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Autore: La sposa di Ade    11/03/2012    10 recensioni
Vi odio. Parola grossa, vero? L’ odio.
Cosa c’ era che non andava in lei? Era sbagliato essere un po’ riservati?
Era sbagliato diventare invisibili ai loro occhi.
Passavano i mesi così, in completa solitudine, la parola ‘amici’ aveva perso ogni significato logico.
Vi odio. No, forse ora quella parola non era abbastanza.
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Dico colo che detesto descrivermi e che probabilmente non ne sono davvero capace, neanche se parlo di me in terza persona con un nome inventato.
Tralasciando completamente il dovere di aggiornare la long-fic mi diletto in OS >.<

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" Quando sei miserabile cerchi qualcosa che sia più miserabile di te"
[Elfen Lied]

La stanza era avvolta dall’ oscurità più totale, se non per il tenue bagliore della luna che filtrava attraverso le tende scure.
Una ragazza si muoveva su una sedia a dondolo, rigirandosi fra le dita una vecchia matita B, la scrivania davanti a lei era piena di fogli, alcuni bianchi altri occupati da complicati disegni. Era tutto il giorno che disegnava per tenere occupata la mente, naturalmente lo faceva per conto suo, si passava il tempo, sola e tranquilla, come aveva sempre fatto. Ma quasi senza che se ne accorgesse era scesa la sera, impedendole di vedere le linee che tracciava. Naturalmente non aveva alcuna voglia di alzarsi per andare ad accendere la luce, che per di più odiava a causa del suo colore, non le era mai piaciuta la luce della lampadina, troppo gialla e innaturale, la innervosiva. Ma non sarebbe andata a letto, era presto e aspettava visite, non aveva neanche sonno.
Non riuscendo a trovare alternative si alzò, certa che non sarebbe più riuscita a mettersi nella comoda posizione in cui era seduta prima, si, era molto pigra.

Click.
La fastidiosa luce giallognola invase la stanza. La ragazza tornò a sedersi sbuffando infastidita, ma anche un po’ sollevata, ora sarebbe riuscita a disegnare senza problemi.
Appoggiò il gomito sul ripiano scuro della scrivania e lo zigomo sul pugno chiuso, mentre l’ altra mano tornava a giocare con la matita, impaziente di essere consumata sul foglio ruvido.
Davanti a lei c’ era solo il bianco di quel foglio, immacolato.

Goditelo, perché non durerà a lungo. Ghignò lei mentre tracciava sicura la prima linea di un disegno che si era già delineato nella sua mente.
La linea affilata della mascella, gli zigomi alti che sembravano voler tagliare quella pelle diafana, il sorriso strafottente, il naso dritto e un sopracciglio inarcato sopra un paio d’ occhi luminosi, nella sua testa quegli occhi erano due splendidi e rarissimi smeraldi.
La matita tracciò una linea sulla guancia destra, poi un’ altra, poi un’ altra ancora, curva questa volta, con cura meticolosa curò tutti i dettagli; il taglio, il sangue, il serpente.
Sullo splendido volto di quel ragazzo che mai aveva visto si era aperto un taglio da cui ora usciva una serpe con le fauci spalancate e i denti grondanti di veleno.

Quando riuscirò a terminarli tutti li spedirò, uno ad uno e farò in modo che li ricevano. Sorrise con amarezza ripensando agli anni peggiori della sua vita.
Quell’ arco di tempo comprendeva l’ ultimo anno che aveva frequentato alle scuole medie.
Lei, semplicemente, sembrava non esistere più.
Era cominciata quando? Non lo ricordava neanche lei, non c’era stato un episodio in particolare, più che altro era stata una lunga discesa vero il buio più invivibile, era stato insopportabile rendersi conto di essere diventata parte della classe stessa. Ah, per ‘parte della classe’ si intende parte della struttura edile, non del gruppo di ragazzi e ragazze che vi stavano all’ interno.
Aveva provato a paragonarsi a uno dei mobili che la occupavano, la lavagna no di certo, quella era soggetta a fin troppe attenzioni, neanche banchi e sedie sembravano adatte al suo ruolo, no, lei era una cosa totalmente diversa ma anche tremendamente simile.
I suoi ‘amici’ se così potevano essere chiamati avevano iniziato a ignorarla, a non vederla più, a passarle accanto e scontrarla senza chiedere scusa, perché, naturalmente, non si chiede scusa quando si scontra un oggetto del mobilio.

Vi odio. Parola grossa, vero? L’ odio.
Per tutto l’ anno aveva cercato di capire cosa ci fosse di così sbagliato in lei, i suoi abiti scuri non sarebbero dovuti essere così malvisti, o no? Ogni volta che andava a scuola evitava anche di mettere anfibi, pantaloni con borchie e cinghie e roba simile, non diceva che amava scrivere, leggere e disegnare, nessuno sapeva il tipo di musica che ascoltava.
Eppure, lentamente, sembrava essere svanita.
Eppure non era una brutta ragazza, i capelli ricci e biondi le ricadevano morbidi sulle spalle, gli occhi avevano un colore indecifrabile, alle volte erano grigi-verdi altre assumevano una leggera colorazione azzurra, la pelle leggermente pallida.
Cosa c’ era che non andava in lei? Era sbagliato essere un po’ riservati? Era sbagliato non infastidire in continuazione i compagni?
Era sbagliato diventare invisibili ai loro occhi.
Passavano i mesi così, in completa solitudine, la parola ‘amici’ aveva perso ogni significato logico. Anche i suoi voti ne risentirono, faceva il minimo indispensabile, faceva quella che bastava per prendesi un 6.
Poi le cose peggiorarono, non bastava essere diventata un ‘fantasma’, repentinamente era cambiato tutto, erano arrivate le occhiatacce e le parole sussurrate alle orecchie degli amici mentre gli occhi erano puntati su di lei, i sorrisetti stupidi e le dita che indicavano, e senza neanche cercare di non far notare quegli atteggiamenti. Ogni volta le lacrime le salivano agli occhi e la gola si annodava.

Vi odio. No, forse ora quella parola non era abbastanza.
Arrivarono subito dopo i commenti sprezzanti, sussurrati, parlati, urlati.
Che aveva di sbagliato? Niente, niente, niente. Si ripeteva in continuazione cercando di convincesi da sola. Non sono io quella sbagliata, siete voi.
Si, li odiava, li detestava con tutto il suo cuore.
Alzarsi la mattina era diventata una tortura, non tanto per l’ orario, era per colpa della scuola, affollata com’ era da oche e fighetti non voleva più metterci piede, sapeva bene di non fare parte di quelle categorie, lei non c’ entrava niente con tutta quella gente.
Non studiava, non parlava, non si vedeva, non viveva.
Ma pensava, e le uniche parole che le venivano in mente era solo due, le solite due buone parole che sfioravano le sue labbra quando incrociava lo sguardo di uno dei suo compagni, ormai anche gli occhi degli insegnanti scivolavano sul suo banco senza vedere niente.
La mente sembrava perennemente colorata di rosso, loro le avevano tolto una vita, un’ esistenza. E ora lei immaginava di togliere la loro, di vita, ma in modo ben diverso da come avevano fatto loro. Nella sua mente lame spuntavano dai muri, occhi rotolavano sul pavimento e teste cadevano a terra in una fontana di liquido rosso. Passava le giornate così, immersa nel suo mondo rosso e tornava a casa più triste della mattina, triste perché non era accaduto niente di ciò che immaginava.
Era lei quella sbagliata? Eppure non era sempre stata così, non era sempre stata un’ ombra, cos’ era cambiato in lei? Cosa l’ avevano fatta diventare?
La fine dell’ anno era vicina, così vicina da sembrare palpabile, come la luce infondo al tunnel.
Tutto quel rancore non le impedì di essere promossa, anzi, la aiutò a pronunciare quelle parole che sulla bocca avevano avuto un sapore tanto dolce.

L’ anno è finito e le nostre strade finalmente si dividono, lasciate che vi ringrazi per quest’ ultimo anno di merda, lasciate che vi ringrazi per la vita che non mi avete fatto vivere, lasciate che vi ringrazi per quello che mi avete fatto diventare. Spero che possiate soffrire quanto ho sofferto io, perché forse non l’ avete ancora capito che io vi odio. Quindi a mai più rivederci, sfigati.
E dopo tanto tempo, rise.
 

Le luci si erano spente mentre sulle sue labbra nasceva un nuovo sorriso, si era abbandonata sullo schienale della sedia e con le caviglie incrociate sopra la scrivania, il foglio sulle gambe, il disegno era completato.
Sugli occhi del ragazzo uno sguardo sprezzante e pieno d’ odio, la bocca distorta in un ghigno pieno di follia, il serpente sembrava pronto a uscire dal foglio e a saltarti al collo.
Stava bene al buio, e sospirò quando sentì due braccia forti circondarle le spalle, sentì il contatto sul collo di capelli setosi e scuri, sapeva che erano scuri e scompigliati, labbra accarezzarono la sua spalla facendole il solletico.
Alzò le braccia sopra di sé cingendo la schiena ampia e calda, fasciata da una maglia nera, accarezzò i muscoli forti e si inebriò di quella sensazione che provò quando le loro guancie si sfiorarono.
Non era lei quella sbagliata.
Guardò di nuovo il suo disegno e le braccia ricaddero distruggendo quella splendida illusione che si disperse in fumo nero, non prima di aver abbandonato sulle sue guance un bacio.
Allungò la mano sul foglio per scrivere un ultima cosa.

Con odio, Chris.

 
 

Immagino che nessuno sia arrivato in fondo Y_Y
Se volete leggere qualcosa di più leggero posso consigliarvi una fic scritta a quattro mani, cioè da me e Homicidal Maniac, tratta di elfi ubriachi xD
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=954634&i=1

P.S. no, non sono pazza...

  
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