Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Aleena    06/03/2012    0 recensioni
1979. L'anno della distruzione del primo Horcrux - e della scomparsa di Regulus Black.
Due momenti rubati, uno da un passato di amore frateno, l'altro da un presente gelido.
E una speranza, quella che Sirius possa ancora considerare Regulus un fratello.
____
1a classificata al "The Fluff Contest" indetto da Visbs88 sul forum di Efp
Partecipa al contest "Secondario a Chi?" indetto da Ray Wings sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
25 DICEMBRE 1970
 
 
Credits: Halloww

 
 Quando Sirius si era alzato in piedi, nel bel mezzo del pranzo di Natale, a Regulus era salito il cuore in gola e d’istinto aveva abbassato il capo, preparandosi alla sfuriata che sentiva nell’aria già dalla prima mattinata. 
Non che casa Black fosse nuova a questo tipo di scenate: da quando Sirius era tornato da Hogwarts, non più di tre giorni prima, la casa aveva risuonato delle grida sue e della loro madre che, coadiuvata alle volte dal loro padre – quando questi non trovava la maniera di uscire per sbrigare i suoi “affari” – riteneva ogni momento utile per biasimare il figlio e la casata alla quale “aveva scelto di appartenere”. 
Dal canto suo Sirius faceva di quest’anomalia un bel vanto, mettendo su quel cipiglio a metà fra il testardo e il superiore e, esibendo la sua migliore aria strafottente, rispondeva per le rime alla loro già troppo irritabile genitrice, il che portava puntualmente a una lite. Questo accadeva in media ogni quattro ore, triste rinnovarsi di un’abitudine già consolidata prima di Hogwarts, sebbene non fosse così accentuata. 
Eppure Regulus riteneva che quel giorno fosse stato stabilito un nuovo limite: la loro madre era diventata paonazza, compressa nel ruolo di diligente matrona purosangue che le imponeva il veto ad alzarsi e cominciare a scagliare piatti da portata contro il figlio primogenito, mentre il loro padre si era alzato di botto, dapprima imponendo il silenzio a suo figlio e poi chiamando a gran voce il servo elfo, chiedendogli la sua Gazzetta del Profeta e un bicchiere di Whisky Incendiario. Regulus era impallidito e aveva fissato a lungo le minuscole roselline d’oro incise sul bordo del piatto vuoto, cercando di farsi piccolo piccolo.
«Chi ti dice che sia io in errore? Magari siete voi, tutti voi che avete qualcosa di storto nella testa. O non ti è mai venuto in mente guardandoti allo specchio, mamma?» domandò Sirius in un soffio, tenendo il tono basso e fintamente colloquiale dell’attore collaudato che era sempre stato fin dall’età di sette anni. 
«Come osi piccolo ingrato maleducato? Giuro che delle volte non capisco come la mia carne abbia potuto generare una tale disgrazia per il nostro nome! E senza cervello, giacché…»
«Giacché non mi riesce di capire il tremendo, irreparabile errore e il fatale disonore che deriva dal non appartenere alla Casa dei Nobili» scimmiottò Sirius, sollevando la mano destra aperta a formare un becco che si muoveva al ritmo delle parole della madre. «Sei monotona mammina, lo sai?»
«Tu… sozzo, degenere! Regulus, per carità di tua madre, non crescere come lui o ti giuro, vi spedisco entrambi in mezzo ad una strada. Sirius, se almeno potessi esserne pentito, io e tuo padre potremmo intervenire, smuovere qualcuno al ministero o…» lo disse con una fredda speranza e una sicura superiorità che indissero Regulus a pensare “fa che non finisca a Grifondoro ti prego ti prego ti prego…
«Regulus? Ah, tranquilla, lui è quello bravo, vedrai. E in quanto al cambiare Casa… se anche volessi, mamma cara, la decisione è presa ed i tuoi adorati Galeoni non potrebbero cambiarla. Hai un figlio Grifondoro, che ti piaccia o no.» Sirius sorrise: non le piaceva e ne era contento, nonostante la vena di tristezza che Regulus, sollevando lo sguardo, poteva intravvedere attraverso le pieghe degli occhi. «Perdonami cara madre mia se te lo chiedo ma… mi hai fatto rientrare da Hogwarts solo per ammorbarmi il Natale delle tue stupide recriminazioni? Perché, se così è, faccio i bagagli stasera stessa e ti giuro che non mi rivedi qui neanche quest’estate. Davvero, mi faccio ospitare a Hogwarts così magari lo spirito Grifondoro mi entra meglio nelle vene. Che ne dici?» domandò Sirius, portando la sedia indietro e dondolandosi un poco sulle malferme gambe posteriori; ostentava una tranquillità invidiabile ma ora Regulus poteva vedere una vena pulsare sul suo collo a un ritmo sempre maggiore, mentre tristezza e furia gli adombravano gli occhi, riflettendosi nella piega rigida delle sopracciglia. 
«Maleducato irrispettoso!» urlò la loro madre, scattando in piedi e rovesciando una caraffa di pregiato vino elfico, cosa che riscosse il loro padre dalla lettura, ma solo il tempo necessario a chiamare l’elfo domestico perché raccogliesse il contenitore e il prezioso nettare. «Come puoi far questo a tua madre? Che genere di mostro senza decenza sei per parlarmi così?» 
La sedia di Sirius ripiombò con un tonfo sordo a terra mentre suo fratello si alzava, la faccia ora carica di tutta quella rabbia che fin a quel momento aveva represso. 
«Quello che hai generato tu, madre. Il frutto del tuo ventre. O non te lo ricordi? Distogli così spesso lo sguardo che non riesci a tenere a mente la figura di tuo figlio primogenito? Oppure ti disgusta troppo? Ah, ma io sono tuo figlio, comunque vada. E sono felice di essere una macchia nell’orgoglio per te, mammina cara, se questo mi consente di starti lontano» disse, la voce che si alzava man mano fino a diventare un urlo che sovrastava le proteste della loro madre; aveva il volto rosso e congestionato, le guance in fiamme, gli occhi lucidi.
«Vattene di sopra!» urlò lei, indicando la porta con un gesto imperioso delle lunghe dita ingioiellate. La matrona Black e Sirius erano in piedi ai capi opposti del tavolo e si guardavano come se il maggior desiderio di ognuno fosse quello di strozzare l’altro. 
«Con piacere vecchia megera!» gridò Sirius, vanificando l’effetto delle sue parole con la corsa veloce con cui lasciò la stanza. Sentirono il rumore pesante dei suoi passi riecheggiare attraverso il soffitto, poi la porta della sua stanza che sbatteva. 
Silenzio. 
«Servite il dolce» disse Walburga con stizza, cercando la compostezza che le era imposta dal suo ruolo di matrona Purosangue. 
L’elfo domestico entrò, tremolando sotto il peso dell’enorme vassoio. 
 
Quando, poco meno di due ore dopo, Regulus riuscì a sgattaiolare al piano di sopra, la casa era silenziosa. I loro genitori erano usciti, diretti a un ricevimento a casa Malfoy a cui Sirius non era stato invitato e che Regulus aveva potuto evitare adducendo come pretesto un forte dolore allo stomaco, forse a causa del poco Whisky Incendiario che il padre l’aveva convinto a bere subito dopo il dolce. Una scusa, a dire il vero: Regulus provava un genuino timore verso il figlio dei Malfoy, Lucius, che gli era sempre sembrato troppo gelido e altezzoso per i suoi gusti – ma questo non avrebbe potuto dirlo a nessuno, giacché per sua madre quello era l’esempio che entrambi i suoi figli avrebbero dovuto seguire, il modello di figlio perfetto. 
Nonostante la consapevolezza che in casa non ci fosse nessuno, Regulus saliva le scale piano, come chi si stia accingendo a compiere un’impresa blasfema o criminosa; in una mano, incastrati in bilico, aveva due bicchieri dallo stelo lungo e una piccola caraffa di succo di mele – Regulus non aveva mai potuto reggere il succo di zucca – mentre nell’altra teneva un piattino con due grosse fette di una torta al cioccolato ripiena di marmellata di castagne e guarnita di minuscoli motivetti natalizi: un capolavoro di pasticceria degno di sua madre, che non mancava di avere sempre il meglio. Per prenderla era sgattaiolato in cucina di soppiatto, sorprendendo Kreacher intento a strigliare i numerosi piatti della tavolata Black; si era intrattenuto il tempo necessario a chiedere all’elfo notizie della sua salute e a complimentarsi per l’ottimo pranzo – un vezzo gentile che avrebbe perduto negli anni a Hogwarts, per riconquistare poi una volta che si fosse trovato nuovamente in quella grande casa, solo – e infine, con voce tremante, aveva chiesto se fosse rimasta una fetta di quella grande torta che gli era piaciuta così tanto. L’elfo, compiaciuto, si era messo subito a imbandire la merenda per il suo padroncino e gli aveva rifilato due enormi fette e il succo, che sapeva piacergli. 
Così ora Regulus barcollava, le dita doloranti per il peso, verso la camera di Sirius, la porta chiusa come una sfida a entrare. Da dentro rumori sommessi di singhiozzi, piccoli tonfi, minacce sussurrate. A Sirius non doveva essere sbollita la rabbia, anzi, pareva che la solitudine l’avesse alimentata: suo fratello era un ragazzino, dopotutto, un undicenne disperato che giocava a fare il grande e finiva per risultare un gradasso arrogante, e Regulus lo sapeva. Così sollevò lentamente un piede e busso una, due volte, con la punta della scarpa. 
«Che volete ancora?» gracchiò una voce secca come una tagliola da oltre il legno. «Andatevene e lasciatemi in pace. Non dovevate uscire?» chiese Sirius, con impazienza. Regulus esitò un istante, lievemente intimorito. 
«Sono io, fratellone» disse infine, con quella sua vocina leggera ed esitante tipica del bambino riservato di nove anni che era. «Posso? Ti ho portato…»
«Entra»
«… il dolce»
«Lo vedo. Che vuoi?»
«Parlarti. È tanto che non lo faccio. Chiederti di Hogwarts… non della Casa» si affrettò ad aggiungere, perché il volto di Sirius si era oscurato. «Cioè, anche, ma non come nostra madre. Volevo sapere com’erano la scuola e le lezioni, i dormitori, le aule… insomma, cosa dovevo aspettarmi» disse con sincerità, la faccia che si apriva man mano a un sorriso di sincera ammirazione. 
«Sei proprio un bambino, lo sai?» replicò Sirius, sorprendendolo. Aveva un tono malinconico e sembrava essersi rabbonito tutto in un colpo. Regulus, incoraggiato, si mosse verso il grande letto del fratello e vi poggiò sopra piattino, bicchieri e caraffa, il tutto in bilico. Poi esitò, restando in piedi mentre il fratello si sedeva con noncuranza e continuava a osservarlo. 
«Dovrei essere qualcos’altro?» chiese Regulus, aprendo la bocca un poco, confuso. Sirius ci pensò un attimo prima di rispondere. 
«No. Così mi piaci. Ma non durerà. Non dura per nessuno» sospirò sconfortato, abbassando lo sguardo in maniera del tutto normale. Non c’era più la teatralità, tanto meno l’aria strafottente. Era il vero Sirius ora, un ragazzino di undici anni che parla col suo fratellino minore. Regulus sorrise e, senza pensare, riprese: 
«Sei fatto così, lo so. Quando ti metti in testa qualcosa poi non ti si può far cambiare idea. Dovessi decidere che il cielo è verde, continueresti a sostenere la tua tesi anche quando ti farebbero alzare gli occhi. Anzi, forse prenderesti ancora più forza dai tentativi di farti cambiare idea, credo» concluse, muovendosi di un mezzo passo indietro, quasi timoroso di vedere il fratello riaccendere la fiamma d’ira. 
Non successe. 
Sirius sgranò gli occhi, ma non rispose, limitandosi ad aprire un sorriso fra le lacrime che ancora gli bagnavano le guance. 
«Hai parlato con James di recente?» chiese suo fratello, sbottando poi in quella sua risata così simile a un latrato, alta e carica di vita, talmente coinvolgente che Regulus sorrise a sua volta. 
«E chi sarebbe?» domandò, avvicinandosi a letto e buttandovisi con forza sopra appena un istante dopo che Sirius, con mossa fulminea, ebbe spostato caraffa e compagnia sul comodino, al sicuro. 
«Lascia stare. Sei meno bambino di quanto credevo, in ogni caso» disse Sirius, continuando a sorridere in quella maniera genuina, che gli illuminava il volto di una bellezza che Regulus, lo sapeva, non avrebbe mai potuto eguagliare. 
«Perché?»
«Sei perspicace. Cerca di non diventare come loro crescendo, va bene?» disse suo fratello, accennando al piano di sotto con un colpetto della testa. Regulus annuì con decisione, forse troppa vista la smorfia di Sirius, a metà fra il fiducioso e il compatimento. «In ogni caso, che vuoi sapere?»
«Tutto. È vero che ci sono gli unicorni nella foresta? E che un drago sorveglia il cancello d’ingresso per mangiarsi i babbani che tentano di entrare e gli studenti che combinano troppo guai?»
«E questa chi te l’ha detta?»
«Kreacher. Perché, è vero? Era un segreto?»
Sirius rise, mettendosi a raccontare della scuola: dei prati e delle aule e delle scale che cambiavano posizione di giorno in giorno. Parlò della Sala Grande dal soffitto stregato e delle segrete in cui distillavano pozioni. Parlò della voliera e della professoressa McGranitt che sapeva trasformarsi in gatto e poi ancora in strega. Parlava di tutto e c’era una passione così viva e genuina che Regulus ne restò incantato, mentre nel cuore nasceva quel sentimento di gelosia verso il fratello che lo avrebbe seguito per molti anni ancora, riaffiorando nei momenti più inaspettati. A un certo punto Sirius si fermò di colpo, a metà del suo racconto del piccolo, bonario professor Vitious, e si volse al comodino con un sorriso. Regulus, che pendeva dalle sue labbra, allungato sul letto e teso come per spiccare un salto, si rilassò con un moto di delusione.
«Tranquillo fratellino. Finché i due bigotti non tornano continuo a raccontarti della scuola, ma adesso ho sete. E quella torta sembra invitante. È la mia preferita, sai? La torta al cioccolato…»
«… con la marmellata di castagne. Lo so. Cioè, so che ti piace, per questo te l’ho portata. Mi dispiaceva che tu non l’avessi potuta assaggiare perché è tanto buona. Sai, la mamma a volte esagera, ma lo fa perché ci vuole bene. Così almeno dice Kreacher.»
«E lui che ne sa? La difende perché la ama. Se fosse possibile se la sposerebbe» disse suo fratello, mimando un bacio e dando poi in una smorfia di disgusto. «Che schifo» commentò, esibendo il suo miglior cipiglio nauseato. 
Regulus non seppe cosa rispondere, così si limitò ad avvicinarsi a Sirius, sedendogli di fianco per dividere l’unico piattino assieme. Mangiarono la torta in silenzio e infine suo fratello versò a entrambi un bicchiere colmo di succo, che mandò giù tutto d’un fiato prima di fare un’ennesima smorfia.
«Ancora questa roba bevi? Ti giuro, è tremenda. Ad Hogwarts non te la daranno mai, lo sai?» sogghignò divertito, staccando l’indice dal bordo del fine cristallo del bicchiere per puntarlo sul fratello. «Solo sano succo di zucca, e guai a te se ti sento lamentarti» concluse, ammonendolo con un movimento del dito e il pericoloso oscillare del bicchiere.
«Attento, se lo rompi…»
«La mamma si arrabbierà? Andiamo, l’ha già fatto. E poi immagino si divertirebbe a comprarne di nuovi» disse Sirius con una smorfia, osservando il bicchiere con quello sguardo pericoloso e così peculiare che Regulus non ebbe difficoltà a intuire cosa passasse per la testa del fratello.
«Non romperlo, per favore. Non voglio che la mamma ti cacci via di casa» pigolò Regulus, cercando di smorzare l’ansia che era sorta nella sua voce con un calo del volume delle sue parole. 
«Non sarà un bicchiere infranto a cacciarmi, ma se me lo chiedi con quegli occhioni dolci, va bene, lo poggio qui, vedi? Sul materasso. Deve venir giù il soffitto perché si rompa» lo schermì Sirius, sbattendo le ciglia e adottando un tono infantile, quello di un adulto che parli a un bambino impaurito.
«Stupido. Non prendermi in giro!» sbottò Regulus, alzandosi sulle ginocchia e cercando di colpire il fratello e finendo con i polsi stretti fra le sue mani fredde. Restarono così a lungo prima che Sirius allungasse la lingua fuori in una boccaccia e lo lasciasse andare con un sospiro di sconforto e una teatrale alzata d’occhi, vilipendio alla forza del fratello minore. Regulus rispose con la medesima smorfia, quindi si sedette con la dignitosa calma dello sconfitto, guardandosi intorno nell’attesa che il rossore dell’imbarazzo scemasse. La stanza di Sirius era spoglia, priva dei numerosi poster della sua squadra del cuore di Quidditch, dei boccini giocattolo e delle pile di vesti ammucchiate che era solito creare suo fratello. Qua e là, tracce di MagiScotch mezzo ingiallito laddove erano appese foto o ritagli di giornale.
«Sirius, pensi di restare? Cioè, tornare qui, dopo Hogwarts… in questa casa…» chiese Regulus d’improvviso, colto da una sensazione di nostalgia e tetro vuoto alla vista di quella stanza. 
«Non lo so. Non ho idea di cosa vorrei realmente fare. Solo… sono stanco delle liti» sussurrò Sirius, d’improvviso più serio. 
«E se te lo chiedessi io?» domandò Regulus, cercando di smorzare la nota patetica che sentiva emergere nella sua voce. Quella assurda, irragionevole malinconia pareva esserglisi attaccata addosso e doveva fare qualcosa per scacciarla, anche se era sicuro di star passando per patetico.
«Fratellino, se mi guardi a quel modo non posso negarti nulla, lo sai» Sirius pareva essersi reso conto di ciò che passava per la testa a suo fratello – o forse, non era in grado di restare troppo a lungo serio – giacché il suo tono era tornato quello allegro e canzonatorio di sempre. «A quei tuoi occhi da bella cerbiatta non posso resistere. Vieni qui, fatti baciare…» senza preavviso Sirius si gettò addosso al fratello, schiacciandolo col suo peso contro il letto morbido; Regulus affondò, spostando la faccia nel tentativo di evitare le labbra del fratello, protese in maniera esagerata nella ridicola imitazione di un bacio. 
«Stupido, vattene, allontanati! Fermo!» si ribellò Regulus, cercando di spingere via Sirius – cosa assai difficile data l’altezza e la corporatura atletica del fratello maggiore. 
«Pcium, pcium. Come fa Kreacher con la foto della mamma» scherzò Sirius, stampando due grossi e sbavanti bacioni sulle guance del fratellino.
«Che schifo. Merlino, non posso pensarci!» strillò Regulus coprendosi il volto con le braccia, come a proteggersi dalla visione che Sirius aveva evocata o, piuttosto, a difendersi dal fratello maggiore che aveva preso a rialzarsi, ridendo a pieni polmoni. 
«Si, in effetti è tremendo» sentenziò infine Sirius, placando l’eccesso di ilarità e sedendosi di nuovo, pesantemente, accanto a Regulus. 
Cadde un silenzio carico di imbarazzo, come se entrambi fossero all’improvviso consci della vicinanza e di quel senso di comunanza ritrovata, così fuori posto nell’austera casa vuota. 
«Da quant’è che non stavamo più così? Insieme, intendo» disse Regulus, rompendo ancora una volta la quiete con la sua voce incerta. 
«Tanto» sussurrò Sirius, stringendosi le mani attorno al corpo snello in maniera quasi inconscia, come se cercasse di proteggersi da una corrente fredda.
«A me piaceva. Si, insomma, stare con te. Io ti voglio bene, anche se sei un Grifondoro. Sei comunque mio fratello, no?»
«Già, il tuo bellissimo e maledetto fratello maggiore, ma cambierai idea. Non subito, forse, ma dovessi finire a Serpeverde…» Sirius alzò le spalle come se quel gesto bastasse a concludere il pensiero. 
«Mamma lo vorrebbe» sentenziò Regulus, chinando la testa suo malgrado verso il pavimento. 
«Mamma e papà non capiscono. Ma io ho fiducia in te, mi sembri più sveglio di loro.»
Regulus rimase interdetto per un istante. 
«È un complimento o una sfida?»
«Non lo so» disse Sirius, enigmatico. Poi, battendosi coi palmi sulle gambe, si riscosse da quel torpore placido sfoderando il suo miglior sorriso. «Insomma, non vuoi che ti racconti di Gazza? Dovrai essere preparato ad affrontarlo quando te lo troverai davanti!» disse, improvvisamente fin troppo gioviale. 
«Gazza? E chi…» domandò Regulus, la curiosità riaccesa di colpo sul suo viso ancora delicato, segnato dalle rotondità di un’infanzia che già da tempo avrebbe dovuto abbandonare, come suo fratello. 
Fuori la neve stemperava la luce, dissolvendola e amplificandola a un tempo; riverberi dapprima grigi divennero neri e poi aranciati dalla luce dei lampioni che, sfrigolando, si accendevano lungo la via babbana innevata e solitaria. Regulus, seduto fianco a fianco con Sirius, rideva e si stupiva, per metà immerso in quel mondo fantastico che era due anni lontano da lui, per metà beato della vicinanza del fratello e della comunanza che era sorta fra loro in quel pomeriggio tetro di Natale, rinsaldata da una fetta di torta e da un bicchiere di succo. 
Sirius era a metà di una sentita discussione sull’enorme cane di Hagrid, il guardiacaccia, quando un fruscio sommesso, seguito da un richiamo imperioso, gli fece morire le parole in bocca. Dalla tromba delle scale saliva la voce tonante della loro madre che esortava Kreacher a venire a prendere i loro soprabiti bagnati e a mettere a scaldare un the. Regulus, improvvisamente spaventato, si volse verso Sirius in tempo per vedersi spingere fra le braccia i resti del loro pomeriggio assieme, la caraffa con i bicchieri incastrati alla bell’e meglio dentro e il piattino. In volto Sirius appariva trasfigurato: nulla dell’iniziale furore era scemato anzi, sembrava addirittura aumentato, come se la sola voce della loro genitrice bastasse a dargli noia.
«In camera tua, di corsa. In punta di piedi e guai a te se dici una parola di oggi pomeriggio» sussurrò Sirius, indicando con un gesto secco la porta. Regulus sgattaiolò fuori, il cuore in gola, e trasse un respiro solo quando fu al sicuro in camera sua, lontano dal possibile rimprovero di sua madre. 

 
Piccolo Spazio-Me: lo so, "la loro madre" e "il loro padre" e abbastanza ridondante e fastidioso, ma volevo che desse proprio quell'idea di ansia, distacco e estremo formalismo che, secondo me, ha Regulus verso i genitori. Ho pensato che, per fare quel che ha fatto, dovesse nutrire un profondo rispetto per loro che sfociava un po' nell'asservimento, e questo mi sembrava un buon modo per farlo vedere :D
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Aleena