PRIMO AMORE

 

Taro era seduto su una panchina e osservava lo splendido spettacolo che era Parigi al crepuscolo.

Improvvisamente il ricordo di un altro tramonto gli comparve nella mente, chiaro come se quegli eventi risalissero a poche settimane prima, mentre in realtà erano passati sette lunghi anni.

 

Il ragazzo non ricordava molo della separazione dei suoi genitori, in fondo aveva solo quattro anni, eppure quando gli avevano chiesto con chi volesse stare, lui non aveva dubitato un solo istante, avrebbe girato il mondo con il suo papà.

Così erano partiti, visitando il Giappone da nord a sud, da est ad ovest, alla ricerca degli splendidi soggetti dei quadri del signor Misaki.

Quando aveva Taro aveva sette anni si erano fermati per alcuni mesi in una cittadina di mare, il ragazzo non ne ricordava il nome, perché lì c’era uno stupendo tempio che il padre voleva dipingere.

La scuola locale era abbastanza piccola, aveva appena due sezioni. Fu lì che il bambino conobbe lei. Leara. Era vicini di banco. Era una bambina graziosa, con i capelli castano chiaro, quasi biondi, e due vispi occhioni scuri, ed era anche molto simpatica.

Il primo giorno di scuola attaccò bottone con Taro, che sedeva solo in un angolo, studiando l’ambiente. Gli chiese da dove venisse, cosa gli piacesse fare, quale fosse il suo colore preferito. Cose da bambini, ma neanche troppo. 

Quando scoprì che la grande passione di lui era il calcio, e che sarebbe voluto diventare un giocatore professionista, l’aveva guardato tutta orgogliosa e aveva detto che lei sarebbe diventata sicuramente una grande ginnasta.

Così cominciò la loro amicizia, un’amicizia talmente forte che Taro l’avrebbe ritrovato solo anni dopo, con Tsubasa e Genzo, ed ora con Pierre e Napoleon. La bambina andava a giocare da lui quasi tutti i giorni e spesso rimaneva incantata a guardare i quadri del signor Misaki, di cui diventò subito una grandissima ammiratrice. Dopo un paio di mesi, tutti in città si abituarono a vederli insieme, tanto da preoccuparsi se trovavano l’uno lontano dall’altra.

Le giornate passavano tra giochi sulla spiaggia, corse e risate e il piccolo si trovò a sperare che il quadro de padre non finisse mai.

Ma poi accadde l’inevitabile: un giorno il lavoro fu finito ed i due dovettero partire di nuovo.

Il giorno dell’addio, Taro andò da Leara, come sempre, ma il clima non era più quello: le risate erano forzate, i giochi vuoti di significato.

Al tramonto il battello sarebbe partito. I due Misaki erano già in fila per salire, quando all’improvviso lei arrivò correndo.

La luce aranciata le addolciva i lineamenti e le dorava i capelli. Piangeva. 

Fece giurare al bambino di scriverle, che non l’avrebbe dimenticata. E lui, per la prima volta, sentì un dolore incolmabile, come non gli era mai successo prima.

Le strinse la mano per l’ultima volta e salì sul vaporetto, si asciugò una lacrima.

Si scrissero, per qualche tempo, poi lui si spostò di nuovo e le mandò una lettera con il nuovo indirizzo, che non arrivò mai. La piccola Leara spedì per anni lettere che a Taro non arrivarono mai. 

Il loro primo, grande, struggente amore.

 

Taro, tornando con la mente al presente, si accorse che era quasi buio e ripartì alla volta di casa.

Aveva l’animo impastato di una strana malinconia eppure, forse, non tutto era perduto: in fondo l’indirizzo lo ricordava ancora.

 

 

 

 

Nota dell’autrice (?): ed eccomi qui, con la mia prima fic su CT!!!

Allora che ne dite? Mi raccomando, la sciatemi una recensioncina!!!!!!

Un bacio,

Lucy