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Autore: teabox    05/03/2012    9 recensioni
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Molly Hooper avrebbe risposto che si considerava una persona normale. Nella media. Assolutamente non stravagante. Senza nulla, nella sua vita, che potesse definirsi eccentrico.
Poi si ricordava di Sherlock Holmes e delle situazioni assurde in cui finiva per colpa sua.
E cambiava idea.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: ultima parte! Quattro capitoli di giri e rigiri di parole per poter scrivere, alla fine, quello che ho messo qui in conclusione.
E lo so che mi ripeto, ma davvero mille grazie per la gentilezza, i commenti, le opinioni, le letture e la pazienza. A presto, spero!

Lo aggiungo qui, ora, perché non so dove altro metterlo. Avete assolutamente ragione, il personaggio di Irene non è reso bene e ho fatto un gran pasticcio con lei. Scusatemi.

*

*

*

4 di 4
Un problema di bugie

Quando John andò ad aprire la porta dell’appartamento, accolse Molly con un sorriso sorpreso. «Molly. Cosa ti porta qui?»
Lei gli sorrise di rimando. «I piedi.»
«Sei venuta a piedi dal tuo appartamento? E’ una lunga camminata.»
«Oh no, John», replicò Molly scuotendo la testa. «Non sono venuta a piedi, sono venuta per i piedi
John alzò le sopracciglia, quindi notò il contenitore termico che Molly teneva con una mano. «Oh cielo. Una consegna per Sherlock, immagino.»
Lei annuì vagamente imbarazzata. «Al tassista ho detto che avevo delle birre. Non credo che mi avrebbe fatto salire, altrimenti.»
Sherlock comparve in quel momento dalla cucina. «Li hai trovati?»
«Sì», disse lei con una nota di entusiasmo. «Esattamente come li volevi.»
Sherlock prese il contenitore termico e lo aprì cautamente. «Perfetto. Molto bene, Molly.»
«Non c’è di che.»
John si strofinò le mani. «Un tè, Molly? O magari un caffè?»
«Molto gentile.»
John, Sherlock e Molly si guardarono spaesati. Non era stata la voce di Molly a rispondere.
Si girarono, allora, verso l’ingresso dell’appartamento e con una certa sorpresa si trovarono a fissare l’elegante figura di Irene Adler appoggiata allo stipite della porta. «Un caffè sarebbe perfetto, dottore caro. Io lo preferisco nero, un cucchiaino di zucchero. Grazie mille.»
E con i loro sguardi ancora appuntati su di lei, Irene si mosse lentamente nell’appartamento, sfilandosi dei guanti neri con una certa disinvoltura, accomodandosi in una delle poltrone come se le appartenesse e sorridendo come se fosse del tutto normale il fatto che fossero tutti insieme lì, in quell’appartamento.
John si schiarì la voce. «Sì, dunque.» Esitò. «Caffè per tutti?»
«Non per me», replicò Molly velocemente. «Ero passata solo per...sai...», indicò nella direzione generale di Sherlock, per poi correggersi e puntare al contenitore. «Quello. Per quello. E’ meglio che vada, adesso.»
«Rimani dove sei, Molly», replicò secco Sherlock.
Molly e John lo fissarono stupiti. Irene sorrideva.
Sherlock raggiunse la poltrona che fronteggiava quella in cui si era accomodata Irene. Quando si sedette, le mani presero automaticamente a tamburellare sul bracciolo.
«Che piacevole piccola riunione, vero?», domandò Irene con evidente sarcasmo. «Certo avrei preferito trovarti da solo, Sherlock caro, ma va bene anche così. Non sono particolarmente timida. Anzi, trovo che avere un pubblico possa essere...eccitante
John si schiarì di nuovo la voce e Molly spostò lo sguardo. «Io credo proprio che dovrei and-»
«Ti ho già detto di rimanere dove sei», la interruppe Sherlock freddamente. «Ora, Irene. Cosa vuoi?»
«Sherlock, tesoro», replicò lei con una piccola risata. «Che domanda sciocca. Tutti in questa stanza sanno esattamente cosa voglio.»
«Mi pare che Sherlock abbia già reso chiaro che non è interessato», s’intromise John con un tono infastidito.
La frase gli valse uno sguardo divertito di Irene. «Allora forse, caro dottore, potresti dirmi tu a cosa è interessato Sherlock? O a chi
Spostò platealmente lo sguardo da John a Molly, per riportarlo quindi su John.
«Non vedo come la cosa ti riguardi», disse Sherlock catturando nuovamente l’attenzione della donna, «dato che tu non sei parte della formula.»
Irene alzò un sopracciglio, il volto trasformato in una maschera di ghiaccio. Gli sorrise freddamente. «Oh, Sherlock. Menti. E posso provarlo.»
Molly guardò Irene alzarsi dalla poltrona e avvicinarsi a Sherlock. Con un movimento fluido si lasciò scivolare sulle sue ginocchia, incrociando le gambe. Le dita di Sherlock smisero di tamburellare. Irene gli prese il viso tra le mani e avvicinò il suo con studiata lentezza. «Lo so che mi vuoi», sussurrò sulle sue labbra. «Dillo. Solo una volta. Dillo.»
Molly si era istintivamente avvicinata a John e osservava la scena terrorizzata. Non era solo quello che Sherlock avrebbe potuto dire a farle paura, a farle venire voglia di uscire da lì e scappare. Era soprattutto la gelosia, quella terribile sensazione che voleva farle gridare ad Irene Adler di alzarsi - subito, immediatamente - e sparire per sempre dalle loro vite.
«Quello che voglio», disse alla fine Sherlock lentamente, «è che tu te ne vada. Ora.»
Molly trattenne il fiato e si accorse vagamente che John aveva fatto lo stesso.
Irene, invece, sembrava essersi cristallizzata nella sua posizione, il viso di Sherlock ancora fra le mani. «Non dici sul serio», sussurrò.
Sherlock la prese per le braccia e la sollevò, alzandosi a sua volta in piedi. «John, porgi a Miss Adler i suoi guanti, ci sta lasciando.»
John fece come chiesto, ma Irene lo ignorò. «Non dici sul serio», ripeté con un tono che suonò ferito.
Sherlock prese i guanti da John e li spinse senza grazia nelle mani di Irene. «Sai qual’è l’uscita.»
Irene trattenne per un attimo il respiro, lo stupore e l’incredulità ancora dipinti in volto. Abbassò gli occhi sui guanti, guardandoli come se non fosse del tutto sicura di cosa farne, prima di infilarvi con gesti meccanici le mani appena tremanti. Alzò di nuovo lo sguardo su Sherlock. «Un giorno rimpiangerai tutto questo.»
Molly, vicino alla porta, non osò muoversi. Nemmeno quando la vide avvicinarsi, nemmeno quando la vide fermarsi accanto a lei.
«E anche tu, caro il mio topolino», le disse Irene freddamente.
Poi la porta si chiuse ed Irene Adler scomparve.

*

«Bene, sì», disse John dopo un attimo, cercando di riempire il silenzio. «Immagino allora che non la vedremo per un po’. Possibilmente mai più.»
Sherlock tornò a sedersi senza dire una parola.
Molly intrecciò le dita delle mani e abbassò lo sguardo sul pavimento. «Credo che sia meglio che vada.»
«Pensi che sia sicuro?», le domandò John, prima di rivolgersi a Sherlock. «Non pensi che sarebbe meglio se Molly rimanesse qui ancora per un po’? Non che ci sia veramente qualcosa da temere», continuò ritornando ad indirizzarsi a Molly. «Ma Irene sembra essersi fissata in qualche modo con te. Anche se non capisco davvero perché. Voglio dire, non è come se tu e Sherlock foste...» La voce di John andò lentamente spegnendosi. Spostò lo sguardo da Molly a Sherlock un paio di volte. «Perché tu Sherlock non siete...giusto? Voi non...»
Molly alzò le mani imbarazzata. «No,no,no. Assolutamente no. Noi non...certo io...Sherlock mi...ma non lui. Sherlock non...»
«Quello che Molly sta cercando inutilmente di dire», la bloccò Sherlock infastidito, «è che fra lei e me non c’è niente di quello che immagini tu, John.»
«Esatto», replicò Molly arrossendo. «Nulla. E quello che c’è stato, è stato solo uno sbaglio.»
«Ah, oka-...aspetta, cosa? Quello che c’è stato
Sherlock, dalla poltrona, alzò gli occhi al cielo. «Lo sai che ci siamo baciati.»
«Io. Io l’ho baciato», s’intromise Molly cercando di chiarire la situazione. «Sherlock non ha fatto assolutamente nulla. E’ stata colpa mia.»
«Molly Hooper», disse Sherlock pacatamente, «devo forse ricordarti che ci siamo baciati una seconda volta?»
«Oh cielo», mormorò lei abbassando la testa.
John, totalmente sconcertato, non poté fare altro che fissarli in silenzio per qualche istante. Quindi, piuttosto inaspettatamente, guardò Sherlock con rimprovero. «Non è uno dei tuoi esperimenti questo, vero? Non ti stai prendendo gioco di Molly o usando i suoi sentimenti per qualche stupido scopo?»
Sherlock, vagamente offeso, alzò un sopracciglio. «No.»
Molly appoggiò una mano sul braccio di John, richiamando la sua attenzione. «E’ stato uno sbaglio. Due volte uno sbaglio. Tutto qui. Niente di importante. Non li chiamerei neanche baci, davvero.»
John non sembrò del tutto convinto, ma l’aria di rimprovero sembrò comunque dissolversi un po’. «Quindi adesso cosa...?»
«Adesso torno a casa», rispose Molly semplicemente. «E ci vediamo al Barts quando avete bisogno.»
John la guardò perplesso. «Puoi fermarti, se vuoi. O se preferisci ti accompagno a casa.»
Molly fece per rispondere, ma Sherlock fu più veloce. «L’accompagno io.»
«Cosa?», domandarono lei e John nello stesso istante.
Sherlock ignorò la reazione stupita di entrambi e prese il cappotto. «Andiamo.»
«Ma io...», provò ad obiettare inutilmente Molly.
John li seguì fino alle scale e li guardò scendere al piano inferiore e uscire dalla casa. Scosse la testa, pieno di dubbi. C'erano due soli possibili scenari, dal suo punto di vista. O quella cosa non avrebbe portato nulla di buono, o non avrebbe portato nulla di nulla.
Non era sicuro cosa augurarsi.

*

A Molly piaceva Sherlock, quella era una cosa ovvia.
Però davvero non riusciva a comprendere quel lato della sua personalità che gli faceva fare cose come quella che aveva appena fatto - offrirsi di accompagnarla a casa - per poi far seguire il tutto dal più totale e imbarazzante silenzio.
O forse era colpa del taxi. Forse Sherlock era quel genere di persona che non parlava in macchina, ma preferiva osservare il mondo scorrere al di là del finestrino e perdersi nei propri pensieri.
O forse, più semplicemente, non c’era nulla di dire.
Un altro lato della sua personalità che le era difficile da comprendere era l’abitudine di Sherlock di mormorare parole - le sue note mentali - che francamente solo lui riusciva a capire, dato che emergevano da ragionamenti che molto spesso teneva per sé.
«Sbaglio», mormorò per l’appunto in quel momento.
Molly si voltò a guardarlo. «Scusa?»
Lo sguardo di Sherlock rimase appuntato sul finestrino. «Sbaglio», ripeté.
«Se hai cambiato idea e non vuoi accompagnarmi...»
L’espressione di Sherlock, quando si girò a guardarla, fu sufficiente a farla interrompere. Sembrava irritato. «Non mi riferisco a quello, Molly. Parlo di “è stato uno sbaglio”. “Niente di importante”. “Non li chiamerei neanche baci”.»
«Oh», disse Molly. Si morse un labbro. «Oh.»
«Spiegami, dunque, Molly Hooper», riprese lui sarcastico, «tu cosa esattamente chiameresti un bacio? Perché io ho questa assurda ed evidentemente errata nozione secondo la quale è quel momento in cui tocchi qualcosa o qualcuno con le labbra.»
Molly si spostò a disagio sul sedile del taxi. «Ah. Sì. Credo...credo che sia corretta. La tua definizione, intendo.»
«Felice di saperti concorde», replicò lui secco.
«Solo che...», sussurrò Molly incerta. Sherlock non disse nulla e lei lo prese come un invito a continuare. «Non ero sicura di come...sai, di come tu vedessi la cosa. E John, lui sembrava, non so...non volevo creare problemi.»
«Nessuno ti ha chiesto spiegazioni, Molly», disse Sherlock tornando a spostare lo sguardo al di là del finestrino. «E soprattutto nessuno ha detto che crei problemi.»
Molly alzò gli occhi su di lui, sorpresa da quelle ultime parole. Lo fissò un istante, prima di di girarsi a sua volta verso il finestrino, nascondendo un sorriso.

*

Quando Sherlock scese dal taxi subito dopo di lei, Molly lo guardò con un grado di panico negli occhi. «Cosa stai facendo?»
Lui le rivolse uno sguardo annoiato. «Ti seguo?»
«Sì, ma perché?»
«Per assicurarmi che Irene Adler non ti stia aspettando nel tuo appartamento», rispose lui come se la cosa fosse ridicolmente ovvia.
E forse, pensò Molly, la cosa sarebbe stata davvero ridicolmente ovvia, se lui fosse stato una persona normale. Ma era di Sherlock che si stava parlando, per l’amor del cielo. E comunque dubitava fortemente che persone normali si trovassero in situazioni come quelle.
«Pensi di poter aprire la porta o preferisci entrare con metodi più creativi?», domandò lui sarcastico.
Molly cercò nervosamente le chiavi nella borsa e aprì la serratura. Rimase in silenzio guardando Sherlock entrare per primo e muoversi con attenzione nell’appartamento. C’era qualcosa di sconcertante nel vederlo lì. Reale, in tutta la sua altezza e intelligenza e drammaticità. Con la falda del cappotto alzata e quei capelli scuri e quello sguardo che sembrava mettere a nudo tutto. Era come osservare un evento storico nel momento della sua creazione.
«Smettila di guardarmi a quel modo, Molly Hooper.»
Molly spostò lo sguardo, reprimendo di nuovo un sorriso.
«Cosa trovi divertente?»
«Nulla. Niente», rispose lei tornando a guardarlo.
Sherlock la raggiunse e quando Molly pensò che lui fosse abbastanza vicino, Sherlock fece un ulteriore passo, entrando a tutti gli effetti in una zona che lei avrebbe definito “troppo vicino”.
«Da quando hai iniziato a dire bugie, Molly Hooper?»
«Co-cosa?»
«Sembra che ultimamente tu ne dica parecchie.»
Molly arretrò di un passo e Sherlock la seguì. «Se è ancora per quella volta al laboratorio, ti ho già spiegato che-»
«No, Molly», la fermò lui freddamente. «Non mi riferisco solo a quello. Parlo di un attimo fa, quando hai risposto “nulla”. Parlo di prima, quando hai detto a John che sei stata solo tu a baciarmi. E soprattutto parlo di prima ancora, quando ti ho chiesto se Irene ti avesse fatto qualcosa e tu hai risposto di no. Il segno dello schiaffo era piuttosto evidente, sai.»
Molly arrossì e spostò nervosamente lo sguardo lungo l’appartamento, non sapendo cosa rispondere. Fece un altro passo indietro. Sherlock la seguì di nuovo.
«Allora, Molly, perché racconti bugie?»
«Non...», si fermò per schiarirsi la voce, la gola improvvisamente secca. «Non erano...non sono cose importanti.»
«E sta solo a te deciderlo?»
«Si...?», replicò lei sentendosi ridicola, un attimo dopo, per aver fatto suonare la risposta come una domanda.
Sherlock fece un altro passo verso di lei e Molly finì con la schiena contro la parete.
«Spiegami, è questo il genere d’uomo che ti attrae, Molly? Qualcuno che ti terrorizza, ti usa, ti manca di rispetto?»
Lei, forse per la prima volta, lo guardò con una certa durezza. «No. E’...è vero, c’è qualcosa di te in quello che hai appena detto, ma tu sei anche altro.»
Sherlock, se fosse stato diverso, forse avrebbe riso. Invece si limitò a guardarla senza nessuna espressione particolare. «E cos’altro sarei?»
«Chiedilo a John», replicò secca Molly. «O chiedilo a Gregory o a Mrs. Hudson. Lo vediamo tutti, sei solo tu che...», la voce andò spegnendosi.
Sherlock esitò un istante, quasi sorpreso da quelle parole. «Sei tu che vedi cose che non ci sono, Molly. Perché sei innamorata di me.»
La frase, consegnata con la stessa pacatezza di un’affermazione ovvia, ferì in qualche modo Molly. Abbassò la testa un poco e si lasciò sfuggire un sospiro. «Non...non sono solo io, Sherlock. Siamo tutti un po’ innamorati di te. Ti amiamo tutti, in modi diversi. Io...il mio è solo il modo più stupido di dimostrarlo.»
Sherlock esitò di nuovo. Alzò il braccio lentamente, con un movimento quasi incerto e goffo, e appoggiò la mano sulla testa di Molly. Il pollice, sulla linea che segnava l’attaccatura dei capelli, prese distrattamente ad accarezzarle la fronte.
Molly alzò cautamente lo sguardo e lo osservò. Per un attimo non seppe cosa aspettarsi, ma quando lui si allontanò senza dire una parola, capì che non c'era nulla davvero da aspettare.
«Sembra tutto a posto, qui», disse infine Sherlock avvicinandosi alla porta.
Molly lo seguì nell’ingresso in silenzio. Aprì la porta per lui e alzò una mano salutandolo impacciata. «A presto.»
Sherlock fece passare un attimo, quindi annuì di rimando e uscì.
Quando chiuse la porta e si appoggiò al battente, Molly rilassò le spalle e lasciò scappare un piccolo sospiro. Era strano, si trovò a riflettere tornando verso il salotto, come si sentisse più leggera. Anche se forse non era riuscita a dire tutto o dirlo bene, aveva comunque la sensazione di aver fatto un passo avanti, di essersi finalmente liberata di qualcosa - non era ancora sicura cosa.
Colse il suo riflesso in uno specchio del salotto e inclinò appena la testa. Certo, c'era molto in lei che poteva essere cambiato, migliorato o semplicemente essere diverso. Ma il punto era proprio che poteva, non che doveva. Perché lei - impacciata, romantica e tendenzialmente timida - si andava bene così com'era, grazie mille. Ed evidentemente andava bene anche a Sherlock, e grazie mille di nuovo.
Sherlock che, tra l'altro, come suo solito entrava e usciva dalla sua vita lasciandosi sempre una certa dose di confusione alle spalle.
Un giorno, forse, Molly avrebbe imparato a fare ordine.
Un giorno, forse, lo avrebbe fatto.
Non quel giorno, però. Non ancora.

  
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