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Autore: GreenStripes    06/03/2012    1 recensioni
Cinque, le volte in cui lei è stata abbandonata.
Quattro, gli amici stupidi di lui.
Tre, le ore di seduta alla settimana.
Due, i passati differenti che li tormentano.
Uno, il luogo che li unisce.
Questa non è una storia d’amore.

[Storia scritta a quattro mani]
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IT’S TOO COLD OUTSIDE
FOR ANGELS TO FLY

 

Cinque, le volte in cui lei è stata abbandonata.
Quattro, gli amici stupidi di lui.
Tre, le ore di seduta alla settimana.
Due, i passati differenti che li tormentano.
Uno, il luogo che li unisce.

Questa non è una storia d'amore


1. THIS FUCKING LIFE - YellowArt
 

Le luci dell'alba cominciavano a posarsi sulla città di Londra; il rosa predominava.
Ero seduta lì, nel mio luogo di salvezza fuori dal mondo, con i gomiti sulla ringhiera di marmo e la testa che guardava giù, verso il fiume che intanto scorreva veloce: il ponte di Westminster, esattamente nel mezzo, con il Big Ben alla mia sinistra con il suo enorme orologio che segnava le sei e mezza del mattino e la London Eye davanti a me, verso destra, completamente immobile, come del resto appariva anche la città.
Era il mio posto.
Ci venivo spesso, era molto meglio di tutti gli psicologi che, nel corso degli anni, mi erano stati rifilati uno dopo l'altro.
Quella notte avevo dormito tre ore in tutto: avevo finito i compiti alle 8.00 di sera, avevo preparato la cena alle 8.30 e intanto avevo controllato, nel miglior modo possibile, che mia madre fosse sempre davanti alla televisione, senza nessuna bottiglia in mano, sulla poltrona lilla. Non ostante tutta questa mia precisione, di cui cominciavo ad andare particolarmente orgogliosa verso le 9.30, dopo che avevamo cenato e mia madre si era riseduta davanti al televisore, qualcosa era andato storto: avevo girato gli occhi verso la poltrona, dopo essermi fatta una doccia, e lei non c'era più. Mi ero precipitata fuori di casa e l'avevo ritrovata, alle 2.00 di notte, in un locale, di fianco ad uno sconosciuto; l'avevo staccata e, alle 2.30, eravamo finalmente tornate a casa. L'avevo aiutata a vomitare e l'avevo messa a letto per poi crollare, completamente distrutta, alle 3.00, su una delle poltrone della sua camera.
Mi ero poi svegliata alle 6.00 del mattino tutta indolenzita e, sicura che non si sarebbe svegliata prima delle 8.00, ora in cui Sarah, la badante che pagavo per stare con mia madre mentre io ero a scuola, sarebbe arrivata; avevo preso il mio motorino completamente distrutto ed ero venuta lì, nel mio posto preferito, per uscire, per almeno un'oretta, dal mondo in cui ero costretta a vivere.
Mia madre è un alcolizzata, ha iniziato a bere quando mio padre, uno psicologo di fama mondiale, è stato ucciso, il 19 Novembre 1996, da un suo paziente grave di nome Drake Turpin, mentre stava facendo la spesa, con un coltello piantato dritto nel cuore.
I miei quattro fratelli, Ronald, Emmett, Craig e Andrew; appena avevano spento le candeline che li avrebbero resi parte dell'età adulta, avevano fatto le valige e si erano diretti in quattro posti diversi del mondo, per allontanarsi il più possibile da quella vita e creare finalmente quelle che avevano sempre desiderato. Ronald era andato a vivere a San Francisco, aveva appena finito l'università e voleva intraprendere una carriera nell'informatica; Emmett viveva in un villaggio in Somalia, era andato lì con l'UNICEF; Craig abitava in un monolocale a Parigi con la sua fidanzata e le sue dote artistiche, che fino ad adesso, non lo avevano portato da nessuna parte; Andrew invece era ancora a Londra, stava studiando medicina, ma non passava mai e tanto meno cercava di contattarci.
Ero rimasta solo io a gestire mia madre e la mia vita da adolescente.
Per mia fortuna, ho a disposizione un'amica che, durante la mia complessata vita, mi aveva sempre sostenuto: Mable, una ragazza che non si dava mai per vinta davanti a nulla e che riusciva sempre ad ottenere quello che voleva ma che, a differenza mia, viveva in un universo fottutamente perfetto anche per una persona normale.
Io mi chiamo Valerie Owen e, nonostante tutto questo, non avevo mai pianto, mai nella mia vita; secondo gli psicologhi, la prima volta che dovrebbe succedere, potrei piangere anche per mesi interi ininterrottamente perché i colpi che ho subito, a livello psicologico, sono tra i più drastici che un essere umano possa sopportare.
Beh, non avevo intenzione che questo accadesse, il mio sarcasmo e il mio luogo mi salvavano sempre.
Mi voltai verso sinistra: il Big Ben segnava già le 7.45, dovevo correre a scuola.
Guardai per un ultima volta il Tamigi, poi il cielo e infine le macchine che, dietro di me, avevano cominciato ad aumentare; mi staccai dalla ringhiera e cominciai a camminare, avviandomi al mio motorino.
Una volta arrivata davanti all'orribile edificio di mattoni grigi che era il liceo, Mable mi venne in contro con un sorrisone che le andava da un orecchio all'altro.
“Come andiamo?” Cominciò lei mentre io mi sfilavo il casco dalla testa.
“Direi malissimo ma, cosa ci vuoi fare, fare le ore piccole va di moda in casa mia!” Ed ecco che il mio sarcasmo colpiva ancora, come un freccia scagliata da Robin Hood!
“Mmm... Cominciamo bene! Indovina cos'è successo a me?!”
“Non ne ho idea, hai convinto tuo padre a comprarti l'Iphone per il buon voto in Inglese?” Lei veniva da una famiglia a cui i soldi non mancavano di certo e, di conseguenza, i suoi genitori le facevano regali per qualsiasi piccola cosa.
“No, ma, anche su quel fronte, sono a buon punto! Comunque... ti ricordi il figo che ti ho indicato l'altro giorno? -feci di si con la testa, l'avevo ben in mente, un ragazzo riccio con un sorriso e degli occhi del genere non si dimentica facilmente!- Beh, quando sono arrivata, mi ha guardato e mi ha sorriso! Ti rendi conto?! A me! Mi ha sorriso!” Era emozionatissima, eppure io non la trovavo una cosa tanto meravigliosa, avrei scommesso che quel ragazzo non si era neanche accorto che stesse sorridendo alla mia amica!
“Ok, bene... Non è una cosa sensazionale ma, felice te!”
Lei tramutò subito il suo sorriso in una linguaccia, mi prese per un polso e, dopo essersi messa a posto la gonna della divisa verde, mi trascinò nell'atrio dell'edificio dove il riccio stava parlando con un suo amico il quale era per metà nascosto dietro ad una colonna, l'unica cosa che si intravedeva erano le Toms blu che indossava.
Per dimostrarmi che, agli occhi del ragazzo, non sarebbe rimasta indifferente, Mable mi lasciò il polso e, passando davanti al riccio e al suo amico, si incamminò lungo il corridoio. Ma, con mio grande dispiacere per lei, l'unica cosa che notai fu che il riccio sporse un po' lo sguardo per guardarle il sedere per poi tornare a parlare con l'amico.
Povera Mable, questa volta mi sa che avrebbe dovuto lasciar perdere!
La raggiunsi poco dopo e, al suo della campana, mi diressi verso il luogo in cui avrei trascorso la mia prima ora: l'ufficio della consulente scolastica.
Si perché, non ostante i miei continui rifiuti, la scuola aveva ritenuto fosse meglio farmi tenere sotto controllo almeno tre volte alla settimana da un adulto responsabile. Tutti parlavano sempre della cosa come se avessi potuto tentare il suicidio da un giorno all'altro! Era una cosa assurda!
Entrai dalla porta con attaccato il cartellino “Miss Lee, consulente scolastica” e mi ritrovai nella solita piccola stanza dalle pareti verdoline con una cattedra con due sedie davanti e due finestre dietro.
Miss Lee era proprio un “signorina”, avrà avuto al massimo 27 anni, si vestiva quasi come un'adolescente e aveva dei meravigliosi capelli mori mossi che le scendevano delicatamente sulla schiena, tutto il contrario dei miei rossicci tendenti al ramato che sembravano degli spaghetti da quanto erano lisci!
“'Giorno Valerie! Siediti pure, abbiamo tutta l'ora a nostra disposizione!” Mi aveva osservato entrare e ora mi stava indicando una delle sedie davanti a lei.
Non che mi stesse antipatica lei come persona ma io gli psicologi proprio non riuscivo a sopportarli, credevano di saper spiegare tutto con le loro stranezze di psicologia! Per la stessa ragione odiavo anche gli scienziati e i matematici...
Ma l'accontentai, mi sedetti su una sedia e appoggiai la mia tracolla piena di libri sull'altra.
“Va esattamente come ogni giorno che ci vediamo!” Risposi acida.
“Beh... Cos'è successo questa volta?” Perché faceva sempre finta di interessarsi alla mia vita?! Ero sicurissima che le sarebbe piaciuto di più avere un ora libera per restare di più nel letto con il suo ragazzo!
“Mi è scappata di casa, l'ho ritrovata alle 2.00 di notte in un locale, mi sono addormentata alle 3.00, mi sono svegliata alle 6.00. Visto?! Niente di diverso, posso andare?” Volevo solo uscire di lì!
“No che non puoi andare! Scommetto che ti sei sentita malissimo per non esserti accorta che era uscita...” In effetti si, ma non avevo neanche la minima voglia di dirlo a lei!
“Faccia un po' lei, sembra che voglia immedesimarsi in me!” Volevo uscire, volevo uscire. Cazzo, volevo uscire!
“Bah, è il mio lavoro! Però ok, se non vuoi parlare di questo parliamo di qualcos'altro... Ti piace qualche ragazzo? Hai qualche nuovo interesse particolare? Non riesci più a sopportare qualche professoressa?” Adesso sembrava un'impicciona!
Avrei dovuto risponderle così: No, non ho tempo per queste cose; si, la musica dei The Fray e si, lei! Ma naturalmente non lo feci...
“Posso uscire? Sta diventando peggio di fare la carta d'identità!”
“No, non puoi uscire! Prima o poi dovrai dirmi qualcosa, non è possibile che tu ti tenga tutto dentro!” Cominciava ad alterarsi un pochino...
“Ci sono riuscita per quasi diciotto anni, non credo mi verrà difficile farlo per almeno altri venti!” Ok, forse ero stata un po' troppo strafottente questa volta.
La consulente stava per rispondermi per le righe quando la campanella suonò: l'ora era finalmente finita!
Ripresi la mia borsa e, senza neanche degnarla di uno sguardo di saluto, mi alzai dalla sedia dirigendomi verso la porta che però si spalancò prima che potessi aprirla io.
A precedermi era stato un ragazzo: aveva gli occhi azzurri e capelli bruni lisci scompigliati, cavolicchi se era bello!
I miei occhi si incrociarono con i suoi e io, imbarazzatissima, diventai rossa come un peperone e chinai la testa verso il basso, verso le sue particolari ma meravigliose scarpe.
Lui, con mio grande stupore, fece lo stesso. Io lo imbarazzavo?! Ma dico io! Si era guardato allo specchio almeno una volta nella vita?! Magari aveva evitato per non svenire vedendo la sua immagine riflessa...
Ricominciai a camminare verso la porta tenendo sempre lo sguardo sul pavimento, il rossore non aveva ancora accennato a sparire!
Anche lui, seguendo il mio esempio, ricominciò ad avviarsi per entrare nella stanza.
Ci fu un momento, neanche un istante, in cui tutti e due ci trovavamo ad attraversare la porta, nelle due direzioni opposte, e le nostre giacche verdi della divisa, le nostre spalle e le nostre mani si sfiorarono.
Sentii perfettamente il contatto con le due stoffe, il suo muscolo della spalla che mi urtava leggermente e la sua pelle, la sua pelle calda e liscia...
Fu... magico! Solo quel contatto riuscì a mandarmi in tilt!
Ma, un secondo dopo, io ero fuori nel corridoio deserto e l'ufficio della consulente si era chiuso davanti ai miei occhi.
Ero lì, senza nessuno, fissavo la porta con all'interno il ragazzo che, senza quasi neanche sfiorarmi, mi aveva paralizzato.
Sentivo ancora il calore sulle mie guance, non provavo quella sensazione da tanto tempo! Non avevo mai avuto tempo per dedicarmi alla mia vita da adolescente, l'avevo sempre e solo letta nei libri o vista nei film...
Poi i dubbi presero il sopravvento: anche lui aveva provato le mie stesse sensazioni?
Cosa ci andava a fare dalla consulente scolastica? E ancora... Dove avevo già visto quelle scarpe?
Alla fine decisi di farmene una ragione, nel caso l'avrei sicuramente rivisto tra due giorni! Mi sistemai la tracolla sulla spalla e mi incamminai verso l'aula di Inglese, la seconda ora era già iniziata e mi sarei dovuta subire pure le urla di Mrs. Baker per il mio ritardo ingiustificato perché figurati se la consulente mi avrebbe fatto la giustificazione dopo la nostra oretta passata insieme!
Però... che occhi...







 

 
Sei davvero arrivato a leggere fin qui?
Allora non faceva così schifo!! Siamo commosse.
Allora, siamo due autrici di EFP, YellowArt e BluePumpkin, che hanno
deciso di unire il loro amore per la scrittura e bla bla bla...

Insomma, abbiamo scritto una storia insieme, sotto diversi punti di vista:
quello della nostra bella Valerie, di cui si occuperà nientepopodimenoche...
YellowArt (sei bravissima ciccia :3) e quello del ragazzo misterioso, a cui
successivamente daremo un nome e una faccia, di cui se ne occupa l’altra cozza.

Speriamo entrambe che questo nostro esperimento vi sia piaciuto.
Un bacione calorosissssssssimo,
YellowArt e BluePumpkin.
 
Ps. State ancora leggendo?! Oh mio Dio allora siamo riuscite davvero a
catturare la vostra attenzione!! Siamo doppiamente commosse :’)

E sai cosa ci renderebbe ancora più fiere e orgogliose di noi?
Una bella recensione!! Solo 2 piccoli minuti del tuo tempo..
E che ti costa?!
#TantoLove

  
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