24. Disastri
Harry uscì dall’ufficio di Silente richiudendosi la porta
alle spalle e avviandosi giù per la scala a chiocciola con un enorme peso nel
petto.
Appena entrato, dopo i primi convenevoli, Silente gli aveva chiesto come stava
andando il suo compito di convincere Lumacorno a cedergli il suo ricordo più
prezioso, e Harry era stato costretto a rispondere, a bocca stretta, che non
aveva ancora ottenuto nessun risultato.
Quando poi Silente gli aveva chiesto se pensava di averci messo tutto se stesso
– perché ovviamente Harry sapeva
quanto importante fosse ottenere quel frammento -, Harry aveva risposto di no,
sentendosi improvvisamente più piccolo sulla sedia di fronte a quella del
Preside. In effetti si era meravigliato di accorgersi che i suoi piedi
toccavano ancora il pavimento, non lo avrebbe creduto possibile.
Comunque, nonostante il leggero sguardo di rimprovero, Silente non gli aveva
fatto pesare la cosa. Si era avvicinato al Pensatoio, vi aveva liberato un paio
di ricordi e poi lo aveva invitato a fare l’ennesimo salto nelle sue memorie, e
quello che Harry aveva visto lo aveva leggermente stordito.
Aveva saputo che Voldemort – o meglio, all’epoca, Tom Riddle – aveva chiesto
all’allora Preside Dippett di poter diventare docente di Difesa Contro le Arti
Oscure non appena uscito da Hogwarts, ma quel posto gli era stato negato e lui
aveva ripiegato per un impiego da Magie Sinister.
E poi Silente gli aveva mostrato il ricordo di un’Elfa Domestica di nome Hokey,
la cui padrona, una strega molto vecchia di nome Hepzibah Smith, aveva avuto un
incontro molto ravvicinato con il giovane Tom.
Quando Harry aveva immerso la testa nel vorticoso fluido argenteo, aveva subito
capito quanto stupida fosse quella donna, tutta frivola e presa a prepararsi al
meglio per la visita di quel ragazzo che tanto le piaceva.
Era stato lampante che quella vecchia signora adorava Tom, e con quel potere
inaspettato che lei gli aveva conferito Tom era riuscito, dopo parecchi
complimenti e parecchi biscotti, a convincerla a mostrargli quello che lei
definiva “il suo tesoro più bello”. Hokey, trotterellando verso di loro, aveva
portato due scatole che, una volta aperte, avevano attirato l’attenzione di Tom
molto più degli stupidi affari per cui era giunto in quella casa.
La Coppa di Tassorosso e il Medaglione di Serpeverde.
Attraverso i ricordi dell’Elfa, Harry era riuscito a vedere lo strano brillio
negli occhi di Voldemort.
Due giorni dopo, Hepzibah Smith era stata trovata morta ed era stata Hokey ad
essere accusata.
Harry aveva appreso inorridito quella notizia, così come quella che Silente gli
aveva dato poco dopo.
Non si era più sentito parlare di Tom Riddle per dieci anni: subito dopo la
morte di Smith, si era licenziato e probabilmente aveva vagato per il mondo
alla ricerca di qualcosa di non ben definito, ma nessuno avrebbe mai potuto
dirlo con certezza, finché alla fine, Voldemort era ritornato.
E l’ultimo ricordo che Silente aveva mostrato ad Harry, gliene spiegava il
motivo.
Tom Riddle era andato dritto dritto da Silente – in quegli anni divenuto
Preside di Hogwarts – e aveva di nuovo chiesto il lavoro che gli era stato rifiutato
a diciotto anni.
Ovviamente Silente aveva rifiutato ancora, e Tom Riddle se n’era andato e non
era più tornato.
Harry si passò una mano sulla fronte mentre il gargoyle balzava di lato e si
ritrovò nel corridoio deserto. Dovevano già essere tornati tutti nelle Sale
Comuni, probabilmente erano le nove passate.
Con passo svelto, sperando di non incappare in qualche professore o Prefetto di
ronda – anche se lui aveva le sue buone ragioni per stare in giro a quell’ora –
si affrettò verso la torre di Grifondoro e la raggiunse pochi minuti dopo.
Non fu affatto sorpreso di trovare Hermione e Ron appollaiati sulle poltrone
davanti al fuoco, mentre intorno parecchi studenti giocavano e studiavano.
Si avvicinò a loro e sprofondò accanto a Ron, salutandoli.
“Harry! Com’è andata?” chiese Hermione richiudendo il libro che aveva davanti –
ma non faceva altro? – e fissandolo con attenzione.
Ron gli passò una Cioccorana e Harry l’addentò con gusto, sistemandosi meglio
per iniziare a raccontare a voce decisamente sommessa quello che Silente gli
aveva mostrato.
Alla fine della sua storia, Hermione era rimasta senza fiato e Ron si guardava
intorno con circospezione.
“Beh, ora sappiamo perché nessun insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure
resiste più di un anno. Porta davvero sfortuna, quel posto”
“Non posso credere che abbia ucciso la signora Smith solo per... per... per dei
trofei!” biascicò Hermione incredula, irrigidendosi.
Harry scrollò le spalle; certo, un pensiero del genere faceva orrore, ma se
paragonato a quello che aveva fatto Voldemort in seguito, non era poi questa
gran cosa.
“Ho proprio bisogno del ricordo di Lumacorno” sussurrò, incrociando le braccia,
lo sguardo attirato dal fuoco scoppiettante davanti a lui. “Credo che proverò
per un’altra settimana, e poi userò la Felix Felicis”
“Perché aspettare tanto?” chiese Hermione, e Harry si voltò verso di lei.
“Perché con tutti i casini che stanno per succedere, con Voldemort in giro,
penso che averla a portata di mano sia utile. Non vorrei sprecarla così”
“Ma non è sprecare” ribatté Hermione
contrariata.
“Dai, Hermione, lascialo fare come vuole” la ammonì Ron con un cenno del capo.
Hermione serrò le labbra e riaprì il volume, affondandoci di nuovo dentro.
Ron gettò un’occhiatina a Harry che accennò un sorriso, e prese a sgranocchiare
la sua seconda Cioccorana.
*
Aprile arrivò velocemente, portando con sé un sole caldo e
un cielo sereno che, si disse Harry, avrebbe certamente minato la
concentrazione agli allenamenti di Quidditch. Dopotutto, tutti sapevano che per
allenamenti o partite, era meglio un cielo coperto in modo che il sole non
accecasse troppo.
Hermione passava la maggior parte del suo tempo in biblioteca per via degli imminenti esami, ma allo stesso tempo si
era ritrovata sempre più spesso per i corridoi cercando di incrociare Draco.
Purtroppo per lei, non era riuscita a parlargli neanche una volta perché lui
sembrava deciso a volerla evitare ad ogni coso.
Per un attimo, dovette ammetterlo, era rimasta offesa da quel comportamento
perché comunque avevano condiviso una certa cosa,
per quanto strana quella potesse essere.
Non le andava giù il fatto che dopo averlo baciato – Dio, a ripensarci le
venivano i brividi: aveva baciato Draco
Malfoy – lui la ignorasse come se fosse il più insulso e insignificante
degli scarafaggi.
Era una cosa che non aveva senso, perché in quel momento lei aveva visto il suo
coinvolgimento e aveva letto qualcosa nei suoi occhi.
Evidentemente, aveva sbagliato su tutta la linea, si ritrovò a pensare mentre
scagliava su un tavolo della biblioteca tutti i libri che era riuscita a
portare.
Se Draco non aveva nulla da dirle, allora neanche lei ne aveva. Se Draco
davvero voleva far finta che non fosse successo nulla – cosa stupida, tra
l’altro, dato che era stato lui a cominciare – allora andava bene così.
Non aveva nulla da rimpiangere.
Il giorno della penultima partita del campionato di Quidditch, Tassorosso
contro Serpeverde, era arrivata in un batter d’occhio, e per quanto sia i
Grifondoro che si Corvonero desiderassero che fosse Serpeverde a vincere, alla
fine il boccino della vittoria era stato afferrato dal Cercatore di Tassorosso.
La partita era finita centosettanta a ottanta, e i Tassorosso si erano
accaparrati il terzo posto, mentre i Serpeverde il quarto.
Il mese successivo si sarebbe disputata quindi la finale tra Grifondoro e
Corvonero, e Harry, in qualità di capitano, decise di intensificare gli
allenamenti a quattro alla settimana – cambiamento accolto con protesta da
Hermione che, pur non facendo parte
della squadra – si era lamentata del fatto che avrebbero anche dovuto pensare
agli esami.
Fu così che Hermione si ritrovò da sola nella Sala Comune, un sabato pomeriggio
mentre tutti erano fuori ad allenarsi o divertirsi, a studiare come una
forsennata cercando di rimuginare su quali incantesimi e domande potessero
chiedere gli insegnanti agli esami.
Dopo due ore fu costretta a chiudere con un colpo secco il libro di Antiche
Rune e si massaggiò le tempie, sentendo gli occhi farsi più pesanti e la testa
girare.
Aveva assolutamente bisogno di una pausa; si stiracchiò allungando le braccia
sulla testa e poi sprofondò nella poltrona, fissando il fuoco che scoppiettava
al suo interno, e improvvisamente la sua testa fu invasa di pensieri.
Chissà se Malfoy era andato a vedere la partita? E se non era andato, cosa
stava facendo? Era rimasto al Castello? Era tornato nella Stanza delle
Necessità?
E Tiger e Goyle, i Battitori della squadra, cosa avevano davvero in mente? Era
chiaro che stavano cercando di ostacolare Draco in tutti i modi, ma ostacolarlo
mentre faceva cosa esattamente?
Silente ovviamente non aveva alcuna intenzione di sbottonarsi, e per quanto
Hermione fosse intelligente alla fine aveva dovuto ammettere che comunque non
avrebbe mai capito cosa stava architettando Draco se non gliene avesse parlato
lui di sua spontanea volontà.
Certo, aveva già pensato di piantarsi lì davanti alla Stanza delle Necessità
con il Mantello, ma, a parte il fatto che non era sicura che la cosa avrebbe
funzionato, non aveva più avuto l’occasione di incontrare Draco e quindi di
pedinarlo.
Si sentiva stupida a usare un termine del genere, visto e considerato che fino
a pochi mesi prima quel ragazzo rappresentava la sua nemesi, una nemesi che
aveva sempre cercato di evitare come la peste.
Hermione allungò una mano verso il tavolo e afferrò un foglio di pergamena
tutto spiegazzato e inutilizzato.
Era confusa, e aveva bisogno di mettere nero su bianco tutto quello che era
successo.
Prese inchiostro e piuma e se la rigirò tra le dita, indecisa su cosa
cominciare.
Com’era iniziata tutta quella storia?
Sollevò gli occhi al soffitto e improvvisamente ricordò tutto in modo chiaro:
ma certo, tutto era cominciato con la convinzione di Harry che Malfoy avesse il
Marchio Nero.
E non aveva sbagliato affatto.
“Non ce la faccio più!” sbottò una voce isterica, e Hermione
sollevò di scatto la testa facendo un piccolo salto sulla poltrona.
L’attimo dopo Ginny, bagnata da capo a piedi, entrò come una furia e si sfilò
rabbiosamente l’elastico che le tratteneva i capelli in una coda sfatta
probabilmente dall’allenamento e, sembrava, da un bagno fuori programma, e
gettò la scopa sul divano con un gesto di disapprovazione.
Il secondo successivo, Harry sbucò nella Sala Comune con gli occhi spalancati e
le braccia tese, la bocca aperta in una richiesta che Ginny sembrava non voler
accogliere.
“Mi sono stancata di fare tutto di nascosto!” sbottò inviperita lei, marciando
dritta verso la scala che conduceva ai dormitori, e nessuno dei due sembrava
aver notato Hermione che era rimasta impietrita a quella scena.
“Ginny, ti prego, aspetta...!” la implorò Harry correndole dietro mentre
cercava di afferrarla, e Hermione si ritrovò a ridere pensando che Harry era in
grado di acciuffare i Boccini più veloci ma non riusciva effettivamente a
trattenere la sua ragazza.
Quando Ginny fu sparita sopra le scale e Harry scivolò giù per averla seguita,
Hermione diede in un colpetto di tosse e l’amico si voltò rialzandosi e
massaggiandosi il sedere.
“...Ah” disse solamente. Hermione lo vide passare dal bianco atterrito al rosso
pomodoro. “Non ti avevo visto”
“Ho notato” ridacchiò lei, facendogli cenno di sedersi sul divano.
Harry annuì mesto e spostò la scopa di Ginny, poggiandola al muro, e sprofondò
nel divano con un sospiro sconsolato e l’espressione più desolata che Hermione
gli avesse mai visto in vita sua.
“Che è successo?” domandò Hermione pazientemente, ma aveva già capito che
quella questione riguardava Ron e la relazione che Harry stava ostinatamente
cercando di nascondergli.
Harry non rispose subito. Si prese qualche secondo per seppellire la vergogna e
il rammarico, poi aprì la bocca e la richiuse. Hermione accennò un sorriso
comprensivo, tenendo ancora aperto in bella vista la pergamena su cui si era
praticamente sfogata solo qualche minuto prima.
“C’entra per caso qualcosa con il fatto che Ginny era bagnata da capo a piedi?”
Harry annuì piano, poi sospirò e si passò la mano sulla frangetta per
appiattirla contro la cicatrice.
“Mi ha baciato. Cioè, ci stavamo baciando, no? Mentre tornavamo dall’allenamento...
eravamo vicino al Lago Nero”
Hermione strabuzzò gli occhi.
“E poi mi sono sentito chiamare da Ron e con un gesto involontario l’ho spinta.
Ma... ma...” si ritrovò a piagnucolare “Non
sapevo sarebbe caduta in acqua”.
Hermione serrò le labbra cercando di non ridere, ma non le riuscì tanto bene.
Harry la guardò storto e poi allungò lo sguardo sulla pergamena.
“Cos’è? Compiti?”
Hermione, ancora con quel sorriso sornione stampato in volto, abbassò lo
sguardo di scatto e all’improvviso il fatto che quella pergamena doveva
rimanere segreta le piombò addosso come una doccia gelata.
“No, no” disse, accartocciandola e buttandola nel fuoco, “niente di
particolare, scarabocchi per passare il tempo...”.
Harry non smetteva di fissarla, così Hermione tossì un paio di volte e tornò a
rivolgersi a lui con aria saccente.
“Quindi l’hai spinta, eh?”
“E pure forte” rispose Harry in un sussurro, tornando a sentirsi a disagio.
Hermione gli regalò un paio di pacche sulle spalle.
“E Ron? Dov’è? Pensavo fosse salito con te”
“No, mi aveva chiamato per avvertirmi che rimaneva un altro po’ ad allenarsi
visto che il campo non era stato prenotato da nessuno...”
“Harry, sei un disastro”
“Lo so da me, grazie, non c’è bisogno di infierire”
Hermione rise e Harry incrociò le braccia imbronciato.
“Ho preso una decisione, comunque” esordì, dopo qualche altro minuto di
silenzio in cui entrambi aveva fissato il fuoco come ipnotizzati.
Hermione si voltò di nuovo verso di lui, incuriosita, ma non disse nulla e
aspettò che lui continuasse.
“Domani prendo la Felicis. Non riesco a ottenere il ricordo da Lumacorno,
ottengo solo porte sbattute in faccia e... non posso più aspettare”
“Ottima idea!” esclamò Hermione con un sorriso enorme, sentendosi più leggera e
per un attimo in colpa.
Aveva anche pensato di bere un po’ della Felix Felicis di Harry per poter
scoprire quello che stava facendo Draco, ma poi aveva rinunciato pensando che
comunque era una pozione troppo preziosa per sprecarla a quel modo.
“Lo farò domani mattina. Ora ho solo bisogno di riposo” disse Harry alzandosi e
stiracchiandosi. Si allontanò e sparì su per la scala del dormitorio maschile,
e Hermione tornò a fissare il fuoco nel quale bruciava il foglio di pergamena
che vi aveva gettato dentro.
C’era mancato davvero poco.
*
“Come ti senti?”
Harry sollevò davanti agli occhi la boccetta ancora semipiena di Felix Felicis
e improvvisamente sentì di poter fare qualunque cosa.
Osservò Ron e Hermione al di sopra della fiala e la infilò tra le mani di
quest’ultima con un enorme sorriso.
“Bene, davvero bene!” esclamò con un gran sorriso, e Ron lo fissò un po’
innervosito mentre Hermione riponeva la pozione nella borsa.
Harry si alzò e si guardò intorno: era una sensazione fantastica. Sentiva di
avere tutte le possibilità di questo mondo ed era sicuro che anche se si fosse
buttato dalla torre di Astronomia, deciso ad atterrare sui piedi dopo qualche
salto mortale, ce l’avrebbe fatta senza nessun problema.
Gonfiò il petto e guardò fuori dalla finestra, e pensò che nessuna giornata gli
era mai sembrata bella come quella.
“Ottimo. Ottimo” disse, e Ron e Hermione si gettarono un’occhiata nervosa ma
non dissero nulla.
Harry si voltò verso di loro, si esibì in un sorriso enorme e coprì in poche
falcate la distanza che lo separava dal corridoio dietro al ritratto della
Signora Grassa.
Ron e Hermione si alzarono.
“Dove vai, Harry?!” chiese Ron, e Harry si fermò, si voltò e disse, come se
fosse la cosa più semplice e ovvia del mondo: “Vado da Silente!”.
Hermione e Ron spalancarono gli occhi.
“Cosa? No, Harry! Devi andare da Lumacorno! Devi convincerlo a darti il suo
ricordo!” sbottò Hermione incredula.
“Siamo sicuri che quella fiala contenga Felix Felicis?” domandò Ron cauto, e
Harry buttò fuori una risata cristallina.
“Ma certo!” esclamò gioviale, si voltò e si arrampicò su per il buco dietro il
ritratto.
Hermione sentì il dipinto aprirsi con un cigolio, richiudersi, e l’attimo dopo
il cigolio si ripresentò più forte e Harry tornò velocemente nella Sala Comune.
Ron lo fissò con tanto d’occhi.
“Hai dimenticato qualcosa?” gli chiese, e fece un passo indietro vedendo che
Harry si stava avvicinando a lui come una furia.
Harry si bloccò davanti a Ron e divenne improvvisamente serissimo; gli poggiò
una mano sulla spalla e parlò solenne.
“Ron, sono settimane che devo dirti una cosa, ma mi è sempre mancato il
coraggio”.
Hermione capì immediatamente cosa stava per dire Harry, ma non lo interruppe:
sapeva che non era giusto che Harry glielo dicesse sotto effetto della Felicis,
perché in quel caso la reazione di Ron sarebbe stata irrimediabilmente
compromessi dalla pozione, ma, lo stesso, rimase in silenzio.
“Harry, cosa...?”
“Sto con Ginny. Da quando Grifondoro ha vinto contro Tassorosso”.
Ron spalancò gli occhi e aprì leggermente la bocca. Hermione, allarmata, spostò
lo sguardo da lui a Harry, che continuava a fissarlo con un cipiglio severo
come se Ron avesse appena fatto qualche danno e Harry lo stesse rimproverando.
Per quelle che sembrarono decine di minuti, ma che in realtà erano solo poche
manciate di secondi, nessuno parlò.
Alla fine, Ron aprì di più la bocca e la richiuse, boccheggiando.
Harry tolse la mano dalla sua spalla, gli fece un cenno con la testa e accennò
un sorriso.
“Ne parliamo dopo, ok? Ora devo andare” e prima che Ron potesse anche solo
prendere in considerazione l’idea di rispondere, Harry era già sparito di nuovo
arrampicandosi sul buco dietro il ritratto.
*
Harry si ritrovò sulla scala a chiocciola girevole che
conduceva all’ufficio di Silente, gli occhi che brillavano e una sicurezza mai
sentita prima.
C’era qualcosa di insano in quella sensazione, e si ritrovò a pensare cosa
sarebbe successo se avesse mandato giù tutta la fiala piuttosto che solo
qualche goccia.
Quando la scala si bloccò, arrivò sul pianerottolo e allungò una mano per
bussare e la ritirò l’attimo successivo sentendo una concitata voce familiare
all’interno dello studio.
Sapeva di non dover origliare, ma se aveva l’occasione di ascoltare quella
conversazione dopo aver bevuto la Felix, sicuramente voleva dire che non c’era
nulla di male.
Riconobbe la voce acuta e praticamente sconvolta, teatralmente sconvolta della
professoressa Cooman – Harry storse la bocca; le aveva sentito quel tono odioso
tante di quelle volte durante le sue lezioni, mentre gli prediceva le morti più
orribili – e quella calma e pacata di Silente, che sembrava poco interessato
alla loro conversazione.
“Non ho intenzione di sopportare oltre quel... quel... quel ronzino, Preside!”
“Cara Sibilla, lei sa benissimo che non posso rimandare Fiorenzo nella Foresta
Proibita” rispose Silente tranquillo.
Harry sentì chiaramente un sospiro furioso al di là della porta e fece un
leggero passo indietro nel caso la professoressa Cooman avesse deciso di
scagliarsi contro la porta per andarsene via oltraggiata.
“Preside, lei forse non ricorda che quasi sedici anni fa, quando abbiamo avuto
quel colloquio nella stanza della Testa di Porco, lei mi ha confermato che...”
“Ricordo benissimo quello che le dissi all’epoca, Sibilla, ma come ha ben detto
sono passati quasi sedici anni e molte cose sono cambiate”
“No, invece!” esclamò a voce alta la professoressa Cooman, e Harry sobbalzò.
Quella conversazione si stava rivelando più interessante del previsto.
Ricordava che Silente gli aveva già detto di aver dato il posto di Divinazione
a lei solo perché l’aveva sentita formulare una vera e propria Profezia, quella
famosa sera alla Testa di Porco. “Temo che lei non ricordi molto, Preside,
forse l’interruzione di Severus ha distratto la sua attenzione!”
Il fiato di Harry si bloccò in gola.
Severus? Piton?
Piton?
“Le assicuro che ho ascoltato benissimo quello che aveva da dirmi e ricordo
alla perfezione tutto quello che le ho detto nonostante l’intrusione del
professor Piton” rispose pacato Silente, e la mente di Harry iniziò a lavorare
freneticamente.
Sì, Silente gli aveva raccontato che la Profezia era giunta a Voldemort tramite
qualcun altro che aveva ascoltato la conversazione tra lui e la Cooman, ma ora
che ci pensava bene non ricordava che Silente gli avesse detto di chi si
trattava, ne che lui glielo avesse chiesto.
Come aveva potuto? Un elemento importante come quello, come aveva potuto
trascurarlo?
“Ora, se non le dispiace, avrei alcune cose di cui occuparmi, quindi...”
“Ho capito!” sentì strillare la professoressa Cooman, e Harry con uno scatto
involontario si allontanò dalla porta. “Me ne vado!”
Senza attendere neanche un secondo, Harry si precipitò giù dalla scala a
chiocciola, il cuore che batteva furioso nel petto, e si scaraventò fuori dal
passaggio dietro il gargoyle.
Prese a camminare senza avere la più pallida idea di dove stava andando, ma una
domanda in particolare spiccava tra le centinaia che gli erano appena montate
nella testa.
Aveva davvero preso la Felix Felicis, la famosa Fortuna Liquida?
Perché in quel momento si sentiva tutto tranne che felice e fortunato.
Si passò rabbiosamente una mano sugli occhi e poi sulla cicatrice mentre
percorreva freneticamente scale e corridoi senza sapere esattamente dove voleva
andare, e un solo nome gli ronzò in testa per tutto il tempo.
Piton.
Piton.
Se non fosse stato per lui, lui non avrebbe avuto quella maledetta cicatrice, i
suoi genitori sarebbero ancora vivi, probabilmente anche Sirius sarebbe ancora
vivo.
Digrignò i denti così forte che per un attimo pensò di spezzarseli e si rese
conto di trovarsi nella Sala d’Ingresso, e si diresse verso l’esterno del
Castello.
Ignorò completamente gli sguardi curiosi degli altri studenti e marciò dritto
dritto verso il Lago Nero senza un’apparente motivo.
Quando arrivò lì accanto, trovò Lumacorno seduto a terra, intento a raccogliere
qualcosa che sembrava un’alga di un colore azzurro vivo.
Harry si bloccò sul posto e non riuscì a sentire nulla se non il rimbombo del
proprio cuore nelle orecchie.
Piton. Era stato Piton. Lo stesso Piton che gli aveva dato lezioni di
Occlumanzia, lo stesso Piton che gli aveva insegnato Pozioni per 5 anni, lo
stesso Piton che finalmente aveva ottenuto la tanto agognata cattedra di Difesa
Contro Le Arti Oscure; lo stesso Piton che lo aveva disprezzato fin dal primo
giorno in cui aveva messo piede ad Hogwarts. Lo stesso Piton che aveva sempre
cercato di farlo espellere.
Il Piton ex Mangiamorte. Il Piton di cui Silente si fidava.
Sentì il mondo crollargli addosso improvvisamente.
Aveva sempre creduto a Silente e a tutto quello che gli aveva detto, non aveva
mai avuto motivo di dubitare della sua onestà, e lui gli aveva nascosto una
cosa come quella.
E come gli aveva detto Hermione una volta, se non poteva fidarsi di Silente non
poteva fidarsi di nessuno.
Strinse i pugni così forte e si conficcò le unghie nella carne, ma non se ne
curò.
Aveva voglia di colpire qualcuno, di fare a pezzi qualcosa, di sfogarsi.
Forse sarebbe anche tornato nell’ufficio di Silente e gliene avrebbe cantate
quattro, giusto per rendere noto il suo leggero
disappunto.
“Harry?”
Harry sollevò la testa e si trovò davanti Lumacorno.
Non si era neanche accorto di aver spostato lo sguardo da lui a terra, né si
era accorto che il Professore gli si era avvicinato così tanto.
“Tutto bene, Harry?” domandò ancora Lumacorno, e Harry si accorse di avere gli
occhi lucidi.
Si passò il dorso della mano sugli occhi velocemente e poi riabbassò il
braccio, stavolta animato non più da rabbia, ma da un opprimente senso di
impotenza.
Non rispose, comunque, e questo dovette bastare a Lumacorno perché si
dimostrasse un po’ più gentile di com’era stato negli ultimi tempi.
“Vuoi... venire nel mio ufficio? Se hai bisogno di parlare...”
“Sì” rispose subito Harry, e si stupì anche lui. Non aveva assolutamente voglia
di parlare di ciò che aveva appena sentito, aveva bisogno di capire e sistemare
la sua confusione da solo, ma aveva sentito che ‘sì’ era la sola risposta da
dare in quel momento.
Lumacorno, dopo il primo attimo di sgomento, annuì con la testa e si incamminò
verso il castello.
Harry gli andò dietro senza dire una parola.
Quando Harry prese posto sul divanetto nell’ufficio di
Lumacorno, il professore andò a raccogliere un paio di bicchieri e una
bottiglia di Idromele.
Si avvicinò al tavolino e riempì i calici, portandone poi uno a Harry.
Harry lo osservò smarrito, e Lumacorno cercò di parlare rassicurante.
“Tranquillo, non è avvelenato. Da quando è successo quel pasticcio, faccio
controllare sempre le bottiglie che compro”
“Da chi le fa controllare?”
“Dagli Elfi Domestici: ne faccio bere un po’ a loro per vedere se è
avvelenato”.
Harry serrò le labbra e cercò di figurarsi la reazione di Hermione se avesse
saputo una cosa del genere. Probabilmente sarebbe corsa dal professore
spiaccicandogli in faccia tutte le spille del C.R.E.P.A. e avrebbe passato ore
a leggergli articoli su articoli su quanto gli Elfi fossero sfruttati dai
Maghi.
Lumacorno si sedette di fronte a Harry.
“Allora, ragazzo mio... Ti vedo sconvolto. Posso chiederti cosa c’è che non
va?”
Harry deglutì fissando il bicchiere che stringeva in mano, e lo poggiò sul
tavolo senza bere neanche un sorso.
“Ho scoperto una cosa sui miei genitori” disse.
Lumacorno, che si era portato il calice alle labbra, sobbalzò appena e si
rovesciò qualche goccia dell’Idromele sul vestito; prese un fazzoletto e si
tamponò la pancia.
“Oh... Oh, capisco” disse. Harry pensò che probabilmente era curioso di sapere
cosa, ma non l’avrebbe mai chiesto.
“Ha... mai saputo come sono morti?” chiese cercando di risultare incerto,
quando effettivamente incerto non era.
Certo, era sconvolto, ma la forza della Felix Felicis gli diceva cosa dire e in
che tono dirlo.
Lumacorno si prese un attimo per rispondere, torcendo tra le mani il fazzoletto
con cui si era pulito.
“Io... sì, ho sentito delle voci” disse, e Harry accennò un debole sorriso.
“La prima volta che ho visto mia madre – la prima volta da che ne ho memoria - è
stato in questo castello. Al primo anno”
Lumacorno lo fissò confuso, ma non disse nulla.
“C’era una stanza in cui era custodito uno specchio. Lo Specchio delle Brame.
Ti mostrava il tuo desiderio più grande, quello che poteva renderti felice come
nient’altro poteva fare. E io ho visto lei, e mio padre. Ho sempre visto loro”.
Harry sentì distintamente Lumacorno deglutire, ma non si fermò. Sapeva di star
facendo la cosa giusta, facendo leva sui suoi genitori: d’altronde non era un
segreto il fatto che Lumacorno fosse molto affezionato a sua madre, e che la
sua morte lo avesse sconvolto come pochi.
“Sa che mio padre è morto prima? Ha tentato di fermare Voldemort prima che
raggiungesse mia madre e me, ma è stato ucciso”.
Lumacorno tremò incontrollabilmente sentendo il nome del suo vecchio studente,
ma Harry non si permise di rimanerne intimorito o comunque dispiaciuto. Aveva
una cosa da fare, e nonostante la sua simpatia per Silente in quel momento
rasentasse lo zero, doveva per forza prendere quel ricordo.
“E poi, Voldemort è entrato nella mia camera, intimando a mia madre di farsi da
parte. Sa che non voleva ucciderla? Le aveva detto che poteva salvarsi, se solo
mi avesse lasciato a lui...”
Lumacorno sembrò ritrovare le parole, che comunque gli uscirono dalla gola
molto strozzate.
“Come fai a sapere...”
“Li sento” rispose semplicemente Harry. “Li sento ogni volta che mi si avvicina
un Dissennatore. Sono famosi per farti ricordare le brutte cose, e questo è il
mio brutto ricordo”.
Vedendo che il professore non accennava a rispondere, continuò.
“E poi mia madre non ha voluto lasciarmi. Non ha voluto lasciarmi e allora
Voldemort l’ha uccisa mentre lei lo supplicava di risparmiarmi”.
Ora gli occhi di Lumacorno era lucidi, e Harry si sentì sicuro.
Decise di dare il colpo finale.
“Mia madre ha dato la vita, e lei non vuole darmi un semplice ricordo”.
Lumacorno sobbalzò ancora sul posto e una lacrima solitaria gli scivolò giù
dalla guancia, ma la fece sparire subito passandovi sopra una mano.
“I-io... Harry, quello che mi stai chiedendo...”
Harry si sporse in avanti e puntò gli occhi verdi in quelli di Lumacorno.
“Professore” disse serio, le sopracciglia corrugate “Io sono il Prescelto. Devo uccidere Voldemort, ma non posso
farlo se lei prima non mi consegna il suo ricordo”
“Tu sei il Prescelto?” esalò Lumacorno. Harry pensò che fosse sul punto di
svenire, tanto aveva parlato con voce flebile. “Sei davvero il Prescelto? Come
dice la Gazzetta...”
“Oh, quelli non sanno nulla” lo rassicurò Harry, “Ma sì, sono il Prescelto. Io
devo uccidere Voldemort”
Lumacorno arricciò le labbra e lentamente, molto lentamente estrasse dalla
tasca della giacca una fialetta trasparente.
Il cuore di Harry fece un balzo nel petto.
L’attimo dopo, la bacchetta tenuta nella mano tremante di Lumacorno fece fuoriuscire
dalla sua testa un lungo e filamentoso ricordo argenteo, che venne poi
racchiuso nella fiala.
“Ti prego, non... non giudicarmi...” sussurrò Lumacorno atterrito.
Harry prese con decisione la fiala dalla sua mano tremante e cercò di sorridere
incoraggiandolo.
Ce l’aveva fatta.
After you read:
Sì, sono in ritardo e sì, Draco e Hermione non sono comparsi
manco stavolta :s
Però capitemi, su u.u qui è Harry a dover comparire di più, sono esigenze di
copione, non è colpa mia!
Non ho nulla da dire sul capitolo se non che, purtroppo, chi non ha letto il
libro sarà un po’ di difficoltà con tutte le rivelazioni su Piton e la
Profezia.
Insomma, spero che però vi sia piaciuto!
Vi ringrazio tantissimo per i commenti, tutti voi *-* E ringrazio anche voi che
preferite, seguite e ricordate *-*!!!
Alla prossima
Tonna <3