Mi Allontanai un attimo da loro e non li rividi più. Quando tornai non c’erano, erano scomparsi. Svaniti. Nessuno di loro era rimasto. Nessuno di loro era rimasto oltre a me.
Fu così che mi misi a lavorare. Lavorai e costruii. Tagliai alberi, progettai palazzi. Assemblai carrucole e miscelai collanti. Imparai a fare il vetro e costruii un palazzo, un quartiere, una città.
La riempii di ogni particolare finché non fu pronta. Supermercati pieni, chiavi di riserva sotto agli zerbini, piante alle finestre, vestiti negli armadi, cartelle di documenti negli uffici, zaini e astucci nelle scuole.
Lo feci con tutto l’amore e la cura con cui si potrebbe costruire una casa per le bambole in miniatura.
Era la mia personale casa delle bambole. L’unico problema era che ci vivevo dentro.
Avevo preparato tutto con tale minuzia come se da un momento all’altro si fosse dovuta riempire di gente.
Alla fine era una città vera e nella mia testa anche viva. Ogni mattina prendevo al macchina e andavo al lavoro, per guadagnarmi da vivere. Poi compravo al negozio vicino a casa qualcosa per pranzo e andavo a fare volontariato in biblioteca. Rispettavo il codice della strada ed ero un cittadino modello. Ogni giornata era piena e non mi capitava di pensare di essere solo. Era normale così.
Dopo anni di una simile vita, in un posto in cui niente mancava se non le persone, abitanti della città solo nella mia mente, potete immaginare la mia sorpresa quando un giorno li vidi.
Si sporgevano dalla cima della chiesa sbracciandosi nella mia direzione. Rimasi fermo. Nella mia testa le persone popolavano quella città, e non ci misi poco a distinguere la realtà dall’immaginazione, ma c’erano, davvero. Io li conoscevo. Erano loro, erano tornati da me.