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Autore: _zorba    08/03/2012    0 recensioni
- ovvero- Storia di un'adolescente annoiata alle prese con "l'amore".
La protagonista della storia, Serena, mette a nudo mente ed anima attraverso una specie di buffo diario interiore.
"Per i corridoi non c’è anima viva, mancano ancora dieci minuti alla prima campanella. La nostra aula è al terzo piano e dalle finestre del corridoio si vede il cortile interno e la palestra. Alcuni martiri che hanno ginnastica alla prima ora sono già lì, a passeggio con i pinguini e gli orsi polari.
“Proviamo a centrarli con lo sputo?” propongo per passare il tempo.
“Serena!” esclama Iris indignata. Eh sì, non sono cose che fanno le signorine per bene."
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo. Parte prima

-ovvero-

C’è pregiudizio e pregiudizio

 

 

 

“Odio il razzismo, odio i pregiudizi, odio… tutto”

“Tutto ciò che è cattivo, intendi?”

“Esatto”

Rifletto in silenzio. Iris è originaria di Santo Domingo, o meglio, i suoi sono originari dell’isola. Lei è nata in Italia, ma la pelle scura qui sembra ancora rappresentare l’etichetta di una profonda diversità. Per questo motivo le perdono i suoi, di pregiudizi. Tutti hanno bisogno di una valvola di sfogo e Iris ha trovato la sua nel malignare su chiunque non le stia a genio. Glielo perdono e accondiscendo perché so che si sente “minacciata”; è convinta che gli altri la scrutino con sguardo indagatore e si sente disprezzata. E ammetto che a volte è così.

“Sono davvero così rara?” sbotta ogni tanto.

No, sono le persone sensibili ad essere rare.

Per i corridoi non c’è anima viva, mancano ancora dieci minuti alla prima campanella. La nostra aula è al terzo piano e dalle finestre del corridoio si vede il cortile interno e la palestra. Alcuni martiri che hanno ginnastica alla prima ora sono già lì, a passeggio con i pinguini e gli orsi polari.

“Proviamo a centrarli con lo sputo?” propongo per passare il tempo.

“Serena!” esclama Iris indignata. Eh sì, non sono cose che fanno le signorine per bene.

Si affaccia anche Iris e scruta con attenzione gli omini del calcio balilla giù in cortile.

“Lo vedi quello?” mi fa, indicando un omino un po’ più alto degli altri.

“Chi, quello con quella specie di chignon?”. Il tipo sembra un gangster e trovo la cosa esilarante.

“Sì, esatto. Sai chi è?”

“Il nipote di Al Pacino?” buttò lì.

“è quello che piace alla Top Model”

Ovvero Fabiana Lavella, una che ad Iris sta parecchio sulle scatole a causa di vecchi trascorsi.

“Ahssì?” faccio io, cercando di squadrare meglio il ragazzo. Se piace alla Top, allora deve essere un figone. O un dio del sesso. O un cannato. O tutti e tre insieme.

“Non ci vedo da qui. Andiamo a spiarlo da giù”. Ah, i modi per ingannare il tempo dieci minuti prima delle lezioni!

Parecchi scalini dopo, poggiata ad un altro davanzale, ecco il mio verdetto: “Ce l’ha lungo”

“Serena!”

Ecco. Parto con la spiegazione: “Non è bello. Non è alla moda. Mi pare abbia la faccia a posto e non noto comportamenti atipicamente felici, quindi suppongo sia "pulito". Risultato: DEVE averlo lungo. Per esclusione”

Iris ride, ma poi esclama “Non sei più tu da un paio di giorni. Sembri una maniaca”

“Sembro? Lo sono” rispondo ammiccando. Non sono più io, dice lei. La verità è che sono scocciata. Anzi, forse sarebbe più sincero dire che sono stanca, e disorientata, e assillata da classiche domande esistenziali tipo “Chi sono io in realtà?”, “Che ci faccio qui?”, “La mia vita ha un fottuto scopo o posso anche andare a morire allegramente?”. È solo una fase, qualcosa da adolescenti. Eppure mi sa tanto di malattia dell’anima. Roba poetica, per intenderci.

Un pallone sorvola le nostre teste e rimbalza pigro contro il muro. Lo recupero, prima che rotoli via, mentre Iris sbraita contro gli esquimesi in cortile.

“è stato un incidente!” si difende il tizio della Yakuza*.

“Se se, certo” risponde la mia amica, un po’ per le sue manie di persecuzione, un po’ perché il tizio con il codino già lo odia di odio riflesso, perché lui, poverino, piace alla Top.

“Allora, ce lo ridate il pallone?” fa lui, un po’ scocciato.

“Certo” rispondo, ma non faccio in tempo a lanciarlo che Iris urla istericamente “Vieni a prenderlo tu, se lo rivuoi!”. Punto. Al nostro gangster preferito non resta che venire a noi. Le finestre che affacciano sul cortile sono tipo a tre metri dal suolo (probabilmente per evitare “incidenti” come quello appena accaduto), quindi il tipo ci guarda dabbasso, e attende. Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? No, sul serio, perché?!

‘Glielo lancio sul capoccione?’ cerco di comunicare telepaticamente con Iris, ma non c’è campo a quanto pare.

“Allora?”

“Mancano esattamente due minuti”

Il ragazzo mi guarda prima come se volesse usare me al posto del pallone e prendermi a calci, poi mi fissa un po’ incerto. Infine, meraviglia delle meraviglie, sgrana gli occhi sorpreso.

Gli lancio il pallone, o meglio, glielo lascio rimbalzare accanto, dato che lui non lo afferra. Credo gli sia venuta una paralisi e sto quasi per esternare a Iris questo mio dubbio, quando improvvisamente ritorna in sé.

“Grazie” mi fa, educato.

‘Good boy! Ora torna a giocare con la palla’. E invece no.

“Tu… voi siete della 5A, giusto?”

 “Sì” risponde secca Iris “Perché?” e stringe gli occhi sospettosa.

“Niente, così” risponde evasivo lui. Recupera il pallone e torna dai compagni.

La campanella della prima ora suona a morte. È il primo gong della giornata. Ci avviamo su per le scale ed Iris non fa altro che lamentarsi di come il tizio l’abbia fissata tutto il tempo, eccetera, eccetera, egiàsappiamocomèlastoria.

“Che poi che cavolo gli interessa se siamo di 5A?!”

“Forse anche a lui piace la Top Model” azzardo. Lui le dichiara tutto l’ amore per il suo culo e lei gliela dà. E vissero tutti felici e soddisfatti.

“Hai ragione!”. Elementare, Watson. “Secondo me starebbero bene insieme. Sono brutti entrambi, e poi lui sembra cretino almeno quanto lei”

“Già”. Giaggià, annuiamo, annuiamo. Prima di entrare in aula, mi concedo un ultimo sguardo al cielo fuori la finestra: nuvoloni bianchi e grossi. Tempo da neve. E invece piove.

“Hai l’ombrello, Sere?”

“Oui, ho portato la Papera oggi”.

 

 

 

Prologo. Parte Seconda

-ovvero-

Mestruazioni

 

 

 

La cosa seccante di quando fai conoscenza o semplicemente ti “mostrano” qualcuno è che tenderai a distinguerlo dalla massa sempre. Ormai il tuo cervello l’ha classificato come “familiare”. Familiare un paio di mutandoni della nonna! Io il tizio con lo chignon non lo conosco, che frequenti o non frequenti la stessa stazione che frequento io ed altre centinaia di alunni della mia scuola.

Oggi mi girano, perché piove che Dio la manda, perché ho le scarpe di stoffa e perché la Papera, per quanto le sia affezionata, non protegge per intero il mio zaino che, di conseguenza, il tempo che raggiungo la scuola, sarà diventato un acquario con tanto di pesci tropicali. E poi ce lì l’amoroso della Top, che a naso in su guarda il cielo come se aspettasse un miracolo, perché è senza ombrello, senza cappotto e senza cappuccio. Un pazzo suicida. Ho timore a passargli davanti, perché se ho inquadrato il tipo, mi chiederà un “passaggio” sotto l’ombrello anche se non conosce neppure il mio nome. È tardi, e quindi uno, due e tre, e apro l’ombrello. Quattro, cinque e sei, e sono già in cammino verso la salita. Nessun “Hey tizia della 5A” o “Tu, ragazza-che-ho-già-visto-qualche-volta-ma-non-so-dove”. Mi volto, un po’ stupita dalla novità e lui è lì che guarda nella mia direzione. Per strada non c’è un’anima, quindi o guarda me o il mio culo…? Malvagi pensieri “alla Iris”. Un po’ mi fa pena, il piccolo gangster. Quasi quasi torno indietro e glielo offro io il “passaggio”, ma eccolo che si fionda sotto la pioggia, attraversa e arranca su per la salita all’altro lato della strada. I ragazzi sono spaventosi.

 

Qualche ora dopo, intervallo, in classe si chiacchiera che il nostro Yakuza sia arrivato a scuola fradicio e che forse poverino ha preso la febbre, povero tesoro, perché non lo guarisci tu, Faby, ha ha ha, che maniache!

Iris ascolta, disgustata ma attenta. Io ascolto, apatica e distratta. Ho altro a cui pensare, come ad esempio al perché l’erba del vicino è sempre più verde (nonostante abitiamo in città e al massimo dovrei parlare delle piante in vaso del dirimpettaio) e al perché una mucca fa “mumù” quando altre si limitano ad un sobrio “mu”.

Quando improvvisamente la porta si spalanca e preceduto da gridolini spaventati, entra un armadio seguito da altri due.

Barbara Novale si alza e praticamente gli salta al collo. Signore e signori, vi presento il Signor Barbaranovale.

“Cucciola” esordisce lui con voce da baritono, dopo i vari convenevoli.

E io mi aspetto che lei risponda “Wof! Wof!” e gli dia la zampa.

E invece: “Amore!” squittisce la bella. È dura la realtà.

“Tesoro” ribadisce l’armadio “non è che avete qualcosa per la febbre o l’influenza. Daniele si è beccato non so che cosa con tutta l’acqua che ha preso stamattina”

Lo ammetto, il mio cervello è un po’ lento a fare i dovuti collegamenti. E fu così che, quando i comodini ai lati dell’armadio si spostarono sul versante destro per lasciar passare il ferito di guerra, mi trovai assolutamente impreparata all’apparizione del mio gangster preferito.

Contatto visivo tra tre, due, uno. Gotcha! Yakuzaniele (Yakuza+Daniele) è… assurdamente ridicolo. Grande e grosso com’è sembra un bambinone di due metri, con quelle guance accese e gli occhioni resi lucidi e liquidi dalla febbre. E mi guarda, ed io pure, e tutto il mondo fuori. O meglio, tutti sono troppo ipnotizzati dal caos di roba che la Top Model sta tirando fuori dalla sua borsa in cerca della Sacra Zeroflu o del Miracoloso Antipiretico, per badare a noi. ‘Se un uomo ti fissa’ mi disse un giorno mia nonna un po’ ubriaca di babà al rum “fissagli le palle, vedrai come distoglie lo sguardo”, peccato che io sia timida dentro.

“Io ho solo le medicine per le mestruazioni” dico quindi, sortendo il medesimo effetto. Seguito dall’effetto collaterale di dirigere l’attenzione generale su di me.

“Ha detto ‘mestruzioni’!”

“È la figlia del Demonio!”

“Al rogo la strega!”

“Che c’è?” bisbiglio ad Iris, che è anche la mia compagna-di-banco-forever-&-ever “Ho solo detto ‘mestruazioni’”

“L’ho trovato!” trilla improvvisamente Fabiana (sì, perché le ragazze del suo genere trillano, sebbene Iris affermi che nitriscano) riconquistando la ribalta come una vera prima donna.

I ragazzi arraffano, ringraziano e vanno via, ma non prima che Yakuzaniele mi abbia rivolto un’altra delle sue occhiate ambigue.

“Non dirò mai più ‘mestruazioni’ in presenza di ragazzi, giuro!” confesso sottovoce a Iris.

“Brava” si complimenta lei.

 

La schiena ampia poggiata alla porta a vetri dell’atrio mi sa di déjà-vu. Yakuzaniele aspetta ancora che la pioggia cessi, ma la pioggia è una… okay, forse questa è meglio risparmiarsela. Iris, dalle gambe relativamente lunghe, mi costringe a trottarle al fianco. Bang! Bang! Il rumore dei nostri due ombrelli sparati verso il cielo. Ma poi avete presente quell’orrendo pizzicorino dietro il collo di quando qualcuno vi fissa intensamente? Non ho bisogno di voltarmi, so. Chiedo alla cara Iris se mi lascia scroccare il suo ombrellino-ino-ino. E lei “Ma la Papera allora?” e poi “Okay” con un’espressione alla “I don’t give a fuck”. E lei, come Yakuzaniele, resta come un stoccafisso quando mi volto, risalgo i gradini e gli stringo una mano intorno al manico dell’ombrello, dicendo “Trattamela bene”, come fanno i fighi nei film quando prestano la loro scassatissima auto a qualcuno, con tanto di sorriso e occhiolino.

Fatta la mia buona azione giornaliera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*la Yakuza è la mafia giapponese.

  
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