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Autore: nightwind    09/03/2012    5 recensioni
Nealie Owens possiede dei poteri di cui non si spiega l'origine e di cui non ha mai fatto parola con nessuno. Ma il trasferimento a Jade City, città natale di suo padre, la farà scontrare di colpo con una nuova realtà in cui non è l'unica ad essere "particolare". Una realtà in cui delle persone nascondono segreti da secoli, una realtà in cui le leggende più folli possono diventare vere in un istante...
Storia sospesa per periodo indeterminato. E' probabile che non abbia mai una conclusione, mi scuso con i lettori.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MAGIC BURNS

 

 

To the one who truely taught me that life is magic

 

 

 

EPISODE 1

 

BEGINNING

 

 

ISOLA DI MRYANN, IRLANDA, 15 ANNI FA

La bambina era seduta su una delle poltrone della sala d'attesa dell'ospedale dell'isoletta, immobile e silenziosa. Nonostante avesse poco più di un anno, capiva che qualcosa attorno a lei stava andando storto. Il suo papà e la sua mamma le avevano spiegato che alla fine del viaggio che stavano facendo avrebbe avuto una sorellina o un fratellino, e quando l'avevano svegliata quella notte le avevano spiegato che il bambino era troppo impaziente e aveva deciso di arrivare subito. Erano corsi in ospedale e, mentre sua madre veniva portata via su una barella, suo padre le si era seduto accanto in quella stanza, dicendole che presto avrebbe potuto salutare il fratellino o la sorellina. Poi era comparso un uomo vestito di bianco con la faccia preoccupata, e il suo papà era impallidito ed era corso via, lasciandola lì. E adesso aspettava, sentendo confusamente che era successo qualcosa, ma senza capire molto.

«Ciao, piccola.» disse una voce gentile.

La bimba alzò la testa, vedendo una bellissima giovane donna con dei lunghi capelli neri, che le si avvicinava sorridendo.

«Sei preoccupata?» chiese la donna.

Lei annuì lentamente. Voleva sapere dov'era la sua mamma, cosa le era successo, perchè il suo papà era corso via. La donna le si sedette accanto e le parlò a bassa voce.

«La tua mamma sta bene.» disse «Hai un fratellino, adesso.»

La bambina fissò la donna con occhi interrogativi. Se stavano bene, perchè non erano venuti a prenderla? La donna sembrò indovinare i suoi pensieri, perchè si avvicinò di più a lei.

«Il tuo fratellino sta male, piccola.» sussurrò, tristemente «Rischia di morire.»

La bimba cominciò a tremare. Non sapeva ancora il vero significato della parola “morire”, ma sentiva confusamente il terrore crescere in sé. La donna le posò una mano sulla spalla.

«Non è troppo tardi.» disse piano «Tu puoi aiutarlo. Vuoi aiutare il tuo fratellino, vero?» la piccola annuì vigorosamente, e la donna sorrise «Bene. Chiudi gli occhi, allora. Pensa con tutto il tuo cuoricino che vuoi aiutarlo. Desidera di salvarlo con tutta la tua anima.»

La bambina obbeddì, chiudendo gli occhi e stringendo le manine in una morsa. La donna sorrise, appoggiandole una mano sulla fronte.

Quando il padre tornò, stanco ma felice di poter annunciare alla sua bambina che aveva un fratellino che era miracolosamente scampato alla morte, la trovò addormentata sulla poltrona, stremata come se avesse corso per ore.

 

*

 

CORNOVAGLIA, 13 ANNI FA

La pioggia cadeva pesantemente sui tetti delle case del paesino costruito sulla punta estrema del promontorio, come se volesse ritmicamente bucare le tegole che incontrava. Il mare si scagliava infuriato sulle rocce, provocando un rumore terribile, assordante.

Nella sua stanza, la bambina tremava ogni volta che un'onda si infrangeva contro gli scogli con un rumore apocalittico. Sapeva che non doveva avere paura, che la mamma sarebbe arrivata presto per rassicurarla, come faceva ogni notte di tempesta. Ma la mamma non arrivava, e lei era troppo spaventata per chiamarla, troppo spaventata per fare altro oltre a stringere il suo orsachiotto preferito al petto. L'ennesima onda che sembrava voler inghiottire l'intero paesino con i suoi ruggiti le fece cambiare di colpo idea e, con l'orsachiotto sempre stretto fra le braccia come uno scudo e le lacrime di paura che le scendevano sulle guance, uscì dalla camera e scese le scale della villetta, raggiungendo il piano terra. Il salotto era buio, ma la luce della cucina si spargeva sul pavimento come una pozza d'acqua, e dalla porta socchiusa si sentivano delle esclamazioni. La bambina si avvicinò alla porta e sbirciò all'interno della stanza.

I suoi genitori erano in piedi, separati dal tavolo, e si fissavano con uno sguardo che era gelido da entrambe le parti, i pugni stretti. Poi, suo padre parlò, lentamente.

«No, Viviane.» la sua voce era calma, ma colma di tensione «Non se ne parla.»

«E' mia figlia, George.» sibilò la donna «Ha ereditato i miei poteri, e voglio che impari ad usarli!»

«Ma è anche mia figlia.» George enfatizzò il possessivo «E non ti permetterò di insegnarle ad usare i suoi poteri anche per far del male alla gente che non ne ha. Nealie avrà delle capacità straordinarie, che andranno usate a fin di bene.»

«Bene!» Viviane scoppiò a ridere «Cos'è il bene? Quello che voi comuni mortali decidete nelle vostre leggi, fatte solo per voi? Quando avrà l'età giusta, Nealie avrà potere abbastanza da distruggere un'intera città senza nessuno sforzo!»

«E' proprio per questo che deve imparare a rispettare quelli che non hanno poteri, quelli che sono completamente indifesi!»

La donna rigettò indietro la sua lunga cascata di capelli neri con un gesto di disprezzo.

«Indifesi?» la sua voce era un sibilo velenoso «Tu dimentichi che io vivo da secoli su questa terra e che nessuno conosce quanto me di cos'è capace la gente quando ha paura della magia. Centinaia di persone sono state bruciate sul rogo, o torturate, o uccise in mille altri modi orrendi solo perchè erano diverse, solo perchè le loro capacità superavano quelle degli altri. Adesso le poche persone che possiedono ancora capacità magiche si nascondono, terrorizzate dal fare una fine simile. Ma mia figlia sarà abbastanza potente da contrastare chiunque tenti di farle del male.»

«Nessuno tenterà di farle del male.» George la fissò.

«Questo lo credi tu.» replicò Viviane «So come siete, voi gente “normale”. Prima o poi vi accorgete di noi e, terrorizzati, cercate di distruggerci! Ma io e Nealie, insieme, riusciremo a fermarvi, e a riprenderci questa terra che è nostra di diritto! Anche a costo di uccidervi dal primo all'ultimo!»

«Non ti permetterò di trasformare nostra figlia nello strumento di una tua folle vendetta, Viviane!» gli occhi di George mandavano lampi di rabbia.

«Non puoi impedirmelo, non ne hai la forza!» urlò lei, raccogliendo una bottiglia di vetro dal tavolo e lanciandola contro di lui.

George si abbassò appena in tempo e lasciò che la bottiglia si fracassasse contro la parete dietro di lui, poi si raddrizzò, fissando la donna che aveva di fronte. Viviane. Il suo stesso nome era leggenda, fosse pronunciato come Viviane, Viviana o Niniane indicava sempre la stessa persona. La fata immortale e bellissima che aveva sedotto e ingannato persino il grande mago Merlino all'alba dei tempi, quando ancora il mondo non si stupiva dell'esistenza della magia. La stessa che aveva sedotto lui. Viviane. La madre di sua figlia. Sua moglie, almeno secondo i documenti che possedeva. In realtà, della dolce ragazza di cui si era innamorato, della donna che lo aveva convinto ad abbandonare per sempre la sua Pennsylvania per la Cornovaglia non era rimasto niente. Era cambiata, per quanto un essere immortale potesse cambiare, e ciò che era diventata non gli piaceva affatto. La magia esisteva, e la sola esistenza di Viviane lo provava, ma non era questo che era preoccupante. Era il fatto che poteri enormi potessero essere in mano a persone come lei, ormai accecate dall'odio verso la gente normale, indifesa.

«Ti sbagli.» disse piano, senza smettere di fissarla in quegli occhi di un gelido verde pallido «So come fermarti. Dimentichi che conosco ogni leggenda mai scritta o raccontata, e che so che voi creature magiche non potete stare in casa di noi povera gente “normale” senza il nostro permesso.»

«Non oseresti.» sibilò Viviane, ma era impallidita di colpo.

George levò il dito, puntandolo nella sua direzione e pronunciando quelle parole che potevano salvare lui, sua figlia e forse persino il mondo.

«Vattene, fata Viviane! Sparisci per sempre da questa casa, e non osare mai più avvicinarti al luogo in cui io e mia figlia saremo!»

Di colpo, come richiamato da quelle frasi, un alone di luce bianca circondò il corpo della donna, che strillò.

«Nooooo!!! Maledetto!!» i suoi occhi esprimevano un odio tremendo «Non finisce qui!»

La luce si intensificò e, all'improvviso, Viviane scomparve.

George si appoggiò al tavolo, tremante. Era finita. L'incubo era finito. Tentò di respirare con calma, poi si raddrizzò e uscì dalla porta-finestra della cucina, noncurante della tempesta. Doveva riflettere, decidere subito cos'avrebbe fatto l'indomani.

Nealie, sempre con il suo peluche fra le braccia, spinse la porta ed entrò lentamente in cucina. Non capiva quello che era appena successo, come non aveva capito i discorsi dei suoi genitori. Mille domande le rieccheggiavano nella mente. Dov'era la mamma? Era davvero sparita? Non l'avrebbe mai più vista?

Il suo piede nudo si posò su qualcosa di gelido, e lei abbassò lo sguardo. Era il ciondolo d'argento a forma di farfalla che sua madre portava sempre al collo, appeso ad un cordoncino nero. Lo raccolse, rigirandoselo fra le manine, poi, istintivamente, se lo mise al collo.

Appena toccò la pelle della bambina, il ciondolo cominciò a luccicare, poi divenne caldo, bruciante, incandescente. Con un urlo, Nealie cercò di sfilarselo, ma il cordoncino era svanito. Il ciondolo sembrò cominciare al fondersi nel corpo della bambina, sprigionando una luce rossa sempre più forte, luminosa, accecante...

 

*

 

JADE CITY, PENNSYLVANIA, OGGI

«Noooooooo!!!»

Nealie si svegliò di soprassalto, urlando. Le ci vollero alcuni minuti per realizzare che era seduta nel suo letto. Si passò le mani sugli occhi. Era successo di nuovo, aveva di nuovo sognato quello che era successo la notte in cui sua madre era scomparsa. Guardò il quadrante fosforescente della sveglia e sospirò. Erano le quattro e mezza del mattino, e sapeva che non si sarebbe riaddormentata. Non ci riusciva mai, la luce rossa ricompariva ogni volta che chiudeva gli occhi, e la sensazione di bruciore sembrava lacerarle la pelle.

Nealie si alzò lentamente dal letto e uscì dalla stanza riuscendo a non inciampare nei cartoni che ancora occupavano metà del pavimento. Scese in silenzio le scale della villetta e, sempre facendo lo slalom tra i cartoni del recentissimo trasloco, raggiunse la cucina. Accese solo la luce accanto al bollitore e lo mise in funzione. C'era un'unica cosa che la calmava dopo quel sogno: una bella tazza di tè caldo. Mentre aspettava che l'acqua bollisse, si strofinò la base del collo. Era incredibile quanto la sensazione di bruciore rimanesse anche interi minuti dopo che si era svegliata. Scostò il colletto del pigiama e, chinandosi sotto la luce, osservò la macchia di pelle più chiara che aveva qualche centimetro sotto al collo. Sembrava davvero la cicatrice di una piccola ustione, e la cosa più strana era che aveva l'esatta forma di una farfalla, come il ciondolo che aveva messo al collo quella famosa notte.

La ragazza scosse la testa mentre versava l'acqua bollente in una tazza e che il profumo del tè cominciava a riempire la cucina semibuia. C'erano tante cose di sé stessa a cui non sapeva dare una vera spiegazione, e quello era solo un particolare. Si concentrò per meno di un secondo e un piatto di muffin fumanti comparve dal nulla davanti a lei. Ci riusciva da quando aveva undici anni, e non sapeva perchè. Insomma, non era molto normale far comparire delle cose, giusto? Era per questo che non lo aveva mai detto a nessuno, soprattutto a suo padre. Se c'era una cosa che faceva arrabbiare George Owens era quando gli si nominava una qualsiasi forma di magia.

Nealie continuò a bere il suo tè nel perfetto silenzio della cucina. Era lì, in una casa nuova, alle cinque di mattina, con un sogno che per quanto senza senso era l'ultimo vero ricordo che avesse di una madre scomparsa quando lei aveva appena tre anni, un piatto di muffin che aveva fatto apparire dal nulla e un'idea molto più concreta che le bussava ai lati della mente. Che alle otto avrebbe dovuto affrontare il suo primo giorno in una nuova scuola.

 

*

 

Come ogni giorno da più di sessant'anni, l'uomo uscì a salutare l'alba. Con un passo perfettamente elastico nonostante l'età, attraversò il giardino della casa alla periferia più estrema della città e si appoggiò alla ringhiera, osservando per lunghi minuti il sole che sorgeva sopra ai tetti di Jade City, illuminandoli di un riverbero metallico.

Improvvisamente, una sensazione inusuale lo attraversò. Una sensazione di freddo, come una folata di vento. Si raddrizzò, scrutando la città ancora addormentata come se volesse scoprire il responsabile di quella sensazione.

«Vento da dove sorge il sole...» mormorò con voce bassa e roca.

Un nuovo brivido lo percorse, mentre una sensazione di angoscia lo sfiorava veloce e il sangue del suo popolo che gli scorreva nelle vene sembrava avvertirlo.

«Succederà qualcosa...» sussurrò «Qualcosa che non sarà un bene...» prese un respiro profondo e alzò le mani verso l'alto, mentre chiudeva gli occhi «Spirito Creatore, Grande Madre di tutti noi... Kuhkoomtheyna, ascoltami, ti prego, e proteggici.»

 

*

 

«Sei rimasta sveglia tutta la notte?»

George Owens si fermò sulla soglia della cucina, fissando sua figlia.

«Non tutta.» rispose piano Nealie «Mi sono svegliata di colpo e non sono più riuscita a riaddormentarmi.»

«Tensione per la scuola?» chiese George, attraversando la cucina e mettendo in funzione la macchinetta del caffè.

«No, ho...» Nealie esitò «Ho di nuovo sognato la mamma.»

Geroge si irrigidì per un attimo. Quanto avrebbe voluto che Nealie dimenticasse completamente Viviane. Ogni volta che gli diceva di averla sognata, temeva che quella magia di cui aveva parlato la fata si fosse risvegliata in lei, e che lui non avrebbe potuto fare niente per fermarla. Quella di Viviane poteva essere stata solo una semplice minaccia, ma aveva davvero paura che Nealie scoprisse di avere dei poteri che non sarebbe stata in grado di controllare.

«Sempre lo stesso sogno?» chiese, tentando di mantenere un tono di voce più che naturale.

Nealie annuì.

«La notte in cui se n'è andata.» disse «Mi ricordo che tu e lei avete litigato, poi tu hai detto qualcosa, c'è stato un lampo di luce e... E la mamma è scomparsa.»

«Nealie...» cominciò George.

«Sì, lo so.» fece la ragazza «La gente non sparisce in un lampo di luce.» sospirò, poi fece a suo padre una domanda di cui entrambi sapevano già la risposta «Non sai dov'è adesso?»

«No, non lo so.» rispose George, augurandosi mentalmente di non doverlo mai scoprire «Immagino sia rimasta in Cornovaglia o da quelle parti.»

«Non mi hai mai parlato molto di lei.» disse piano Nealie «Non c'è nemmeno una sua foto.»

«Nealie, mi conosci. Sai che non mi piace rivangare il passato, e, per essere totalmente sincero, preferisco dimenticarla. So che per te resterà sempre tua madre, ma non era una brava persona. Siamo molto più sereni solo io e te, credimi.»

Nealie annuì senza molta convinzione. Avrebbe almeno voluto sapere il motivo o i motivi per cui suo padre diceva quelle cose.

George si sedette al tavolo e cominciò a bere il suo caffè fumante, poi sorrise alla figlia.

«Agitata, per oggi?» chiese.

«Un po'...» rispose Nealie.

«So che non è facile ricominciare da zero in una nuova scuola, tesoro, e mi dispiace. Ma ho avuto quest'opportunità dello studio di avvocato qui a Jade City e...»

«Lo so, lo so.» sorrise la ragazza «Non hai resistito all'idea di tornare nella tua cara città natale.»

«Già.» ammise George «Vedrai, finirà per piacere anche a te, quando ti sarai adattata un po'. E adesso sbrigati e vai a vestirti, non vorrai arrivare in ritardo proprio il primo giorno?»

 

*

 

«Buona giornata, tesoro!» esclamò George, salutando Nealie dal finestrino dell'auto mentre si allontanava dal parcheggio in cui l'aveva lasciata.

Nealie sorrise soltanto, poi alzò lo sguardo sull'edificio che aveva di fronte. Sembrava un'enorme serie di scatole dipinte di giallo pallido, con uno spiazzo verde con alberi e panchine davanti all'entrata principale, dov'era appesa la bandiera americana che sventolava sopra alla targa che indicava a caratteri cubitali

 

JAMES LENOY HIGH SCHOOL

 

Nonostante le ansie di suo padre sul ritardo, Nealie era in anticipo di almeno venti minuti sulla campanella iniziale. Stringendo le mani sulla tracolla, attraversò il parcheggio in cui stavano arrivando le auto degli insegnanti e di buona parte degli studenti, più qualcuno su una moto da cross nera che aveva l'aria un po' improbabile davanti a una scuola. Una Audi blu notte le passò accanto con la musica a tutto volume. Nealie si voltò, guardando i due occupanti dell'auto, un ragazzo e una ragazza con i capelli rosso carota, e si accorse che quelle che sentiva erano in realtà le voci dei due, e non quelle provenienti da una radio. Raggiunse una delle panchine poco lontane dall'entrata e si sedette, guardandosi timidamente intorno. Jade City era una città di dimensioni rispettabili, ma ovviamente non era grande come Philadelphia, dove aveva vissuto fino a qualche settimana prima. Eppure, a parte per il parco che circondava la scuola, sembrava che la Lenoy fosse come tutti gli altri licei degli Stati Uniti. Da dov'era seduta poteva vedere i gruppi di amici salutarsi, scendere insieme dalle macchine nel parcheggio, i ragazzi di quella che doveva essere la squadra di football della scuola, con i giubbotti con la scritta Lenoy Tigers sulla schiena, riunirsi accanto ad un albero mentre poco più lontano un gruppo di ragazze già nell'uniforme verde e oro da cheerleader sembrava pronto per un allenamento.

Nealie sentì il suo stomaco stringersi. Era il primo giorno di scuola, ma tutti si conoscevano già, tranne lei. Lei sbarcava all'improvviso all'inizio del terzo anno senza nemmeno sapere esattamente come funzionasse la città in cui era finita, figurarsi la scuola.

«Sento odore di nuovo.» fece una voce alle sue spalle.

Nealie sobbalzò e si voltò di scatto. Appoggiati allo schienale della panchina, c'erano due ragazzi biondi che la fissavano sorridendo. Sbattè le palpebre, accorgendosi che i due erano perfettamente identici.

«No, nessuna allucinazione.» sorrise divertito quello più a destra «Non ci vedi doppio, siamo gemelli. I gemelli Callaghan, per la precisione.»

Nealie annuì, non sapendo come dovesse reagire alla menzione del cognome dei due.

«Io sono Ryan, e lui è Raphael.» disse il ragazzo più a sinistra «E l'unico modo per distinguerci è guardarci negli occhi.»

Nealie li fissò per un attimo. Ryan aveva gli occhi verde cupo, mentre Raphael li aveva di un azzurro incredibile, quasi elettrico.

«E' vero...» disse «A parte per questo siete proprio identici.»

«Si possono distinguere anche per il loro modo di vestire.» fece una voce femminile.

Nealie si voltò di nuovo, accorgendosi solo in quel momento di una ragazza con i capelli rossi che si era fermata davanti alla panchina.

«Raphael passa il suo tempo con addosso solo delle felpe o delle magliette.» continuò la ragazza «Mentre Ryan è uno di quei rari ragazzi che conoscono l'esistenza delle camicie!» si fermò, poi sorrise a Nealie e le si sedette accanto porgendole la mano «Comunque, io sono Shelley Dane. Tu sei nuova alla Lenoy, giusto?»

«Sì.» Nealie le strinse la mano «Mi chiamo Nealie Owens, sono al terzo anno.»

«Perfetto!» Raphael si sedette sullo schienale della panchina «Anche noi siamo del terzo anno. Anzi, tutti quelli che contano sono del terzo.»

«Ecco che comincia.» sbuffò Shelley, rivolgendosi a Nealie «Non ascoltarlo, ti stordisce di parole solo per convincerti di qualsiasi cosa.»

«Dico sempre che mio fratello ha due grandi carriere future.» intervenne Ryan, che era rimasto appoggiato alla panchina «O finirà politico oppure finirà nelle televendite di pentole.»

«Che noioso che sei.» sospirò Raphael, poi appoggiò una mano sulla spalla di Nealie «Non starli a sentire, sono solo gelosi del fatto che non sono capaci di fare a meno di me, visto che so sempre tutto di tutti.»

«Questo è vero.» ammise Shelley «E' peggio dell'FBI.»

«Quindi avrai bisogno di me per sopravvivere ai primi tempi alla Lenoy.» Raphael fece l'occhiolino a Nealie.

«Davvero?» esitò la ragazza.

Era vero, qualcuno che le spiegasse dove fossero le aule e magari anche quali fossero gli studenti da evitare le avrebbe fatto molto comodo, ma non era sicura di potersi fidare di quel ragazzo. Il suo sguardo la metteva in qualche modo a disagio.

«Te lo dimostro presentandoti un po' di gente del nostro anno.» sorrise il ragazzo, guardandosi intorno e indicando il gruppo delle cheerleader «Quella bionda e altissima è Cassie Taylor. L'anno prossimo diventerà capitano del team, dopo che la capitana si sarà diplomata, e automaticamente metà delle cheerleader scapperanno dalla squadra, visto che ha una tremenda tendenza al dispotismo.»

«Verissimo.» concordò Shelley.

«Quello moro alto circa un miglio» continuò Raphael, indicando uno dei ragazzi con il giubbotto della squadra di football «è Austin Stuart, il quarterback della squadra e, ovviamente visto che qui si va avanti a sterotipi, il ragazzo più inseguito di tutta la Lenoy.»

«Fammi indovinare.» disse Nealie, che si stava tutto sommato divertendo con quelle presentazioni ufficiose «Sta insieme a Cassie.»

«Stranamente, no.» questa volta fu Ryan a rispondere «E' libero, se ti interessa.»

«Ma dovrai combattere contro tutte le ragazze della scuola.» aggiunse Raphael «Compresa Sua Stramberia.»

«Sua Stramberia?» ripetè Nealie «E chi sarebbe?»

«Smettila di chiamarla così.» sbuffò Ryan «Non è gentile.»

«E lei non è normale.» Raphael alzò le spalle, poi indicò in direzione del parcheggio «Eccola, così Nealie potrà giudicare da sola.»

Nealie si voltò. All'inizio del vialetto che portava all'entrata della scuola era comparsa una ragazza che camminava lentamente. Nonostante l'aria tiepida di Settembre, portava una pesante felpa viola, dei pantaloni a scacchi e degli anfibi. Anche i suoi capelli erano di un viola piuttosto violento, e si muovevano con gesti secchi quando la loro proprietaria agitava la testa a ritmo della musica che due cuffiette, ovviamente viola, le sparavano nelle orecchie.

«Stramba, vero? Non c'è un'altra parola per definirla.» sussurrò Raphael.

Nealie non disse niente. Non le piaceva giudicare la gente dall'apparenza, ma era vero che quella ragazza attirava gli sguardi, e non certo in maniera piacevole. La osservò con discrezione, e la vide rallentare quasi impercettibilmente il passo mentre arrivava all'altezza dei ragazzi della squadra di football.

«Visto?» fece Raphael, compiaciuto «Pure lei è cotta e stracotta di Austin. E non ha ovviamente speranze.»

La ragazza era ormai arrivata alla sua altezza, e Nealie distolse lo sguardo per non sembrare indiscreta mentre quella li superava, entrando nella scuola. Stava fissando di nuovo le cheerleader quando il possente rombo di un motore la fece girare verso il parcheggio. Una macchina sportiva di un nero perfetto, con un simbolo giallo sul cofano, stava parcheggiando proprio in corrispondenza del vialetto.

«Wow.» si laciò scappare Nealie.

Non capiva molto di macchine, ma le era sempre piaciuto veder passare auto del genere.

«E' una Ferrari 458 Spider.» la informò subito Raphael «E se speri che l'uomo dei tuoi sogni sia alla guida, ti stai sbagliando in pieno.»

Infatti, mentre Nealie continuava a guardare la Ferrari, la portiera del guidatore si aprì e ne uscì una ragazza vestita interamente di nero, come se volesse essere in tono con la macchina, occhiali da sole compresi.

«E... E lei chi è?» domandò Nealie.

Fu Shelley a rispondere

«Quella è Stardust Tudor.» disse, arricciando il naso «L'unica figlia di Jefferson Tudor, il ricchissimo proprietario del giornale di Jade City, il Jade Chronicles.» si voltò verso Nealie «Non solo è piena di soldi e piuttosto antipatica, ma è pure violenta.»

«Violenta?» ripetè Nealie.

«Una volta ha picchiato un paio di giocatori di football. Solo i soldi del padre l'hanno salvata dalla sospensione.» spiegò Ryan.

Nealie sgranò gli occhi.

«Ha picchiato dei... giocatori di football?!» esclamò «Ma... Sono tre volte più grossi di lei!»

Ryan alzò le spalle.

«Vero, ma ci è riuscita comunque.»

Nealie tornò a guardare in direzione della Ferrari e si accorse che dall'altra portiera era emerso un ragazzo, anche lui con gli occhiali da sole, che stava porgendo una borsa a Stardust.

«Quello chi è?» chiese.

Ryan e Shelley sghignazzarono in coro.

«Quello si chiama Brandon Moore, ed è l'unica nota oscura del sistema di controllo di Raphael.» disse poi Shelley.

«Nessuno sa davvero chi sia.» spiegò Ryan «Vive con Stardust, e alcuni pensano che potrebbe essere un cugino, o un figlio illegittimo di Jefferson Tudor. Poi...» indicò la coppia sempre ferma accanto all'auto.

Nealie li guardò e vide Stardust prendere la borsa dalle mani di Brandon, poi chinarsi in avanti e sfiorargli il collo con le labbra, in una strana riedizione di un bacio di ringraziamento.

«E' il suo ragazzo?» domandò.

«Boh.» fu la risposta di Raphael, che fece una smorfia come se quella parola gli costasse moltissimo.

«Nonostante tutto, non credo che Jefferson Tudor permetterebbe a sua figlia di convivere con un ragazzo a sedici anni.» disse Shelley, poi alzò le spalle «Quei due sono uno dei misteri della Lenoy.»

In quel momento, la campanella suonò e i quattro si diressero verso l'entrata della scuola. Nealie prese il foglio dell'orario da una tasca della borsa e lo guardò.

«Sapete dirmi dov'è l'aula 5?» chiese «Ho lezione di inglese, adesso.»

«Anche noi.» sorrise Ryan «Vieni, ti accompagnamo.»

 

*

 

«Buongiorno, avvocato.»

«Buongiorno, signorina Brown.» sorrise George Owens, appendendo il cappotto nell'anticamera.

Riprese la ventiquattrore e raggiunse il suo studio, avvertendo la segretaria che stava aspettando un'importante telefonata del giudice Miller. Una volta nella stanza con le pareti coperte da librerie strapiene di codici penali, si sedette alla scrivania e si guardò intorno sorridendo. Era bello essere tornato finalmente, dopo quasi vent'anni, a Jade City. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva davvero a casa, e sperava davvero che sua figlia, pian piano, si sentisse pure lei a casa in quella città.

E poi, per la prima volta, si sentiva abbanstanza lontano da Viviane. Non aveva dubbi sul fatto che prima o poi lei avrebbe cercato di rintracciare Nealie, e temeva con tutto il cuore il giorno in cui ci avrebbe provato. Eppure, lì, aveva in un qualche modo l'impressione di essere protetto. Di essere, insieme a Nealie, finalmente al sicuro.

 

 

 

 

 

 

NIGHTWIND'S CORNER

Ciao a tutti!

Allora, questa volta ho deciso di concentrarmi su una storia originale, l'ennesimo parto della mia mente folle! Il soprannaturale mi è sempre piaciuto, non c'è proprio niente di meglio per lasciare completamente andare la fantasia! Quindi preparatevi ad un viaggio pazzo fra storie e poteri ancora più pazzi!

Ho deciso di divedere questa long in “episodi” e non capitoli perchè secondo me somiglia molto di più a un telefilm che a un romanzo... Infatti, se siete familiari con vari telefilm americani vi sarete sicuramente già accorti di avere una strana sensazione di “déjà vu”, visto che nella scena della scuola ho infilato tutti gli stereotipi possibili di una scuola americana (e non li avete ancora visti tutti...). Perchè? Perchè mi piace stravolgere le cose, ovviamente! Una normalissima high school da telefilm che diventerà la cornice di avventure che non dovrebbero succedere in un posto del genere... Ma mi fermo, se no finirò per raccontarvi tutto adesso!

Intanto, qualche chiarimento:

  • l'isola di Mryann non esiste, ma me la sono immaginata come una piccola isoletta al largo della costa sud dell'Irlanda

  • Viviane salta sempre fuori nelle leggende su Merlino, è la bellissima fata di cui lui si è innamorato e che lo ha imprigionato in una torre invisibile, o in una quercia o addormentato per sempre a seconda dei miti, per rubargli la formula magica più potente del mondo

  • nemmeno Jade City esiste, ma l'ho piazzata a qualche chilometro a Est di Altoona in Pennsylvania

  • la tribù degli indiani Shawnee, invece, esiste davvero, il loro territorio è, appunto, quello dell'attuale Pennsylvania e sono forse l'unica tribù che crede in uno spirito creatore donna, Kuhkoomtheyna (provate pure a pronunciarlo, se volete annodarvi la lingua, è un incubo!)

Bene, spero che questo primo episodio vi sia piaciuto, un grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno e a quelli che vorranno lasciare un commento che sarà più che apprezzato, ovviamente!

  
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