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Autore: Fiby_Elle    09/03/2012    10 recensioni
“Cosa facciamo, Zayn… cosa facciamo se muore…” mi chiede Harry con la voce rotta, ancora con Louis che non molla la presa dai suoi fianchi.
Li guardo e quasi mi viene da ridere.
Luis sta immobile come se un solo movimento potesse consegnarti alla morte ed Harry… Harry ha questa malsana convinzione che io abbia sempre la risposta… quel suo modo sfacciatamente infantile di prendere la verità dal fango e buttarla in faccia…
Già, cosa facciamo se muori, eh Liam?
Cosa faccio IO se muori?
“Non muore, Harry… è semplice…”
“Sì, Zayn, ma se muore? Se muore davvero?”
“No Hary, Liam non muore… perché io proprio non lo so che cazzo facciamo se muore!”
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Liam ha un incidente brutale ed è appeso a un filo, tra la vita e la morte. Zayn non piange, non si dispera, ma decide di non lasciarlo andare senza la sua personale verità, senza essersi spogliato di tutto ciò che ha nel cuore. Il ricordo di un amore consumato, ma mai vissuto, puro e sbagliatissimo, nascosto agli occhi delle fans e soprattutto nel profondo di Zayn. Le confessioni di un ragazzo innamorato, che ha paura che oramai sia troppo tardi...
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1.


Il sole sta sorgendo, Liam.

La notte è passata, ma il tuo male, la luna, non se l’è portato con sé.

Tu non ti sei mosso, sei ancora qui immobile e devastato, come una di quelle sculture italiane bellissime, lasciate per strada a marcire tra pioggia e smog, incuria e abitudine. Perché funziona così, Liam, quando una cosa ce l’hai sempre sotto agli occhi, finisce che ti stanca, anche se è l’opera d’arte più straordinaria del mondo. Sai quando ti accorgi della sua mancanza, poi? Quando viene distrutta, sparisce dalla vista e non è più tua.

Io la mano non te l’ho lasciata un attimo, Liam, e la tengo ancora adesso come se legarti a me in una qualche maniera corporea, significasse ancorarti alla vita, impedirti di volare via.

È singolare. Per la prima volta sento dentro di me un’esistenza completa, una voglia di fare, disfare, che brulica come un nido febbrile di api. E Dio solo sa, quanto vorrei aprirmi lo stomaco e prendere questo miele di vita per donarlo a te, così spento in questo momento, così tenue e pallido.

Non eri così, la prima volta che ti ho incontrato, Liam, non ci crederai, ma io me lo ricordo bene.

Eri una tavolozza di colori caldi, fuoco di ambra e primi giorni di settembre.

Avevi il sorriso bianco di inverno, ma la corteccia sporca negli occhi e la pelle di foglie secche e croccanti.

Era il maggio dei miei diciassette anni quando ti ho visto per la prima volta, una serata che non dimenticherò mai più.

Dicono che quell’età sia la più bella del mondo, sai Liam. Lo dicono soprattutto i grandi, con il rimpianto e la gelosia nella voce, perché avere diciassette anni è sinonimo di coraggio, avventura, amore. Se avessero ragione, io dovrei dire di essere nato già adulto e aver trascorso un’adolescenza di disperata vecchiaia. Il mio coraggio si chiamava incoscienza, le mie avventure duravano il tempo di una sigaretta accesa e dell’amore avevo il terrore, lo fuggivo come un elefante alla vista di un topo.

Non avevo mai avuto una ragazza, mi credi Liam? I giornali adesso me ne attribuiscono tante per quel periodo di normalità e non fama, vanno lì a scovare i loro nomi, i loro volti, ma quello che vorrei dir loro è che per me esse non erano in effetti che nomi e volti, senza identità, senza sostanza. Venti giorni e poco più di pizze e cinema, birre rubate e baci bagnati, ma oltre questo, niente di più. Dicevo loro addio dalla mia vita con lo stesso trasporto di quando una madre costringe il figlio a buttare nel water il suo pesce rosso, le guardavo sparire, affogare nell’acqua sporca, un po’ mi dispiaceva all’inizio, ma non mi lasciavano nulla a livello di cuore, dormivo sogni tranquilli ugualmente poichè nulla esse mi avevano tolto, visto che nulla avevo concesso loro di darmi. 

Non che non ci avessero provato, alcune avevano bussato alla mia porta ore ed ore, ma io le avevo salutate dallo spioncino e avevo semplicemente richiuso a chiave.

Tu sei arrivato una sera come mille altre nel mondo, Liam, prepotente e fatale come la voglia di un morso alla vista di una torta alla panna.

Non c’è stato bisogno di chiudere la porta, non hai nemmeno bussato.

Sei passato dalla finestra simile a un ladro e mi hai sorriso, insinuandoti con le tue labbra pronunciate nelle mie vene, cominciando la tua lenta scalata verso il cuore.

Sai, Liam, se ci fai caso, quando pensiamo a grandi quadri, pensiamo sempre a delle cornici speciali. I film, i libri, i video musicali, ci hanno indotto a credere che i grandi incontri si facciano sempre in giorni meravigliosi e particolari, indimenticabili: considerando che cambieranno per sempre la tua vita devono per forza svolgersi in uno scenario da fiaba, in una mattina di sole forte o in una notte di pioggia urticante e poetica. Lo credevo anche io inconsciamente, Liam, ma adesso so che non è vero, perché con te non è stato così.

Prima dei One Direction, prima di Harry, Louis e Niall, io e te ci siamo conosciuti in un ristorante italiano, ad una cena chiassosa e soffocante, insieme ad altri che speravano in un futuro di stelle ad X Factor. Io parlavo con una ragazza bionda, piccolina, dalle origini africane e tu mi sei rovinato a fianco, sulla stessa panca, gomito a gomito, neanche fossi una conchiglia alla deriva, trasportata dal mare. Ti ho guardato con la coda dell’occhio, giusto per capire con chi avrei diviso lo spazio vitale in quel casino di voci e rumori, e ricordo di aver pensato che sì, forse venivi davvero dal mare, perché la tua pelle sembrava di sabbia e la tua maglia bianca, minimale, sembrava fatta di schiuma salata di onde che si erano venute coraggiosamente ad infrangere contro di te. Tu hai notato che i miei occhi ti cercavano, ti scrutavano con una curiosità dettata più che altro dalla noia, ma educatamente non me lo hai fatto notare ed hai lasciato che ti conoscessero, facendo lo stesso anche tu.

Abbiamo passato così, a sfiorarci e a studiarci, tutta la sera.

Cercavo di parlare con la ragazza che avevo di fianco, di prestare ascolto alle sue storie di savane e soli senza tramonto, ma tu catturavi la mia attenzione con niente, un leggero tic alla gamba, un modo buffo di arrotolare i capelli alle dita, l’impronta calda delle tue labbra sul bordo del bicchiere di vetro. Parlavi con tutti, ma non ti facevi coinvolgere da nessuno, mangiavi impugnando la forchetta storta e a volte ti chiudevi in un silenzio di vetro, fragile tanto che un minimo cenno poteva romperlo e trasformarlo in risata.

Quando hai trovato il coraggio di rivolgermi la parola era notte fonda, il locale si era svuotato lentamente ed io e te eravamo soli sull’asfalto, due naufraghi che cercavano di tornare in un surrogato di casa.

“Ehi.” mi hai detto con un sorriso di miele, come se ci conoscessimo da sempre, come se quel gioco di pelli ed iridi, ci avesse autorizzato ad essere intimi, non più due estranei. Io ti ho guardato un po’ perplesso, rapito dal rossore intenso che i lampioni accentuavano sui tuoi zigomi appena pronunciati e coi denti ho dovuto trattenere un sorriso, perché l’imbarazzo ti divorava, era palese, ma lo stesso avevi deciso di venire lì, a parlare con me.

“Il mio nome è Liam, Liam Payne.” hai continuato, facendoti sempre più piccolo, vedendo che io non ti davo corda.

Col senno di poi, adesso che sono passati quasi cinque anni da quella sera, mi rendo conto che se ti avessi ignorato, Liam, se non ti avessi porto la mano, afferrando saldamente la tua, tutto sarebbe stato differente, meno bello, sì, ma anche meno complicato. Ci vorrebbero dei segnali nella vita, non credi Liam, una cosa qualsiasi che ti dicesse chiaramente, in determinate occasioni, che da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato, tutto avrebbe preso un’altra piega, una svolta inaspettata; così puoi decidere, puoi avere il tempo di valutare le opzioni e capire se il salto valga veramente quella fottuta candela.

Ma tu il tempo non me lo hai dato, Liam e la fottuta candela io non solo l’ho ingoiata, ma ho persino lasciato che mi ustionasse le viscere.

“Zayn Malik” ho snocciolato quasi in un sussurro, spicciolo e laconico come in futuro mi avresti sempre rimproverato.

“Vieni anche tu dall’Africa come Giselle?”

Ho fermato il passo.

Ti ho guardato.

Io non avevo afferrato una parola di quella bionda figura accanto a me nel tavolo, il suo accento marcato mi era scivolato addosso come pioggia d’estate, eppure tu l’avevi ascoltata attraverso di me, per me, nel frastuono, mentre io ero rimasto intento ad osservarti come un animale raro.

Hai retto il mio sguardo sorpreso col tuo di rovere giusto pochi secondi, poi hai fatto un sorriso timidissimo e sei scappato sui tuoi piedi, sul marciapiede franato.

Avrei potuto farti notare che avevi ascoltato la nostra conversazione, farti sentire impertinente, maleducato, ma pensandoci bene lo avrei fatto solo per rivedere le tue guance colorarsi di porpora, quindi decisi che ti avrei risparmiato.

“Perché me lo chiedi?” ho fatto, un po’ brusco.

“La tua pelle…” hai risposto senza esitazioni “La tua pelle ha il colore della terra bagnata…”

Ricordo che non riuscii più a trattenerlo quel dannato sorriso.

Tu sei così, Liam, io non lo sapevo ancora quella notte, ma lo avrei scoperto, presto, tra lotte e vittorie, fiori ed armi. Tu sei semplice, diretto,
istintivo, non hai paura di niente, non ti spaventa parlare col cuore, anche se questo vuol dire mettersi in gioco, mostrarsi nudi e diventare vulnerabili. Sei una spina di rose, Liam, non temi che un dito umano ti schiacci, tu cresci lo stesso, stai lì, fiera e sporgente in attesa di penetrare nella pelle e bagnarti di sangue.

Non te l’ho mai detto questo, Liam, ma la differenza tra le nostre pelli io l’ho contemplata così tante volte, così tante che ne ho perso il conto.

La mia mano sulla tua pancia, sul tuo collo, sulle tue gambe…

Pietra lavica ed oro.  

Spettacolo straordinario…

“Io non vengo dall’Africa, ma dal Pakistan, la terra dei puri di cuore…” (*)

 “E che ci fai qui, allora?”

“Ho il cuore sporco, come il sangue… mia madre è inglese.”

Mi hai guardato intensamente, gli occhi che ti luccicavano.

Sembravano d’ebano.

“Sei sempre così?” hai domandato,

“Così come?” ti ho fatto, già offeso.

“Disperatamente realista…”

Ed era vero, Liam.

Cazzo, mi avevi già capito in una conversazioni di sì e no quattro battute.

Ti ho detto che nella vita ci sarebbe bisogno di avere dei segni per prendere determinate decisioni, ti ricordi Liam? Adesso che ci penso è probabile che mi sia sbagliato. Il problema non è che i segni non arrivano, quelli ci sono ovunque, sempre, siamo noi che non li cogliamo! I segni del destino sono come i passanti, ci camminiamo affianco, a volte li salutiamo con la mano, eppure dopo qualche metro, ci rendiamo conto di non ricordarci neanche una virgola del loro aspetto reale.

Sai, penso che la vita a me, di segni, quella sera, me ne abbia mostrati tremila, ed io non ne abbia colto neanche uno. 

Che mi avresti cambiato la vita, Liam, io l’ho capito subito, dal momento in cui ti sei seduto accanto a me sulla panca, ma il problema è che lo facevo inconsapevolmente, senza farci caso. Il mio corpo, i miei gesti avevano già deciso, erano la mia testa, il mio cuore, che ancora lo dovevano accettare.

“Ti va di camminare? La notte è tiepida e la cucina italiana è stata davvero pesante…”

Ho esitato.

Non lo sapevo, Liam, non lo sapevi neanche tu, ma mi avevi appena messo di fronte ad un burrone gigante.

Saltare o non saltare?

Una sillaba e tutto sarebbe cambiato.

Forse ho tremato, forse lo stomaco mi si è chiuso, probabilmente le mie mani hanno cominciato a sudare, vorrei dirtelo e non lo ricordo, ma sono sicuro, certo, di essermi girato verso di te, lentamente, e di averti guardato.

Tu hai sorriso, Liam.

La tua bocca si è sciolta in una risata di stelle e mi sei esploso dentro, nella pancia, come una supernova.

Non ho avuto più dubbi.

Non ho avuto più paura.

“Sì, andiamo!” ho risposto.

E sono saltato.
 


*(Si dice che il significato della parola Pakistan sia derivato da “pak”, che significa puro di spirito, aggiunto a “stan” che significa terra.)
 

Salve, miei cari! Ringrazio tutte le persone che hanno letto il prologo, commentato o inserito la storia tra seguite, preferite e ricordate. La vostra fiducia e i vostri complimenti mi commuovono!

Vorrei però specificare una cosa doverosa: io, questi baldi giovani dei One Direction, li ho conosciuti da poco. Questo vuol dire che probabilmente nel corso della lettura potreste incappare in qualche imprecisione da parte mia! Sto cercando ovunque notizie specifiche su di loro, ma non ne trovo di così complete , per questo vi metto in guarda da miei possibili strafalcioni. Spero che comunque questo non comprometta la vostra lettura e la vostra opinione riguardo la fan fiction!

Alla prossima, bimbe!

 
 
 
   
 
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