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Autore: Karyon    12/03/2012    1 recensioni
C'è chi vive tutta la vita in un minuto.
Lui aveva deciso di bruciarla tutta in un istante, quel giorno al Black Manor.
Genere: Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Da qualche parte, in qualche tempo si era detto che “gli occhi erano lo specchio dell’anima”.
Se fosse stato davvero così, allora lui si trovava in guai molto grossi perché in casa non c’era più nessuno da tempo.
 

Breathless
 
C’è chi vive tutta una vita in un minuto.
Lui aveva deciso di bruciarla tutta in un istante, quel giorno al Black Manor, quando aveva pensato – per poche, maledette ore – di poter sfiorare una felicità che per quasi tutta la sua esistenza gli era stata negata.
L’Ordine della Fenice era risorto dalle proprie stesse ceneri, occupando gli avanzi di quell’antica grandezza che lui non aveva mai neanche voluto e che aveva deciso di smerciare per uno scopo infinitamente più grande, nella speranza di ritrovare in quel gesto anche un po’ di ossigeno.
Ed era di quello che andava a caccia, muovendosi senza requie in quei corridoi dall’aria spessa e gonfia d’incubi, mentre tutti – Auror, vecchi membri, professori di Hogwarts, spie, maghi e streghe – pianificavano, discutevano, decidevano, agivano.
C’era tutto un mondo brulicante in quella bara fatta di legno marcito, risvegliato come per magia dalla speranza di distruggere il male e ritornare alla “normalità”.
Tuttavia lui non faceva altro che dibattersi in agonia, come un pesce preso all’amo e già quasi tirato fuori dal fiume che scorreva impietosamente sotto e attorno a lui, fregandosene del fatto che un suo pezzo stava per essere trascinato via per sempre.
Sirius si sentiva così per la maggior parte di quella che, dal momento in cui James e Lily erano morti, non si azzardava neanche a chiamare vita.
Forse fu proprio per questo motivo che, quel giorno, decise di farlo: di buttarsi nel fuoco come mai aveva pensato sarebbe stato possibile, lasciando che le fiamme gli bruciassero le carni fino a lasciare solo ossa.
Dopotutto da allora lui non era altro che quello: un cadavere morto da tempo che aveva cercato, un’ultima volta, di provare a vedere cosa voleva dire “esistere”.
 
C’è chi vive tutta la vita in un minuto.
Sirius ne aveva ricevuto un piccolo assaggio che era stato come una sorsata d’acqua gelida dopo il caldo rovente.
Quando Remus avanzò dall’ingresso tetro e silenzioso, per raggiungere il salotto immerso in un crepuscolo ormai perenne, Sirius capì cosa voleva dire viaggiare con la mente alla velocità della luce. Tutta la sua vita si consumò, letteralmente, in ritagli di attimi, ricordi, frammenti di dialoghi come pergamene bruciacchiate ai bordi; tutta stesa davanti agli occhi e nella mente, a scorrere imperterrita tra loro mentre il tempo si fermava in una curiosa quanto anomala stasi circoscritta.
Poi Remus sorrise brevemente e il filo si spezzò, sparpagliando tutto in quel presente che per Sirius era solo una fotografia sbiadita di un tempo passato.
«Ciao, Padfoot».
«Ciao, Moony» sorrise anche lui, in qualche modo, con una forza che attinse chissà da quale realtà antica.
Non si vedevano da giorno in cui finalmente la verità fu rivelata, nonostante si fossero scritti e parlati anche attraverso tutti gli altri membri dell’Ordine, incluso Silente.
Eppure fu qualcosa di diverso e Sirius lo sentì fin dentro ai muscoli tesi allo spasmo e al cuore, che gli batteva con una forza tale da temere l’implosione.
Nei due anni che aveva trascorso lasciato a se stesso, in giro per il Mondo e poi di nuovo in quella casa che lo aveva visto prigioniero da sempre, Sirius aveva pensato molto a lui: dal sospetto, al sollievo, alla malinconia, alla delusione dell’assenza di contatto e ritorno.
Remus gli aveva mescolato dentro un’enormità di sentimenti che non credeva più di avere, prosciugati da tanti anni di furia e pianti. Si era indurito, aveva lasciato che la fiamma dell’ossessione gli bruciasse l’anima ma, malgrado tutto, le emozioni erano ancora lì; forse messe da parte, forse bagnate di un’amarezza profonda e insanabile, ma erano lì. Per lui.
«… hanno già iniziato la riunione?»
Probabilmente in tutto quel lasso di tempo Remus aveva parlato, anche se lui non aveva afferrato che l’ultima frase; battendo le palpebre, Sirius accennò a un gesto affermativo, poi lo sguardo fu catturato dalla poltrona logora e sporca, gettata in un angolo.
Remus emise un leggero, impercettibile sospiro che sapeva di consapevolezza e si tolse il pesante soprabito rammendato troppe volte «Come stai?»
Sirius tornò a guardarlo, ma non rispose subito: sapeva che una domanda così, pronunciata da lui, aveva un significato complesso che non era solo quello superficiale che chiunque poteva intendere. Remus era sempre il solito, dopotutto, e lo conosceva meglio di chiunque altro.
«Diciamo bene. Almeno questa casa è servita a qualcosa di utile» borbottò, con tono brusco.
L’altro annuì, come se fosse proprio la risposta che si aspettava «Certo, sicuramente è stata un’ottima scelta…» commentò, fissandolo di sottecchi. «Ma non parlavo di questo».
Toccò a Sirius alzare lo sguardo «Lo so» fece, cercando d’imprimere in due sole parole tutta ciò che la sua anima conteneva o, meglio, non conteneva.
Remus, intanto, pensò che quegli occhi erano troppo vuoti per una persona che era ancora viva.
 
C’è chi vive tutta la vita in un minuto.
Remus non credeva fosse una cosa salutare.
Per uno che la vita aveva dovuto guadagnarsela a suon di morsi e graffi, una concezione del genere era semplicemente un delitto.
Prima di prendere una decisione, lui ponderava e ponderava, pensava a qualsiasi implicazione voluta e non che poteva scaturire da una sua scelta; lui, diceva Sirius, era sempre troppo occupato a vivere in punta di piedi.
Tuttavia questa sua propensione a non disturbare, a non ferire, a non far del male non era servita a frenare altro male, quello che filtrava nel mondo nonostante tutti i suoi bei propositi.
Nonostante la convinzione di essere riuscito ad evitare, con quello stratagemma, più errori di quanti ne avrebbe potuto fare, Lily e James erano morti comunque; Voldemort era diventato sempre Voldemort e i Mangiamorte avevano seminato comunque terrore.
A cosa era servito?
Forse, fu proprio per quella convinzione che, quel giorno, accadde.
Il fuoco lo avvolse come un uragano di sensazioni, antichi desideri e speranze di realtà possibili.
In quel momento, Remus pensò quasi che la felicità fosse possibile; ne sentì il profumo avvolgerlo per pochi istanti, come un’illusione piacevole e che faceva comunque male.
Non ricordò precisamente quando avvenne, forse quando lui e Sirius si scambiarono quel primo sguardo, dopo anni, mentre accedeva nel salotto immerso in una luce innaturale.
Quegli occhi che sapevano di rabbia e terrore, di desideri che strappavano l’anima e morte incombente, nonostante la vita che ancora scorreva.
Bruciavano come fuochi nel buio, eppure erano così vuoti da lasciare il sentore che fosse tutto falso; Remus pensò alle stelle, che brillavano insistentemente ma di una luce di mille anni prima, mentre giacevano già morte in attesa solo di essere scoperte.
Sirius era forse già morto dentro, quando gli rivolse quelle poche parole in cui c’era un intero universo che entrambi non avevano né il coraggio, né la volontà di liberare ancora.
Eppure brillava di luce fosca e cupa, faceva male solo a guardarlo.
Però era Sirius, sempre lui da qualche parte – con lo spettro di un ghigno e l’ombra di se stesso a richiamarlo.
Quello e mille altre cose, il futuro impossibile per chi come loro era ancorato a un passato che incombeva onnipresente nei loro occhi, il profumo invitante e proibito dei sogni e dei desideri smorzati sul nascere, la consapevolezza che erano sempre loro, loro da qualche parte nel fiume che scorreva impetuoso… tutto quello a sancire ciò che sarebbe avvenuto da lì a poco, naturale come l’ossigeno, semplice come la vita che entrambi ancora inseguivano da capi opposti di una fune.
Un solo sguardo che fu come una promessa.
 
C’è chi vive un’intera vita in un minuto.
Remus lo capì, finalmente, quando in silenzio raggiunse la camera di Sirius, quel pomeriggio stesso.
Non avevano veramente parlato in quelle conversazioni fatte di monosillabi trascinati dalla stanchezza, né tanto meno avevano  chiarito alcunché, di quello che era successo nei mesi, anni precedenti.
Una parte di sé era ancora convinta che non ce ne fosse alcun bisogno.
Quasi mettendo su la sua vecchia aria da Prefetto, bussò sommessamente alla porta in legno scuro e guasto, senza ottenere risposta.
«Sirius…?» Provò a dire, spingendo e facendo un primo passo all’interno.
Quella stanza l’aveva vista una volta soltanto, quando un’estate James lo aveva trascinato fino a lì, incurante di quello che la Famiglia Black avrebbe fatto loro – a lui – se li avessero scoperti.
Una sola volta e l’aveva impressa nella mente come monito di ciò che non avrebbe mai posseduto e mai avrebbe avuto la fortuna di vivere; tuttavia Sirius sembrava scocciato da tanta opulenza e, adesso come allora, la sua espressione era quella di qualcuno segregato a forza in una prigione.
Entrò quasi con soggezione e si ricordò all’istante dei bei quadri che Sirius aveva cercato invano di ricoprire con cartoline, post it e calendari; ricordò l’enorme letto dalle lenzuola candide e dalla struttura elegante di ottone lavorato.
Letto su cui, per inciso, c’era sdraiato proprio lui.
Remus osservò per qualche istante quei capelli cosi conosciuti e ribelli, lasciati lunghi a sparpagliarsi sul cuscino rovinato, il petto che si alzava e abbassava leggermente al respiro addormentato. Sirius era sempre stato oggettivamente bello, ma ora possedeva quella bellezza malinconica e rovinata delle sculture, un tempo lustre, abbandonate alle intemperie.
 Fece qualche altro passo avanti sul bel tappeto sbiadito dal tempo, scivolando i polpastrelli sull’ottone e scoprendo così la lucentezza sotto strati di polvere; aspettò qualche altro secondo, poi si schiarì la gola.
Sirius si mosse, mugolando, poi spalancò gli occhi di scatto mentre il respiro gli si mozzava in gola. Remus capì con tristezza che anche il suo sonno pesante e i suoi risvegli gioviali – che tanto lo avevano fatto penare ad Hogwarts – erano ormai scomparsi.
Quello era il Sirius degli incubi a occhi aperti e dai respiri affannati e spezzati.
«Non dovevamo vederci in salotto noi due?» Gli fece, dopo che lo vide calmarsi.
L’altro sembrò metterlo a fuoco solo in quel momento, poi sospirò «Sì, scusami. Ho un po’ di problemi con i ritmi sonno-veglia ultimamente» ironizzò, con voce pacata.
Remus scosse il capo «Non preoccuparti. Se vuoi vado e continui a risposarti».
Sirius si mise a sedere su un lato del letto, con i piedi scalzi tra il caos del pavimento, poi rise – la risata era sempre quella, simile al latrato di un cane giocherellone.
«Non trattarmi come un vecchio decrepito, anche se ormai lo sono almeno fisicamente!»
«Se ti consola, anch’io sembro avere circa cinquant’anni» replicò Remus, i cui capelli già striati di grigio e le rughe del viso dimostravano inconfutabilmente quella verità.
Sirius gli lanciò un’occhiata divertita «Ah, solo?»
«Da uno che schiaccia il pisolino delle tre del pomeriggio, non accetto repliche!» Esclamò, alzando una mano sottile.
Si sorrisero e qualcosa sembrò mettersi a posto, forse uno dei minuscoli tasselli di quel puzzle immenso; il disegno però a malapena si riconosceva dai numerosi spazi ancora lasciati vuoti.
Dopo, non sapevano bene con quale “via”, cominciarono a parlare tanto – persino troppo, esulando l’abitudine del silenzio consolidata negli anni in modo misterioso.
Le parole fluirono come se l’argine del fiume impetuoso si fosse rotto, allagando ogni cosa; si immersero nel passato a piene mani, attingendo ricordo dell’uno e dell’altro come tesori preziosi.
Nel bel mezzo di una memoria particolarmente divertente, James che veniva schiantato per l’ennesima volta da Lily, Remus cominciò a ridere.
Sirius si bloccò, guardandolo con occhi lucidi di divertimento «E’ bello sentirti ridere, credevo non ne fossi più capace» fece, con sincerità disarmante.
La risata di Remus non aveva nulla a che vedere con la sua o quella scrosciante di James; era una risata lieve e breve, come se non volesse dar noia. Un po’ com’era lui, che non voleva mai farsi notare.
Remus s’interruppe e abbassò lo sguardo «Neanche io lo credevo» rispose, con altrettanta sincerità.
Era stanco di evitare il passato, quello che era successo, quello che era – erano – diventati. Forse aveva bisogno di Sirius che, all’opposto, viveva ancora quel passato in modo così vivo, mentre lui l’aveva accantonato in un angolo remoto del cervello.
Però, come una cerimonia obbligata, gli chiese comunque scusa per aver iniziato.
Sirius si distese sul letto, incrociando le caviglie e appoggiando la schiena al cuscino rialzato «Sai benissimo che non devi scusarti, quindi di cosa blateri?» Ribatté, perspicace come al solito, inclinando il capo su un lato.
Remus scrollò le spalle, appollaiato sulla testata del letto.
«Non dovresti star seduto lì. A parte la scomodità, vorrei anche farti notare che quello è ottone. Si rovina» osservò con aria supponente, mentre Remus si accigliava: guardò di nuovo l’impalcatura, ormai quasi lucida da tanto l’aveva toccata, che rifletteva riverberi ramati, cupi eppure luminosi.
«Mi sembrava non fossi mai stato interessato alle ricchezze della tua mobilia» disse, tornando a guardarlo.
Sirius si produsse in un’elegante scrollata di spalle «Con la mia camera è un po’ diverso… in realtà questo letto è una delle poche cose che mi piace. L’ultima volta ho eliminato le lenzuola da bomboniera e il materasso ammuffito, però la struttura di ottone mi piace! Almeno non è oro zecchino» fece sarcastico, stiracchiandosi come un gatto.
Remus abbandonò la prima domanda che gli era fiorita in mente – davvero esistono dei letti costruiti in oro zecchino? – e si concentrò sulla cosa importate: il suo sguardo che, senza motivo apparente, aveva cominciato a vagare in giro per la stanza, senza requie.
Sirius si ricompose in una posizione vagamente normale e ghignò «Che c’è, sei a disagio?»
«No» buttò lì lui, lanciandogli un’occhiataccia.
Come già detto, lo conosceva persino troppo bene.
«Invece sì… inutile che inventi storie con me» ribatté, divertito. Poi, come se un interruttore gli si fosse spento nel sorriso, ritornò serio e si sollevò quasi a sfiorarlo «Mi sei mancato» gli sussurrò, con uno slancio inatteso.
Remus rimase immobile, incollato e irrigidito «Pads, cosa…?» tentennò, ritrovandosi a fissarlo negli occhi tormentati, vicinissimi.
«Niente, Moony. Mi sono buttato».
 
Si mossero con lentezza, esasperante ed esasperata, che profumava di paura e attesa.
Come seguendo uno schema prefissato nelle mani, Remus scivolò giù dalla costruzione di ottone, nello stesso momento in cui Sirius gli sfiorò i polsi sottili.
«Sirius, non dovremmo farlo» gli usci con voce ferma, ma l’altro scosse semplicemente il capo in silenzio, mentre andava a baciargli il collo.
Conosceva quella frase e riconosceva la sua voce, quando gliel’aveva pronunciata varie volte durante gli ultimi anni di Hogwarts.
Eppure era diversa, dotata della fermezza dell’uomo adulto e della consapevolezza del momento in cui stava accadendo.
La sola volontà di buttare fuori tutto, per una volta.
Sirius gli baciò una volta sola il collo, naturalmente scuro in contrasto con la sua pelle livida, poi tornò a guardarlo.
Remus nascose gli occhi sotto un battito di palpebre, poi si avvicinò fino a posare le labbra sulle sue, suggellando un attimo già scritto dalla mattina in cui si erano guardati in salotto.
Il letto scricchiolò, quando si adagiarono mollemente sulle lenzuola, con gesti ancora lenti, ancora pigri. Dopotutto non avevano bisogno di sesso, non avevano bisogno di furia o di passione: ne avevano avuto abbastanza di tutto quello. Avevano bisogno di calma e lentezza, di serenità – anche se fasulla, dipinta sui corpi segnati dalle lotte – e di pace, almeno per un misero istante.
Avevano bisogno di quel fuoco che conoscevano, perché li travolgesse con sensazioni e profumi già assimilati e assorbiti, perché diventasse il loro porto sicuro nella bufera.
Probabilmente erano ancora loro, sempre loro, proprio perché erano loro: era rassicurante vivere qualche momento in un’oasi conosciuta, gettata nell’ignoto di una guerra imminente.
Sirius si mosse dopo un respiro profondo, alzando i fianchi a sovrastarlo parzialmente, mentre le mani cominciavano ad esplorarlo con una tranquillità che non gli era mai appartenuta.
Remus si morse il labbro per non ridere a quel pensiero, riuscendo solo a imitarlo, scorrendo le mani lungo la schiena smagrita. Esplorarono corpi che avevano già visto, annusarono odori che giacevano impressi nella loro mente da anni e si aprirono a sensazioni e ricordi che avevano silenziosamente collezionato; intanto dimenticarono, per un po’, l’orrore e il rimpianto, il futuro incerto e il passato corrosivo.
Si diceva che il sesso, alle volte, cancellava fette di vita che uno nemmeno si immaginava, buttati lì – a bruciarsi la pelle e i sensi con odori e tocchi troppo forti.
Loro stavano cancellando semplicemente il presente, ritagliandosi un piccolo cosmo fragile e silenzioso, nonostante il fuoco che avvampava.
Continuarono e continuarono tutto il pomeriggio, sempre silenziosi e sempre lenti, come se riversassero l’uno nell’altro tutto quello che avevano pensato o fatto o deciso o accantonato in quegli anni; si usarono come contenitori di ricordi e di speranze, si riempirono e svuotarono di rancore, delusioni e lacrime, fino a crollare – esausti – su quel letto di ottone lucente e polvere antica.
Alla fine, a nessuno dei due interessava davvero quello che poteva significare un gesto del genere, lì nel presente. Sapevano solo che avevano vissuto la loro intera vita, ciò che era stato e ciò che avrebbe potuto – forse – avvenire, in un solo minuto.
E quello bastava.
                                       
Note autrice:
Citazioni inserite:
«Il sesso cancella fette di vita che uno nemmeno si immagina» Castelli di Rabbia ©Alessandro Baricco.
«E se gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora lui si trovava in guai molto grossi, perché in casa non c’era nessuno» Butterfly ©L.K. Hamilton.
«C’è chi vive tutta una vita in un minuto» Scent of a Woman ©Film di Martin Brest, tratto dal libro omonimo di Giovanni Arpino.
È orrenda. Nei miei pensieri è stata progettata con due punti di vista e con anafore volute per trasformarla in una trama fatta a frammenti che, però, si incrociavano abbastanza. Il rapporto fisico è un po’ il fulcro della storia e i pezzi iniziali fanno tra introduzione, dal punto di vista di entrambi; per questo è solo accennato, perché non è davvero il rapporto sessuale, la cosa importante.
“Breathless” significa sia “Senza respiro”, che “morto” che una miriade di altre cose. In questo caso, vuol dire proprio tutte quelle cose insieme XD
So che è un argomento usatissimo e logorassimo. Io stessa ho già scritto di loro due, quasi in un momento uguale e nello stesso tono; però sta storia stava marcendo nel pc e qualcosa dovevo pur farci! Quindi arrangiatevi ù__ù
Oh, la ripetizione di parole come “profumo” e “ottone” è dovuta, perché prima doveva partecipare a un contest con questi due prompts XD Come vedete, non ho avuto voglia di modificarla o betarla troppo.
 
 
 
   
 
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