Dico
colo che detesto descrivermi e che probabilmente non ne sono davvero
capace,
neanche se parlo di me in terza persona con un nome inventato.
Tralasciando
completamente il dovere di aggiornare la long-fic mi diletto in OS
>.<
" Quando sei
miserabile cerchi qualcosa che sia più miserabile di te"
[Elfen Lied]
La
stanza era avvolta dall’ oscurità più
totale, se non per il tenue bagliore
della luna che filtrava attraverso le tende scure.
Una
ragazza si muoveva su una sedia a dondolo, rigirandosi fra le dita una
vecchia
matita B, la scrivania davanti a lei era piena di fogli, alcuni bianchi
altri
occupati da complicati disegni. Era tutto il giorno che disegnava per
tenere
occupata la mente, naturalmente lo faceva per conto suo, si passava il
tempo, sola
e tranquilla, come aveva sempre fatto. Ma quasi senza che se ne
accorgesse era
scesa la sera, impedendole di vedere le linee che tracciava.
Naturalmente non
aveva alcuna voglia di alzarsi per andare ad accendere la luce, che per
di più
odiava a causa del suo colore, non le era mai piaciuta la luce della
lampadina,
troppo gialla e innaturale, la innervosiva. Ma non sarebbe andata a
letto, era
presto e aspettava visite, non aveva neanche sonno.
Non
riuscendo a trovare alternative si alzò, certa che non
sarebbe più riuscita a
mettersi nella comoda posizione in cui era seduta prima, si, era molto
pigra.
Click.
La
fastidiosa luce giallognola invase la stanza. La ragazza
tornò a sedersi
sbuffando infastidita, ma anche un po’ sollevata, ora sarebbe
riuscita a disegnare
senza problemi.
Appoggiò
il gomito sul ripiano scuro della scrivania e lo zigomo sul pugno
chiuso,
mentre l’ altra mano tornava a giocare con la matita,
impaziente di essere consumata
sul foglio ruvido.
Davanti
a lei c’ era solo il bianco di quel foglio, immacolato.
Goditelo,
perché non
durerà a lungo. Ghignò
lei mentre tracciava sicura la prima linea di un disegno che si era
già
delineato nella sua mente.
La
linea affilata della mascella, gli zigomi alti che sembravano voler
tagliare
quella pelle diafana, il sorriso strafottente, il naso dritto e un
sopracciglio
inarcato sopra un paio d’ occhi luminosi, nella sua testa
quegli occhi erano
due splendidi e rarissimi smeraldi.
La
matita tracciò una linea sulla guancia destra, poi
un’ altra, poi un’ altra
ancora, curva questa volta, con cura meticolosa curò tutti i
dettagli; il
taglio, il sangue, il serpente.
Sullo
splendido volto di quel ragazzo che mai aveva visto si era aperto un
taglio da
cui ora usciva una serpe con le fauci spalancate e i denti grondanti di
veleno.
Quando
riuscirò a terminarli
tutti li spedirò, uno ad uno e farò in modo che
li ricevano.
Sorrise con amarezza
ripensando agli anni peggiori della sua vita.
Quell’
arco di tempo comprendeva l’ ultimo anno che aveva
frequentato alle scuole
medie.
Lei,
semplicemente, sembrava non esistere più.
Era
cominciata quando? Non lo ricordava neanche lei, non c’era
stato un episodio in
particolare, più che altro era stata una lunga discesa vero
il buio più
invivibile, era stato insopportabile rendersi conto di essere diventata
parte
della classe stessa. Ah, per ‘parte della classe’
si intende parte della
struttura edile, non del gruppo di ragazzi e ragazze che vi stavano
all’
interno.
Aveva
provato a paragonarsi a uno dei mobili che la occupavano, la lavagna no
di
certo, quella era soggetta a fin troppe attenzioni, neanche banchi e
sedie
sembravano adatte al suo ruolo, no, lei era una cosa totalmente diversa
ma
anche tremendamente simile.
I
suoi ‘amici’ se così potevano essere
chiamati avevano iniziato a ignorarla, a
non vederla più, a passarle accanto e scontrarla senza
chiedere scusa, perché,
naturalmente, non si chiede scusa quando si scontra un oggetto del
mobilio.
Vi
odio. Parola
grossa, vero? L’
odio.
Per
tutto l’ anno aveva cercato di capire cosa ci fosse di
così sbagliato in lei, i
suoi abiti scuri non sarebbero dovuti essere così malvisti,
o no? Ogni volta che
andava a scuola evitava anche di mettere anfibi, pantaloni con borchie
e cinghie
e roba simile, non diceva che amava scrivere, leggere e disegnare,
nessuno
sapeva il tipo di musica che ascoltava.
Eppure,
lentamente, sembrava essere svanita.
Eppure
non era una brutta ragazza, i capelli ricci e biondi le ricadevano
morbidi
sulle spalle, gli occhi avevano un colore indecifrabile, alle volte
erano
grigi-verdi altre assumevano una leggera colorazione azzurra, la pelle
leggermente pallida.
Cosa
c’ era che non andava in lei? Era sbagliato essere un
po’ riservati? Era
sbagliato non infastidire in
continuazione i compagni?
Era
sbagliato diventare invisibili ai loro occhi.
Passavano
i mesi così, in completa solitudine, la parola
‘amici’ aveva perso ogni
significato logico. Anche i suoi voti ne risentirono, faceva il minimo
indispensabile, faceva quella che bastava per prendesi un 6.
Poi
le cose peggiorarono, non bastava essere diventata un
‘fantasma’,
repentinamente era cambiato tutto, erano arrivate le occhiatacce e le
parole
sussurrate alle orecchie degli amici mentre gli occhi erano puntati su
di lei,
i sorrisetti stupidi e le dita che indicavano, e senza neanche cercare
di non
far notare quegli atteggiamenti. Ogni volta le lacrime le salivano agli
occhi e
la gola si annodava.
Vi
odio. No,
forse ora quella
parola non era abbastanza.
Arrivarono
subito dopo i commenti sprezzanti, sussurrati, parlati, urlati.
Che
aveva di sbagliato? Niente, niente,
niente. Si ripeteva in continuazione cercando di convincesi
da sola. Non sono io quella sbagliata, siete
voi.
Si,
li odiava, li detestava con tutto il suo cuore.
Alzarsi
la mattina era diventata una tortura, non tanto per l’
orario, era per colpa
della scuola, affollata com’ era da oche e fighetti non
voleva più metterci
piede, sapeva bene di non fare parte di quelle categorie, lei non
c’ entrava
niente con tutta quella gente.
Non
studiava, non parlava, non si vedeva, non
viveva.
Ma
pensava, e le uniche parole che le venivano in mente era solo due, le
solite
due buone parole che sfioravano le sue labbra quando incrociava lo
sguardo di
uno dei suo compagni, ormai anche gli occhi degli insegnanti
scivolavano sul
suo banco senza vedere niente.
La
mente sembrava perennemente colorata di rosso, loro le avevano tolto
una vita,
un’ esistenza. E ora lei immaginava di togliere la loro, di
vita, ma in modo
ben diverso da come avevano fatto loro. Nella sua mente lame spuntavano
dai
muri, occhi rotolavano sul pavimento e teste cadevano a terra in una
fontana di
liquido rosso. Passava le giornate così, immersa nel suo
mondo rosso e tornava
a casa più triste della mattina, triste perché
non era accaduto niente di ciò
che immaginava.
Era
lei quella sbagliata? Eppure non era sempre stata così, non
era sempre stata un’
ombra, cos’ era cambiato in lei? Cosa l’ avevano
fatta diventare?
La
fine dell’ anno era vicina, così vicina da
sembrare palpabile, come la luce
infondo al tunnel.
Tutto
quel rancore non le impedì di essere promossa, anzi, la
aiutò a pronunciare
quelle parole che sulla bocca avevano avuto un sapore tanto dolce.
L’
anno è finito e le
nostre strade finalmente si dividono, lasciate che vi ringrazi per
quest’
ultimo anno di merda, lasciate che vi ringrazi per la vita che non mi
avete
fatto vivere, lasciate che vi ringrazi per quello che mi avete fatto
diventare.
Spero che possiate soffrire quanto ho sofferto io, perché
forse non l’ avete
ancora capito che io vi odio. Quindi a mai più rivederci,
sfigati.
E
dopo tanto tempo, rise.
Le
luci si erano spente mentre sulle sue labbra nasceva un nuovo sorriso,
si era
abbandonata sullo schienale della sedia e con le caviglie incrociate
sopra la
scrivania, il foglio sulle gambe, il disegno era completato.
Sugli
occhi del ragazzo uno sguardo sprezzante e pieno d’ odio, la
bocca distorta in
un ghigno pieno di follia, il serpente sembrava pronto a uscire dal
foglio e a
saltarti al collo.
Stava
bene al buio, e sospirò quando sentì due braccia
forti circondarle le spalle,
sentì il contatto sul collo di capelli setosi e scuri,
sapeva che erano scuri e
scompigliati, labbra accarezzarono la sua spalla facendole il solletico.
Alzò
le braccia sopra di sé cingendo la schiena ampia e calda,
fasciata da una
maglia nera, accarezzò i muscoli forti e si
inebriò di quella sensazione che
provò quando le loro guancie si sfiorarono.
Non
era lei quella sbagliata.
Guardò
di nuovo il suo disegno e le braccia ricaddero distruggendo quella
splendida
illusione che si disperse in fumo nero, non prima di aver abbandonato
sulle sue
guance un bacio.
Allungò
la mano sul foglio per scrivere un ultima cosa.
Con
odio, Chris.
Immagino
che nessuno sia arrivato in fondo Y_Y
Se
volete leggere qualcosa di più leggero posso consigliarvi
una fic scritta a
quattro mani, cioè da me e Homicidal Maniac, tratta di elfi
ubriachi xD
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=954634&i=1
P.S. no, non sono pazza...