Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |       
Autore: raganellabyebye    10/03/2012    2 recensioni
Il '43 e il '44 attraverso gli occhi di Maria Vargas, la piccola Città del Vaticano, costretta a tirar fuori tutta la sua forza per proteggere una sorella che ora più che mai ha bisogno di lei.
Genere: Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Red Carnations'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Altra fic ambientata nel mondo di Hetalia!
La voce narrante è Maria Vargas (Stato del Vaticano, già Stato della Chiesa: sui quindici anni, capelli in una coda bassa, dello stesso colore di Lovino, mentre gli occhi e la pelle sono quelli di Feli) mentre Lavinia – per chi non avesse letto l’altra fic – è la versione femminile di Romano, nonché la personificazione della città di Roma.
La locazione è Castel Sant’Angelo, in un sotterraneo segreto, collegato al castello da un passaggio nascosto stile Hogwarts, e al Vaticano da un secondo corridoio (di cui, ovviamente, nessuno è a conoscenza se non un ristretto gruppo di persone e le alte cariche delle Guardie Svizzere); il periodo è a cavallo fra ’43 e ’44 (fra l’armistizio e la liberazione di Roma); ho pensato fosse il periodo perfetto per poter vedere da vicino i rapporti di Roma e Vaticano con le altre nazioni!
Spero vi piaccia (soprattutto a te, J!)
 
Giusto per allungare un po’ la premessa...
1. Hetalia non è mio (lo si capisce anche dal fatto che Felix non fa pattinaggio artistico vestito di rosa con Lady Gaga in sottofondo).
2. Ci sono anche i punti 3, 4 e 5, ma non mi va di scriverli.
 
 
Capitolo 1:
Adorata sorella
 
La fiamma della candela che ho in mano è l’unica fonte di luce costante a illuminare i lunghi spazi bui del corridoio. D’altronde, siamo metri e metri sottoterra: nessuna finestra che possa rischiarare le pareti di pietra, né liberare l’aria dal lieve fumo delle torce appese al muro, rade ma a distanze regolari come le ore su un orologio. Passo davanti a pesanti porte di legno spesso, rinforzate con sbarre di ferro battuto, salde e resistenti, che i secoli non hanno saputo scalfire. Arrivata al bivio, giro a sinistra. A destra la cucina, la dispensa e due stanze per le guardie, che una volta le riempivano con le loro armature e alabarde. Dritto davanti a me, un muro solido che nasconde la via d’accesso al castello, segreta e mimetizzata qui come dall’altra parte. Io arrivo dal secondo corridoio, ignoto a tutti, conosciuto solo dai pochi che sanno dell’esistenza di queste mie stanze, in una fortezza che non mi appartiene più da tempo.
Giunta alla fine del corridoio, salutando con il segno della croce la piccola Madonna in una nicchia del muro, apro dolcemente la porta alla mia destra, facendo del mio meglio perché i cardini non ne disturbino l’occupante, colei che una volta qui era mia ospite, e di cui adesso sono io.
La stanza è buia, illuminata appena da una lanterna appoggiata sul comodino, ma la vista non mi è necessaria per sapere cosa mi circonda: alla parete sinistra un grande scrittoio pieno di carte sparpagliate, moncherini di candele terminate giorni fa, la cui cera pende raffreddata dai loro appoggi; a destra un tavolo di mogano con un paio di sedie abbinate, foderate di velluto rosso, fissato allo schienale tondeggiante con delle borchie dorate. Infine, di fronte a me, un letto.
Ha quasi trecento anni, ma li porta con estrema dignità; è corto ma largo, con la sponda sinistra contro il muro e vari cuscini contro lo schienale di legno intagliato in stile barocco; le colonne del baldacchino hanno forma a spirale, come il baldacchino nella Chiesa di San Pietro, ma le cortine di velluto rosso, aperte, le coprono, lasciano solo intravedere il morbido colore scuro del legno. Le lenzuola bianche debordano, pendendo dalle sponde assieme alla coperta purpurea.
E’ un letto che si potrebbe definire opulento, ma con classe, nient’affatto pacchiano: d’altronde non avrebbe mai fatto entrare nulla che non rispecchiasse il suo gusto del bello, semplice ma raffinato, anche quando la moda imponeva altrimenti.
Lei  è appallottolata sotto strati di coperte per proteggersi dal freddo di questo sotterraneo riparato dall’inverno solo da strati di terra e pietra: quaggiù non possiamo permetterci camini o fuochi troppo consistenti; quando le condizioni mi avevano costretto in questo luogo, lei mi seguiva sempre, facendomi addormentare fra le sue braccia, mentre ci accoccolavamo entrambe nel mio piccolo letto.
Un brivido delle spalle ne scopre il viso: vedo la fronte leggermente lucida per il sudore provocatole dalla febbre crescente, i capelli scomposti, gli occhi gonfi e chiusi, cerchiati dalle occhiaie, che si notano ancora di più sul suo volto ora impallidito. La sua bella pelle liscia e color del bronzo è tirata, le guance che iniziano a scavarsi mettono in risalto gli zigomi normalmente meno decisi e la mascella risoluta. E’ evidentemente dimagrita, e la larga camicia da notte bianca di foggia settecentesca la fa sembrare ancora più piccola.
Un tremito scuote tutto il suo corpo fino al viso: le sopracciglia si corrugano, gli occhi si stringono, le labbra screpolate si serrano, quasi a volersi schiacciare l’una con l’altra. Sta soffrendo, e io non posso fare altro che avvicinarmi e cercare la sua mano sotto le coperte per stringerla e farle coraggio.
Roma trema ancora una volta, aggrappandosi alla mia mano come fosse il suo unico appiglio; cosa le rimane, d’altronde?
Non sono i bombardamenti a farla soffrire davvero, né la fame o le ombre che si aggirano fra le strade: il dolore fisico, gli alti e i bassi, quell’orrendo sentirsi violata e sporca... Quante volte lo ha provato, in questi duemila anni. Ciò che la sta spezzando, che la corrode dentro, è l’abbandono: la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro stesso popolo sembra disprezzarla. E’ il simbolo del potere, del governo, di tutto ciò che ci ha portato fino a questo punto.
Una volta incarnava la volontà, la forza, l’onore; ora è l’emblema della decadenza: in lei si rispecchia l’inizio di qualcosa che non sarebbe dovuto succedere, la distruzione delle bombe che ci devastano, la sottomissione di cui sono oggetto. La guardano, e vedono la fine.
Un altro tremito, un altro gemito.
La Città Eterna si sta sgretolando davanti ai miei occhi.
Mi chino su di lei, appoggiandole una mano sulla fronte, per scostarle una ciocca di capelli, come tante volte avevo fatto. Guardo la mia pelle candida, che ancora una volta contrasta con la sua.
Il sacro e il profano.
Le lacrime mi pungono gli occhi, di fronte a tanto dolore e disfatta.
L’immagine della donna di fronte a me si sovrappone ai miei ricordi...
La ricordo ragazza, fasciata in una tunica purpurea e varie stoffe appuntate alle spille sulle sue spalle, che la circondano in pieghe scintillanti di ricami di seta.
Il sole acceca i miei occhi di bambina. Un’ombra cala su di me, proteggendomi dai raggi troppo forti di quell’estate calda e implacabile. Non riesco a distinguere nulla, se non strane schegge dorate dove dovrebbero trovarsi i suoi occhi. La ragazzina mi prende in braccio, coprendomi con uno dei veli drappeggiati attorno alla sua figura, e mi porta in un posto buio e fresco con una camminata rapida e regolare. Solo allora mi scopre, ma non mi lascia andare. Continuiamo a camminare attraverso stanze decorate e luccicanti, fino ad un portone dorato che due uomini aprono davanti a noi con espressione reverenziale. La sento parlare, con quella sua voce sicura, già allora un po’ roca, rivolta ad un uomo su uno scranno:
“Ohi, vecchio, ho trovato questa qui. Voglio le stanze accanto alle mie per lei”
La ricordo giovane donna in un corpo adulto, vestita in una veste rossa decorata da passamanerie d’oro, mentre una camicia bianca spunta dai polsini e dai gomiti; gioielli d’oro, sorriso brillante, occhi che emanano luce.
“Maria, che ci fai qui?!”
Sono entrata nella sala di rappresentanza, dove un ambasciatore francese sta parlando con il Papa.
“Ero curiosa! Non mi fate mai vedere niente”
Apre la bocca per rimproverarmi, ma vedendomi abbattuta sospira, stirando inconsciamente la bocca in un mezzo sorriso.
“Vieni”
Mi fa sedere su uno scranno accanto al suo, vuoto. Sono nervosa: è da tanto che volevo assistere a un’ambasciata, ma mi tenevano sempre fuori perché dicevano che ero troppo piccola. La verità è che Lavinia ha paura che qualche nazione possa farmi del male, vedendomi così indifesa. Le avevo detto che Dio è sempre con me, ma lei non faceva altro che abbracciarmi e dirmi di rimanerne fuori. Dice che Dio salva le anime, non le persone.
“Forse una volta lo faceva; ma è evidente che ormai anche lui ne ha abbastanza di questo. Non che gli si possa dar torto...”
Me lo aveva detto tristemente, per poi uscire ancora una volta da uno dei quei bellissimi portoni cesellati.
Quel giorno, quando davanti all’ambasciatore non può dirmi niente per rassicurarmi, per tranquillizzarmi, si limita a mettere la sua mano calda come un raggio di sole sulla mia, passandomi il suo calore e la sua forza.
La ricordo donna, cresciuta nello spirito e nel corpo, mentre le gonne porpora sfrusciano sul pavimento, numerose come i suoi peccati. Lo ripeteva spesso, quasi orgogliosa della corruzione che diceva di rappresentare.
“Non parlare così, Lavinia! “
“Ma è vero. Tu sei la Chiesa, lo spirito in cui tutti credono. Io sono Roma, sono la carne di cui tutti sono fatti, di cui tutti siamo fatti, anche il nostro caro sovrano!”
Il tono è ironico e rabbioso, leggermente alto per l’ebbrezza del vino. Si allontana dal tavolo cui si era appoggiata, camminando per la stanza con il bicchiere vuoto in mano.
“Io sono la Città Eterna!”
Piroetta agitando il calice, come a brindare.
“Brindiamo alla decadenza dei loro corpi e delle nostre anime tutte, mia Maria! Tranne la tua, tranne la tua, mia colomba di pace fra le aquile di Roma!”
“L’aquila è un animale forte e nobile!”
“D’indubbia forza certamente, laureata attorno alla sua testa candida senza alcun dubbio! Ma nobile?”
Si riappoggia al tavolino, dopo aver girovagato ancora per la stanza.
“Si ciba di carogne, mia cara.”
Alza il tono, quasi delirante.
“Si libra nel cielo, fiera e imbottita di orgoglio e ambizione, ma quando atterra e nessuno la vede, ecco cosa fa! Mangia carogne, care putrida, come noi stessi ci mostriamo eleganti al popolo e al mondo, ma appena il bosco di queste mura ci nasconde...”
Alza ancora una volta la testa, guardandomi negli occhi.
“...ci mangiamo l’un l’altro, nutrendoci del marciume delle nostre anime.”
Ancora una volta gira per la stanza, fermandosi ogni tanto, alzando le braccia la cielo, a volte, in un accenno di piroetta o brindisi.
“ Accidia, Ira, Gola, Invidia, Lussuria, Avarizia, Superbia! Ecco cosa consumiamo quando gli occhi altrui non possono scorgerci! Siamo le due facce di questa nuova Roma: tu sei la luce che illumina il mondo, sei ciò di cui sono fatte le anime. Io sono l’ombra che solo carne può proiettare, una volta che la tua luce l’ha investita! Quale prova non hai superato, tu, mio piccolo raggio di sole? E in quale peccato non indugiato io stessa? Nessuno, cara, nessuno! Questa città è come il mondo, Maria: luce per pochi, peccati per molti! Apparenza, vanità, bugie! Bugie come se piovesse! Corruzione! Questo sono io, mia cara!”
Si calma, per poi voltarsi verso di me. Accennando un passo di danza, si avvicina.
“Sono come la colpa, Maria: una bella donna che nessuno vuole”
Con passo incerto ma rapido, esce.
La ricordo quando sparii, diventando ciò che sono ora.
“Maria! Mariaaa!”
Sono distesa a terra, esausta. Mi sento leggera, come senza peso.
“Maria!”
La voce si avvicina. Qualcosa crolla accanto a me, cadendo in parte sul mio petto.
“Maria... Maria, rispondimi! Ti prego...”
Lavinia mi accarezza la faccia, in modo un po’ rozzo ma ancora dolce. Riesco a sentirla respirare affannosamente per la corsa. Chissà quanto mi ha cercato... Ha la voce strozzata e credo stia piangendo, perché singhiozza. Sono troppo stanca per aprire gli occhi più di così, quindi non posso esserne certa.
Come la prima volta che ci siamo incontrate, si china su di me, proteggendomi dalla luce del sole che mi acceca, e come allora, mi prende in braccio.
“Lovino! Lovino!”
Sta correndo, credo. Si ferma all’improvviso, e il contraccolpo mi scuote appena.
“L’hai trovata?!”
Una voce di ragazzo, lontana. E’ un urlo, più che altro. Ricomincia la corsa, ma c’è qualcuno di fianco a noi. Sono in due. Senza mai fermarsi, Lavinia mi passa in braccio a un ragazzo; riesco a vedere qualcosa di dorato che scintilla. L’altro corre più veloce, precedendoci, qualunque sia la nostra meta.
“Vado a toglierci i carabinieri dai piedi! Lavinia, tu vai da Feli e digli che sta bene, ma di tenere la bocca cucita! Se gli esce qualcosa, digli che gli butto giù i denti a calci! Vash, tieni una distanza di una ventina di metri; quando siamo là, nasconditi nell’androne a destra, va bene?!”
La voce è calda, energica, con un lieve accento del sud.
“Si!”
Sento Lovino allontanarsi.
“Vash”
Lavinia ansima. La sento tossire. Sento la paura attanagliarmi: cosa ne sarà di lei?
“Non lasciare che la prendano.”
Il tono è duro, sicuro, anche se sta correndo ed è a corto di fiato.
“Cosa credi che abbia fatto negli ultimi 364 anni?”
Nel sospiro di Lavinia sento un sorriso. I suoi passi svaniscono nel nulla, lontano da me.
Credevo che non l’avrei rivista mai più.
Invece eccola qui, più morta che viva, ma ancora con me. Sopravvivrà anche questa volta, o cadrà definitivamente?
Si gira nel letto, mettendosi di schiena. Sento qualcosa, come una vibrazione, o un suono, non saprei dirlo, e lei inarca la schiena in preda al dolore. Inizia a urlare, così forte da farmi male alle orecchie, ma non me ne vado. Seduta accanto a lei, le tengo la mano, e prego Dio di riuscire a proteggerla.
 
 
Alåura... cosa ne dite? Uh, trattandosi del mio “angolo”, dovrei anche dire perché l’ho scritto... Bene, il fatto è che con le mie fic (e chi ha letto le altre dovrebbe averlo già notato) sto ricostruendo la storia della famiglia Vargas, e soprattutto dei loro rapporti. In questa fic mi dedico molto a Lavinia (Roma) e Maria (Vaticano), in particolare il loro rapporto, visto dagli occhi della più piccola. Non so se sia chiaro, ma per lei Lavinia, più che una sorellona, è quasi una mamma. Si consideri che l’ha praticamente allevata lei e, essendo Roma, ha svolto molte volte il lavoro al posto suo, un po’ perché all’inizio era troppo piccola, poi perché si è praticamente calata nel ruolo di mamma, e non voleva che la “figlia” finisse invischiata  nelle trame politiche e negli affari diplomatici (se pensate agli alleati della chiesa, c’era davvero da preoccuparsi).
Dovrebbero arrivare presto gli altri tre/quattro capitoli, ma non dovrete aspettare troppo! Giuro che ne metterò su un altro dopo l’esame di storia contemporanea!
Byebye!
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: raganellabyebye