Film > L'Ultimo Dei Mohicani
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Autore: Eilan21    12/03/2012    4 recensioni
Una ri-narrazione del film dal punto di vista di Alice, con delle scene aggiunte. Centrato sulla storia d'amore tra Alice e Uncas, e con una piccola sorpresa nel prologo. Adoro il film e volevo contribuire... Enjoy!
NOTA: In fase di revisione. A breve ne pubblicherò una versione ampliata e riveduta!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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[NdA: Ovviamente, non posseggo né la storia né i personaggi. Ho scritto questa fiction solo per divertimento, e se la storia vi piace per favore fatemelo sapere (anche se non vi piace... le critiche costruttive sono sempre bene accette!). Il titolo della storia è ispirato al significato del nome del popolo Mohicano, ovvero “The people of the waters that are never still”.]

 

 Primavera 1762

 Alice si chinò presso il ruscello per riempire d'acqua l'otre che teneva in mano. Nel tirarsi su avvertì una fitta alla schiena, ma non si lasciò sfuggire un lamento. Eppure non era sempre stato così.

 Durante la sua intera infanzia e poi durante l'adolescenza Alice Munro era stata tenuta nella bambagia e piuttosto viziata. Secondogenita del Colonnello Edmund Munro, Alice era sempre stata la preferita di suo padre. Forse perché assomigliava tutta a sua madre, che si chiamava Alice come lei e che era morta nel darla alla luce. Cora, che aveva ben sei anni più di Alice, aveva sempre avuto un carattere ribelle e testardo; nonostante volesse un gran bene a suo padre, e lui a lei, i due si erano scontrati più di una volta. Alice invece era una creatura dall'indole naturalmente dolce e remissiva, la vera immagine di una dama, e questo riempiva il cuore del Colonnello Munro di gioia. Era stata abituata al meglio, ai vestiti lussuosi, ai ricevimenti mondani... raramente le era stato negato qualcosa. Era abituata a protestare ogni qualvolta la cameriera, nel pettinarle i capelli, li tirava un po' troppo forte. Ma questo era prima che sperimentasse la vita della Frontiera. Lì non si sarebbe mai sognata di lamentarsi per questioni tanto futili. Ma, anche se dura, la vita sulla Frontiera per Alice significava libertà. Significava provare il lato vero dell'esistenza, libera dalle falsità e dall'ipocrisia; significava vivere veramente.

 Nel tirare su il recipiente alcune gocce traboccarono bagnandole il vestito di pelle conciata. Alice lo posò a terra e si passò le mani sulla schiena dolorante e poi, brevemente, sul ventre prominente. Sospirò tra sé e sé: sapeva che Uncas non sarebbe stato contento di sapere che aveva compiuto il tragitto dal ruscello al villaggio da sola con l'otre d'acqua al settimo mese di gravidanza. Ma Alice si sentiva in piena forma e non aveva voglia di essere tenuta sotto una campana di vetro quando stava sperimentando una fase naturale della vita di una donna. Sono stata tenuta fin troppo sotto una campana di vetro nella mia vita, pensò Alice.

 Poi un pensiero improvviso la colpì, e girò in fretta la testa a destra e a sinistra.
Hinun, dove sei?”, chiamò con il cuore in gola.

 “Sono qui, mamma”, si levò una vocina subito dietro di lei.

 Alice tirò un sospiro di sollievo e si sporse a fare una carezza sulla guancia del figlio, che ora le stava di fronte con le mani intrecciate dietro la schiena.

 Quattro anni da compiere a breve, Hinun assomigliava tutto a suo padre... gli stessi zigomi alti, lo stesso naso dritto, gli stessi occhi e gli stessi capelli neri che gli scendevano sulle spalle e che sua madre intrecciava alla maniera indiana.

 Era senza dubbio un figlio della sua stirpe, il colore brunito della sua pelle, appena mitigato dal retaggio materno, ne era il segno più lampante. Ogni volta che lo guardava Alice vedeva in lui Uncas. Mentre lei, con tutta la buona volontà, non sarebbe mai potuta essere scambiata per un'indiana. Da cinque anni a quella parte vestiva alla maniera indiana, aveva imparato a parlare la loro lingua, aveva fatto propri i loro usi e costumi. Ma la sua pelle chiara, i lunghi capelli biondi che ora le scendevano in un'unica treccia lungo la schiena, gli occhi grigi la facevano spiccare come un lupo in un recinto di pecore. Non che le importasse: i Delaware l'avevano accettata da molto tempo come sposa di Uncas, la rispettavano e la facevano sentire a casa propria.

 Alice non rimpiangeva niente del proprio passato, della vita che si era lasciata alle spalle. E il fatto che anche Cora e Nathaniel, assieme alle loro due bambine, si fossero stabiliti al villaggio, aveva aiutato tanto Alice nei primi mesi di quella vita completamente nuova per lei. Anche Chingachgook risiedeva al villaggio, in una wigwam non lontana dalla loro. Di tanto in tanto si allontanava per qualche settimana, incapace di resistere al richiamo della vita nomade che aveva condotto per tanto tempo dopo che la sua stirpe era scomparsa. Ma presto o tardi faceva sempre ritorno nel piccolo villaggio Delaware del Can-tuck-ee per stare con il figlio e l'adorato nipote. Il Can-tuck-ee, sebbene lontano dalla regione d'origine dei Mohicani che era l'attuale Nuova Inghilterra, era un luogo molto più sicuro. Così ad ovest, l'uomo bianco ancora non si era spinto e gli indiani potevano vivere in pace.

 “Posso andare a vedere i pesci, lì?” chiese Hinun indicando con il dito paffuto un punto imprecisato del ruscello.

 Alice annuì. “Ma non sporgerti troppo, o rischi di cadere in acqua. E non attardarti, dobbiamo tornare al villaggio prima che arrivi tuo padre.” Uncas era andato a caccia quella mattina con gli altri guerrieri, e sarebbe tornato da un momento all'altro.

 Mentre il bimbo trotterellava via, Alice lo seguì con lo sguardo, sorridendo. Insieme a Uncas, Hinun era diventato tutto il suo mondo. E presto ci sarebbe stato un altro bambino da coccolare. La giovane donna si passò una mano sul ventre rotondo e sentì il piccolo scalciare. Forse questa volta si sarebbe trattato di una bambina... sia lei che Uncas lo speravano.

 Alice attese qualche altro minuto, poi richiamò il figlio e, scostandosi la treccia dorata dalla spalla, alzò il recipiente e cominciò ad incamminarsi verso il villaggio. Hinun le camminava ubbidientemente al fianco, aggrappandosi di tanto in tanto alla sua gonna.

 “Mamma, perché non posso andare a caccia con mio padre?”, brontolò improvvisamente il bambino.

 Alice lo guardò divertita. Hinun adorava il padre, e non sognava altro che il momento in cui avrebbe potuto fare tutto ciò che faceva lui.

 “Devi avere ancora un po' di pazienza, tesoro. Quando sarai un po' più cresciuto tuo padre ti insegnerà ad andare a caccia e ad essere un bravo guerriero.”

 Il bambino non disse nulla, ma sporse leggermente il labbro inferiore in una tipica espressione infantile di contrarietà.

 Alzò di nuovo lo sguardo sulla madre, come se avesse deciso di esprimere qualcosa a lungo ponderato. “Allora mi dici perché tutti quanti al villaggio hanno i capelli neri e la pelle scura, e tu invece no? Perché nessun altro ha i capelli chiari come i tuoi?”

 Alice deglutì, completamente colta di sorpresa. Ma mentalmente si diede della stupida: avrebbe dovuto prevedere che prima o poi Hinun le avrebbe rivolto una domanda simile. Prima o poi si sarebbe chiesto perché sua madre era diversa da tutti gli altri indiani, e lei avrebbe già dovuto pensare ad una risposta da dargli. Ma in realtà l'unica risposta che poteva dargli era il racconto di come aveva incontrato suo padre. E Hinun era davvero troppo piccolo per una simile storia. Così replicò evasivamente, e cercò di distrarre la sua attenzione, raccontandogli di come Uncas lo avrebbe portato a vedere i cervi, espediente che funzionò a meraviglia.

 Eccitato, il bambino percorse gli ultimi metri che li separavano dal villaggio di corsa, specialmente quando vide suo padre. Uncas stava venendo loro incontro con le braccia tese. Hinun vi si tuffò, e il giovane guerriero lo sollevò senza sforzo tenendolo in alto, mentre il bimbo rideva felice. Dietro di loro, improvvisamente, apparve la figura familiare di un uomo che aveva superato la mezza età.

 “Nonno!”, gridò Hinun quando vide di chi si trattava.

 “Non vieni a salutarmi, mio piccolo guerriero?” rise Chingachgook, mentre il piccolo correva ad abbracciarlo, raccontandogli mille cose insieme.

 Fu in quel momento che Uncas spostò la sua attenzione sulla figura di sua moglie, che si avvicinava a lui, i contorni sfumati contro la luce del tramonto. Nonostante la gravidanza avanzata il suo corpo non aveva perso nulla della sua snellezza. Uncas le andò incontro, prendendole l'otre dalle mani.

 “Te l'avevo detto che non devi sollevare pesi”, la rimproverò dolcemente.

 Lei gli mise le braccia intorno al collo e sollevò il viso verso quello di lui. Uncas non si fece ripetere l'invito e la baciò dolcemente. Poi Alice si tirò un poco indietro per guardarlo in viso, e in quei meravigliosi occhi scuri vi lesse lo stesso amore appassionato di sempre.

Forse Hinun era troppo piccolo per conoscere la storia di come i suoi genitori si erano incontrati e innamorati, ma Alice non l'avrebbe mai scordata. Non avrebbe mai scordato il momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli scuri e profondi di Uncas e la sua vita era cambiata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

   
 
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