sofi era
arrabbiata con me e probabilmente non avrebbe tollerato un minuto di
più la mia
presenza. Mi sentii del tutto scoraggiata e priva di speranze
così, senza più
nasconderle il mio stato d’animo, le chiesi mesta:
«Posso avere i vestiti
almeno?»
A quel
punto non credevo più di avere una possibilità di
vederla e mi preparai a darle
il mio ultimo saluto da amica. Sofi però non
reagì con irritazione come
credevo, ma diede un sospiro e mi fece cenno di entrare. Tuttavia mi
mancò il
coraggio di seguirla mentre prendeva i miei vestiti e rimasi ferma
sull’uscio
della porta ad attenderla.
«Guarda
che non ti ho messo alla porta, ti ho solo detto che non voglio parlare
di ieri
con te.»
Non ce
la facevo più a reggere quella tensione e mentre la mia
amica (se ancora lo
era) si avvicinava, vuotai il sacco, lasciando scorrere i miei pensieri
e il
mio senso di colpa a ruota libera: «Sofi, io…
volevo chiederti scusa… Lo so che
ho esagerato, lo so che non sono una buona amica, che sono invadente,
che non
ho rispettato la tua volontà, ma credimi non l’ho
fatto con cattiveria, non
avevo alcuna intenzione di…»
«Ok,
ora calmati Pasi, fermati!»
m’interruppe
all’improvviso e le parole morirono sulle mie labbra.
«Come ho detto prima, non ti sto
mettendo alla porta…
non sono arrabbiata con te fino a questo punto!»
Non mi
stava mettendo alla porta… Allora dopotutto, non la stavo
perdendo!
Anche
se non potevo nemmeno dire che fosse felice di vedermi…
«Però
sei arrabbiata con me…»
«Certo
che sono arrabbiata, ma non per ciò che è
accaduto ieri sera, non c’è motivo
per cui debba prendermela con te, se litigo con qualcuno… e
se devo dirla tutta
la stai prendendo un po’ troppo tragicamente.»
Iniziavo
a non capire: era arrabbiata con me per tutto il macello che avevo
fatto, ma
pensava che la stessi facendo tragica! Eppure avevo visto bene il modo
in cui
lei e Lucien si erano ignorati tutta la sera precedente e avevo visto
quanta elettricità
ci fosse tra loro… Come faceva a dire che stavo vedendo la
cosa in modo troppo
drammatico?
«Ma
Lucien…»
«Ma
Lucien cosa, Pasi? È stato un semplice litigio, quante volte
litighiamo anche
io te? Non c’è nulla da dire al
riguardo!»
Le
stesse parole che mi aveva detto Stè… eppure non
riuscivo a credere che fosse
tutto così semplice… era mai possibile che sia io
che Rita avessimo preso un granchio
di proporzioni immani, perché Sofi non era minimamente
interessata a Lucien?
«Però
sei arrabbiata con me perché ho cercato di spingerti vicino
a lui.»
«Sì,
perché la mia vita privata deve restare tale,
non voglio alcuna intrusione da parte di anima viva! E per fortuna
quella
situazione è terminata prima ancora che potessi dirti
qualcosa.»
A
quelle parole, iniziò a girarmi per la testa uno strano
sospetto: «Sofi…
non avrai litigato con Lucien solo per far
smettere me!?»
«Cosa?
Ma… NO! Certo che no! Cosa diavolo vai
farneticando?»
«Il
fatto è che proprio non capisco! Lucien è la
persona più tranquilla che conosco
e per farlo arrabbiare in quel modo, non riesco proprio ad immaginare
cosa
possa essere accaduto… Ha provato a baciarti e ti sei girata
male verso di
lui?»
«Eh? Ma
no!»
Sofi mi
diede le spalle all’improvviso turbata da quella domanda:
avevo buttato a caso
quella teoria stralunata per cercare di capire cosa fosse accaduto
davvero,
ormai la curiosità mi stava mangiando e non riuscivo proprio
a capire cosa
diamine fosse accaduto tra quei due, per farli reagire in quel
modo… Ammettendo
che non ci fosse stata alcuna connessione sentimentale, cosa che quel
suo
atteggiamento non confermava affatto…
«Ora
smettila per favore, non è un argomento su cui voglio
discutere, ok? Non sono
cose che ti riguardino, sei venuta qui per sapere se fossi arrabbiata
con te e
ti ho detto che non lo sono, o meglio non al punto da metterti alla
porta, ora dovresti
essere tranquilla!»
… Sofi
però non era intenzionata a parlarne e dato che non volevo
più giocare col
fuoco e mi ero ripromessa di rispettare la sua privacy e di non
intromettermi
più nelle vite altrui, decisi di smettere di fare domande.
«Ho
capito… ok Sofi, non ne parlerò
più… scusami ancora.»
Ero
ancora sull’uscio e non riuscivo a trovare la forza di
avanzare in quella casa:
nonostante Sofia mi avesse assicurato che non aveva intenzione di
allontanarmi
dalla sua vita, mi sentivo in torto marcio e troppo colpevole, per
osare
muovermi con disinvoltura in quell’abitazione, come
un’ospite desiderata.
Ma
mentre ero intenta nel mio personale Mea
Culpa, Sofi mi stupì con una domanda che non mi
sarei mai aspettata:
«Pasi… tu credi che
sia una persona
sgradevole?»
Ero io
quella che pensava di essere invadente ed ora lei se ne usciva con una
frase
del genere?!
«Sgradevole?
No, assolutamente, Sofi! Sei un tantinello acida e aggressiva, ma non
sei
affatto sgradevole e poi sai tantissime cose, ogni volta che sei con
noi imparo
qualcosa: non sai quante volte i tuoi esercizi di respirazione hanno
aiutato
anche me!»
«Già….
Sono una biblioteca vivente, vero?»
Solo
allora mi resi conto di quanto la mia amica fosse strana quella
mattina: aveva
il solito tono acido nel rispondere, ma c’era in lei una
cupezza insolita ed
una malinconia nello sguardo, che non le avevo mai visto. Qualsiasi
cosa fosse
accaduta la sera precedente, doveva averle lasciato un umore davvero
tetro addosso.
«Sofi…
ecco, probabilmente ora sarò di nuovo la solita invadente,
ma… sei giù di
morale, vero? Non ti chiederò il motivo, però se
posso fare qualcosa per
te, se vuoi
confidarti o se solo vuoi
svagare un po’ la testa… io sono qui.»
Non
volevo più parlare di Lucien, ma se in
qualche modo, potevo dimostrarmi una vera amica nei suoi confronti,
avrei
tentato immediatamente di dimostrarle che non ero solo una stupida
impicciona e
che il mio affetto nei suoi confronti era autentico.
Sofi
tornò a guardarmi negli occhi, prima di rispondermi:
«Grazie Pasi ma sto bene,
sono solo assonnata, ho dormito troppo oggi ed ora mi sento
più stanca del
solito.»
Ok, mi
aveva lasciato nel giro delle sue amicizie, ma con quella frase era
stata
chiara, non dovevo più impicciarmi.
«Ah, ho
capito… beh, allora vado via, scusami se ti ho
infastidito.»
Girai
le spalle rassegnata e mi diressi verso la porta, comprendendo che la
mia
presenza in quella casa non era più gradita, ma quando stavo
per aprire la
porta, Sofi mi stupì per la seconda volta nel giro di pochi
minuti: «In
realtà c’è qualcosa che mi ha
innervosito: ho
sognato mia madre.»
«Ah!»
Forse
non era tutto perso: se Sofia aveva deciso finalmente di aprirsi a me
su sua
madre, probabilmente avevo ancora qualche speranza di esserle davvero
amica!
«Non
capitava da anni e non mi è piaciuto affatto.»
Mi
sentii sollevata all’improvviso e tornai a respirare a pieni
polmoni, libera da
quella sensazione di soffocamento che mi stava intrappolando la gola.
Per la
prima volta da quando avevo bussato alla sua porta, riuscii a parlarle
in tono
sereno e naturale.
«Non
sai quanto ti capisco, Sofi! Ogni volta che penso ai miei genitori ci
sto male,
ho anche visto mia madre qualche giorno fa e ho capito che forse hai
ragione
tu: se una persona ti allontana, probabilmente è
perché non vuole più avere
contatti con te, non vuole capirti e non vale più la pena di
cercarla… Devo
farmene una ragione.»
«Beh,
io e mia madre di certo non abbiamo qualcosa da dirci, ma nel tuo caso
è
diverso: non posso di certo spingerti ad andarle incontro, ma lei non ti ha abbandonato
infischiandosene di
te… Vuoi un po’ di caffè
freddo?»
Finalmente
mi spostai da quell’uscio dove avevo messo radici e con uno
stato d’animo del
tutto diverso da quello che avevo solo pochi minuti prima, seguii Sofi
in
cucina, dove ci accomodammo a parlare tranquillamente, mentre ci
preparava una
bella tazzina di corroborante caffè freddo.
Trascorremmo
tutta la mattinata a chiacchierare e ritrovai finalmente la gioia di
parlare
con quella mia ispida amica, dalla corazza dura ma dal cuore generoso.
Osservai
il lavoro che aveva fatto sui miei abiti: con la colorazione erano
diventati di
un unico colore e le macchie che mi aveva lasciato Alberto erano state
assorbite dal blu scuro, che aveva salvato in una volta sola il mio
completo.
Mi brillarono gli occhi dalla felicità, quante cose avrei
dovuto imparare da
Sofi! Se fosse stato per me, quei vestiti avrebbero fatto un triste
viaggio
nella pattumiera, invece lei aveva mille risorse casalinghe che io
ignoravo del
tutto e dato che ormai vivevo da sola, avrei fatto meglio a imparare
tutti i
trucchetti da brava massaia, che la mia amica sembrava conoscere a
menadito,
essendosi occupata della casa in cui viveva praticamente da sempre!
Felice
per la salvezza dei miei abiti e ancor di più per quella
della mia amicizia con
Sofi, mi sentii finalmente serena e rilassata: rimasi a pranzo da lei e
ci
facemmo compagnia finché non giunse per me l’ora
di andare a lavoro; lavoro che
quel giorno fu molto più piacevole del solito.
*****
Con
Sofi avevo risolto, ma con l’altra parte della mela, proprio
non sapevo come
comportarmi. Qualche giorno dopo la visita a casa della mia amica, io,
Stè e
Lucien ci vedemmo per una nuova lezione di francese: il cugino di Emile
sembrava
essere del suo umore abituale e ci richiamò
all’ordine come sempre, tutte le
volte che sbagliavamo; con la solita pazienza, senza dare segni
d’insofferenza.
Ma quando Testa di Paglia nominò Sofi, chiedendogli se gli
avesse risposto in
merito al farci da insegnante, l’espressione di Lucien
s’indurì in un batter
d’occhio e
ci rispose con tono glaciale,
che avremmo dovuto chiedere direttamente all’interessata.
Quei due non dovevano
aver fatto passi avanti, anzi probabilmente non avevano mosso nemmeno
un dito
per venirsi incontro!
Mi
ero ripromessa che non avrei più interferito e quindi non
chiesi altro, ne
cercai di carpire informazioni, però vedere Lucien in quello
stato mi stringeva
il cuore: era una persona così socievole e cordiale e quello
sguardo gelido non
si addiceva al suo volto sempre sereno, temevo che stesse soffrendo
anche lui
per quella situazione... Ero combattuta, tra il mio desiderio di
aiutarlo e il
monito fatto a me stessa di non impicciarmi, così feci finta
di niente ma
ribollendo d’ansia dentro di me.
Ansia
che esplose nel momento in cui, appena usciti da casa di
Stè, Lucien
mi diede i testi tradotti delle canzoni
di Claudine.
Ero
così felice che avesse trovato il tempo di farmi quel dono
che l’abbracciai
senza pensarci due volte, così come le parole mi uscirono di
bocca, senza
essere prima filtrate dal cervello.
«Oh
Lucien grazie! Con il brutto momento che stai attraversando, hai avuto
la
gentilezza di tradurmi le canzoni di tua zia, sei un amore!»
Il
cugino di Emile si stava abituando ai miei abbracci impetuosi e sorrise
sulle
prime, ma una volta sentite tutte le mie parole, il suo tonò
risultò alquanto
dubbioso: «Brutto momento? Quale brutto momento?»
«Ehm…
ecco… Scusa, lo so che non devo impicciarmi e che la tua
vita privata non deve
assolutamente interessarmi…»
«Pasi…
a quale brutto momento ti riferisci?»
Mi
allontanò da sé per guardarmi negli occhi e
colpita dall’intensità di quello
sguardo, chinai la testa e mi accomodai su un muretto poco distante,
feci un
gran sospiro e vuotai il sacco: «Mi
riferisco al tuo litigio con Sofi… lo so che non vuoi
parlarne ed io non voglio
chiederti qualcosa al riguardo… però vedo che ci
stai male e mi dispiace,
perché ne risento anche io quando due persone a cui tengo
litigano tra loro… è
come se litigasse anche un pezzo di me.»
Lucien
s’irrigidì nel sentire il nome della
mia amica, ma quando terminai di parlare dette in un sospiro e si
accomodò
accanto a me.
«Pasi
tu es une fille très gentille,
ma non
devi accollarti tutti i problemi degli altri. C’est vrai che
non sono felice di
aver litigato avec Sophie, ma è una cosa tra me e lei e tu
non devi sentirti
presa in causa, ne tantomeno essere triste. Sono cose che
capitano.»
«Ma
ci stai male!»
«Oui,
parce que non mi piace litigare, ma non è qualcosa
d’irrimediabile… sono solo
arrabbiato, ma mi passerà.»
«Mi
dispiace tanto!» Chinai la testa sconfitta, ricolma del senso
di colpa che mi
aveva schiacciato in presenza di Sofia e che tornò a fare
capolino davanti alle
parole di Lucien.
«Non
è colpa tua, di che ti dispiaci? Non tutte le persone
riescono a comprendersi e
si finisce col litigare, non è niente di strano.»
«Ma
io non lo sopporto! Non ce la faccio a vedere che litigate e che non
parlate, non
ce la faccio a pensare che quando ci riuniremo la prossima volta,
v’ignorerete
di nuovo come se non vi conosceste! Non voglio spaccature tra i miei
amici!»
Quella
parte meno nobile delle mie ragioni aveva finalmente fatto capolino:
non
potendo dirgli il motivo per cui mi sentissi terribilmente in colpa,
esternai
l’altra motivazione che mi faceva star male, ogni volta che
pensavo a quei due
che non si rivolgevano più la parola. Temevo di percepire di
nuovo l’atmosfera
tesa, temevo di vedere i loro volti che s’indurivano
incontrandosi, temevo di
respirare la stessa tensione che mi aveva fatto fuggire da casa mia.
Non doveva
capitare anche nel mio gruppo d’amici! Era già
accaduto con la discussione sul
comportamento di Emile ed ora si ripeteva questo clima di tensione, che
non mi
faceva dormire tranquilla: era mai possibile che non potessi vivere in
pace e
armonia all’interno di un gruppo di persone a me care?
«Mi
dispiace che ci stai male in questo modo e devo dire che ti capisco in
pieno:
nemmeno io amo i litigi, soprattutto all’interno de ma
famille, proprio per
questo sono venuto qui, per riunire ciò che era stato diviso
par ma mère… Però
ci sono volte in cui bisogna tenere alto l’orgoglio
Pasi… spero che tu possa
comprendermi.»
Tenere
alto l’orgoglio… già, Lucien era una
persona che metteva spesso da parte l’amor
proprio con Emile: si era fatto dire le cose peggiori da suo cugino
senza
battere ciglio e probabilmente tutti noi avevamo sottovalutato il fatto
che
anche lui avesse un orgoglio personale… E di sicuro Sofi non
ci andava leggera,
quando iniziava ad inveire contro una persona! Iniziai a comprendere
quale
potesse essere stato il motivo del litigio, ma non feci domande
inopportune,
rispettando la sua privacy e la sua volontà di tenersi per
sé ciò che era
accaduto tra lui e Sofi.
«Non
credo di capire tutto, ma sull’orgoglio ti capisco e ti
prometto che non tirerò
più fuori quest’argomento, se non sarai
tu a volerlo.» Feci uno dei miei sorrisi
più veri per rassicurare Lucien
sulla mia sincerità.
«Bien,
sono contento che tu abbia capito.» Mi sorrise di rimando e
tornammo ad
incamminarci.
*****
La
musica è l’unica forma di comunicazione davvero
universale. L’essere umano
cambia modo di porsi, cambia gesti, usi e costumi a seconda del luogo
in cui
cresce e un gesto che in un luogo indica gentilezza, in un altro
potrebbe
significare odio o maleducazione.
La
musica no.
La
musica non la si può fraintendere, perché parla
direttamente all’anima, fa
vibrare le nostre corde e ci parla senza mistificazioni, senza
incomprensioni…
Riesce a farsi comprendere nell’intero universo di cui siamo
parte.
Ecco
perché le canzoni di Claudine mi sono entrate subito nel
cuore: pur non conoscendone
i testi, la loro melodia e il suono dolce e leggiadro della sua voce,
mi
arrivavano direttamente al centro del petto senza bisogno di essere
interpretate.
Fu
quindi una piacevole sorpresa, scoprire che quei testi non facevano
altro che
rinforzare la sensazione che ogni singola canzone mi aveva donato,
quando le
ascoltavo senza comprenderle. Lucien era stato attento a spiegarmi ogni
licenza
poetica contenuta nei testi, descrivendomi anche il significato di
eventuali
frasi fatte che in Francia avevano un significato particolare. Grazie
alla
precisione che lo contraddistingueva, attraverso quei testi capii molto
dell’anima di Claudine ma anche qualcosa in più
del modo di vivere dei
francesi. In quelle canzoni c’era sempre un velo di
malinconia: persino quando
si trattava di amore felicemente vissuto, la voce della madre di Emile
dava
delle intonazioni malinconiche al brano e alcune di quelle canzoni mi
commossero profondamente.
Claudine
era davvero brava.
Lo
stroncamento della sua carriera era stato una ferita che aveva colpito
profondamente lei, ma aveva anche privato noi pubblico di una voce
meravigliosa
e di una lyricist davvero poetica e commovente. Immersa nella
commozione,
piansi le ennesime lacrime per la sua perdita, per la sua vita
distrutta, per
il dolore che aveva accompagnato lei e la sua famiglia negli ultimi
anni.
Avrei
fatto il possibile per sostenere Emile nella sua lotta.
Claudine
meritava di essere conosciuta, meritava di ricevere il successo che le
era
stato negato. Compresi ancora di più la rabbia che il mio
Pel di Carota si
portava dentro e ricordando la sensazione di furiosa impotenza, provata
vedendo
Claudio nella casa discografica, mi resi conto che più
m’immergevo nella vita
del mio ragazzo, maggiormente comprendevo tutto ciò che lo
spingeva a vivere ed
andare avanti.
*****
Gl’incontri
che facciamo, le esperienze che viviamo, non sono altro che allenamenti
continui per far crescere il nostro animo, non sono altro che continui
esercizi
alla scoperta di se stessi e degli altri e ogni avvenimento
apparentemente
casuale, accade per darci un insegnamento che prima o poi capiremo.
E
solo col senno di poi riusciamo a vedere la perfetta concatenazione
degli eventi
a cui partecipiamo.
Questa
piccola grande verità, la compresi qualche sera dopo
Ferragosto: non avevo
preso le ferie e quindi avevo lavorato anche in quella settimana,
poiché il
fast food che mi consentiva di vivere, aveva deciso di restare aperto
persino
durante la metà di Agosto.
Furono
giorni di fuoco: tutta la città aveva chiuso i battenti e i
pochi che ancora
non erano in vacanza, si riversarono tutti in quel locale, con il
risultato che
quella cucina diventò davvero l’antro
dell’inferno, per me! Stella era in
vacanza e Paolo si presentava a giorni alterni: era impossibile gestire
tutto
da sola e qualche volta mi trovai ad essere aiutata da Serena che, come
me, non
era ancora andata a godersi le meritate ferie.
«Mamma
mia che caldo qui, non possiamo aprire la porta, Pasi? Sto
sudando!»
«No,
non possiamo, saremmo a vista di tutti e inoltre potrebbe entrare la
polvere
dell’esterno… dobbiamo sopportare.»
«Ma
mi si scioglie il trucco, così!»
«E
allora non truccarti!»
«Impossibile!
Io devo essere sempre impeccabile, non ho mica la fortuna di avere un
ragazzo
che mi ama anche se sono sfatta, come te!»
«Molte
grazie Serena, sei davvero gentile!»
«È
la verità Pasi, se ti truccassi un po’, saresti di
certo più carina e…»
«Serena
IO STO LAVORANDO! Non ho bisogno di truccarmi e non ho bisogno di
essere carina
per la carne che cucino!»
«Mamma
mia, quanto sei acida! Io lo dico per te sai, bisogna essere sempre
belle e
interessanti per il proprio uomo, altrimenti si stancherà di
averti accanto!»
«Non
so che gente frequenti tu, ma di certo Emile non è
così superficiale!»
«Mah…
intanto io questo Emile devo ancora vederlo… stasera
resterò fino alla fine,
voglio conoscerlo!»
«Ti
vuoi concentrare un secondo, per favore? Abbiamo una montagna di
ordinazioni!»
«Sì,
sì, d’accordo… mamma mia cercavo di
rendere l’ambiente un po’ più piacevole,
come sei pesante!»
La
mia collega era irritante come sempre e parlava tantissimo, mentre io
cercavo
di concentrarmi con le ordinazioni: le ore trascorse esclusivamente in
sua
compagnia sembravano davvero eterne! Tuttavia dovevo ammettere che
Serena era
una buona lavoratrice, seguiva diligentemente le mie direttive e dopo
due
giorni, divenne una presenza indispensabile per la mia
sanità mentale.
Ma
ciò che mi aveva detto era vero: nonostante il suo aiuto, a
fine serata ero
ridotta come uno straccio vecchio e avevo a mala pena la forza di
tornare a
casa. Per questo motivo, Emile venne a prendermi ogni notte a lavoro,
accogliendomi
ogni volta con il suo sorriso e i suoi corroboranti
abbracci… e Serena che
andava via sempre prima di me, era diventata un ammasso di
curiosità al
pensiero che il “fantomatico Emile”,
come aveva iniziato a chiamarlo su suggerimento di Paolo, fosse dietro
l’angolo
e puntualmente non riuscisse a vederlo. Così quella sera
decise che avrebbe
allietato le mie ore di lavoro fino alla fine, pur di riuscire a vedere
questo
personaggio mitologico!
Quando
finalmente giunse l’ora di chiudere, prima di dare una
spazzata alla cucina,
feci uno squillo al mio Pel di Carota per avvisarlo che poteva venire a
prendermi e Serena saltò dalla gioia.
«Oh,
che meraviglia! Finalmente, finalmente!»
Quella
sua manifestazione di allegria mi sembrò fin troppo
entusiastica e le rivolsi
uno sguardo in tralice privo di benevolenza:
«Mi spieghi in che modo cambierà la
tua vita, conoscere il mio ragazzo?»
calcai volutamente il suono della parola mio:
a buon intenditor poche parole!
«Oh,
Pasi, non dirmi che sei gelosa! Come potrebbe il tuo
Emile, interessarsi ad una sciacquetta bionda come me?»
Ahia,
doveva avermi sentito durante una delle volte in cui la criticavo,
insieme a
Stella… Improvvisamente iniziai a sentirmi un verme:
nonostante sapesse cosa
pensavo di lei, Serena non si era mai comportata male nei miei
confronti; era
irritante e pungente, ma non mi aveva mai mancato di rispetto,
né come persona
né come collega… Avrei dovuto tenere a bada
quell’acidità tipicamente femminile
nei suoi confronti, anche se non avrei mai dovuto abbassare la guardia,
soprattutto quando si parlava di Emile!
«Non
capisco perché tu sia così interessata a
lui.»
«Perché
lo nomini sempre e sono mesi ormai che lo conosciamo attraverso
ciò che ci
racconti. Sono curiosa di vederlo in faccia, così almeno
avrò un viso a cui
associare quello che ci dici sul suo conto.»
«Uhm…
ok, questo te lo concedo, ma sta’ attenta a come spargi i
tuoi ormoni, perché
io sarò lì a controllarti! Guai a te se ti prendi
troppe libertà!»
Serena
fece un sorrisino prima di parlare:
«Mi
lusinga che ti senta minacciata da me, dopotutto allora è
vero che chi
disprezza vuol comprare.»
«COSA?»
Prima
che potessi aggredirla con la scopa, uscì dalla cucina per
andare a ripulire i
tavoli e darmi il tempo di sbollire la furia che mi aveva travolto.
Quella
ragazza riusciva sempre a confondermi: aveva un lato sincero e gentile
che
puntualmente mi faceva pensare di essere crudele con lei, ma nel
momento stesso
in cui cercavo di rabbonirmi, se
ne usciva
con qualche frase che m’irritava a morte!
Quando
terminammo tutte le pulizie e finalmente chiudemmo tutte le
saracinesche,
scorsi nel parcheggio la sagoma del mio principe, in attesa
all’esterno dell’auto:
immediatamente m’illuminai in un sorriso e non feci in tempo
a girarmi per
salutare i miei colleghi, che Serena mi si avvicinò lesta:
«È
lui, vero? Sì, sì, è lui!»
La
guardai in tralice, irritata e mezza assordata dalle sue grida, che mi
avevano
trapanato un orecchio.
«Sì,
è lui… Serena, sai come tornare a
casa?» Iniziò a salirmi un orrendo sospetto e
prima di ritrovarmi a fare da tassista alla mia collega, volevo
accertarmi che
ci fosse un’alternativa, mentre eravamo ancora con gli altri.
«Ma
certo, non preoccuparti, Matteo mi dà uno strappo a
casa.»
Matteo
era il gestore del fast food: evidentemente si era mosso a compassione,
dato
che eravamo in pochi a lavorare eroicamente in quel periodo e si era
offerto di
riaccompagnare Serena a casa… Oppure le grazie della mia
collega avevano
parlato per lei… Qualunque fosse stata la ragione, tirai un
sospiro di sollievo
al pensiero che quell’incontro tra Serena ed Emile non
sarebbe durato che
qualche secondo.
«Ok,
allora vieni con me e togliamoci questo dente!»
«Sìììì!!!»
Soddisfatta
come non mai, Serena mi prese sottobraccio, mentre coprivamo la
distanza tra
noi e il mio Pel di Carota e giunti finalmente a destinazione, ebbi
solo il
tempo di osservarlo negli occhi, che Serena si presentò con
la furia di un
uragano.
«Quindi
sei tu Emile! Oh, finalmente ti conosco! Io sono Serena, una collega di
Pasi,
lei non mi sopporta molto e credo che in fondo sia anche un
po’ invidiosa di
me, ma sai come siamo fatte noi donne, vero? Comunque sono davvero
felice di
conoscerti, Pasi ti nomina sempre e non vedevo l’ora di
stringerti la mano!
Posso stringerti la mano?»
Emile
fu letteralmente travolto
dalle parole
della mia collega e l’osservò sorpreso e anche un
po’ perplesso… ma vidi sul
suo viso una luce particolare, che non ero riuscita a notare in quei
pochi
secondi precedenti e compresi che doveva essere accaduto
qualcosa…
«Sì,
sono Emile e non credevo di essere così famoso.»
Continuò ad osservare Serena
con curiosità, ma mentre tenne le sue mani saldamente
infilate nelle tasche,
vidi emergere un sorrisetto ironico sul suo viso: Serena lo stava
divertendo?
«Oh
sì che sei famoso! Non vedevo l’ora di conoscerti!
Non vuoi darmi la mano?
Guarda che non ho malattie, non ti trasmetto alcun virus, nonostante
ciò che
può averti detto Pasi.»
«EHI!
Ma cosa vai…»
«In
verità Pasi non mi ha mai parlato di te…
Però hai ragione, è maleducato da
parte mia non porgerti la mano, piacere di conoscerti,
Serena» Le strinse la
mano continuando a mantenere quel sorriso ironico sul volto e mi
rabbuiai, al
pensiero che trovasse divertente la compagnia della mia collega.
«Credo
che Matteo ti stia chiamando!»
Serena
si girò verso di me con una luce maliziosa negli occhi e un
sorriso soddisfatto
sul volto…
«Certo,
hai ragione, ora vado.» …si avvicinò a
me e mi sussurrò ad un orecchio: «Non
preoccuparti, potrei rubartelo quando voglio, ma te lo
lascio.» e poi si girò
verso Emile. «È stato un piacere, spero di
rivederti presto!» Mandò un bacio
volante in sua direzione, mi rivolse di nuovo quello sguardo malizioso
e si
allontanò cinguettando: «Sogni d’oro,
Pasi!»
«Quella
strega! Quella megera, come diavolo si permette?!»
Stavo
per allungarmi in sua direzione, per darle un bel pugno sul viso,
quando sentii
Emile prendermi una mano.
«Lasciala
stare, stai facendo il suo gioco, non vedi? Anche se mi piace vederti
così
gelosa.» Mi girai verso il mio Pel di Carota e vidi il suo
volto più luminoso
che mai: emanava luce, gioia, soddisfazione e mi guardava con una
vivacità negli
occhi che raramente gli avevo visto.
«Ti
sei divertito a vedermi in difficoltà, vero? Brutto sadico
che non sei altro!»
«Sì,
devo dire che mi è piaciuto ciò che ho
visto.» il suo sorriso aumentò
diventando malizioso.
«Stai
scherzando col fuoco, Pel di Carota! Fai solo un elogio a Serena e alle
sue curve
e ti cambio i connotati!»
Per
tutta risposta Emile mi abbracciò e si mise a ridere:
«Non m’importa un fico
secco della tua amica e soprattutto non stasera.»
Ecco
la conferma ai miei sospetti, era accaduto qualcosa.
«C’è
qualche novità, vero?»
«Sì.»
«E
cosa aspetti a dirmelo? Invece di parlare di
quel…» Non feci in tempo a finire
la frase, che mi ritrovai ad un’altezza vertiginosa: Emile mi
sollevò da terra
girando felice su noi stessi.
«Abbiamo
il nuovo batterista, streghetta!»
Lo
guardai in viso incredula: le sue iridi erano poco visibili alla luce
notturna,
ma quella luce febbrile che gli avevo visto poco prima, riluceva
più viva che
mai.
«Oh
Mio Dio, Emile! Dimmelo di nuovo ti prego, dillo di nuovo!»
«Abbiamo
trovato il nuovo batterista! Claudio sarà definitivamente
fuori dai giochi!»
Ecco
a cosa erano serviti la gita alla casa discografica,
l’osservare Alberto
dipingere e ascoltare Claudine: quelle esperienze concatenate tra loro,
mi
avevano fatto immergere nel mondo di Emile, nella sua anima, nei suoi
dolori e
nelle sue speranze e quando mi diede quella notizia con la gioia negli
occhi,
ero pronta a comprendere la portata della sua felicità, cosa
che avvenne quando
sentii il mio cuore fare eco a quella gioia, con
un’improvvisa esplosione di pura
esultanza dentro di me.
«Oddio
Emile! Oddio, che bello, quanto sono felice!»
Mi
strinsi a lui così forte, che sentii il battito convulso del
suo cuore fare
cassa di risonanza col mio e in quel momento provai nuovamente la
sensazione di
essere diventata un tutt’uno con lui, di essere riuscita a
comprenderlo al
punto da sentirmi parte della sua essenza, parte della sua anima.
«Ora
devi raccontarmi tutto!»
Solo
pochi minuti prima ero distrutta dalla fatica e imbufalita con Serena,
ma dopo
quella notizia splendida, la felicità provata aveva
rinnovato la scorta delle
mie energie e risollevato il mio umore al punto da sentirmi
così carica di
adrenalina, che avrei potuto restare sveglia tutta la notte, ascoltando
tutto
ciò che il mio Pel di Carota aveva da raccontarmi su quella
novità, che ci
aveva donato una contentezza al di sopra di ogni altra.
«È
assurdo se ci penso, perché avevamo la soluzione proprio
sotto il naso e
abbiamo atteso così tanto per trovarla!»
«Oh
insomma, non tergiversare! Sto morendo dalla
curiosità!»
Ci
appoggiammo al cofano dell’auto, troppo presi da quella
notizia per attendere
persino di entrare nell’abitacolo, prima di parlarne.
«Oggi
è tornato dal Canada un amico dei gemelli, Luca…
fino a qualche mese fa, viveva
qui e ci seguiva sempre durante le nostre serate nei
locali...» Emile
raccontava con calma ma gesticolava freneticamente, stava cercando di
trattenere la gioia per farmi un resoconto migliore possibile.
«Ha un
laboratorio di Tattoo e piercing, ma ci ha detto che sarebbe andato a
fare uno
stage in Canada per migliorare le sue conoscenze…»
«In
Canada? Non c’era un luogo più vicino?»
Emile
tornò a sorridere maliziosamente: «Dato che
l’istruttrice era una donna che
aveva incontrato ad una fiera, immagino che dovesse migliorare un
determinato
tipo di conoscenza…»
«Ah…
Ma questo cosa c’entra con il batterista?» La mia
ansia cresceva di minuto in
minuto, perché mi stava raccontando le cose partendo da
Adamo ed Eva?
«Adesso
ci arrivo, non sei stata tu a chiedermi di raccontarti
tutto?» Touchée…
«In pratica, Luca è tornato qualche
giorno fa
e quando i ragazzi l’hanno aggiornato sulla nostra
situazione, si è offerto di
sostenere l’audizione come batterista!»
«M-ma
cosa c’entrano i tatuaggi con la batteria?» Forse
spinta dall’ansia avevo perso
qualche passaggio nel discorso…
«Ecco,
per la fretta ho dimenticato di dirti la cosa essenziale: oltre a fare tatuaggi, Luca
suona la batteria
da anni e seguendo il nostro gruppo da sempre, conosce a menadito anche l’esecuzione
dei brani.»
Ora
mi era tutto chiaro!
«Ha
mantenuto il tempo perfettamente, come se suonasse con noi da anni e
quasi non
si sente la differenza tra lui e Claudio!» Mentre mi diceva
quest’ultima frase,
la gioia di Emile esplose tutta sul suo viso e quella contenuta
felicità che aveva
mantenuto mentre parlava, fu libera finalmente di esprimersi.
«Non potevo
chiedere un dono migliore, Pasi, è tutto così
perfetto che ho paura che sia un
sogno!»
Totalmente
coinvolta dalla gioia di Emile, l’abbracciai e lo tenni
stretto a me: «Sono
così felice! Così felice! Finalmente tutto gira
per il verso giusto!»
Sentii
le braccia del mio Pel di Carota che si serravano su di me:
«Devono solo
passare questi mesi di tour e poi sarò finalmente
libero.»
Non
replicai a quella frase, mi tenni stretta a lui, godendomi quel momento
di
totale felicità, mentre nel mio cuore le sue parole
echeggiavano i miei
pensieri: sarebbe stato un lungo e pesante tour, ma oltre ad essere
l’ultimo
scoglio da superare, sarebbe stato anche il trampolino di lancio per il
cambiamento
che ci stava aspettando. Era un male necessario che avrebbe riportato
il sole
nella vita di Emile e di conseguenza, nonostante temessi le
implicazioni legate
a quel cambiamento, non vedevo l’ora che arrivasse.
NDA
SCUSATEMIIII!!! GOMEN NASAI!!!! ç_ç
Un mese intero, è la prima volta in
assoluto che faccio
trascorrere così tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro
e sono senza parole verso me stessa!
Purtroppo verso la fine del mese scorso mi
è salito addosso un umore tetro e pessimista che non ha
lasciato spazio all'ispirazione e non vi dico che fatica è
stata cercare di scrivere due righe!
Per fortuna non mi sono data per vinta, soprattutto
considerando che mai come questa volta, sapevo esattamente cosa
scrivere e quindi anche sforzandomi, ho iniziato a mettere
giù il testo, che poi per fortuna tra Giovedì e
Venerdì ha preso la sua forma completa, grazie al ritorno
della mia Musa che mi ha permesso di ritoccare tutti i punti scritti
sotto un cattivo influsso e che apparivano freddi e privi di
vita.
Venerdì inoltre, ho modificato alcune
parti e aggiunto tutto il pezzo con Serena (che non era stata
considerata nella prima stesura) e sono felice di averlo inserito
perché personalmente mi sono davvero divertita a scriverlo
xD (Ed ora Testarossa mi ammazza!)
Quando ho spedito il capitolo alla mia Beta, mi sono anche accorta che,
alla faccia della mancanza d'ispirazione precedente, è
risultato il capitolo più lungo che abbia scritto finora: 17
pagine di Word!!! Sono fiera di me :D
(Spero ovviamente che siano 17 pagine interessanti
e non una sequenza di roba che non vi sia piaciuta, non c'è
nulla di peggiore di un barboso e chilometrico capitolo!)
Per chi sta leggendo anche Love
Sucks, chiedo
scusa se la ripetizione del dialogo tra Pasi e Sofi è
risultata noiosa; in un primo momento avevo pensato di riassumerlo, ma
poi mi sono resa conto che avrei fatto un torto a Pasi,
perchè era un momento importante e riassumerlo non sarebbe
stato in linea con il resto del racconto, inoltre per chi non sta
seguendo lo spin-off, ci sarebbe stata una lacuna importante e non era
minimamente considerabile. Quindi spero che leggere la scena dal punto
di vista di Pasi, sia risultato abbastanza gradevole da non farvi
annoiare per la ripetizione :D
And Last
bun not Least,
vogliamo innalzare tutte un ALLELUJA perché finalmente
è stato trovato il batterista?!
Ho fatto i salti di gioia insieme ad Emile e Pasi
mentre Pel di Carota dava la notizia alla sua streghetta!!! ERA ORA!!!!
Angolo dei Ringraziamenti
Prima di tutto, grazie a tutte per aver atteso
pazientemente l'arrivo di questo capitolo senza lamentele, siete state
dolcissime e pazienti. Grazie Mille!!! :D
Ed ora ovviamente un grazie di dimensioni titaniche
a:
Fiorella
Runco, la mia beta-tomodachi sorella d'anima
perché nonostante i mille impegni, trova sempre del tempo
per me.
Grazie sorellina, sei un tesoro <3
Vale, Niky, Saretta, Concy, Cicci, le mie
sister del cuore che sono sempre pronte a recensire, a darmi sostegno a
farmi morire dalle risate (recensitrice folle, ce l'ho con te xD) e a
far vivere i miei ragazzi dentro di loro, attraverso l'entusiasmo che
dimostrano dopo ogni lettura. Vi adoro in blocco!!! <3
Ana-chan
ed Ely,
le mie
sister in pausa, che non mancano di sostenermi a priori. Grazie tesore
mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth,
che ho scoperto essere anche una sorella Alexina (magnifica scoperta!)
oltre che una delle lettrici più affezionate di
questa storia. Grazie perché nonostante la febbre hai avuto
la forza di leggere e commentare, grazie mille! :*
ThePoisonofPrimula,
che oggi compie gli anni, e che nonstante stia attendendo
spasmodicamente il prossimo capitolo di Love Sucks, spero trovi
appagante anche la lettura di questo capitolo, come piccolo regalo di
compleanno da parte mia. AUGURONI
PRIMULINA!!!!!!
:******
Kira1983,
che
si è legata a questa storia in un batter d'occhio e che
continua a seguirla sempre con interesse e trasporto. Grazie Kiruccia!!
:*
Inoltre
un enorme grazie va a sel4ever,
che mi ha rallegrato non poco con la sua recensione allo scorso
capitolo, dicendomi che questa è tra le storie
più belle che abbia letto! Grazie grazie e ancora grazie!!!
Grazie grazie e sempre più grazie!!
ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!