Note: Sto amando quest'uomo, senza rendermene conto sta diventando il mio preferito.

Il trillo della sveglia, l’insopportabile trillo della sveglia.
Fin da quando era ragazzo si chiedeva perché tutte le sveglie avessero lo stesso suono, non una variante, non una nota diversa.
Sempre lo stesso.
Allungò una mano e sentì lo scatto metallico del tasto snooze, poi il silenzio.
Era di nuovo mattina.
Si rigirò nel futon con molta calma, amava crogiolarsi sotto le coltri d’inverno.
Sfruttare quei cinque minuti del tasto rinvio gli piaceva troppo, aveva modo di mettere a fuoco.
Un fievole spiraglio di luce filtrava tra le tende pesanti, non aveva un bel colore, era di un indefinito bianco-grigio, segno che fuori era nuvoloso.
Di nuovo.
Pioveva spesso ultimamente ed il cielo era sempre coperto da strati e strati di varianti di grigio.
Però doveva ammetterlo gli piaceva l’indolenza che gli metteva addosso la pioggia, anche se lo strascico di malinconia che aveva lo indispettiva non poco.
Sospirò.
La mattina i ricordi erano più vicini, più belli e più tristi allo stesso tempo.
Era come se il lieve torpore del sonno ne confondesse i colori, le sfumature e li rendesse pastosi, appiccicosi e duri da digerire.
Il pallone gli tornava in mente di continuo, in fondo con il lavoro che faceva era normale, ma la mattina erano la gioia ed il dolore delle partite ad abbracciarlo, il rimpianto.
La sveglia suonò di nuovo, la spense definitivamente. Si mise a sedere e l’aria fredda della stanza lo sveglio definitivamente.
Nella stanza aleggiava ancora l’odore del fumo della sigaretta della sera prima, brutto vizio quello, davvero brutto.
Quando serviva era davvero problematico trovare una stanza d’albergo per fumatori.
Uscì dal futon e si diresse alla finestra, scostò le tende e la aprì.
Una ventata gelida lo investì in pieno, si sentiva come se fosse stato colpito da un sasso, anzi era come essere investiti da un camion.
Si diresse mollemente in bagno.
Era un rito il suo: snooze, stop, finestra e bagno.
Un’altra dura giornata lo aspettava, anche se a dire di molti, soprattutto a dire di suo padre, il suo non era un lavoro indispensabile.
Non era il solo a cui i genitori avevano cercato di smorzare l’entusiasmo o la voglia di giocare a calcio, lui si riteneva un eletto, anche se per poco, era riuscito a realizzare il suo sogno.
Non tutti potevano vantarsi di aver giocato nei più grandi stadi, con il pubblico che gridava il tuo nome.
Si lavò la faccia, naturalmente con l’acqua fredda doveva svegliarsi bene.
Tornò in camera, chiuse la finestra ed iniziò a vestirsi.
Da quando aveva smesso di giocare il completo grigio che indossava tutti i giorni era diventata la sua divisa.
Era fiero di se, era fiero di tutto ciò che faceva per il suo mondo, anche in questa giornata avrebbe dato il massimo.
Infilò la giacca, si avviò verso l’uscita e prima di poggiare la mano sulla maniglia della porta infilò i suoi inseparabili occhiali da sole.
Ora era davvero pronto ad affrontare un altro giorno, ora era Munemasa Katagiri.

Note di chiusura: Chiedo scusa per le ripetizioni, ma ho il brutto vizio di rileggere di fretta e di scrivere a tarda sera. ^_^;
E pensare che l'ho riletta per due giorni prima di inviarla. <_<