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Autore: SparkingJester    05/03/2012    3 recensioni
Cavalieri, draghi, stregoni, intrighi, sangue, magia, fuoco, ferro e ossa. Tanta azione in una storia fantasy dai risvolti rapidi e inattesi con protagonisti sicuramente fuori dai canoni comuni.
6° posto al contest "Ready, set... GO! -Ovvero il Diabolico Contest Fantasy".
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«In fila, a due metri l’uno dall’altro! Forza, rapidi!»
Il sacerdote sembrava più un generale dell’esercito che un uomo di fede, ma i ragazzi che volevano diventare cavalieri erano davvero troppi: migliaia di giovani dai dieci ai venticinque inverni si riversavano nelle strade principali in preda ad una fame insaziabile di gloria e ricchezza. L’evento era il più atteso da tutti i sudditi dell’Impero: la nascita dei draghi e la conseguente investitura dei cavalieri.
I sacerdoti dediti al culto del Dio Kerma, una divinità metà uomo e metà drago, si occupavano da sempre dei preparativi per questo straordinario evento, adibendo una sala del palazzo imperiale per ogni uovo in fase di schiusa e predisponendo una fila di cento ragazzi al giorno per ogni uovo. Il rito era semplice: il cucciolo appena uscito dall’uovo doveva visionare ogni giovane che gli si fosse parato davanti: uno sbuffo e il candidato veniva scartato; un lamento e l’aspirante veniva condotto al monastero per intraprendere la via del sacerdozio; un segno indelebile come un morso, un graffio o un’ustione e il giovane diveniva il suo cavaliere.
Magara queste formalità già le conosceva cosi come i restanti novantanove ragazzi dietro e di fronte a lui: i sacerdoti non facevano che cantilenarlo nei templi, urlarlo per le strade, sussurrarlo ai candidati in fila per la schiusa. Sentiva che stava diventando pazzo; sentiva che anche i suoi compagni sarebbero usciti di senno e che qualcuno avrebbe avuto un crollo psicofisico: ma ormai mancava poco. Altri quattro ragazzi e sarebbe stato il suo turno dopo una mattinata trascorsa ad avanzare lentamente attraverso l’enorme piazza. L’emozione era tanta e il caldo insopportabile: la paura di vedersi sottratta la possibilità di divenire cavaliere proprio ad un passo dal drago, dal suo turno, era fin troppa. Tremava, sbuffava. L’impazienza era sempre stata la sua debolezza.
Uno strillo, un grido stridulo e fastidioso: qualcuno era stato appena nominato Apprendista e condotto al monastero. Magara non voleva finire come quei vecchi noiosi vestiti con tuniche e alti cappelli o passare metà della sua vita con la testa sui libri; lui voleva indossare armature ed elmi, sfidare valorosi avversari in battaglia, volare alto nel cielo col suo dragone e scendere in picchiata su eserciti nemici.
«Tu, ragazzo con la cicatrice!»
Un vecchio sacerdote dalla voce roca puntò il suo bastone d’appoggio verso la colonna di giovani.
A Magara gelò il sangue nelle vene: parlava con lui? Domanda sciocca, solo lui possedeva un’evidente cicatrice che dal centro della fronte scendeva lungo il viso, il collo e fin sotto le costole nascoste dalla logora camicia.
«Dice a me?»
Le farfalle iniziarono a svolazzare nello stomaco del giovane candidato. Emozionato e intimorito, Magara iniziò a fremere e mille pensieri inondarono la sua mente.
«Si, dico a te! Vieni avanti, è il tuo turno. Svegliati!»
Quasi senza averne coscienza - l’avanzare in modo cadenzato e lento era quasi divenuto un’abitudine – Magara superò l’uomo, arrestandosi tuttavia di fronte ad una grande tenda rossa; si volse allora nuovamente al sacerdote, il quale gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Su, entra! Svelto!»
Con un colpo di bastone sulle natiche fu spinto all’interno della sala. Due sacerdoti dal volto coperto custodivano un piedistallo: un piccolo drago dagli occhi gialli lo fissava dall’altare. Il guscio bianco ai suoi piedi rifletteva i riflessi aurei delle scaglie del piccolo rettile.
«Vieni avanti. Di fronte al Sommo Drago.»
La voce di uno dei sacerdoti esaltò il momento di grande eccitazione. Magara proseguì e si posizionò di fronte alla piccola creatura; attimi interminabili, sguardi fissi l’uno sull’altro. Il sacerdote però notò qualcosa di strano.
«Ragazzo, scopriti il petto.»
Il giovane rimase allibito, dopo un attimo di esitazione slacciò la camicia e mostrò il proprio petto: il corpo era diviso a metà da una grave cicatrice ma non fu quello a turbare il sacerdote, che osservava colmo di collera e timore. Un tatuaggio tribale copriva tutto il lato destro del corpo ad eccezione del viso. Le braccia, fasciate come fossero ferite, evitarono ai sacerdoti esterni di notare il tatuaggio, ma l’occhio del Guardiano del Drago fu più acuto.
«Provieni da una tribù. Cosa ci fai qui dentro!? Lo sai che “voi” non siete ben accetti! Esci subito, non meriti di diventare un cavaliere.»
Le foreste che circondavano le mura di cinta della capitale brulicavano di clan tribali e strane creature. Gli abitanti delle città li vedevano come diavoli e non tutti erano in errore. Si racconta che molti fossero strane creature metà spiriti e metà umani, incroci bestiali e blasfemi tra uomini e donne con creature mostruose.
«Ma io…»
Neanche il tempo di inventare una giustificazione che il drago si mosse: il sacerdote si zittì e Magara si immobilizzò. Il cucciolo si alzò sulle gambe posteriori, spalancò le ali e saltò. Planò ai piedi del giovane Magara e ne artigliò il polpaccio, provocando qualche gemito di dolore. Si arrampicò e raggiunse la spalla. Leccò la guancia del suo nuovo padrone e strofinò la testa contro la sua come un gatto in cerca di attenzioni.
Niente sbuffi, non aveva trovato noioso il candidato. Niente strilli, non l’aveva richiesto come servo. Niente morsi, non lo aveva considerato suo pari.
Lo aveva leccato. Il Guardiano corse via in fretta e furia seguito dal secondo sacerdote, abbandonando il ragazzo in balia del cucciolo. Tornarono pochi istanti dopo accompagnati dal Gran Maestro: esaminarono il ragazzo, il drago, i loro comportamenti. Discussero per parecchio tempo ma alla fine il ragazzo fu condotto in una sala adiacente e alle spalle di Magara un forte voce ruppe il silenzio.
«Un nuovo cavaliere è stato scelto!»

La sala era più grande di quanto si potesse immaginare: il trono torreggiava su un lungo corridoio diviso in tre navate da colonne imponenti, circondato da arazzi e drappeggi blu. L’Imperatore fissava i cinque nuovi cavalieri che avrebbero protetto l’impero e i suoi sudditi da minacce, esterne o interne che fossero, negli anni a venire.
Anche Magara, piegato in un inchino solenne, sbirciava al suo fianco per osservare i suoi nuovi compagni d’avventura: un giovane molto più grande di lui, col volto dolorante e un rivolo di sangue a sostituire il braccio mancante, il cucciolo doveva essere stato molto feroce con lui; un altro ragazzo al suo fianco invece sembrava star male: verde in volto, stringeva con una mano la pancia e con l’altra la bocca; altri due, gemelli, sembravano normali sebbene entrambe le loro schiene fossero fasciate e imbrattate di sangue.
«Dunque miei giovani e prodi guerrieri, con grande orgoglio vi nomino Cavalieri dei Draghi. Servitori e Difensori dell’Impero, avrete il sacrosanto dovere di proteggere queste terre e i loro abitanti. Siete i successori di centinaia di cavalieri venuti ancor prima che io o mio padre potessimo regnare. Siete i successori di una Gilda antica, unica, potente e orgogliosa! Siete i miei pupilli, verrete trattati con riguardo e siate certi che nessuno, a parte me, oserà darvi alcun tipo di ordine. Io stesso avrei voluto essere uno di voi da giovane, sono felice di poter vedere volti così giovani al servizio dell’Impero. Ma bando alle ciance, concludiamo in fretta. Vi voglio in forze per l’addestramento di domani!»
La pausa fu una spada nel fianco. La tensione, almeno per Magara, era alle stelle, ma il sorriso dell’Imperatore Bihares fu per loro motivo di conforto.
«Giurate fedeltà all’Impero, a me e agli Imperatori che mi succederanno?»
In coro i cinque gridarono:
«Lo giuro!»



Venti anni dopo.

L’enorme porta della sala del trono si aprì e l’Imperatrice vi entrò col sorriso sulle labbra per la gioia di poter rivedere suo marito dopo un’estenuante giornata; ma qualcosa turbò la sua espressione: una macchia scura giaceva ai piedi del trono, immobile. I battiti del suo cuore, così come la sua andatura, aumentarono: veloce, sempre più veloce. Si ritrovò a correre su un sontuoso tappeto rosso in direzione del trono, col cuore in gola. Le guardie iniziarono ad insospettirsi.
«Aaaaaaaahh!»
Un ammasso putrefatto di carne e vestiti carbonizzati giaceva a terra bagnato dalle lacrime della donna spaventata:
«Mio amato, mio sposo! Cosa ti è successo? Per gli Dei!»
I soldati scattarono per raggiungere il loro imperatore, o quel che ne rimaneva. L’imperatrice si voltò per vedere le guardie correre verso di lei:
«Dannati! Vi farò impiccare tutti e due! Come avete fatto? Come avete potuto non accorgervi che mio marito era in pericolo!?»
Una delle guardie rispose:
«Mia signora, stia attenta!»
«Oh, mia cara… non dare la colpa a loro. E’ stata una mia distrazione.»
Una voce, spezzata e sibilante. Il sangue gelò nelle vene della donna. Si voltò lentamente e si ritrovò il teschio nero e decomposto del suo defunto marito di fronte a sé. Volle urlare ma non ci riuscì, al contrario sentì un tonfo alle sue spalle. Poi un altro. Anche senza guardare le fu facile capire cosa fosse. Il teschio coronato e annerito continuava a fissarla. Allungò una mano ossuta e le sfiorò il volto. Lei pianse.
«Come sei bella… anche dopo tutti questi anni. Sei ancora un fiore appena sbocciato.»
Detto questo, il teschio spalancò le fauci. Un urlo, acuto e raggelante, pervase tutto il palazzo reale.
  
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