NEI CAPITOLI PRECEDENTI:
Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire
dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton,
che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per
uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione,
ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno,
le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere
nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco.
Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di
recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza
sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è
parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha
convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff,
Raissa, che le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe
concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i
ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a
Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta
rivivendo i ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo
risveglio, Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un
demone, Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e
Serenity da Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa,
la cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Ad Hermione, non
resta che aspettare che Draco ritorni, sperando che fallisca le prove o si
ritiri preservando le sue memorie. Insidiata da Dimitri il fratello di Raissa
ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione distingue
un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. Intanto nel futuro di
cinque anni dopo, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson.
Capitolo 34 – Rising roses part II
“Fai ancora a pezzi le rose, Pansy? No, vero?
Ora ti sembra persino un crimine… io non ne sopporto nemmeno la vista. La
capisci adesso la differenza tra me e te?”.
Pansy distoglie forzatamente lo sguardo, gli
occhi scuri che vagano nel salotto verde smeraldo della sua casa.
È cambiato tutto da quando vivevo qui.
L’arredamento, i colori, l’odore quieto delle stanze. Il sole che sta
tramontando tinge tutto di una stasi dorata, bagnando i muri e i mobili di
liquida luce immobile.
Davanti a noi su un basso tavolino i residui di
un tè preparato solo per educazione e solo per il mio compagno di viaggio. Non
avrei mai pensato che Pansy Parkinson l’avrebbe mai guardato così mentre io
parlavo.
Cercava conferme, interpretava respiri e cenni
del capo, stava più attenta a quello che mostrava lui sul viso che io nelle mie
parole.
A conti fatti mi rendo conto che va benissimo
così.
Pansy non si sarebbe mai fidata di me. E dopo
cinque anni è chiaro che si fidi più di Seth.
Quando il mio racconto si faceva frastagliato o
quando mi scappava da piangere, Pansy spiava semplicemente la mano che Seth
continuava a stringermi, come se le sue considerazioni le dicessero di non
credermi e quella mano invece la esortasse sempre a mettersi in dubbio. Non ha
mai parlato mentre io spiegavo che cosa mi è accaduto. Il suo viso si è tinto
di incredulità, ma ha continuato a tacere.
Dietro i suoi occhi apparentemente
disinteressati, i pensieri sembravano ricorrersi, mettendo a posto tessere e
pezzi del mosaico mio e di Draco.
Quando mi ha visto, mi ha ovviamente intimato di
andare via. Mi ha messo alla porta senza
troppi complimenti. Poi è arrivato Seth e ha acconsentito ad ascoltarmi.
In silenzio, senza spiccicare parola… solo ora,
quando ho accennato alle rose, si è stretta nelle spalle, ha chiuso gli occhi e
ha trattenuto un fremito leggero, fingendo di sistemarsi il vestito ocra.
La sua risposta silenziosa è stata quella di accarezzare
il petalo di una rosa caduto da un vaso posto sul tavolino, di stringerlo tra
le dita come un tesoro prezioso e di riporlo in un libro dimenticato aperto sul
divano dove siede.
Ad interrompere il silenzio, ci pensa di nuovo
suo marito che entra trafelato, tenendo in braccio Charisma, la loro unica
figlia. Alex trotterella accanto a loro, mi sorride e mi saluta: “Hai finito,
mamma?”.
“Un attimo tesoro…” gli rispondo, stringendo
forte la mano di Seth.
Lui mi osserva meditabondo, sporgendo in avanti
le labbra in una buffa smorfia pensierosa, lo bacio sulla fronte sperando di
rassicurarlo.
Pansy prende in braccio la bambina, la culla
lievemente avanti ed indietro, motteggia all’indirizzo del marito qualche frase
di rimprovero e gli dice di avere pazienza.
L’uomo sbuffando prende di nuovo in braccio la
figlia ed Alex per mano, ed esce dalla stanza non prima di dire caustico:
“Questa me la paghi, Granger…!”.
Nonostante tutto mi viene da ridere, è sempre
stato così e sempre così sarà. Ed è un po’ di calore in questa giornata
estenuante.
“Ti sono sempre piaciuti i bambini… ma ora
capisco che erano quelli degli altri a piacerti!” replico leggera, sorridendo a
mia volta . Pansy guarda entrambi, ma non replica nulla.
“Infatti tuo figlio mi piace…” borbotta lui,
cercando di trattenere Charisma che rischia di cadergli dalle braccia mentre
Alex giocherella con lei “Ma quando i
bambini non li molli alla fine della giornata, diventi lievemente misantropo…” .
Dean chiude la porta, sorridendomi ancora. Gli
sorrido a mia volta, negando con il capo, mentre ancora mi chiedo che cosa
sarebbe successo se quel giorno non avessi sbagliato stazione in metropolitana,
arrivando al Petite Peste.
Lui non avrebbe sposato Pansy ed io non avrei un
figlio con Draco. Forse io e Dean saremmo marito e moglie. E saremmo infelici.
Anche se, nel mio caso, l’infelicità sembra una
costante se si mette assieme la parola “matrimonio” e la mia persona. Fisso la
porta chiusa, cercando di tenere gli occhi limpidi.
“Siete una bella famiglia…” sussurro a Pansy che
sorride appena fiera ed orgogliosa “Ed immagino quanto sforzo ci sia dietro. Tu
e Dean… se me l’avessero detto anni fa… ma ce l’avete fatta. Tu sei stata forte
a sufficienza per reggere un peso del genere… sei andata contro il tuo mondo ed
hai vinto…”, la mia voce si spezza senza che me ne rendo conto, le lacrime
scivolano via dai miei occhi: “Spesso penso a come sarebbe andata per me, se mi
avessero dato una sola dannata possibilità di avere tutto questo. Magari io e
Draco avremmo mandato lo stesso tutto all’aria ed avremmo fatto soffrire sia
Alex e Serenity. Poteva succedere, no? Era forse la cosa più scontata che
avvenisse, visto com’è andata. E magari è giusto che io non abbia mai questa
risposta, Pansy, e che continui a vivere nel dubbio, perché in fondo ora come
ora, come da cinque anni a questa parte, ha senso solo pensare a quello che è
rimasto della mia famiglia… Alex… e magari hai ragione tu, siamo andati tutti
avanti, tu, Seth, Dean, forse Draco stesso. E io non ho diritto di venire e
distruggere degli equilibri che avete creato. È giusto, Pansy… ed è egoista e
falso e ipocrita che io mi celi dietro mio figlio per nascondere che sono io,
solo io, che ho bisogno di ritrovarlo. Perché io la voglio quella risposta,
deve dirmelo lui che non avevamo possibilità di stare assieme, che non c’è
stato tolto niente… deve dirmelo lui… e devo sapere che sta bene… che lui e
Serenity stanno bene… solo questo… mi basta solo questo…”.
Mi piego sulle mie ginocchia, singhiozzando, il
braccio di Seth cerca di tirarmi su e di farmi stare dritta, ma io ricado giù
come un burattino privato di fili.
“Io vi ho visti, Granger… vi ho visti…” sussurra
Pansy tra le mie lacrime, la voce flebile come un sospiro “E so quanto ti
amava… e so quanto lo amavi tu… ma davvero non so dove sia. Non lo vedo da quel
giorno di cinque anni fa… non siamo più Serpeverde, Grifondoro, babbani o
mezzosangue… la vita ci ha strappato quelle etichette di dosso. Siamo solo noi
stessi. Te lo direi se lo sapessi… ma non lo so… io non so dove sia…”.
La mia esile speranza cade come un petalo di
rosa che scivola su un tavolino ingombro di tazze oramai gelide.
Ma quel petalo ha prodotto il suono del velluto.
La mia speranza frana dal mio cuore con il rombo
di un tuono.
Il cuore mi batte in gola come se effettivamente
mi fosse salito quasi alle labbra.
La pelle del mio collo si tende cercando di
trattenerlo, pulsano gelide le vene bluastre, mentre gli occhi corrono lungo il
viale d’ingresso che porta alla villa di Pansy. È molto lungo, poco
distinguibile nel buio setoso di questa notte strana, resa ancora più
avvolgente dalla mancanza di stelle e luna. Le nuvole continuano a borbottare.
Solo piccole candele tondeggianti permettono di
distinguere qualcosa.
Un’ombra, solo un’ombra che avanza piano verso
di noi.
Un’ombra che può essere tutto e può essere
niente.
Un’ombra inghiottita dal buio.
Un tramestio di foglie secche che può essere
solo il vento.
Un fruscio di petali sollevati che può essere
anche l’esplorazione di un qualche animale notturno.
Un rumore di passi, lunghi, distesi, misurati.
Non affrettati, ma sempre controllati.
Passi che con lentezza divorano la distanza del
vialetto, come un nastro che si disfa scucendosi in fili sottili e impalpabili.
Il cono di luce di una candela ondeggia nel
vento, illuminando fiocamente l’ombra che avanza.
Come se fossi arrivata all’atto finale di una
tragedia che ha solo i contorni plumbei di una commedia, l’ombra rivela piano
le sue fattezze.
Un capogiro mi coglie indolente, mi reggo allo
stipite della porta di acero bianco alle mie spalle smettendo di respirare.
L’ombra continua a camminare, come se non fosse
soggetta alle leggi del tempo. Un lampo brusco la rende del tutto evidente ai
miei occhi che pure ne avevano già intuito i contorni e i confini. Ma il lampo
non ha nulla della delicatezza sobria della candela, è uno squarcio aperto nella
memoria e nel cuore che mi violenta i sensi, le membra e l’anima.
In un secondo mi dà un’immagine netta e precisa,
poi l’inghiotte di nuovo nel buio misericordioso delle candele e della notte torbida.
Abbasso lo sguardo, reggendo convulsamente lo
stipite della porta. Le unghie grattano la vernice bianca che si scrosta,
graffiandomi di sangue le dita.
È sempre stato così alto, Draco Malfoy?
Ha sempre avuto gli occhi tendenti all’azzurro
come adesso?
Ha sempre avuto i capelli così spettinati da
sembrare che l’abbia fatto apposta?
E le spalle sono sempre state così aperte?
Ha sempre avuto le labbra sottili, tese e
contratte?
È sempre stato così bello?
La mia memoria è sempre stata allenata a
ricordare formule, incantesimi, nozioni, ricorrendo a meccanismi calibrati nel
corso di anni ed anni. Eppure, non ricorda bene adesso, non ricorda il volto di
Draco così distintamente. Ne aveva un’immagine ormai quasi grigia, negletta
nell’averlo fissato da un’impressione diretta ormai lontana di giorni e giorni.
Ed ora i miei occhi ricolmi di lacrime urlano alla mia memoria di essere
bugiarda, perché celava un’immagine nemmeno lontanamente simile a quella che
adesso ho davanti. Mi mordo il labbro inferiore, ricordavo un bel ragazzo
biondo, con l’aria arcigna, gli occhi grigi e l’espressione arrabbiata.
E mi trovo a pochi passi da me un uomo fatto e
finito, dal passo sicuro e per nulla teso. Un uomo che ha gli occhi quasi
celesti e niente dell’ansia e dell’agitazione che dovrebbe avere, sapendo che
la donna che ama è qui, in questa casa, e sta per incontrarla.
Draco potrebbe non tornare mai più.
Ora so che sbagliavo… Draco è tornato.
Uno che si chiama Draco Malfoy, che ha amato Helena Jasmine Greengrass in
Diggory e che ora si fa chiamare Danny Ryan.
… ma il mio Draco… forse lui non è tornato.
E se fosse morto sotto la scure di Adamar?
I passi diventano sempre più veloci, sempre più
vicini, le mie unghie raschiano via altra vernice dalla porta, si sbriciola
sotto le mie dita.
Ed il mio cuore scoppia. Letteralmente. Ma che
dico, il cuore… tutto esplode.
Vado in frantumi, come un pezzo di vetro sotto
un calcio ben calibrato.
Il mio volto resta terreo, congelato, mentre
conto i passi che lo separano da me.
Venti passi… diciannove… diciotto…
Mi volto furiosamente verso Raissa, non mi ero
accorta che è ancora vicina a me. Sorride ancora lei e mi chiedo che diamine
abbia da sorridere. Non può distinguere i miei occhi allucinati e ai miei singhiozzi
risponde con una carezza affrettata ed imbarazzata sulla mia spalla.
“Io non ce la faccio…” dico con un filo di voce
piangendo e Raissa mi guarda non riuscendo a capire. Stacca la sua mano dalla
mia spalla come se scottasse.
Ancora le mie parole sono detonate senza
controllo. Senza che me ne rendessi conto.
“Se non si ricorda di me… io… io non voglio
vederlo…” singhiozzo ancora, Raissa è sconvolta, la sua freddezza non riesce a
celarlo “Per favore, lasciami andare…”.
Una decina di passi.
Senza aspettare che mi risponda, mi volto su me
stessa correndo via in casa. Senza fiato, apro la porta e me la richiudo alle
spalle, continuando a correre, superando il corridoio e poi il lungo salone
della casa dei Parkinson. Tutto mi spinge in avanti come un elastico sotto
tensione rilasciato improvvisamente. La mia mente è esplosa, non esiste più,
esiste solo l’istinto e la paura. Sono sempre stata una persona razionale,
saggia, integerrima. E ora vaneggio, del tutto.
Forse sono stata sana di mente troppo a lungo… questa è la realtà.
Io non sono fatta per questo amore, che mi piega le ossa e mi distrugge la
mente.
Io sono fatta per un piccolo amore senza rischi, consolante come un gatto
accucciato in grembo, non per questa passione atroce che scardina l’anima.
Lode a chi ci riesce. Lode a chi ce la fa.
Ma io non sono mai stata Catherine Earnshaw che muore in un letto, desiderando
e maledicendo il suo unico amore.
Io sono sempre stata Elizabeth Bennet: nascondo l’amore in frasi pungenti, pregando
che nessuno venga mai a scavare sotto la mia pelle.
Non posso ritrovarmi davanti il vecchio Draco,
non ce la farei.
Non posso più tenere da sola il filo di
quest’amore impossibile, vedendo dall’altra parte il capo estremo cadere nel
vuoto.
So che scappare non serve… ma l’ignoranza
è la più grande delle benedizioni.
Non voglio saperlo, non voglio sapere che cosa
abbia fatto… e che cosa ricordi.
Non voglio saperlo.
Abbasso velocemente la maniglia della porta sul
retro, ritrovandomi di nuovo in giardino proprio sotto la finestra della mia
camera. Faccio in tempo solo a pensare che è meglio che torno indietro, che qui
sono troppo esposta, che devo chiudermi nella mia stanza. Prima che il mio
corpo si fermi dalla sua folle corsa e prima che la mia mente rinsavisca,
qualcosa mi ferma di botto. Una mano sul mio polso, una stretta decisa, un respiro
affannato, il profumo dell’erba bagnata nel mese di settembre.
Come lo riesca a distinguere è sempre un
mistero. Come persino quel calore sul polso sia familiare e non assomigli alla
mano di nessuno, è sempre un mistero.
La memoria torna indietro. Veloce, si srotola come un gomitolo di lana.
Dejà vu, croce e delizia, incanto e maledizione.
Mi volto piano, spaventata, non riuscendo a
smettere di piangere, vergognandomi profondamente di me stessa. Un coro di voci
fastidiose ed indistinguibili nella mia mente mi spingono alla calma, al
tornare in me, allo smettere di piangere.
Perché io sono Hermione Granger e piuttosto mi graffio i palmi delle mani
con le unghie, ma non piango mai, davanti a nessuno, da sola sì, ma davanti a
qualcuno mai.
Specie davanti a chi potrebbe farmi a pezzi…
E lui può farlo, può distruggermi in un colpo solo.
L’ha già fatto.
Ma questa voce assomiglia al ronzio di una
vecchia radio rotta. Dà notizie vecchie di secoli con tono arrugginito e
metallico, parla di guerre combattute e perse, ciancia di battaglie che non
sono sopravvissute alla morte dei loro soldati. Io sono morta. La mia
vecchia me stessa è morta il giorno in cui si è innamorata di lui.
Ho rinnegato nome, storia, carne, sangue. Tutto, per amare lui.
Continuo a piangere, perché io, oggi, adesso, non
conosco nemmeno il senso della parola orgoglio.
Che senso ha impormi di non piangere? È sempre
stato più forte di me.
I miei occhi gonfi corrono al mio polso, quello
che portava la cicatrice dello Zahir e che ora è chiuso dalle dita di Draco. Le
sue mani sono piene di tagli, sporcano la mia pelle di sangue e terra, eppure
restano fredde e livide.
Se mi concentrassi su questo calore esso mi scioglierebbe il cuore. Perché
è di nuovo la pelle dell’uomo che amo sulla mia. Ed è già un miracolo che sia
qui. Che sia vivo. Che mi tocchi anche solo per sbaglio… ma
non riesco a pensarci.
Perché potrebbe essere solo un contentino.
E io lo voglio tutto, l’uomo che amo. Sono
stanca dei contentini. Sono egoista, insaziabile, affamata come una leonessa
abbandonata nella foresta.
Ho fame di un abbraccio, ho fame di un “ti amo”
premuto contro le mie labbra, ho fame di fare l’amore con lui finché mi manchi
il respiro.
Una vita di compromessi… e ora sono arrivata a questo. O tutto, o niente. O
sei mio, o non sei niente.
Ma non sono ancora pronta al fatto che lui sia
per me niente. E non credo lo sarò mai.
Per questo, lasciami andare. Non darmi questa risposta. Perché la metà
delle possibilità che tu non sia più mio non vale il rischio di sapere.
Le sue dita, improvvisamente, scivolano lungo il
mio polso, stringendo infine le mie. Una presa forte, salda, che lascia una
scia tiepida sulla mia pelle fredda.
Sussulto e tremo ancora, mentre un lampo
illumina a giorno il giardino.
Sollevo lo sguardo piegato dalle lacrime, il mio
corpo più forte di qualsiasi cosa. Gli occhi corrono ai suoi e le dita si allacciano
alle sue.
Draco è davanti a me ed è ancora diverso da
qualsiasi ricordo che avessi su di lui.
È bellissimo.
Esplodono i fulmini lontani nel cielo dei suoi
occhi, rendendoli macchie cobalto. Guarda le nostre mani unite, trattenendomi e
basta, non fa nulla. Dura la mascella, l’espressione sembra scolpita nella
pietra. Rabbrividendo, mi chiedo se non sono stata io a stringergli la mano senza
accorgermene e lui adesso ne è disgustato. Mi tremano le labbra, mentre cerco
di staccarmi da lui, presagendo l’occhiata estremamente nauseata che potrebbe
destinarmi e a cui sono tristemente abituata, ma non rassegnata. Non adesso,
non più.
Ma Draco solleva lentamente il viso con un
sospiro che il vento cattura, portandoselo via. La luce molle di una candela rischiara
le mie lacrime riflesse nei suoi occhi, mentre contrae le labbra sottili. Ora
assomigliano ad un taglio nitido nella pelle diafana del viso.
Piano si aprono, come se facesse fatica a
parlare, come se rompere il silenzio fosse già un’onta infamante.
“Hermione…”.
Il mio cuore è un tamburo sincopato che non
conosce alcuna legge ritmica.
Non Granger… Hermione… come sa dirlo solo lui… il vecchio Draco non mi
avrebbe mai chiamato Hermione.
Dimmi che dietro quei occhi sei ancora tu, dimmi che non sono più sola,
dimmi che ci sei ancora…
Annuisco solo con il capo.
Non voglio né dire, né fare altro, il terrore
che tutto si infranga come cristallo è così forte e reale da farmi solo
asciugare le lacrime con una manica della camicia.
La sua mano nella mia rabbrividisce ancora, le
dita si serrano più forte attorno alle mie.
“Hermione…” ripete ancora, la mano che diventa
sempre più gelida “Sei tu?”.
Resto immobile, non riuscendo a capire che cosa
voglia dire, lo guardo interrogativa, le lacrime che non smettono di bagnarmi
il viso.
Il suo sguardo mi inchioda al cielo pieno di
lampi, scandaglia i miei occhi come se fossero trasparenti, vagano sulla pelle
del mio viso cercando pallori e rossori alla ricerca di una risposta.
Improvvisamente capisco, vacillo nella consapevolezza. Un altro lampo squarcia
prima la mia mente e poi il cielo su di noi.
Come seguire un filo rosso… come ricucire uno strappo all’altezza del
cuore… come chiudere un cerchio… come trovare finalmente la chiave.
Leggo i suoi occhi come se li conoscessi da
tutta la vita, non sono più la pioggia di meteore veloci di una vita fa, dove
lui era sempre davanti a me di un passo e dove non riuscivo mai a capirlo. Sono
uno specchio che riflette me stessa, dove leggo la risposta che sta cercando
nei miei.
Se sono di nuovo io… se sono libera dallo Zahir… mi sta chiedendo se sono
tornata me stessa…
“Ti… ricordi?” sussurro instupidita, intorpidita,
cosciente di me stessa solo per la mano che continua a stringere la sua. È come
un’ancora che mi impedisce di annegare, come il filo di un palloncino legato
alla terra. La mia testa è leggera, come se fosse oggettivamente piena di elio.
Lentamente la pelle della sua mano diventa calda.
Draco copre la distanza che ci divide con un
passo rapido come il vento. Nel buio, vedo i suoi occhi non lasciare un attimo
i miei, mentre mi lascia la mano. La punta delle mie dita ritorna gelida per un
attimo, mentre tremo guardandolo. Nessuna oscurità, nessun temporale, nessuna
pioggia potrebbe renderlo più luminoso di come è adesso.
Un sole caldo, bellissimo, splendente di una luce pronta ad esplodere.
Cercando quasi conferma nei miei occhi, Draco
poggia le mani sul mio viso, la pelle brucia come se avessi la febbre. Cancella
le mie lacrime con le dita, mentre tutto nel mio corpo batte dello stesso ritmo
del cuore. Depongo le armi, tutta me stessa per un attimo si arrende. Fisso le
sue labbra, senza percepire nulla del resto, anneghi il mondo, muoia la vita,
la terra esploda, e io non smetterei di esistere fino a quando lui è qui. Mi
accarezza piano la nuca, fremo rabbrividendo.
Sollevo il viso, cercando i suoi occhi, e ripeto
annebbiata: “Ti ricordi?”.
Draco sorride come non l’ho mai visto fare, mai,
mai, con nessuno. Con Helena, con Serenity, con Seth, nei ricordi, nel
presente, nella speranza, nella passione, nel dolore, in ogni momento della
vita in cui l’ho visto e in cui l’ho sognato. La mia immaginazione non è mai
stata nulla in confronto a questo. E sorrido anche io, senza accorgermene,
senza capire il perché, solo perché sorride lui e solo perché sorride a me, la
mia mente prolissa è muta e il mio cuore sbriciolato è sordo. Sorrido e basta,
anche se non mi ha ancora risposto.
“Ogni cosa…” bisbiglia la sua voce al silenzio
della notte, mentre poggia la fronte sulla mia e chiude sofferente gli occhi.
Un altro tuono spezza il silenzio, non ho visto
il lampo. La luce se la sono presa gli occhi di Draco, adesso vicinissimi ai
miei, chiusi. Le sue palpebre tremano, come le sue dita che tengono ancora in
ostaggio il mio viso.
Ogni cosa…
Una folata di vento spegne un paio di candele
vicino a noi, un’oscurità rotta solo dalla luce livida dei lampi ammanta il mio
respiro che accelera. Le lacrime continuano a scendere dai miei occhi, bagnando
le sue dita. Sbatto le palpebre, cercando di schiarire la vista, ma il volto di
Draco resta nebuloso. Solo il suo sorriso è ancora netto e chiaro, perché anche
se gli occhi non lo dovessero vedere più, è scolpito a sangue e fuoco nella
memoria.
Ogni cosa…
Carrellate di ricordi scivolano via con le mie
lacrime, mentre abbasso il viso piegando di poco il collo. Le sue mani,
sorprese, lasciano il mio viso e ricadono lungo i fianchi. Non so come, sento che
non sta sorridendo più. Non so come, sento che rabbrividisce. Non so come,
sento che guarda il mio labbro tremare e cerca di capire.
So solo una cosa… che improvvisamente tutto si
rovescia, di nuovo, ancora, anche se è qui.
Ogni cosa… ogni cosa va a pezzi.
Sono un ossimoro incarnato. L’osmosi è completa,
sono la terra che ha aspettato tanto la pioggia, arsa dal sole.
E che, ora che essa finalmente sta per erompere
dal cielo, pensa a mettere a riparo i suoi figli, temendo che si facciano del
male.
È forte abbastanza da sopportare il suo impeto?
Non lo sa. Rabbrividisce per i tuoni, geme per i fulmini, impallidisce per i
lampi.
Sa che accetterà la pioggia, perché la pioggia è
il suo destino. Draco è il mio destino.
Eppure, si chiede se non la farà franare come
fango se si affida ad essa completamente. Affonda le radici per non farsi
trascinare via, anche se ama la pioggia più di ogni cosa al mondo. Anche se
ti amo più di ogni cosa al mondo.
Anche se annaspavo aspettandoti, anche se mi prosciugavo senza te, anche se
sarei morta se fossi mancato per un altro secondo…
… anche se tutto mi spinge ad anelarti come acqua, anche se fai rifiorire
la vita dentro di me, anche se disseti un deserto affamato ed assettato…
Ricordare ogni cosa… significa ricordare davvero
tutto.
Guardare i pioppi bianchi fino a farmi dolere gli occhi. Cercare nei libri
risposte senza senso. Piegarmi vessata e accoccolarmi al suolo. Affidarmi a chi
ho sempre odiato. Inventare parole false e sterili, pur di rassicurare
Serenity. Mentire ai miei amici. Essere attratta dal fatto che, piegandomi a
Dimitri, tutto sarebbe finito.
E non piangere più, perché non era detto che tu non tornassi. E piangere
ancora, perché non era detto che tu tornassi.
Ed aspettare, aspettare, aspettare.
Aspettare te, che sei ogni cosa.
Sollevo lo sguardo, improvvisamente asciutto, i
suoi occhi sono atterriti e sconvolti, il viso è livido, le labbra dischiuse in
una domanda che è insieme una preghiera.
La luce è spenta e fa male, fa un male atroce.
Draco ha i capelli biondi che ricadono sugli
occhi coprendoli. Sembra piegarsi sotto il peso del suo stesso corpo: sembra
piccolo ed indifeso, come se davvero io fossi in grado di fargli più male di
quanto possa subire. Sembra tutto tranne che sé stesso.
Per un attimo le lacrime mi affannano di nuovo la
vista e mi chiedo perché non lo abbraccio e basta, perché non la faccio finita.
Eppure la mia voce non si ferma, eppure io non
mi fermo. Sull’orlo del precipizio, sono condannata a non essere mai felice se
non seguo prima la mia mente…oppure stavolta è il cuore che sto seguendo…
quello che lui ha fatto a pezzi.
Le labbra si aprono appena, le parole sembrano
strozzate, la gola mi graffia le corde vocali.
“Non mi fido di te…” suonano così forti quelle
parole che arrivo a battere i denti come se stessi congelando “Sei diventato il
mio motivo per restare e io non sono mai stata il tuo…”.
“Hermione…” sussurra ancora lui con la voce
spezzata, facendo un cenno nella mia direzione. Non riesco a smettere di
piangere, le parole che ho appena detto mi feriscono le orecchie come aghi
appuntiti, e vorrei cancellarle, negarle, metterle a tacere al mio stesso
cuore. Invece restano lì, aleggiano come fantasmi inquieti, drammaticamente vere
e scontate.
Lo fermo con gli occhi, sollevando un palmo ed
imponendogli di restare dov’è.
“Per favore…” lo prego, sbattendo le palpebre e
distogliendo lo sguardo “Fammi finire… ti prego…”.
Lo vedo con la coda dell’occhio rimanere
immobile.
“Questa è la notte più bella della mia vita…”
mormoro con un filo di voce, portandomi indietro i capelli con una mano così da
nascondere il rossore che mi ha preso le guance. Respiro a fondo e balbetto a
disagio: “Sei tornato e sei qui con me… siamo vivi, entrambi, e siamo noi
stessi. Abbiamo sfidato forze più grandi di noi e non so nemmeno come, ma
abbiamo vinto…”. Fisso per un attimo il cielo, un lampo rende le nuvole livide
come se fossero in fiamme. Chiudendo gli occhi riprendo: “… io ho creato uno
Zahir, mi sono votata alla stessa forza oscura che ha dominato Voldemort in
vita. Ed è un pensiero che non smette di tormentarmi nemmeno per un secondo… ho
visto che cosa potrei diventare e che cosa non sono forse solo per un puro
caso…”.
“Non dire sciocchezze…” tuona la sua voce e
rabbrividisco nel sentire di nuovo l’accento duro, freddo, deciso, che mi ha
fatto innamorare di lui.
Per un attimo, percepisco quanto sia vicino e
un’eco del suo corpo caldo mi fa venire i brividi.
“E’ così, Draco, mettila come vuoi…” bisbiglio,
voltandomi finalmente a guardarlo. Ha la mascella serrata e i pugni stretti.
“Sono diventata un demone… e se penso a
che cosa potevo farti…”, la mia voce si curva in un nuovo accenno di pianto, la
freno con tutta la forza che mi è rimasta.
Il suo sguardo si addolcisce, piega lievemente
le spalle, ma non osa fare un passo nella mia direzione.
“Ma è un mio errore e ci devo fare i conti da
sola …” sospiro ancora, stringendomi nelle spalle “Eppure se penso a che cosa
ho fatto…a che cosa ti ho fatto, a quello che tu hai fatto a me da quando ci
siamo rincontrati…”, una goccia di pioggia mi cade sul viso, la asciugo con una
mano: “Astoria aveva ragione. Ci siamo fatti così male, probabilmente è il
nostro destino farci per sempre del male, continueremo per sempre. Tu sei in un
modo e io sono fatta in un altro, non cambieremo mai… e malediremo ogni giorno
di esserci… ”, mi interrompo imbarazzata, arrossendo ancora, peggio di una
bambina di dieci anni che parla con il primo fidanzatino. Malediremo ogni
giorno di esserci innamorati.
Volevo dire questo e, certo, io non sono capace
di parlare d’amore, non sono capace di alluderci con tranquilla nonchalance, come
se non fosse una cosa così imprevista e erosiva da avermi fatto letteralmente a
pezzi. Ma probabilmente più che il mio solito contegno in queste cose, sto
lasciando volutamente che l’amore sia il grande assente di questa
conversazione.
Perché se ci alludo, se ci penso anche solo per
un attimo… non smettere di baciarmi mai…
“Non posso sopportarlo ancora…” sussurro, una
goccia d’acqua mi colpisce di nuovo il viso e non so se sta iniziando a piovere
o se sto piangendo “Farmi del male, facendone a te… e permettere che tu faccia
ancora del male a me…”.
Il fiume in piena si arena improvvisamente,
seccandomi la bocca impastata. Per qualche secondo, sento solo il rumore del
vento che agita le rose del giardino, le fisso incapace di guardare Draco. Come
libri sfogliati dal vento, le rose si disperdono in un turbinio di petali
violentati nell’aria che monta di pioggia.
Non guardo Draco perché ora io capirei che sta
pensando, leggerei subito le linee del suo viso, la linea indurita della
mascella, quella tagliente delle labbra, la piega storta dello sguardo.
E, dopo tutto, non c’è bisogno di guardarlo.
Perché sento già salire la sua rabbia in questo silenzio che ci avvolge.
Perché se io sono terra, Draco è sempre
stato mare.
Mare in tempesta, fortunale, rara calma mai del
tutto assopita.
Movimento eterno, abbandono estatico che non può
mai essere assoluto. Fidarsi che l’acqua sia calma è il più grande errore del
marinaio.
E io mi accorgo subito che qualcosa cambia
immediatamente in lui, come se gli abissi ruggissero sotterranei un attimo
prima di esplodere in onda e spuma.
Esito ancora nel guardarlo, mentre sento
scintille di calore farmi rabbrividire la schiena, presagendo il temporale
vicino. Sospirando, mi do coraggio e torno a guardarlo.
È calmissimo.
Pessimo segno.
Non si muove di un passo, non alza la voce, non
fa nemmeno un cenno nella mia direzione. Eppure gli occhi sono tornati grigi
come il cielo che continua a piangere pioggia su di noi.
“Granger, non è questo il punto… ci stai girando
attorno e mi stai stancando…” sibila, incrociando le braccia.
“Che diamine vuol dire questo?!” chiedo
autenticamente irritata, aggrottando le sopracciglia.
La sua voce cala di tono, diventando roca e
soffusa: “Significa quello che ho detto, hai capito benissimo… se non sono più
per te il motivo per restare, non farlo diventare come sempre il contrario…
cioè, che non lo sei tu per me…”.
“Dovrei capire qualcosa dopo questa vitale
precisazione?!”.
Ignorandomi riprende duro, stringendo le labbra:
“C’è una domanda che non mi stai facendo, Granger… e mi sto chiedendo il perché, conoscendoti…ma
forse già lo so, quindi in quel caso risparmiami tutta la tiritera…”.
“Che domanda?” replico sinceramente sorpresa,
sbattendo le palpebre.
Draco fa una smorfia e contrae le dita della
mano impercettibilmente, prima di soffiare a voce bassa: “Non mi hai chiesto
perché sono qui adesso… come faccia ad essere qui, con tutti i miei ricordi,
senza che nessuno mi abbia richiamato indietro…”, sgrano gli occhi alle sue parole,
un tonfo nel petto.
È vero, ha ragione… non mi è saltato in mente nemmeno per un attimo di
chiederglielo…
La voce di Draco continua impersonale,
completamente disinteressata: “Immagino che tu mi consideri solo un idiota
fortunato, vero? Uno che per miracolo ce l’ha fatta anche questa volta…”,
le sue parole mi rimbombano nelle orecchie, fatico ad intenderle mentre fisso
il suo volto inespressivo: “Quindi non ha senso fare domande, sarà stata la
solita fortuna di Draco Malfoy... ma soprattutto non ha senso fare domande,
perché hai già decretato nella tua testa che non c’è da fidarsi di me. Non è di
te che sei preoccupata, del fatto che tu non cambierai mai. Sono io
quello che non cambierà mai, vero? Ti farò soffrire e ti farò piangere, perché
sicuramente avrai pianto anche adesso…”, le sue mani si contraggono lievemente,
le fisso senza fiato per non guardarlo in viso: “Anche se non lo dici, la
verità è sempre la stessa… scommetto che persino i tuoi amici, Potter, la Piattola
te lo ripeterebbero a gran voce...”. Fa
una pausa, inconsciamente torno a guardarlo: “Essere innamorata di me è la
più grande sciagura che ti potesse succedere… e se Astoria aveva ragione in
una cosa, aveva ragione solo in questo: ti era così insopportabile l’idea di amarmi
che, alla fine, hai scelto di creare uno Zahir…”, resto
immobile come se mi avesse dato uno schiaffo in viso, il gelo mi assale
facendomi rabbrividire.
“Sii onesta e dillo…” mormora guardandomi fisso
negli occhi, un’espressione allucinata e colma di risentimento “Dillo che ti
odi per esserti innamorata di me… dillo, dannazione… ammettilo una santissima
volta… sta tutto qui il punto. Non ti sei mai fidata di me e mai ti fiderai… ma
sei innamorata di me… e questo ti uccide…”.
Il suo sguardo mi agghiaccia come se fossi la
vittima di un assassino che dopo una folle corsa, mi ha braccato in un vicolo
oscuro e deserto.
La lama che sta calando nella mia carne, riluce
nel buio, mentre affonda dentro di me. Sanguino, letteralmente, avevo pensato
di ferirlo ed invece come sempre tra i due, è sempre più bravo lui a questo
gioco al massacro. Inizio di nuovo a piangere, la pioggia rompe gli argini ed
inizia a cadere copiosa dal cielo, come pesanti gocce di mercurio. Tremo come
una foglia dalla testa ai piedi, ma nulla di me lo intenerisce, il suo sguardo
se possibile diventa ancora più duro ed inaccessibile. Si limita a chiudere i
pugni sollevando il mento. La pioggia gli bagna i capelli, scivolando lungo il
suo collo.
“Non odio me stessa…non più…” bisbiglio tra le
lacrime, guardandolo “E’ te che odio…”.
“Siamo sempre lì, non credi?” soggiunge piccato
con un sorriso sarcastico.
Abbasso gli occhi, le parole sanguinano dentro,
riempiendomi di dolore come tanti piccoli taglietti sulla pelle nuda, esposti
all’acqua salata. Poi si aggrumano nella mia gola, restringendosi,
compattandosi, diradandosi. Il fiume diventa ruscello, io divento roccia e le
parole diventano poche nella mia bocca.
“Io non odio te, quello che sei, l’idea che non
cambierai mai… ti avrei voluto indietro anche se mi avessi odiato, anche se non
avessi ricordato nulla… bastava che fossi tu… mi sei sempre bastato tu…
ti odio perché io, invece, non ti sono bastata… io e Serenity non ti
siamo bastate. Hai di nuovo desiderato morire, rischiare la vita, punirti,
affidarti ad un demone invece che accettare di vivere… con me. Io ti avrei
voluto anche se non avessi ricordato più nulla… ma tu mi hai lasciato prima di
sapere se fossi tornata me stessa…”, sorrido tristemente, chiudendo gli occhi,
lasciando che la pioggia mi scivoli sul viso: “E la cosa più imbecille è che
non riesco a sopportare che magari, morendo, volevi raggiungere Helena…”.
Gli sorrido ancora, piangendo: “Vedi, forse mi
dovrei odiare per questo non per altro… perché sono diventata una cretina…”.
Nonostante le mie gambe si siano fatte di
cemento, mi impongo di voltarmi su me stessa e di allontanarmi da lui. Non
guardo il suo volto, non sento sospiri o sussurri, solo il rumore delle mie
scarpe nell’acqua che sta allagando il giardino. Eppure, come la forza delle
maree, ho solo la forza di mettere qualche metro tra me e lui. Mi siedo sugli
scalini del gazebo di Pansy alle mie spalle, i gomiti sulle ginocchia e la testa
tra le mani. Chiudo gli occhi, confondendo pioggia e lacrime e stringendo i
capelli umidi con le dita.
Non afferro i pensieri, lascio che anneghino
nella pioggia che cade. Dovrei stare in piedi ed invece mi sono piegata come
un giunco… ma almeno non mi hai spezzata.
Acqua calpestata, spostamento d’aria, odore di
settembre e un calore vicino. Non mi sollevo, non potrei farlo ancora. Lascio
che Draco si sieda accanto a me.
“Ricordi quando eravamo a Wonderland?” mi chiede
improvvisamente, la sua voce è tersa, tintinna nel silenzio umido che ci
circonda. Non gli rispondo, la mia gola articola un cenno d’assenso. “Quel
giorno… credo di aver voluto che tu capissi… che tu mi fermassi…”, incerta
improvvisamente nelle parole, la sua voce indugia nelle mie orecchie,
riempiendomi di scariche calde sulla schiena “Non ho sopravvalutato te o
la tua intelligenza. Forse avresti capito prima o poi… è me che ho
sopravvalutato. La forza che potevo avere…”.
La pelle d’oca al contatto con le sue parole mi
fa ritornare seduta. I suoi occhi continuano pigramente a guardare il giardino
che si riempie d’acqua, sembra che stia parlando con sé stesso, non più con me.
Sospira lievemente, prima di dire pacato: “Non
ce l’ho fatta a mandarti via… mai… anche se sapevo che era giusto, perché
mettevo in pericolo te e mettevo in pericolo me stesso. Perché interrogarmi su
di te, sul fatto che potessi piangere la sera chiusa nella tua camera, sul
perché fossi diventata così cinica, sul perché bevessi come una drogata quel
dannato succo d’ananas, era un pericolo per me, più di quanto non lo fosse per
te. Ti ho odiata, tanto. E non c’entra Helena, i miei o il fatto che tu fossi
una Mezzosangue. Ti ho odiato perché tu mi rendi migliore. E io volevo
restare uguale, forse lo voglio ancora. E tu invece mi costringevi a prendermi
cura delle cose o delle persone, e io non sono così…”. Lo ascolto avida, non
osando nemmeno respirare. Mi specchio di stupore, il cuore in gola, nei suoi
occhi lontani.
Sorride lievemente e riprende: “Da quando ci
sei, mi sono chiesto per la prima volta se non fosse giusto per me crescere
Serenity come se fosse mia figlia, come Helena stessa si era sempre augurata.
Invece io, prima di te, non l’avevo mai pensato. Ho capito che non potevo farmi
ricattare da Astoria… che si sarebbe presa tutto il buono di me. E io pensavo
che non avessi più nulla che mi potessero togliere. E mi sono scoperto, invece,
ricco. Perché avevo te, avevo Serenity… avevo Seth, Pansy, Blaise. La
capisci l’assurdità della cosa per uno come me?”.
“Un pochino…”.
“Tu hai ragione… io non cambierò mai,
Hermione. E stare con me, per te, sarà sempre un rischio…” soggiunge duro,
stringendo i pugni “Ti spezzerò il cuore, ti farò piangere, ti prometterò cose
che non manterrò… e maledirai di avermi incontrato. E maledirò di aver
incontrato te… ti ho rassicurato adesso quando hai ammesso di non fidarti di
me? No, anzi ti ho anche aggredito…io non sono Weasley o Thomas, Hermione. Tu
non ti puoi fidare di me… e forse il mio
desiderio più grande sarà sempre che un giorno arrivi a pensare all’amarmi come
una sciagura. Saresti libera e non potrei davvero più farti del male. E soprattutto
sarebbe più comodo raccontarmi che tu non mi hai mai voluto, piuttosto che cambiare,
come tu mi costringi a fare… ma tu questo non me l’hai permesso, vero?”.
Si volta finalmente a guardarmi e un sorriso
lieve aleggia nei suoi occhi, mi stringo nelle spalle, imbarazzata, non
reggendo quello sguardo di diamante sulla mia anima di vetro.
Le sue mani improvvisamente si portano sul mio
viso, sollevandolo e trattenendolo tra le sue palme. Mi mordo il labbro
inferiore, non riuscendo a smettere di guardarlo.
È una solitudine d’oro e d’argento dei nostri
sguardi uniti, che ci unisce isolandoci da tutto il resto, come una bolla
luminosa.
È una sensazione che mi riscalda e mi raffredda
assieme, come la terra che ha aspettato la morsa umida della pioggia e continua
a ruggire insoddisfatta, volendone di più
I suoi occhi incatenano i miei, i nostri sguardi
sono uno lo specchio dell’altro. Persi, alla ricerca della chiave per quel
mondo nuovo che abbiamo solo scorto, ma che non abbiamo mai davvero conosciuto.
Il solo mondo dove potrei vivere adesso, esule di un ogni altro Universo che
non sia il nostro.
Il suo sguardo sfugge i miei occhi, cercando le
mie labbra, prima di dire: “Io non posso farti promesse, Hermione… non posso.
Posso solo darti questo… una sola cosa. Tu sei tutto ciò che mi è rimasto da credere.
Se non credo in te, in cosa altro dovrei credere? Dio? Il destino? La gente? O
peggio in me stesso? Io credo in te, e credo nel fatto che sono egoista,
codardo, vigliacco, ma il solo pensare di proteggere te, mi ha fatto affrontare
Adamar. Credo in te e nel fatto che hai rotto lo Zahir, e ora sei qui,
sei mia, sei mia per sempre… se non puoi credere in me, credi in te…puoi farlo…
tu… puoi credere in questo? Riesco… a… bastarti anche così?”.
Le parole sono morte in qualche parte del suo
discorso, sono nella profondità di me stessa e si lacerano e si putrefanno, di
fronte all’incanto del suo viso e alla magia delle sue parole. Un viaggio che è
concluso, una meta che ho ammirato da lontano per mesi e che ora è ad un passo,
calda come una scoperta, dolce come una conquista, inebriante come una rivelazione.
Non c’è nulla che possa dire, ha imbavagliato il mio cervello e ha reso signore
il mio cuore.
“Tu non mi basterai mai…” sussurro ad un
soffio dalle sue labbra, la pelle che diventa carta danzante nel fuoco. Nebuloso
diventa il suo viso e perde definizione, sommerso da una calugine voluttuosa
che ho rinnegato per mesi, ma che ora erompe in tutta la sua forza, piegando
persino la mia voce in un accenno più strozzato e timido.
Draco spalanca prima gli occhi, ne distinguo
ogni pagliuzza di diamante in quel mare di perla, mi sembra persino di sentire
il suo cuore battere più forte. Ma forse è solo il mio che ha travalicato ossa,
carne e pelle, e mi è esploso addosso. Sento una gioia inquieta pervadermi,
un’ansia febbricitante darmi le vertigini e la sensazione di un’attesa
appagante che sta per finire. Le sue dita accarezzano la mia pelle, un lampo
azzurro lambisce i suoi occhi e vedo le mie parole riflettersi ed echeggiare in
lui. Come se finalmente le capisse, le assaporasse, le condividesse, accettasse,
pregasse. Ed è un attimo, prima che annulli il respiro che ci divide, chiudendo
le mie labbra con le sue.
La mia bocca riconosce subito la sua, mentre
chiudo gli occhi, tremando. È un sapore che emerge dalla memoria come una
nebbia di menta e limone, che, nonostante mi abbia appena sfiorato, è impressa
come un calco nella pietra. Le sue labbra accarezzano lievemente le mie, è un
contatto lieve, delicato, quasi timoroso, eppure destabilizzante.
Mi aggrappo alla manica della sua camicia
bagnata, come se fosse il solo appiglio rimasto in un mondo fattosi d’acqua.
Draco trattiene le mani sul mio viso, è come il
fremito delle ali di una farfalla, i polpastrelli sembrano saggiare la mia
pelle con attenzione e cura come se reggesse un artefatto prezioso. E piango e
non so che cosa ci sia da piangere, perché se senti scoppiare il petto per la
gioia o per qualsiasi cosa abbia trasformato il mio cuore in questa argilla
calda che pulsa sotto i miei vestiti, non dovresti comunque piangere. Eppure il
sapore salato delle mie lacrime sulle mie labbra e sulle sue, è giusto,
necessario, terribilmente consono a quello che siamo.
Non è un bacio al sapore di caramella, dolce
come fragola e liquido come miele, non scivola come una delizia innocente. È un
bacio salato che fa bruciare le ferite, le apre ancora se possibile, le fa
sanguinare… ma le cura, le disinfetta.
Non ha niente di una languida dolcezza da
cartolina, ma tutto del rimedio amaro ed inevitabile.
E rende le mie, le sue, le nostre labbra lo
specchio del bacio di quel giorno al Petite Peste, sotto la luna nuova. È
ricordo costante, ma in continuo movimento ed evoluzione.
Piano, come se il tempo fosse morto e il mondo
ci avesse concesso di andare avanti ad un ritmo tutto nostro, le mie labbra si
schiudono assieme con le sue, come due fiori gemelli aperti ad un’inattesa
primavera, la mia mano lo porta più vicino a me, attirandolo dalla nuca. I suoi
capelli tra le mie dita sono bagnati, li stringo forte tra le dita, non riuscendo
a smettere di piangere. Non temo di fargli del male, non temo più niente. Draco
lascia il mio viso per un attimo, lo rimpiango ad occhi chiusi come se fosse
andato dall’altra parte del mondo, prima che le sue braccia si chiudano attorno
alla mia vita. Esploro il sapore della sua bocca con l’esasperante lentezza che
non mi sono mai concessa nella mia vita e che ora mi sembra un dono, un dovere,
un diritto inalienabile. Lui asseconda il mio ritmo, stringe tra le dita la mia
camicia bagnata sui fianchi. Quando il tessuto fradicio conosce la carezza
bollente della sua pelle sulla mia, rabbrividisco come se il freddo di questa
notte e il caldo del suo corpo stessero generando un tornado dentro di me.
Ma non so fermarmi, non potrei fermarmi. Volute
di seta sono le sue labbra sulle mie, che quando per un attimo si allontanano,
mi soffocano in una lontananza che non posso sopportare. Torna mio, sii
sempre mio, non andartene mai più, e sia sbagliato, e sia giusto, e sia folle,
e sia qualsiasi aggettivo, ma basta che tu sia tu e che io sia io, qui, per
sempre, per domani, per oggi soltanto. Per un altro secondo ancora. Un altro
secondo ancora.
Persa. Fin dal primo momento in cui ho rivisto Draco,
questo è l’effetto preciso che mi ha fatto.
Avevo ragione. Dovevo perdere me stessa per trovare lui.
Le mie mani conoscono d’improvviso ansia
febbrile, divorante, insaziabile come un incendio d’agosto. Tu non mi
basterai mai. Per tutta la vita ho represso il desiderio come qualcosa di
sconveniente e pericoloso, come qualcosa da sigillare in fondo al ventre e da
non mostrare mai a nessuno. Fallibile statua di granito, ho conosciuto carezze
di amore dolce che mi arrivasse a malapena al cuore. Adesso, persa me stessa,
divento nuova, generata da un bacio come una principessa delle fiabe. Ho una
foresta oscura alle spalle, rovi e spine che hanno graffiato di sangue il tulle
di un vestito scomodo e stretto, ho superato trappole come voragini e fiumi
come oceani… ma è stato poco.
Il cuore dice che è stato poco se era questo
quello che mi aspettava fuori.
Stringo le mie braccia attorno alle sue spalle,
non è mai abbastanza, nulla è mai abbastanza. Le mani di Draco si rincorrono
lungo la mia schiena bagnata, mi inarco senza accorgermene, gli mordo il labbro
inferiore. Tu non mi basterai mai. Sentendo il sapore ferrigno del
sangue sulle mie labbra, spalanco gli occhi spaventata e mi stacco da lui
respirando a fatica. Draco ha gli occhi confusi, pieni di nebbia e stelle,
restano socchiusi guardandomi come se fosse sotto una luce troppo forte.
“Ho paura…” sussurro timidamente, poggiando la
fronte sotto il suo mento “Tutto… questo… c’è… troppa… ecco, foga…
io non sono mai stata così…”.
La pelle del collo di Draco, bollente e pulsante
contro la mia, trema un po’, lo sento ridere leggermente. Le sue braccia mi
stringono più forte, le mani si aprono sulla mia schiena nuda. Rabbrividisco
ancora, trattenendo l’istinto di implorarlo come la peggiore delle donne di
strapparmi tutti gli indumenti di dosso.
“Nemmeno io sono mai stato così…” mi bisbiglia,
accarezzandomi ancora la schiena, gioca con l’allacciatura del mio reggiseno.
Chiudo gli occhi, mordendomi le labbra. Lo sta facendo apposta? È Malfoy,
Hermione, certo che lo sta facendo apposta.
Draco prende il mio viso tra le mani,
allontanandomi gentilmente da sé e mi guarda con un sorriso rapace, eppure
dolce. Lo guardo imbambolata, dimentica di tutto. Come fa ad essere così? Come
fa ad essere… mio… adesso? Come faccio a piacergli io? Non sono Helena e
i suoi occhi da cielo di primavera. Non sono Astoria e la sua bellezza quasi
sfrontata. E non sono nemmeno la Parkinson e il suo destino gemello incatenato
del suo. Sono… solo Hermione Granger. Che diamine ci vede in me? Non sto
con un uomo da tanto tempo, non sono mai stata un’amante capace e fantasiosa,
sono goffa ed impacciata, spesso fredda e scostante. Che cosa ci vede in me?
“Se fossi stato sempre me stesso con te…”
sussurra ancora, lo sguardo che diventa di nuovo fosco e nebuloso mentre guarda
le mie labbra “… ti avrei baciata dal primo momento che ti ho visto…”,
deglutisco più rumorosamente di quanto vorrei, abbassando lo sguardo. Draco
sorride ancora, tornando a guardarmi negli occhi prima di aggiungere leggero:
“Non posso crederci di essermi privato di tutto… questo… fino ad ora. Tu
mi hai fatto perdere me stesso… e devi esserne consapevole… sei tu, adesso,
che non mi basterai mai…”.
I miei occhi, prima esplosi di calore e luci,
scivolano malamente in basso, la forma di un pensiero scomodo che li grava come
pesi da mille tonnellate. Ma prima ancora che dia forma a quel pensiero, prima
ancora che mi renda conto del suo contenuto, prima che lo apra come uno
sgradito regalo, Draco mi solleva il viso e mi dice poche parole, sfuggite con
tono di voce scontato, banale, ovvio. Ma il mio cuore, quell’argilla in fiamme
in cui si è trasformato, schizza nel petto come un lapillo di lava.
“E non mi basterai mai non solo perché ti
voglio come non ho mai voluto nessuna altra donna: non mi basterai mai
perché ti amo. E spero che tu la sappia la differenza, perché la stiamo
sprecando fin troppo questa notte…”. Come sempre, la sua voce arrogante
completa i suoi pensieri, ma per una volta le mie labbra conoscono una risposta
nuova, assolutamente silente. Lo bacio ad occhi chiusi, le mie dita sul suo
viso che sussultano mentre bisbiglio, accavallando le parole che moriranno
sulle sue labbra: “Ti amo anch’io”.
A quelle parole, a sentirle rotonde nella mia
bocca, a sentirle naturali e facili come mai sono state per nessuno, mi viene
quasi da ridere, mentre mi apro ancora alla bocca di Draco. Lui stesso mi pare
sorridere, mentre chiude gli occhi e mi abbraccia di nuovo. Sorrisi neonati,
mai scoperti, mai indovinati, mai nemmeno profetizzati. È d’improvviso
rilasciare la spuma argentea di un’onda marina repressa e sentire l’acqua ruggire,
raggiungendo e cingendo la riva di una spiaggia assolata. La completezza assoluta
mi avvolge, come se davvero Draco fosse sempre stato il pezzo mancante, il
tassello del mosaico che è sempre mancato per avere una visione completa. Sono
nuova, dalle punte delle dita fino ai capelli, ed esisto in me stessa solo
perché esisto in lui. È terribile, ma sublime. È sempre mancato lui, ora
riconosco quel senso di incertezza dell’infanzia, di inadeguatezza
dell’adolescenza e di insicurezza di questi ultimi anni, come la mancanza di
qualcosa che non avevo mai vissuto: lui, Draco Malfoy. Mi mancava, senza
conoscerlo, il sapore delle sue labbra, aspro, forte, fresco. Mi mancava il
modo che hanno le sue mani di intrecciarsi alle mie, collimando perfette negli
spazi tra le dita. Mi mancava la carezza calda del suo corpo contro il mio in
una sera d’inizio estate fredda e piena di pioggia. Mi mancavano le sue spalle
forti che quasi non si fanno cingere dalle mie braccia. Mi mancava la sua
lingua che danza con la mia, come se fosse nata solo per quello. Ed ora esisto
finché tocco, bacio, accarezzo, amo lui. È terribile… ma come si fa tornare
indietro?
Se scopri che ti piace il fuoco, se scopri che è
la sola cosa che ti fa sentire viva, cosa importa bruciare come una foglia
secca?
Con un movimento improvviso, Draco, senza
smettere di baciarmi, chiude con la sua mano il mio polso, poco prima che io
senta uno strappo all’altezza dell’ombelico. Uno spostamento feroce d’aria
fredda, il rumore della pioggia che si attutisce e un calore piacevole sulle
braccia scoperte.
Apro piano gli occhi, scoprendomi in piedi nella
mia camera a casa di Pansy. Draco ci ha smaterializzati all’interno. La pioggia
continua a ticchettare contro le finestre, la camera è semibuia, illuminata dai
riflessi rosso-oro del camino che proiettano ombre scure sulle pareti.
Piano, senza dire una parola, Draco mi prende
per mano, guidandomi nella penombra accogliente della stanza. Il cuore mi batte
nel petto all’impazzata, mentre si siede sul letto invitandomi a fare
altrettanto. Immediatamente riprende a baciarmi in modo più febbrile rispetto a
prima, le sue mani giocano con i miei capelli bagnati sulla nuca, passandoci
attraverso, sciogliendo ogni boccolo, ogni riccio scomposto dall’acqua. La mia
schiena scivola indietro, incontrando la superficie morbida del letto e della
coperta damascata. Draco, sopra di me, puntellandosi sui gomiti per non
gravarmi addosso, scende dalle mie labbra al mio collo, lasciandomi esanime ad
occhi spalancati contro il soffitto violaceo.
Chiudo gli occhi rabbrividendo, sentendo le sue
labbra calde scivolare sulla mia pelle fredda e bagnata, mentre le sue mani
aprono bottone dopo bottone la mia camicia. È lento, indiscutibilmente lento, è
un supplizio dolceamaro sentirlo ancora così lontano nonostante sia così
vicino. Tutto di me implora pietà, implora resa, implora barriere di stoffa
fatte cadere una dopo l’altra, come roccaforti conquistate. Ogni pressione
delle sue dita su di me mi rende cosciente solo in quel punto del mio corpo,
addormentando il resto, finché lui magnanimo non mi concede altro del suo
benefico calore, ed allora dimentico ciò che era vivo, pulsante, fulgido fino a
poco prima. Tu non mi basterai mai.
Mi sfila la camicia, ne sento il fruscio ai
piedi del letto. Draco accarezza le mie braccia infreddolite, come a volerle
riscaldare, mentre, senza staccarmi da lui, lo libero della parte superiore dei
suoi vestiti con la solita timidezza maledetta che non ho mai dismesso da
quando ero ragazzina. Le mani tremano contro la pelle nuda del suo torace,
mentre scoprono le linee del corpo che avevo sempre e solo immaginato, Draco
stringe la mia mano, portandola sul suo cuore. Batte forte, sembra scoppiare
quasi quanto il mio.
Sotto i lampi fulgidi che filtrano dalla finestra,
come spruzzi della luce di un faro visti da una nave naufraga, mi ritrovo passo
dopo passo, vestito dopo vestito, tessuto dopo tessuto, pelle dopo pelle, nuda
sotto i suoi occhi. Nascondo imbarazzata il viso contro il suo petto, Draco
sorride ancora e non smetterei mai di sentirlo sorridere. Certo, ho paura, ho
paura come sempre: io avrò sempre paura di tutto quello che non so
spiegare. Come si fa a spiegare il sangue che ardendo scorre nelle vene, i
fiori di fuoco che sbocciano dove mi tocca lui, le scintille d’acciaio sotto le
palpebre chiuse, la voglia che mi faccia sua, adesso, subito, domani, oggi, per
sempre. La chiamo paura, perché se la chiamo solo amore, io uso
un termine inflazionato che tutti hanno già usato e che non può descrivere me e
lui assieme. Nessuno ha avuto quello che abbiamo io e lui assieme.
La chiamo paura perché forse davvero
sarei stata più sicura e salva nelle braccia di Hayden, nell’amore immaturo di
Ron, in quello confortante di Dean. Nelle braccia di Draco, io sono piccola,
sparisco, divento schiava del cuore, divento un’altra. Ma divento me.
Torno me. Sono me stessa. Ora, adesso. Sono la vera me stessa, non
quella che fingo sempre di essere.
Torno ad essere me stessa in un modo in cui non
mi sono mai saputa.
E lui lo sa, Draco se ne accorge, perché sa chi
sono io davvero.
E lo sa perché adesso mi accarezza i capelli e mi
sussurra: “Guardami, Hermione…”. E sa che io lo guarderò, vincendo imbarazzo e
timidezza, senza che lui lo chieda una seconda volta. E capirà, adesso, che in
fondo, dopotutto, io mi fido di lui.
Perché, non appena lo guardo, non appena
riconosco i suoi occhi argento, non appena vedo davanti a me l’uomo più bello
che abbia mai visto, nudo, mio, piegato dal desiderio, ma che comunque si
trattiene, ancora aspetta che sia io a dargli l’ultimo cenno d’assenso, riconosco
in fondo e finalmente quanto Draco mi ami.
Tanto, troppo: molto di più di quanto gli
sarebbe naturale e normale, come accade a me. Amarsi così tanto non è normale o
naturale. Eppure è vero. Adesso so che è vero.
Lo attiro più vicino a me di nuovo, si separano
le mie ginocchia e lo lascio entrare nel mio corpo, come è entrato nel mio
cuore tanti mesi fa.
Ogni colore cessa di esistere, ogni rumore
soffoca di silenzio, ogni cosa esplode di calore mentre annego ed annaspo,
trovando infine salvezza. Come se fosse davvero un miracolo, come se questo
momento fosse stato già scritto, come se chiunque altro abbia disposto di
ostacoli il nostro percorso solo per farci arrivare a questo assieme, moriamo
l’uno nell’altra nello stesso identico momento. Stringo forte la sua schiena
sudata, soffocando i gemiti contro la sua spalla, Draco infine mi bacia ancora,
forte, senza remore, ed è un bacio nuovo, diverso, mio, suo, che abbiamo appena
inventato con la gioia spavalda dell’amore appena spartito. L’amore che credi
immortale, l’amore che non può essere altro che immortale.
L’amore che ha il tocco di velluto soffice di un
petalo di rosa che scivola dai miei capelli, riposando sul mio seno e
respirando del respiro di Draco, addormentato su di me.
Allora, questo capitolo è
ingiustificatamente in un ritardo colossale! Se mi seguite sul gruppo “Put a spell on her eyes”
su FB ne sapete parzialmente i motivi! Oltre ai miei soliti impegni personali
(mi manca poco alla laurea quindi sono abbastanza impegnata) sono stata
selezionata per un contest per Collection of Starlight
e ho “dovuto” scrivere una one shot
che mi ha mangiato moltissimo tempo, anche perché il pc si è divorato la prima
versione e quindi l’ho dovuta riscrivere. Non sono stata ammessa alla seconda
fase ma è stata un’esperienza molto importante, specie perché mi ha insegnato
molte cose sul mio modo di scrivere, quindi è andata bene così. Inoltre non
credo meritassi di vincere o di accedere alle fasi successive, ma sono comunque
contenta così. Mi sono solo pentita di aver trascurato molto Halft per questo. Questo capitolo sarebbe potuto essere
pubblicato molto prima, perché sostanzialmente da Natale era quasi completo, ma
come avete potuto leggere, accade qualcosa di molto importante che, per molto
tempo, non ho saputo come descrivere, essendo più o meno la prima volta che lo
facevo. Spero solo che ci sia ancora qualcuno che segue questa storia,
purtroppo non posso promettere aggiornamenti molto ravvicinati nel tempo,
oramai sono nelle condizioni di non fare più promesse ingiustificate ed
ingiustificabili di migliorare, perché forse andrà sempre così. Ma prometto, e
questa è una vera promessa, che Halft non sarà mai
lasciata incompleta e non oltre spero i tempi di questo aggiornamento. Che
dire? Come sempre ringrazio tutti coloro che ancora leggono e recensiscono
questa storia, nonostante i spaventosi ritardi. Risponderò a tutte le
recensioni ma come sempre non prometto puntualità in questo. Ringrazio ancora e
come sempre le ragazze fantastiche del gruppo Put a spell
on her eyes che come sempre
mi hanno sostenuto ed incoraggiato in tutti questi mesi in tutte le iniziative
che ho portato avanti, in particolar modo Francesca, Turchese, Nadia, Anna e
Sandra. Davvero, rischio sempre di ripetermi ma siete uniche, speciali e sono
stata fortunatissima nel conoscervi. Per questo vi invito (sperando che lei non
mi uccida) a vedere la meravigliosa preview del video
trailer che ha realizzato Francesca per Halft, vi
giuro che ne sono innamorata! Non metto qui il link per rispetto a lei e al suo
lavoro, ma se entrate nel gruppo, lo troverete! J Voglio
ringraziare anche un’altra persona, Erika, già proprio la nostra Erika! :D So che
con Halft non c’entra nulla, ma lavorare con lei mi
ha dato un aiuto notevole e così grande che mi sento nuova e stimolata come mai
prima. È una persona speciale. E tutto questo, poter scrivere qui, è merito
suo. Quindi è doppiamente speciale, sarebbe da ringraziare sempre. Ringrazio
anche chi ha recensito la one shot
per il contest, Thema probandum. E,
credo, che sia tutto.:)
Un grosso bacio, cassie chan!