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Autore: Bethesda    05/03/2012    3 recensioni
Breve One-shot che tratta il periodo dopo "L'ultima avventura", ovvero quando il noto detective era considerato defunto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Subito dopo la mia “dipartita”, che scatenò nell’intero mondo criminale e giuridico reazioni contrastanti, fui costretto ad abbandonare l’amata Gran Bretagna. Nessuno, se non mio fratello Mycroft,  sapeva che io, Sherlock Holmes, noto detective, ero scampato alle fameliche fauci delle cascate Reichenbach, tomba spumeggiante e umida del più grande genio del crimine che il mondo abbia mai incontrato.
Non sono abituato a scrivere delle mie avventure –come le definirebbe il mio amico Watson, anche lui sicuro della mia morte- ma ritengo che un fatto in particolare, avvenuto nel Continente, debba essere necessariamente riportato. Dubito che ne farò mai menzione al mio compagno quando lo incontrerò fra un bel po’ di tempo,  ma la mancanza delle mie note e cartelle si fa sentire e, una volta tornato in Baker Street, dovrò aggiornare tutte le mie ricche fonti di informazione con ulteriori pagine.
Giungiamo però ai fatti.
Mi trovavo a Roma e avevo felicemente concluso il mio lavoro presso Sua Santità (anche di questo non farò ulteriore menzione), pronto a intraprendere un nuovo viaggio verso paesi orientali, quando un incontro inaspettato mi costrinse a rallentare la mia partenza.
Oziavo sotto il caldo sole italiano, gloria di quel colorato quanto tormentato paese, cullato dal gorgogliare dell’acqua di una delle marmoree fontane della capitale, quando una voce mi giunse alle orecchie.
Un ragazzo mi aveva salutato nella mia lingua madre, avanzando poi veloce in mezzo alla folla.
Rimasi interdetto, sono costretto ad ammetterlo: avevo avuto un incontro del genere solo un’altra indelebile volta.
Mi alzai dal tavolino che occupavo da qualche ora in compagnia del romanticismo cartaceo di Shelley, pagai rapidamente il conto e partii all’inseguimento.
Roma è una città enorme, popolata da uomini e donne di ogni razza e origine, e non raramente si incontravano gruppi di turisti o residenti di origine anglosassone, ma il pensiero che quella persona potesse essere lì mi spingeva a far entrare in campo il mio “fiuto”.
Ero riuscito a scorgere la direzione presa dal giovane e camminavo con passo celere, scontrando donnoni imponenti che erano alla base del mercato romano.
Sembrava che l’inseguito si prendesse gioco di me: avanzava rapidamente per poi rallentare, permettendomi di individuarlo, per poi allontanarsi nuovamente.
Questo tira-e-molla cominciava a darmi noia ma non demordevo e la mia fatica venne ricompensata quando vidi il giovanotto entrare in un locale.
Misi piede in quella bettola nella quale erano esposti in vendita oggetti strani e improponibili, tanto da sembrare più un museo che un negozio.
Con i sensi in allerta finalmente ebbi il mio primo vis-a-vis con la mia preda: minuta, con linee che sembravano particolarmente efebiche sotto quei vestiti da ragazzotto in vacanza studio. Un baschetto nascondeva i capelli e parte del viso, lasciando alle labbra il compito di mostrare ciò che stava pensando il loro proprietario.
«E’ un piacere incontrarla di nuovo, signor Holmes.»
I ragionamenti che avevo fatto durante tutto il tragitto non mi avevano tratto in inganno: come l’ultima volta in cui la vidi di persona di sfuggita, stava davanti a me Irene Adler, in uno dei suoi travestimenti preferiti.
«Il piacere è mio, signora Norton. Non pensavo che lei e suo marito vi foste rifugiati qui. Mi aspettavo una meta quale Parigi, Berlino…»
«Città gradevoli senza ombra di dubbio ma il clima italiano in questa stagione è estremamente piacevole. Ma dubito che lei mi abbia inseguita per parlare dei miei domicili.»
«E dubito che lei si sia fatta inseguire per lo stesso motivo.»
Sollevò la visiera permettendomi finalmente di incontrare gli occhi che erano stati in grado di gabbarmi: quanto ingegno e furbizia si nascondeva dietro quelle lunghe ciglia!
«Noto che non ha perso le sue abitudini.»
«The leopard never changes his spots. Amo passeggiare inosservata, dovrebbe saperlo. Ma credo sia lei a dover dare qualche spiegazione: la sapevo defunto. O forse sto parlando con un fantasma?»
«Preferirei che lei mi ritenesse tale: non vorrei mai che la mia vera condizione trapeli al di fuori di questo negozio. Purtroppo il mio mestiere mi ha portato a crearmi svariati nemici.»
«Non l’avrei mai detto», disse ironica.
«I suoi travestimenti sono sempre dediti alla strada o ha ripreso a recitare, signora Norton?»
«La prego, mi chiami Irene. Purtroppo ormai canto e recitazione sono solo un passatempo e la ribalta non fa più per me.»
Provai un incredibile senso di mestizia: l’abilità di quella donna era nota e i palcoscenici di tutta Europa avevano perso una grande artista.
La vidi mettersi dietro una tenda, nascondendosi alla mia vista, e poco dopo fece la sua comparsa davanti a me la donna che da anni ormai impreziosiva il mio piccolo salotto in Baker street con una sua foto.
«Conosco il proprietario del negozio, un vecchio collega: mi offre il retro come “camerino” per le mie passeggiate», mi spiegò lei.
Un vecchio pendolo segnava le cinque del pomeriggio e lei sembrò allarmarsi. Si voltò dunque verso di me, lo sguardo dispiaciuto.
«Signor Holmes, purtroppo devo andare.»
«Non vorrei mai che la sua copertura saltasse e che il mondo si privi della sua abilità nei travestimenti.»
«Mi sembra che lei si sminuisca troppo: la prima volta che l’ho vista mi ha tratta in inganno lei stesso con un vestito da prete.»
Mi sorrise con gentilezza, il piede già pronto a scattare verso l’uscita.
«Dubito fortemente che ci rivedremo ancora. Addio Sherlock.»
Mi permisi di baciarle leggermente la mano guantata di pizzo bianco, sollevandomi poco dopo per guardarla un’ultima volta.
«Dubito anche io. Addio Irene.»
Le labbra le si incresparono nuovamente e subito si allontanò, lasciandomi solo con i miei pensieri.
Dopo quell’incontro non la vidi mai più se non una volta, sull’articolo di un giornale londinese: aveva ripreso a recitare ma ritenni opportuno evitare di assistere allo spettacolo.
Il mio secondo e altrettanto fugace incontro con Irene Adler mi ha lasciato un segno ancora più profondo del primo ma mai nessuno ne leggerà, neanche il mio buon amico.
Debbo però concordare con quanto scrisse Watson nel racconto “Uno Scandalo in Boemia”:
ella per me resterà sempre La Donna.
   
 
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