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Autore: Black Ice    13/03/2012    2 recensioni
Matthew Bellamy era uno di quei ragazzi di cui i connotati fisici - a dir poco acerbi per un adolescente di 16 anni - riuscivano a trarti in inganno. Mingherlino e con un fisico troppo asciutto, quando lo si incrociava per i corridoi della scuola non si prendeva neanche in considerazione l'ipotesi che lui, nella sua vita, avrebbe potuto fare grandi cose.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i Muse e le persone realmente esistenti citate in questa ff non sono di mia proprietà, non le conosco e di conseguenza il loro carattere non corrisponde a quello reale; i riferimenti a fatti veramente accaduti (date di tour, concerti ecc.) sono raccontati nel limite di quello che tramite internet si può ricavare e ho voluto il più possibile restare fedele ai fatti. Non voglio offendere nessuno e non scrivo a scopo di lucro; l'intera storia è stata inventata.

On the brink of illusion

 

Matthew Bellamy era uno di quei ragazzi di cui i connotati fisici - a dir poco acerbi per un adolescente di 16 anni - riuscivano a trarti in inganno. Mingherlino e con un fisico troppo asciutto, quando lo si incrociava per i corridoi della scuola non si prendeva neanche in considerazione l'ipotesi che lui, nella sua vita, avrebbe potuto fare grandi cose.
Stava per la maggior parte del tempo da solo e quelle poche volte in cui era in compagnia di qualcuno lo si vedeva sempre con Chris o Tom Kirk a gironzolare senza meta e a ridere sguaitamente. Lo si trovava un tipo strano e lui, dalla sua, non fece nulla per smentire o solo alleviare questo pettegolezzo di pubblico dominio.
Io, come ogni altro studente della scuola, sapevo cosa andavano a dire in giro, a proposito di lui. Avevo dalla mia, però, la capacità di essere obbiettiva e di non fidarmi del giudizio delle persone che non conoscevo e che non avevano nient'altro da dire se non spettegolare su argomenti inutili come quello. Quando poi lo conobbi meglio, segnandomi poi per tutta la mia vita futura, mi resi conto di quanto la gente fosse stupida e piena di stereotipi ad avercela con di lui solo perchè era un tipo fuori dal comune.
Del giudizio delle altre persone Matt se ne fregava; un giorno mi disse che quasi gli piaceva stare al centro di tutte quelle assurdità e sentirsi in un certo senso importante.

Stavo andando ad accompagnare mio fratello in biblioteca dopo esserlo andata a prendere a scuola quando conobbi Matthew e ci parlai per la prima volta.
Io e Nick ci eravamo rintanati al caldo dell'edificio, dove la bibliotecaria logorroica aveva insistito per offrire un bicchierino di tè a mio fratello, il quale l'accettò ben volentieri. Lui amava la compagnia di Miss Palmer e lei contraccambiava regalandogli ogni tipo di attenzioni.
Io stavo facendo i compiti che ci erano stati assegnati dalla professoressa di matematica e contemporaneamente tenendo d'occhio, dall'altra parte della stanza, mio fratello che rideva quando Matthew sbucò dal nulla e mi si sedette vicino.
Non mi ero accorta che era entrato in biblioteca e lui, dal canto suo, probabilmente non si rese nemmeno conto di starsi sedendo vicino ad un'altra persona, troppo concentrato sul libro per staccargli gli occhi di dosso.
Lo guardai per un attimo perplessa, poi ripresi a fare i compiti.
Era completamente assorto nella lettura del libro e aveva le sopracciglia corrucciate nello sforzo di capire i termini. Scorsi il titolo del mattone che stava leggendo con la cosa dell'occhio - aveva tutta l'aria di essere noioso, con la rilegatura nera a tinta unita che lo rendeva ancor più vecchio e ammuffito - e quello che lessi mi sorprese non poco: "Ufo: ipotesi e tracce."
"Credi a quelle cose?", chiesi improvvisamente guardandolo scettica, facendomi sfuggire quella domanda e mordendomi la lingua.
Matthew si girò lentamente verso di me e mi guardò serio, gli occhi azzurri resi ancora più visibili dalla sua espressione sorpresa.
"Cosa?"
Mi schiarii la voce, "Mi chiedevo se credessi agli alieni, sai.", ripetei puntando gli occhi sul libro.
"Tu no?"
"Non li ho mai visti, quindi non ho nessuna prova certa che esistano."
"In sostanza non ci credi.", riprese quasi sbeffeggiandosi di me.
Era ovvio che lui invece dava credito agli ufologi e a quel libro che teneva in mano: il suo tono nel provocarmi era così sicuro che probabilmente, se ne avesse avuto l'occasione, sarebbe andato dai maggiori esperti in materia e li avrebbe obbligati a farsi scrivere un autografo con tanto di dedica 'al loro più grande sostenitore'.
"In realtà la trovo una cosa abbastanza sciocca e immatura... crederci, intendo. I bambini credono nei sogni e si ancorano alle morali delle fiabe; una persona adulta vede il mondo con occhio oggettivo e realistico e sa dividere la realtà dalla fantasia."
"Le persone adulte hanno anche il coraggio di distaccarsi dalla massa e di avere idee proprie."
Mi fece un mezzo sorriso e ritornò a leggere il suo libro pseudo scientifico come se niente fosse, fiero di aver dato quella risposta estremamente matura per un ragazzo di 16 anni.
Lo guardai per un momento - male, con molta probabilità, ma non me ne resi conto - poi scossi le spalle. Dovevo dar ragione, almeno in parte, ai pettegolezzi che giravano per scuola: era sì un ragazzo strano e fuori dal comune, ma in senso buono. Quella, almeno, era la prima impressione che mi aveva fatto, ma non è forse risaputo che sia anche quella che più conta?
Non mi accorsi neanche che nel frattempo mio fratello mi era venuto vicino e stava facendo di tutto per riportarmi alla realtà.
"Rò? Roxy, che hai? Mi fai spaventare se fai così."
Gli sorrisi per tranquillizzarlo e gli scompigliai affettuosamente i capelli, "Niente Nick, ero sovrappensiero. Vuoi andare a casa? Hai fame?"
Per risposta annuì energicamente con il capo e mi porse il cappotto che avevo posato nella sedia accanto per incitarmi a fare più in fretta. Lo presi, lo indossai e sistemai le mie cose per poi rivolgermi a Matt con un cordiale "Ciao Matthew."
Lui si ridestò dalla lettura e poggiò lo sguardo freddo su di me: "A presto Roxanne."
Nick mi tirò per una manica ed ebbi solo il tempo di vedere il sorriso compiaciuto sul volto di Matt per avermi sorpreso avendo saputo il mio nome. Non pensavo neanche che mi avesse mai visto a scuola, figurarsi che sapesse il mio nome.
La seconda volta lo incontrai qualche giorno dopo a scuola e più precisamente davanti al cancello, quando la ressa degli studenti scalpitanti per uscire da quelle quattro mura aveva fatto posto a pochi gruppetti di ragazzi che parlavano animatamente tra loro.
Ci tengo a precisare che Roxanne Thompson non è mai stata il perfetto stereotipo che ci si può aspettare attribuendole la parola 'secchiona'. Lei studiava perchè era obbligata a farlo e non perchè le piaceva, e le cose che le sarebbero servite per diventare ciò che lei desiderava non implicavano certo formule matematiche o conoscenze nel campo scientifico. Lei voleva a tutti i costi diventare un'esperta d'arte e se questo comprendeva, però, studiare altre materie non inerenti a quello, decise fin da subito - dal giorno in cui aveva capito ciò che voleva fare nella vita - che avrebbe potuto fare qualche sacrificio.
A Matthew Bellamy, come ci si potrebbe aspettare da tutti i maschi sedicenni mentalmente regrediti, non fregava assolutamente nulla della scuola. Il suo mondo doveva avere solamente un pianoforte e in seguito anche una chitarra, per essere perfettamente abitabile. Era ovvio che volesse fare il musicista nella sua vita, e Roxanne, dalla prima volta che aveva sentito Matthew cantare e suonare, capì che ci sarebbe riuscito in un modo o nell'altro. Sarebbe riuscito ad abbattere tutti gli ostacoli che lo separavano dal podio e Roxanne era altrettanto sicura che non si sarebbe accontentato del terzo o secondo posto: lui puntava alla vetta, era sempre stato così.
Certe volte mi stupivo di come Matt risultasse quello più bambino tra noi due, benchè avesse un vantaggio di tre anni su di me. Era una magra consolazione quella di vincere paragonandomi a lui, lo sapevo, ma almeno era meglio di niente.
"Oh, ecco la moralista."
Mi voltai verso il ragazzo che mi aveva chiamato in quel modo, vedendo soltanto un cappuccio scuro calcato sopra una testa sconosciuta.
"E tu chi saresti?"
Fece una risatina irritante, "Moralista e smemorata."
"Ma fottiti."
In realtà non avevo proprio nulla della moralista. Ero in ritardo e dovevo assolutamente andare a prendere Nick a scuola: non avevo né il tempo né la voglia per restare a litigare con un tipo sconosciuto e strafottente che si prendeva gioco di me. Tornai a camminare spedita lungo il marciapiede, allontanandomi il più possibile da lui.
"Ehm... Roxanne?"
Mi girai, perchè questa volta avevo riconosciuto la voce.
"Oh. Ciao Matt.", dissi neutra.
Fece scivolare via il cappuccio dalla testa e mostrò un sorriso imbarazzato in risposta che si dileguò in un attimo. Io invece continuai per la mia strada lasciandolo indietro, troppo immersa nei miei pensieri per rendermi conto di come lo stavo trattando.
Mi raggiunse in un attimo, camminando di fianco a me: "Scazzata?"
"No."
"Non si direbbe."
Avrei potuto controbattere che praticamente non ci conoscevamo e lui non poteva sapere in che modo manifestassi le mie emozioni, oppure insultarlo in qualunque altra maniera, confermando la sua ipotesi che sì, effettivamente ero scazzata. In ogni caso mi morsi la lingua e risposi in modo del tutto normale e pacifico.
"Sto solo pensando."
"Capisco. Dove stiamo andando, comunque? sempre se posso interrompere i tuoi pensieri, s'intende."
Sorrisi, "Io sto andando a prendere mio fratello a scuola e sono già abbastanza in ritardo, tu non ne ho idea. Sembra che mi stai pedidando, per la verità."
"Perfetto!", sorrise felice, "Ti accompagno."
"La conosco la strada, Matt."
"Allora vorrà dire che farò casualmente il tuo stesso percorso, va bene così?"
Lo guardai incredula poi alzai le spalle sprofondando sempre di più nella mia felpa oversize, "Fai come ti pare."
Camminammo per qualche minuto in silenzio, circondati solo dal rumore delle macchine che sgasavano in strada e dal suono dei nostri stessi passi.
"Come facevi a sapere il mio nome?"
"Potrei chiederti benissimo la stessa cosa."
Lo guardai male e feci una smorfia, "Non mi piace quando non si risponde direttamente alle domande che pongo."
"Non dirlo a me."
Sospirai, "Te l'ha mai detto qualcuno che urti i nervi in una maniera impressionante, Matthew?"
"Si, in effetti non sei la prima.", rispose sorridendo.
Svoltammo l'angolo e ci trovammo di fronte la scuola di Nick e due secondi dopo ce lo vedemmo correre incontro, sorridente e al settimo cielo come suo solito. Mi si buttò addosso e lo abbracciai ridendo.
"Passata bene la giornata, Nick?", gli chiesi sorridendo quando sciolse l'abbraccio, passandogli una mano sulla testa.
Annuì con foga e puntò lo sguardo su Matthew.
"Lui chi è?"
"È un mio compagno di scuola."
"Matthew Bellamy.", aggiunse lui con un sorriso, come se Nick oltre al nome avrebbe potuto ricordarsi pure il suo cognome.
"Io sono Nick.", gridò mio fratello sporgendosi verso di lui.
Nick aveva il dono speciale di sorridere sempre in qualsiasi occasione, sapeva come risollevarti il morale e nonostante fosse un ragazzino di appena otto anni capiva molto di più rispetto ad un qualsiasi bambino della sua stessa età. Era un bambino molto sveglio e aveva il vizio di gridare ogni volta che intraprendeva una conversazione con qualcuno, ma a parte questo era un ragazzino adorabile.
"Andiamo a casa, mh?"
"E Miss Palmer?"
Gli scompigliai i capelli neri, "Oggi la biblioteca è chiusa, ricordi?"
Nick annuì sconsolato e ci precedette sulla via per andare a casa, ritrovando subito la sua consueta spensieratezza e sorridendo a chiunque incontrava.
"Ti si illuminano gli occhi e diventi cento volte più dolce quando parli con tuo fratello."
"Gli voglio molto bene. Se non ci fosse stato lui non so che persona sarei adesso. Mi ha insegnato tante cose."

Lo scoprii all'improvviso di essermi totalmente innamorata di Matthew e di essere caduta nelle sue grinfie: lo compresi dopo settimane che ormai ci vedavamo regolarmente, quando una sera, dopo essere usciti insieme come due amici innocenti, seduti su una panchina di marmo freddo, mi disse quanto fossi diversa dalle altre ragazze.
Fù la notte che mi innamorai, la notte che diedi il mio primo bacio e la notte che io e Matthew ci mettemmo insieme.
Ancora oggi mi chiedo di che cosa esattamente persi la testa, quale fu la caratteristica che mi portò ad amarlo fino alla fine dei miei giorni. Forse eravamo semplicemente il più perfetto equilibrio che ci potesse essere tra due esseri umani: l'uno che vedeva l'opposto di se stesso nell'altra e cercava di assorbire i tratti incisivi del suo carattere.
Io facevo parte di quel gruppo di persone che già vedevano chiaramente la propria vita in tutta la sua durata, con tutte le fasi e le tappe principali, la realizzazione dei sogni e la felicità che essi comportavano. Nonostante guardassi con un misto di paura e famelica voracità il mio futuro, comprendevo perfettamente che niente sarebbe stato come mi aspettavo, ma questo non mi impediva certo di sognare.
Furono proprio i sogni che divisero me e Matthew, dopo anni insieme.
Io inseguivo la mia ricerca delle bellezze artistiche del mondo, alla volta dell'Italia e della Spagna e della cultura artistica che le nazioni europee in generale conservavano al loro interno, mentre lui ormai aveva capito che la sua strada era indirizzata verso la musica.
Un giorno mi disse che aveva deciso di formare una band con Chris e Dominic Howard. Chris era il mio migliore amico dalla nascita - vivevamo vicini e i nostri genitori andavano molto d'accordo -, e la sua presenza non faceva altro che rendermi immensamente felice, ma Dominic non mi aveva mai ispirato fiducia e non mi fece mai cambiare idea in proposito.
Anche se non volevo ammetterlo e me ne vergognassi, avevo sempre considerato Dominic come la causa della rottura del rapporto tra me e Matt: avevo come la sensazione che lui mi considerasse un'avversaria nella lotta per meritarsi l'affetto di Matthew. All'inizio aveva sempre un atteggiamento che mi manteneva a distanza e il suo carattere introverso ma sadico mi faceva quasi paura, anche se con il tempo cambiò totalmente. Se avessi dovuto accostargli un colore sarebbe stato il grigio.
Era l'estate dei loro diciott'anni quando Matthew venne verso di me con un'espressione raggiante dicendo che aveva battezzato definitivamente il nome della band con Chris e Dom con "Muse".
Da li incominciò la loro ascesa all'olimpo e la loro entrata nel mondo del rock: passò da fare l'imbianchino a fare il cantante affermato in una band inglese, e nel giro di pochi anni abbandonò i locali con capienza massima di cinquecento persone per dedicarsi ad un tour europeo dopo l'uscita del loro primo disco.
Fù in quei mesi di tour che capii che c'era qualcosa che non andava.
Andai a tutti i concerti che mi era possibile - anche se non li inseguii per tutta Europa; stavo ancora frequentando la scuola -, mentre alternavo gli studi tra la loro musica e le città che visitavamo.
Costantemente gomito a gomito con una band rock avevo compreso i rischi che si correvano ad essere la fidanzata del leader di un gruppo, il lavoro interminabile che c'era dietro ad ogni singola mossa che la band faceva, che fosse un accordo per una canzone o l'organizzazione di un concerto, l'importanza dei sacrifici e per ultimo, capii che era troppo per me.
Capii che volevo dedicarmi esclusivamente all'arte - che era stata, fino a quel momento, solo una passione - quando io e Matt, cogliendo al volo l'occasione di quel giorno libero dagli spostamenti sul tourbus, andammo in un museo francese sulle pitture del seicento. Matthew amava l'arte e rispettava il valore che avevano le opere, e questo faceva nascere in me una sorta d'orgoglio che non avevo il diritto di provare.
Poggiare sui piatti di una bilancia l'importanza dei miei obbiettivi e la persona che amavo mi aveva causato una crisi emotiva interna, piena di sensi di colpa e futuri rimorsi che sapevo sarebbero arrivati: sia con la scelta di un percorso, sia con quella dell'altro.
Nonostante quello, una parte di me sapeva già dall'inizio come sarebbe andata a finire, perchè quella era l'unica strada possibile: come alternativa c'era una vita fatta di tristezza e rimpianti e quell'alternativa sarebbe stata un suicidio.
Matthew non se ne accorse di quanto fossi assente durante quei mesi di indecisione, troppo preoccupato e eccitato per il suo sogno che diveniva realtà per badare ai pensieri che occupavano la mia mente.
Glielo dissi mentre i Muse stavano lavorando al secondo album - dopo il successo di Showbiz - con euforia e aspettative che, ancora non lo sapevano, sarebbero divenute in breve realtà.
"Non posso più venire con voi, Matt."
Mi guardò serio, la sua figura che spiccava nel prato nel quale ci trovavamo, unica macchia nera in un mare verde. L'ipotesi più ottimista che potessi fare era che stesse pensando dal mio punto di vista. In ogni caso, non l'avrei mai scoperto.
"Così era a questo che miravi negli ultimi mesi."
Non compresi cosa intendesse dire e continuò con voce dura: "È per questo che sparivi ogni momento in cui si parlava della band? Già pregustavi il momento in cui me l'avresti detto? Che c'è, adesso è diventato tutto troppo grande da sopportare e ti fai indietro?"
Ero allibita.
"Smettila di dire stronzate Matt, non ho certo paura del vostro successo. Se mai dovrei esserne esaltata e felice, ed è precisamente come mi sento."
"Ma nonostante questo, ti tiri indietro."
"Ho semplicemente capito che il mio posto non è con voi."
"Non stai rinunciando solo a qualcosa di cui fai parte indirettamente. Stai rinunciando a me."
Ed era questo, in fondo, il problema principale. Compresi solo in quel momento l'espressione "avere un colpo al cuore", quando quello che mi ero rifiutata di pensare in tutto quel tempo si riversò su di me con quelle parole: non avrei perso solo i Muse, ma anche Matthew.
'Non credere che per me sia facile'.
"Lo so."
Mi guardò con il dolore che faceva brillare gli occhi azzurri, "E allora cos'è che non ti va bene?"
Sospirai. Il problema non erano i viaggi che avrei fatto andando in giro con la band e neanche il tempo che avrebbe separato me e Matt durante le tappe alle quali non avrei potuto accompagnarli.
Ciò che aveva fatto cambiare le carte in tavola era stata la mia improvvisa consapevolezza di quello che stavo facendo e di quello che avrei voluto fare, che non avevano assolutamente alcun punto in comune tra loro. Era stata anche la consapevolezza che Matthew stava inseguendo il proprio sogno e di fronte a questo, la mia presenza nella sua vita diveniva un fatto secondario.
Pensai egoisticamente che il diritto di felicità non poteva essermi tolto in quel modo, inseguendo i desideri di qualcun altro e non pensando ai miei.
"Hai presente la canzone degli Lynyrd Skynyrd? "Be a simple kind of man, and be something you love and understand."", domandai cantandogliene un pezzo.
Non mosse un muscolo e probabilmente non capì cosa volessi dire, così continuai.
"Il fatto è che tutto questo non è ciò che voglio. Sto vivendo la tua vita e non ho intenzione, negli anni futuri, di piangere per qualcosa che avrei potuto realizzare e così, essere felice. Mi sento male nello stare dietro le quinte dei vostri concerti quando la mia mente vaga per città e opere, sognando di poterle toccare e studiare da vicino."
"È quindi questo, l'arte, il motivo per cui ci lasci."
"Si, Matt."
Eravamo, certo, una coppia perfetta, lui ed io, ma pericolosamente instabile. Due caratteri così forti erano pressoché impossibili da tenere insieme: uno tendeva a prevalere e a dominare l'altro. Sfortunatamente, né Matt né io avevamo l'intenzione di farci abbracciare completamente dal mondo dell'altro e veder svanire, lontano, le nostre ambizioni. La verità era che eravamo troppo egoisti per pensare di sacrificare qualcosa per la felicità dell'altro.
Quello che ci fregava era l'enorme orgoglio che ci metteva a tacere ogni volta che ci dovevamo abbassare a chiedere aiuto all'altro: noi combattevamo i nostri problemi più fastidiosi internamente, obbligandoci a venirne a capo da soli e, in questo modo, rendendoci imprevedibili e incomprensibili.
Non ci si poteva aspettare altro tipo di separazione da quella che accadde effettivamente: all'uscita del disco seguì un nuovo tour, dal quale mi estraneai completamente. Non avevo più a che fare con i Muse e io e Matt non prendemmo neanche in considerazione l'ipotesi di andare a vedere come se la stesse passando l'altro o augurargli buona fortuna per il suo futuro; prendemmo semplicemente strade diverse, come due conoscenti che si perdono di vista.
Non ci furono pianti, ultimi baci o promesse da mantenere: scomparì da un giorno all'altro dalla mia vita.
Sarebbe stato inutile, e lo sapevamo entrambi, cercare di mantenere la nostra relazione a distanza, perchè non avrebbe funzionato.
In compenso, quella situazione fu la mia rampa di lancio nel mondo dell'arte: dopo pochi mesi dall'inizio del tour dei Muse decisi di frequentare il Courtauld Institute of Art a Londra, riuscendo a laurearmi e ad ottenere il diploma per la conservazione dei beni culturali.
Non era più un passeggero desiderio adolescenziale quello che mi muoveva a visitare nuovi luoghi e a spingermi il più lontano possibile da casa: durante gli anni seguenti, mi spostai da un posto all'altro come una farfalla si sposta di fiore in fiore, lavorando prevalentemente in musei o per il privato, riuscendo finalmente a sentirmi realizzata e a girare l'Europa per ciò che veneravo come una divinità.
A Teignmouth non ci tornai quasi più in quegli anni, a parte per passare le feste in famiglia - e non era detto che anche in quelle occasioni riuscissi a liberarmi completamente dal lavoro - o per qualche compleanno.
Non avevo un appartamento tutto mio, in quanto girare per il mondo non me ne garantiva uno fisso: vivevo negli alberghi che le associazioni mi prenotavano vicino ai luoghi di restauro al massimo per cinque o sei mesi, dopo mi toccava rifare le valige e trasferirmi da qualche altra parte. Nonostante la voglia di ritornare nel mio paesino nel Devon fosse sempre tanta, non riuscivo a stare là per più di una settimana di seguito: non era più il posto nel quale ero cresciuta e per di più il mio lavoro mi attirava come una calamita. Era cambiato qualcosa di fondamentale, ma non sapevo cosa.
Quando i fatti portavano inevitabilmente a ricordare il passato, non riuscivo sopprimere il moto di pura nostalgia che accompagnava il tempo passato con Matt, ma tutto era attutito dalla consapevolezza che, se non avessi fatto la scelta di abbandonarlo, non sarei stata la persona di ora.
Nonostante cercai in tutti i modi di seguire i Muse attraverso i media o i passaparola tra gli amici, non riuscivo a stare al passo con i loro tempi di tour o di preparazione ai cd e arrivavo sempre in ritardo, quando le date del tour non coincidevano più con le città nelle quali avevo impegni lavorativi.
L'unica persona del gruppo con cui rimasi in contatto fu Chris che, puntualmente, una volta all'anno - il giorno del mio compleanno - mi chiamava fregandosene di dove fossi e se mi disturbasse, pretendendo i suoi dieci minuti al telefono con me. Mi raccontava della band e di tutto quello che avevo paura a chiedere e io ricambiavo raccontandogli dell'onore che provavo nel lavorare su certe opere famose in tutto il mondo. Lo capivo dal suo tono di voce - e tentavo ogni volta di ignorarlo - che non c'era la stessa euforia che ci sarebbe stata se lo avessi raccontato a Matthew.
Era il 2006, l'anno dei miei venticinque anni, quando quello che successe superò le mie ordinarie aspettative.

Per il mio compleanno Nick mi aveva supplicato di prendere una pausa dal lavoro e di ritornare a casa almeno per una settimana di seguito, accusandomi scherzosamente di essermi dimenticata della mia famiglia, impegnata com'ero nei miei interessi.
Non troppo sicura che quello che mi aveva detto non fosse vero, presi la palla al balzo senza tentennamenti e il giorno prima del mio compleanno mi trovavo di fronte alla porta di casa, con il cuore in gola come ogni volta che stavo per rivedere mio fratello.
Nick mi raccontò le novità sui miei vecchi amici, dei cambiamenti in paese e della sua fidanzata Sophie, con cui le cose andavano a gonfie vele. Che mi fossi distaccata quasi nettamente da Nick me ne ero resa conto già da parecchio tempo, ma di quel fastidio che provavo ora, quello dovuto al non sapere praticamente nulla di quello che faceva quotidianamente o semplicemente pensava, me ne ero accorta solamente ora.
Per quanto parlammo e ci confidammo, il senso di essere estranea alla sua vita non se ne andò e anzi, si accentuò ancora di più. Accettai quel fatto, malgrado tutto, come il prezzo da pagare per quello che ero, con un sorriso finto sulle labbra.
Il giorno dopo, quando mi svegliai, assaporai finalmente la sensazione di essere a casa: Nick mi disse, abbracciandomi, quanto gli ero mancata e trascorremmo il resto della giornata seduti sul pavimento a rispolverare i vecchi ricordi della nostra infanzia, guardando video, foto e parlando come non facevamo da troppo tempo.

Quando sentii il mio cellulare squillare, sapevo che era lui. Da almeno cinque anni, il giorno del mio compleanno e sempre alle cinque del pomeriggio, Chris mi chiamava per farmi gli auguri.
"Chris!"
Rise, "Buon compleanno Roxy! Come stai?"
"Oh, ti prego, saltiamo i convenevoli, ci manca solo che iniziamo a discutere del tempo. Come ve la passate?"
"Splendidamente, direi. Tra qualche settimana esce il nuovo disco e quindi saremo impegnati in un nuovo tour, ma non mi lamento affatto. Verso la fine del tour di Absolution non vedevo l'ora di riposarmi, è stato abbastanza duro tenere il ritmo di tutti i concerti."
"Siete diventati famosi."
Rise ancora un volta, con la sua voce roca: "Così pare. Siamo diventati quello che volevamo."
"Sono contenta per voi, ve lo meritate."
E lo pensavo davvero, se lo meritavano.
"Guarda che riesco ad interpretare il tuo tono di voce. Non cercare di giustificarti convincendoti di aver fatto la cosa giusta.""Di che cosa stai parlando?"
"Del fatto di averci lasciati."
Da sempre Chris era stato il mio migliore amico e colui al quale confidavo la maggior parte dei miei segreti. Dal momento in cui lasciai Matt ci perdemmo di vista, ma quando pensavo a lui e alle esperienze che avevamo vissuto insieme, associavo il tutto ad un senso di fiducia.
Quella frase e l'insinuazione di non essere stata corretta nei confronti di tutti aveva avuto lo stesso effetto di una pugnalata alle spalle.
Comprendere che neanche il tuo migliore amico riesce a capire le ragione per cui hai fatto una certa azione e, contemporaneamente, ti rema contro, riesce ad avere ripercussioni devastanti sul tuo stato mentale.
"Sai che mi sono sposato?"
L'aveva detto per colmare il silenzio della mia voce e si era appeso come ad una cima a quella novità della quale - e lo sapeva benissimo anche lui - io non ero a conoscenza. Fu un altro colpo andato inesorabilmente a segno, dritto al cuore.
"Ma è fantastico Chris, auguri! La fortunata sposa come si chiama?", chiesi cercando di suonare più felice possibile.
"Kelly, ed è una persona fantastica. Un giorno la dovrai conoscere."
"Cos'è, fai il lecchino perchè è di fianco a te?"
Ridacchiò sommessamente e divenne subito muto, come se fosse incerto su qualcosa.
"Roxy, non sono riuscito ad invitarti, scusami. È che c'era un limite per gli invitati e..."
"Tranquillo, è tutto ok. Sono felice per te."
Ingoiai a forza sassi e chiodi, pur di riuscire a suonare convincente. Con me e con lui.
Ignorai la morsa di ferro che mi stritolava la gola e ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di rendere pubblico al mondo quanto dolore provavo e quanto ero sciocca e stupida a tenermelo tutto per me. Qualche volta serve solo un'altra persona capace di ascoltarti e capirti, per farti rendere conto di poter contare su qualcuno. E quella persona io l'avevo perduta due minuti prima.
"Grazie."
Ci fu un attimo di silenzio, poi continuò: "Tu hai messo la testa a posto?"
"Ovvio che no. Continuo a girare il mondo ora così come gli anni passati, e stai tranquillo che lo farò anche in futuro. Faccio un po' come voi."
"Allora perchè non ci accompagni, qualche volta?"
Avrei dovuto aspettarmi una domanda del genere. "Chris, è cambiato tutto, non siamo più gli adolescenti che si divertono a fare i grandi: ora li siamo veramente. Non ho più alcun legame con voi, viviamo in due mondi totalmente separati ed è inutile fingere di avere più punti in comune di quanti ce ne siano in realtà. Mi hai appena detto che ti sei sposato, capisci?"
"Te l'ho detto, ti avrei invitato ma non c'era posto."
"Lo so, e non me la sto prendendo. E' solo la prova che siamo cambiati e che è inutile mantenere certi rapporti che fanno più male che bene."
"Ma cosa stai dicendo?"
Mi morsi la lingua. Non gli avrei detto di mettersi nei miei panni e non gli avrei detto un'altra bugia. Quando all'improvviso il tuo migliore amico ti viene a dire che si è sposato e che in uno dei giorni più importanti della sua vita tu non eri presente, la sua voce così felice comporta un dolore talmente grande che ti fa dubitare di essere realmente importante per qualcuno.
'È che sono stanca, Chris.'
"Nulla, non voglio dire nulla. Devo andare Chris, a presto."
Possibile che sia l'interpretazione personale la chiave di tutto? Possibile che al mondo non esista lo schieramento dei giusti e di quelli in torto? Che tutto dipenda dagli occhi con i quali si guarda alla verità?
L'unica verità di cui ero certa era che eravamo tutti soggiogati dalla selezione naturale: se non ti fai spazio a morsi in mezzo alla mischia per farti notare e far notare le tue idee, dimostrandoti così il più forte, sei destinato all'essere dimenticato.
Da quando avevo abbandonato Teignmouth avevo dedicato tutto il mio tempo al lavoro perchè l'arte aveva la preziosa capacità di riuscire a trascinarmi nel passato facendomi dimenticare il presente. Negli ultimi anni non avevo avuto il tempo per pensare a qualcos'altro o fare qualcosa di diverso per rilassarmi: forse perchè sapevo che non avrebbe comportato tanto una rilassatezza interiore, quanto un senso di oppressione, dovuto a quei macigni che mi portavo sulle spalle e di cui non riuscivo a sopportare il peso.
Può essere chiamato meccanismo di sopravvivenza, autoconservazione delle proprie idee o furbizia. Io la consideravo semplicemente paura.
Ora, che mi ero presa una pausa e non c'era alcuna valvola di sfogo su cui distrarmi, stavo incominciando lentamente a sprofondare sotto il peso delle mie scelte.
Era da anni che non piangevo, ma ora avevo tanta voglia di farlo.
Mi accasciai sul pavimento della cucina e stringendo le ginocchia al petto lasciai che le lacrime facessero il loro corso.

Ero una pessima bugiarda quando non avevo ragioni importanti per poter mentire, ma ero bravissima a pararmi il culo.
Fu così che la prima cosa che dissi a Matthew dopo cinque e rotti anni di invisibilità reciproca, fu una schifosissima bugia.
Quando suonarono alla porta mi risvegliai improvvisamente dal senso di apatia che mi aveva colta e scattai in piedi. Mi sciacquai il viso velocemente e corsi ad aprire la porta. Odiavo farmi vedere piangere e forse era anche per quello che non l'avevo mai considerata, in tutta la mia vita, un canale di scolo dove riversare tutta la mia tristezza. Oltretutto non volevo che Nick, dopo l'appuntamento con la sua ragazza, si dovesse preoccupare inutilmente per me, per giunta il giorno del mio compleanno.
Beh, io pensavo - ero convinta - che fosse Nick che aveva dimenticato le chiavi ma certo non immaginavo che ci fosse Matt, oltre quella porta.
In un primo momento pensai non fosse cambiato di una virgola, poi mi accorsi che aveva i tratti del volto più marcati e non morbidi come me li ricordavo. Il viso più squadrato e le spalle un po' più larghe gli avevano fatto abbandonare quell'aria da adolescente cresciuto troppo in fretta con cui lo ricordavo.
In un secondo realizzai quanto fosse diverso: non erano solo i tratti del volto, ma anche l'altezza, la postura. Le caratteristiche fisiche di una persona possono dire tanto sul suo carattere; io in lui vidi la consapevolezza di essere diventato grande e la determinazione ad essere più di quello che già era.
"Ciao Roxanne.", disse con un sorriso tirato.
Tempo fa non avrebbe mai pronunciato il mio nome per intero. Come in qualunque altro caso, stava a significare il distacco e il non essere abbastanza in sintonia con una persona per chiamarla con un nomignolo.
Provai il disperato bisogno di tornare indietro nel tempo, di fregarmene dell'arte e di fregarmene della mia vita e dei miei sogni. Ora tutto quello che avevo ottenuto e per cui mi ero battuta sembrava irrilevante e addirittura opprimente comparato al pensiero di poter stare accanto all'uomo - ora, sì, si vedeva chiaramente che era diventato un uomo - che avevo di fronte, vederlo cambiare e riuscire ad accompagnarlo durante i viaggi e le esperienze che aveva però vissuto da solo. Magari con qualcun'altro.
Quella sera realizzai di aver fatto, cinque anni prima, la scelta più sbagliata di tutta la mia vita, permettendo che Matthew e il suo mondo mi scivolassero via tra le dita volutamente. Per la prima volta mi resi conto che quello che avrei potuto vivere con i Muse sarebbe stato così unico e speciale che sarebbe valso tutti i restauri, i luoghi che avevo visitato e tutti quelli che ancora mi mancava di visitare. Avevo voglia di vederli farsi strada per raggiungere la vetta, esultare quando vincevano Awards e sentirmi uno straccio dopo le notti insonni passate con loro ad ascoltare i pezzi allo studio di registrazione.
Questa era la mia visione del loro mondo e si, avrei voluto farne parte.
'Si possono recuperare cinque anni di scelte sbagliate, Matthew?'
"Hai pianto?"
Scossi la testa, facendo ondeggiare i capelli, "Sono solo stanca. Non mi aspettavo di vederti."
"Già. Siamo in pausa e siamo ritornati qui. Ho pensato di venirti a trovare."
Mi tese un sacchetto giallo che presi, fissandolo con sguardo interrogativo.
"È per il tuo compleanno."
"È un regalo per me?", lo fissai allibita, e fissai allibita il sacchetto.
"Già. Posso entrare?"
Lo lasciai passare senza una parola e richiusi la porta alle sue spalle. Per qualche secondo non riuscii a pensare a niente, poi, tra tutte le cose che mi rimbalzarono in testa riuscii a isolarmi sul pensiero che quel gesto - aver portato un regalo di compleanno ad un'estranea, praticamente - non aveva alcun senso.
"Non lo voglio.", gli dissi raggiungendolo in salotto, dove già si era accomodato come se fosse casa sua.
'La realtà è che non lo merito.'
Alzò gli occhi al cielo a quelle parole, "Cazzo, lo sapevo che avresti detto qualcosa di simile."
"Beh, cosa pretendi? È già un passo un po' troppo avanti per due persone che non si sentono da anni, no? Non ci siamo neanche salutati adeguatamente, se ci hai fatto caso."
"Perchè non puoi solo ammettere di essere troppo orgogliosa per accettare un mio regalo e farla finita?"
"Perchè non ha nessun senso."
"Interpretalo come un segno di riappacificazione, allora."
Sbuffai poggiando il sacchetto sul tavolo senza neanche scoprire cosa ci fosse dentro e mi andai a sedere di fronte a lui. Lasciai perdere per il momento, ma sapevamo bene entrambi che Roxanne Thompson non si arrendeva di certo così facilmente.
L'essermi giocata l'adolescenza ed essere entrata troppo presto nel mondo adulto per mezzo di un pass gratuito che aveva come unico scopo fare contemporaneamente da mamma e papà a Nick, aveva molti più svantaggi di quel che si possa immaginare. Oltre ad aver completamente saltato la tappa più frizzante e ribelle dell'esistenza di ogni uomo, avevo compreso prematuramente i problemi di un mondo al quale mi ero sacrificata senza sapere realmente a cosa stessi andando incontro. Ero una donna dentro il corpo di un'adolescente e per questo apprendevo con avidità i trucchi per crescere più in fretta o, stupidamente, per apparire più grande, giusto per equilibrare la mentalità al fisico.
La mia ricerca dell'amore - l'illusione del principe azzurro durò ben poco, subito sorpassato da un ideale più realistico - iniziò, come tutti, fin dalla pancia di mia madre. Addentrandomi nella vita passai dall'amore incondizionato per i miei genitori all'amore infantile che si rivolge ai compagni di asilo tanto per provare che effetto può fare sentire delle labbra morbidi poggiarsi sulla guancia, più per imitazione dei grandi che per vero affetto. A quello seguì una ricerca silenziosa del subconscio verso qualcuno che mi capisse e che mi facesse star bene e che, soprattutto, comprendesse quella parte di me tenuta costantemente segregata in un angolo.
Matthew era stato il ragazzo che per primo cercò di distruggere quelle barriere dietro alle quali mi rifugiavo con un sorriso o con qualche battuta.
Quando mi resi conto di quella sua capacità di passarmi ai raggi x con un'occhiata o con qualche parola ben assestata, mi incuriosii talmente tanto che, alla fine, me ne innamorai.
La nostra complicità durò molto tempo, e alla fine prendemmo strade diverse. Ora, con tutti i cambiamenti che erano subentrati negli anni, i possibili cambiamenti di carattere e le rispettive esperienze vissute che inevitabilmente ci avevano lasciato delle cicatrici, eravamo talmente cambiati da non riconoscere quasi più, nell'altro, colui che era stato il nostro fidanzato. Sapevamo che c'era, da qualche parte, ma avevamo dimenticato come associare ad una particolare azione un pensiero preciso. Per quello, quando mi fissò alzando il sopracciglio, non seppi se interpretarlo come un gesto di incitamento, di nervosismo o di imbarazzo.
"Chris mi ha detto che avete litigato."
"Non abbiamo litigato; non ho neanche gridato, se è per questo. Gli ho solo fatto notare che ci possono essere numeroso punti di vista e quello che lui può considerare non importante io lo posso ritenere una cosa fondamentale. Il suo matrimonio, per esempio."
"Eravamo in pochi."
Cos'era, una giustificazione? Voleva fare lo stronzo o essere solo solidale?
"Sai che consolazione, avrebbe almeno potuto avvertirmi."
"A quanto pare non sei l'unica ad aver fatto un numero indescrivibile di sbagli, no?"
Questa frase, sì, aveva avuto l'effetto di una freccia con la punta intrisa di veleno scoccata dritta al cuore. Quel colpo aveva scatenato una reazione inaspettata: ora mi sembrava tutto fuori luogo, come se quello che avevo intorno non facesse realmente parte della mia vita, ma di qualcosa del quale io non facevo parte.
Presi un lungo respiro: l'ultima cosa che volevo era che ci salutassimo con una sfuriata. Forse era anche il senso di colpa che mi faceva rendere conto di dover qualcosa a qualcuno e che mi tratteneva dall'arrabbiarmi, forse era anche perchè in fondo gli volevo un minimo di bene.
'Credevo che dopo anni avessi capito la mia scelta, Matt.'
"Per mesi sono andato avanti chiedendomi cosa avresti fatto e come avrei fatto io senza di te. Non mi capacitavo di come tu potessi aver buttato nel cestino tutti quegli anni insieme, di come non te ne fregasse niente di me, della band e di tutto quello che stavamo diventando, di come tu non ci abbia pensato due volte a sacrificarmi per un tuo sfizio del cazzo. Non capivo come potessi aver scelto quella strada al posto di una che comprendesse una vita con..."
"Come ti sentiresti se ti togliessero la musica? Mmh? Io avevo il bisogno di essere libera di inseguire i miei sogni, non il tuo. Non è stato facile abituarmi a non averti più accanto ovunque andassi, non sentir più la tua voce e non sentirti più cantare, ma se questo era quello da sacrificare per sentirmi viva non avevo scelta."
"Potevi restare con me."
Non furono tanto le parole che mi abbatterono, quanto il tono con cui le disse. Da quanto non vedevo quegli occhi azzurri farmi capire che se avessimo voluto, avremmo potuto fare tutto? Insomma, spaccare il mondo non mi sembrava poi così tanto difficile, con lui accanto.
"Pensavi veramente che sarei stata tutta la vita a seguirvi in giro per il mondo trascinata dal vostro guinzaglio? Tu non ti sei nemmeno preoccupato di quello che volessi io, davi per scontato che mi andasse bene seguirvi e dipendere da voi quando..."
Mi interruppi. Sospirai, pregando che lui non fosse realmente lì a farmi la predica per cose successe cinque anni prima. Sperai che non si fosse scomodato da casa sua solo per farmi sentire in colpa per eventi passatti e che avevo solo voglia di dimenticare.
"Senti Matthew. Non ho intenzione di continuare a parlare di queste cazzate che sono passate da troppo tempo. Non ho neanche voglia di litigare. Ritorniamo ad essere estranei l'uno dalla vita dell'altro e a vivere la nostra vita così come la volevamo, ok? Non avresti dovuto venire qua."
"Sai cosa, Roxanne?", sbottò lui alzandosi in piedi, "Non sei cambiata di una virgola, sei sempre un'egoista del cazzo: non te ne è mai fregato niente della band e di noi due, mi hai lasciato da solo senza il minimo rimpianto e non ti sei neppure fatta sentire per tutto questo tempo! Pensavo che gli anni insieme fossero la prova che in fondo ci volevamo bene, ma hai mandato tutto a puttane."
"E tu sei il solito deficiente! Quanto ti costa reclamare per te la tua fetta di torta e non scaricare su di me tutta la colpa? Pensare dal mio punto di vista implica troppo ammettere che non ne sei uscito pulito neppure tu, è questa la verità! Sono troppe le ripercussioni sul tuo ego che ti possono portare a dubitare di essere la divinità cui sei convinto di essere, vero? Hai solo paura di non risultare perfetto agli altri."
Ed ecco che la parte più ragionevole di tutta la faccenda veniva finalmente compresa da tutti: Matthew e io eravamo troppo uguali per vivere in stretto contatto senza subire alcun danno.
Dopo che Matthew uscì sbattendo la porta di casa furente, mormorando qualche "vaffanculo" all'aria, sperai che alla fine l'avesse capito anche lui che eravamo incompatibili e che stavamo lottando contro il corso della natura, provando a star vicini.
Avevo adottato quella convinzione come una sorta di scusa dopo che avevo deciso di inseguire il mio sogno; contrariamente a quello che poteva pensare Matthew, sapevo realmente a cosa stavo andando incontro: non avevo la pretesa che, una volta ritornata a casa avrei ritrovato tutto così come l'avevo lasciato, ed io pronta ad essere di nuovo accolta nel tourbus dei Muse con tanto di festeggiamenti. Sapevo, e ci avevo riflettuto profondamente, che una volta preparati i bagagli e aver praticamente cambiato vita, avrei dovuto far affidamento su me stessa e su quello che riusciva a farmi andare avanti, aggrappandomi con le unghie ai miei obbiettivi.
Se per vincere la paura c'è bisogno di qualcosa che la superi, io avevo lenito le ferite provocate dal distaccamento da ciò che era importante con un balsamo formato da quadri, architetture, corpi scolpiti e tutte le emozioni che suscitavano.
E non era equo. Proprio per niente.

Troppe volte il libero arbitrio non è altro che una fastidiosa spina nel fianco. Troppe volte viene esaltata, scritta e cantata la capacità di scegliere autonomamente come un passo avanti per raggiungere la libertà più completa e finalmente tagliare la striscia del traguardo che porta alla "saggezza". Quello che la gente molto spesso omette di dire è che il libero arbitrio cammina pari passo con la responsabilità delle proprie scelte, giuste o sbagliate che siano; viene anche taciuta la paura che si prova nel prendere in mano la propria vita.
"Roxy, cos'è questo sacchetto?"
Allora Matthew era passato veramente di li: il regalo ne era una prova concreta.
Sprofondata nel divano e totalmente isolata da ciò che mi circondava, non mi ero neppure accorta che Nick fosse rientrato a casa. Non colsi neppure il nervosismo nella sua voce.
Corsi verso il mobile dove avevo appoggiato il sacchetto e lo guardai: giallo canarino, un colore che avevo sempre odiato.
Non avevo mai creduto che il passo successivo alla tristezza fosse la totale indifferenza ma ora, lì, davanti a quel regalo esageratamente fuori luogo, mi dovetti ricredere: effettivamente non sentivo il bisogno naturale e impellente di scoprire cosa contenesse, cosa che, tempo prima, la mia fastidiosa curiosità non si sarebbe lasciata sfuggire tanto facilmente.
Non avevo bisogno di aprire il sacchetto perchè non avevo bisogno di riaprire una nuova finestra sul passato.
Nonostante la parte razionale del mio cervello mi supplicasse di segregare quel dannato sacchetto in un angolo buio, le mie mani si stavano già muovendo da sole, infilandosi dentro e traendone fuori il contenuto.
Cd. Loro cd.
Stringevo tra le mani cinque custodie di plastica con la copertina di diversi colori, prova inconfutabile che loro, senza il mio zampino, erano riusciti a cavarsela comunque ed a volare alto.
Mi capitò sotto gli occhi il cellulare di Nick. Sapevo che lui e Matthew avevano mantenuto i rapporti si sentivano spesso al cellulare, così decisi di chiamarlo, senza saper giustificare quell'azione e senza neppure pensare cosa dirgli.
"Pronto?"
Sospirai frustrata mollando i cd sul mobile e mi appoggiai al bracciolo del divano con la mera illusione che potesse darmi un sostegno fisico di cui avevo paura a chiederne ad un qualsiasi essere umano. Ecco di cosa avevo bisogno: una spalla su cui piangere senza doppio filo, qualcuno che mi facesse ricordare che gli imprevisti, nella vita, portano troppo spesso alla pazzia, qualcuno che credesse in me nonostante tutto ma che me lo tacesse, lasciandomi col dubbio e senza l'impiccio del "non essere all'altezza". Qualcuno senz'anima, possibilmente.
Avere amici in giro per l'Europa era molto gratificante dal punto di vista del sostegno morale (e non solo quello), ma per una come me, convinta di potercela fare da sola per poi ritrovarsi con le lacrime agli occhi alla fine di una canzone che non sentiva dai tempi dell'adolescenza, spesso quell'amicizia occasionaria che si fermava solo ad un'offerta di una birra gratis la sera al pub diventava troppo fastidiosa e distaccata perchè la si potesse chiamare amicizia.
Roxanne Thompson non aveva mai avuto bisogno di altri veri amici che scavalcassero Chris al primo posto del podio per il semplice fatto che lei non aveva mai avuto un posto fisso nel mondo e non si sentiva più in grado - come quando era ragazza - di stabilire rapporti abbastanza solidi che sapessero affrontare distanze di diversi stati. C'era troppa fiducia in ballo e lei non aveva il coraggio di spenderla a vanvera.
'Alla fine è solo una questione di paura come sempre, no?'
"Perchè nei luoghi più estremi si è più solidali con gli altri, Matthew? In montagna se incontri qualcuno che scende dalla montagna di cui tu stai provando a raggiungerne la vetta non c'è modo per non restare qualche istante a fissarsi negli occhi e discutere sulla pesantezza del percorso. Si dev'essere necessariamente al limite per ricevere aiuto e conforto?"
Mi schiacciai il cellulare sull'orecchio per riuscire a sentire meglio i respiri che emetteva.
"No. Basta saper chiedere."
"Non sono mai stata brava a farlo, lo sai no? ho un leggero problema nell'esternare i miei sentimenti. E potrei trovare una quantità infinita di difetti in me che mi hanno portato a questo punto ma che non risponderebbero a tutti gli interrogativi che ti sei posto sul perchè sia andata proprio così."
"Lo so. Lo so, ho sbagliato anche io. Abbiamo fatto troppi errori: avrei dovuto supplicarti di restare accanto a me, di non andare via."
'Non avrebbe funzionato comunque.'
"Non ti prendo per il culo: non sarei rimasta in ogni caso. I sogni non muoiono col tempo e i miei erano troppo importanti per buttarli via. Il fatto è che doveva andare così sin dall'inizio."
"Se avessi saputo che per noi non c'era in programma un futuro fin da quel giorno in biblioteca, io ci avrei provato comunque."
Roxanne aveva da sempre un'allergia per la dolcezza e per i sentimenti in generale. Schiudersi con altre persone non le era mai stato così d'aiuto come si sentiva dire in giro e aveva finito, nel giro di pochi anni, a rintanarsi nella sua cameretta, l'unico posto dove era libera di comportarsi come una normale ragazza senza farsi vedere da nessuno, evitando così imbarazzanti momenti che le avrebbero potuto rovinare la sua reputazione di "maschiaccio". Poi, lentamente, aveva acquisito la risolutezza necessaria per essere forte e a lasciarsi indietro le lacrime. Senza bisogno di manifestare i sentimenti alle persone, aveva capito che, primo: lasciarsi andare a lacrime liberatorie e confessare a qualcuno i propri segreti non era un male, ma era perfettamente normale dato che era stato appurato che gli uomini avevano delle emozioni; e che, secondo: lei voleva essere anormale ed avere abbastanza forza interiore per essere il più possibile distaccata dall'imbarazzo ed aggirare, così, situazioni che le sarebbero potute star scomode. C'era riuscita, più o meno. Era diventata una persona che, se non la si conosceva, risultava glaciale e schiva, ma che quando la riuscivi a capire e oltrepassavi il muro della "conoscenza", sapeva manifestarti amicizia con una facilità impressionante.
Anche Matthew era così, solo che lui non ci aveva mai davvero fatto caso. Io invece, non avendolo già incorporato nel mio carattere, avevo dovuto costruire mattone per mattone quel muro e contemporaneamente capire perchè lo stessi facendo. Ero cresciuta troppo in fretta e avevo incominciato troppo presto a pensare da donna per non avere rimpianti.
"Ho visto i cd. Sono felice che siate arrivati fino a questo punto."
"Non te lo aspettavi, vero?"
"In verità ne ero più che certa. A differenza di quanto mi hai rinfacciato prima, io credevo veramente in voi. Pensavo veramente che avreste potuto spaccare il culo a tutti."
"Già, a quanto pare avevi ragione. Tu cosa hai fatto in questi anni?"
"Lavoro come restauratrice e giro il mondo un po' come voi. Ho lavorato dappertutto e tu non puoi neanche immaginare tutte le opere che ho visto: sono andata in Francia, Spagna e ora sto lavorando in Italia, a Firenze. Firenze, capisci?! Non volevo neanche smettere di lavorare ma Nick mi ha obbligato."
"Ci verrai a vedere, in tour?"
"Devo proprio?"
"Cazzo, non ci senti dai tempi dei dinosauri e ti fai pure supplicare? Voglio vedere come prendi la cosa."
"La cosa che siete diventati famosi e che milioni di ragazzi vi sbavano dietro? Avanti, pensavo che il tuo obbiettivo fosse farti ricordare nel mondo della musica, non di diventare una rockstar per ragazzine in calore."
"Rischi del mestiere.", ribattè ridendo, "Quanto rimani qui a Teignmouth?"
"Altri cinque noiosissimi giorni, non vedo l'ora di andarmene."
Mi arrotolai una ciocca di capelli attorno al dito, pensando a quello che mi aspettava: dopo un mese a Firenze mi sarei spostata a Venezia per conto di un museo e ci sarei stata qualche altro mese, prima della chiamata di qualcuno che, con ogni probabilità, mi avrebbe fatto cambiare stato ancora una volta. Non sapevo le mie mete con largo anticipo e spesso i periodi per conto di un privato o di un altro si accavallavano e venivo costretta a disdire tutto. 'Ma erano i rischi del mestiere, vero Matt?'
"E Nick?"
"Nick cosa? Non gli sanguina certo il cuore per la mia partenza: la sua ragazza ha deciso di ritornare a casa dei suoi perchè sosteneva che lui avessse bisogno di passare del tempo con me, come se la sua presenza ci avesse impedito di farlo."
"Beh, è stata gentile, che c'è di male? Non devi avercela a morte con qualcuno solo perchè si preoccupa per te, eh."
"Il punto è che non ha chiesto il mio parere."
"Perchè, tu le avresti detto di tornarsene a casa?"
"No, infatti: le avrei detto che praticamente questa era casa sua e che ovviamente poteva restare. Io ci vengo per neanche due settimane l'anno."
'Questa non è più casa mia.'
Sentii la risata - idiota, perchè era idiota - di Matt dall'altro capo dell'apparecchio e lui che parlava concitato con un'altra persona. Aveva tappato il microfono dato che non mi giungeva più alcun suono.
"Scusami Roxy, stavo... niente.", disse Matthew dopo un po', liberando il microfono.
"Figurati, tanto anche io devo andare. C'è una festa a sorpresa in ballo apposta per me, mi sono quasi commossa quando Nick me l'ha detto.", dissi ironicamente e sospirai un: "Beh, ci vediamo Matt."
"Ah, okay. Buona festa, Roxy, a presto."
Stavo per mettere giù quando un secondo prima di premere la cornetta rossa, giunse chiara la sua voce: "Ah, Roxanne? Cerchiamo di tenerci in contatto."

Da quel giorno, Matthew non lo sentii più per mesi. Eravamo in agosto - il nove era il mio compleanno- e la maggior parte dei cambiamenti delle persone avviene in estate, quando la libertà ti fa andare in pappa il cervello suggerendoti di vivere alla giornata e di fregartene delle promesse, degli impegni futuri e di goderti il sole. L'aria d'estate fa venire voglia di mandare a fanculo un po' tutti, non c'è verso.
Ero troppo occupata per i fatti miei, comunque, per pensare a quello che avevo promesso a Matthew; contrariamente a quanto avevo in programma, i periodi della mia permanenza in Italia si allungarono: a Firenze non ci restai per un mese, ma per quasi due e mezzo, dopo i quali, ormai a inizio Novembre, mi trasferii a Venezia.
La telefonata di Chris nel pieno della notte mi lasciò parecchio spiazzata: in un primo momento pensai che fosse successo qualcosa di brutto, quando vidi il suo nome lampeggiare sul display.
Alla fine ci ero passata oltre, alla storia del suo matrimonio. Non gliel'avevo perdonata, quello no, ma avevo capito che era inutile tenergli il muso perchè le cose succedono e il giorno dopo sono già finite, chiuse nel loro bozzolo in attesa che il tempo logori l'involucro ed entri dentro per alterarne il ricordo. Non glielo feci più pesare o almeno non direttamente, ma mettendomi nei suoi panni capii che forse aveva fatto la cosa più ragionevole.
Quando mi disse che aveva avuto un figlio con Kelly, però, dissi addio a tutte le paranoie: esplodevo dalla felicità e non vedevo l'ora di vedere il bambino.
Ad ogni modo, risposi col cuore che mi martellava in gola.
"Cos'è successo?"
Ci fu silenzio dall'altra parte, e Dio solo sa quali pensieri stavano passando per la mia testa in quei pochi secondi. Il suo tono nel rispondermi, - scazzato - però, mi calmò.
"E io che mi aspettavo un tuo saluto tipico, di quelli che ti trapassano i timpani. Che cazzo dev'essere successo per poterti fare una telefonata?"
"Considerando che è quasi l'una di notte e che io stavo dormendo, qualcosa di assolutamente grandioso per poter farti perdonare."
"Che palle che sei. Il quattro Dicembre sei libera?"
"Dipende."
Sospirò, "Non c'è un dipende: o sei libera o no. Anzi, vedi di esserlo perchè devi venire a Milano a vederci."
"Mh, okay."
Silenzio. Le probabilità che Roxanne Thompson rispondesse con un 'Mh, okay.' ad una qualsiasi richiesta prima di analizzare minuziosamente tutti i pro e i contro che comportava - anche se quella sembrava più un'imposizione - erano sempre state nulle, prima di quella notte.
"Davvero puoi? Cioè, voglio dire.. sei ancora in Italia per quel periodo?"
"Chris, ti ho già detto di si, cosa vuoi di più?"
'Magari la certezza che non li pianterai tutti in asso un'altra volta, cara Roxy.'
"Nulla, è che volevo solo essere sicuro di aver capito bene. E' al DatchForum, sei capace di raggiungerlo?"
"Hanno inventato i navigatori, Chris, lo sai? Stai tranquillo, ci sarò. La prossima volta puoi però calcolare bene il fuso orario? mi faresti un grande favore. Beh, buonanotte Chris, salutami tutti."
La sua risata rauca attraversò la cornetta, "Certo, scusa. Buonanotte."

Il quattro Dicembre arrivai giusto in tempo per l'inizio concerto e probabilmente feci così tanta pietà agli energumeni della security - gocciolante per la pioggia e gelata fino alle ossa - che dopo avergli detto il mio nome si affannarono a farmi entrare dietro le quinte e farmi restare buona buona con ogni tipo di corruzione, che andavano dalla proposta di una coperta - che rifiutai irritata con un: "Non ho intenzione di vedere questo concerto con una cazzo di coperta sulle spalle!" - ad un confortante bicchiere di caffè.
Non li ricordavo così energici, i Muse, così coinvolgenti e neppure così bravi, a dirla tutta. Le loro esibizioni erano totalmente cambiate da quando li avevo conosciuti e così anche il loro rapporto con i fan. Erano molto più disinibiti, probabilmente per il fatto che ormai ci avevano fatto l'abitudine, a sentirsi delle star. Ero sorpresa perchè mi resi conto che quello era effettivamente il loro posto ed avevano tutte le carte in regola per aspirare anche a qualcosa di più.
Quando ancora erano dei ragazzini con il sogno del successo mondiale, nessuno ci avrebbe mai scommesso niente che sarebbero riusciti ad emergere: il casino che facevano, che era più scena che altro, aveva tanto colpito solo perchè si vedeva chiaramente che ci sapevano fare con la musica e che nessuno li avrebbe fermati. Quanto alla presenza scenica, quella faceva abbastanza schifo.
"Tu sei Roxanne, vero?"
Quasi non sentii neppure la ragazza che mi aveva chiamato, perchè il ritornello di una canzone che aveva tanto di musica spagnola iniziò a fracassarmi i timpani. Ed essere a cinque metri scarsi da Chris non aiutava di certo l'udito.
"Piacere, Gaia."
Strinsi distrattamente la mano alla ragazza che era comparsa di fianco a me. 'Sì, piacere. Ora però stai zitta e buona, intesi?'
Ora che finalmente c'ero, non mi sarei persa per nulla al mondo l'esibizione che si stava tenendo, neppure per una sconosciuta che sapeva insipiegabilmente il mio nome e che sembrava totalmente fuori luogo per un concerto rock.
"Questa è per la mia ragazza!"
La frase che pronunciò Matthew ebbe ripercussioni devastanti sulla folla, che sentito il suo idolo parlare in italiano esplose in un boato di grida e applausi. Io, che avevo passato gli ultimi sei mesi in Italia e che ormai riuscivo abbastanza bene a capire le frasi basilari dell'italiano, non impiegai molto tempo per capire il senso di quella frase e la possibilità che lui potesse avere una fidanzata mi sembro più che ovvia, in quel momento.
La ragazza di fianco a me, invece, sorrise quasi commossa e mentre Matthew attaccava con un'altra canzone - 'Starlight', si chiamava? -, lei incominciò a canticchiarla sottovoce. L'avevo capito che molto probabilmente era lei la suddetta ragazza di Matthew, e mi ritrovai a constatare che; a): era oggettivamente una bella ragazza; e che b) era assolutamente perfetta per lui.
Fù così che conobbi Gaia Polloni, che poi fidanzata di Matt la era veramente.
Quando finì il concerto e li vidi marciare fuori dalla visuale del pubblico mi sembrò di vedere degli sconosciuti che avevano finalmente trovato il loro posto del mondo, senza l'impellente necessità che anche io ne facessi parte. Perchè, in realtà, sono poche le persone al mondo per le quali sacrificheresti ogni cosa a tua disposizione e io, nel loro progetto di vita, ormai ero diventata irrilevante.
Se non ci fosse stato Dominic quella sera, probabilmente avrei accantonato in un angolo tutto il mio coraggio e sarei scappata a gambe levate, lasciandomi indietro l'immagine di Matthew e Gaia abbracciati e di Chris e Kelly che ridevano, anche se non l'avrei mai ammesso. La sensazione precisa era quella di essere un elemento inutile in un congegno che non aveva bisogno di me per funzionare, già di per sè, alla perfezione.
"Non mi aspettavo che accettassi di venire, sai?"
"Ti sei sempre aspettato un sacco di cose, Dominic, e nove volte su dieci sbagliavi previsione."
"Solo su di te. Era con te che non ne azzeccavo mai una, non ti ho mai capito veramente. Non ti capisco neanche adesso, sinceramente."
Gli scoccai un'occhiata interrogativa mentre tirava fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca di pelle. Me ne offrì una che rifiutai storcendo il naso. Con il culo ben piantato sulla panchina, puntai lo sguardo sui miei piedi che si muovevano volteggiando a poca distanza dal terreno.
"Non fumo." Così come non dipendevo da nessuno, non dipendevo neanche da delle stupide sigarette. O almeno, mi piaceva pensarlo.
"Voglio dire." Si interruppe per aspirare dalla sigaretta, "Perchè sei tornata? Ormai è chiaro che abbiamo preso strade totalmente diverse, no? è inutile cercare di rincorrere il passato."
"Forse è perchè fate ancora parte del mio presente, Dominic."
'Bella cazzata, Roxy, complimenti. Dieci e lode.'
Dom rise e si grattò una guancia ispida di barba.
"Che risposta del cazzo. Hai sempre dato risposte del cazzo, a pensarci bene: te e la tua ossessione per la filosofia, come se tutto girasse attorno a qualche ragione più profonda e indiscutibile, pronta a sbatterti in faccia la verità che non devi necessariamente comprendere ma che devi accettare. La realtà è che le cose succedono e basta."
"Volevo solo rivedervi e passare un po' di tempo con voi, e soprattutto fare gli auguri a Chris di persona, non c'è nulla di male."
Dominic mi guardò accigliato prima di scuotere la testa con un sorriso e aspirare dalla sigaretta.
"Sei autolesionista, lo sai?"
"Perfettamente. È anche vero però che tu sei un totale guastafeste, nel vero senso della parola."
Dondolai le gambe come i bambini e mi portai la bottiglia di birra alle labbra, mentre Dominic faceva un tiro alla sigaretta.
"Che ne pensi di Gaia?"
"Credo sia una persona a posto. Anche se non ho ancora avuto modo di parlarci veramente."
"Non era quello che intendevo."
Lo guardai il tralice dal basso del mio sedile.
"Allora impara a fare le domande giuste."
"Che ne pensi di Matt e Gaia?", sibilò per ripicca.
Alzai le spalle.
Non che avesse avuto tanto tempo per pensarci, - continua a mentire a te stessa, Roxy: non ti servono certo ore per capire che sono perfetti insieme. - e in ogni caso Roxanne, come tattica autodifensiva, tendeva a baipassare con un salto le risposte scomode. Quindi non avrebbe comunque risposto sinceramente a quella domanda. Lei era sempre pronta a porsi interrogativi, ma se le rispettive risposte comprendevano qualcosa che poteva compromettere il suo equilibrio interno, le lasciava accantonate in un angolo, attenendo il momento in cui sarebbero state innocue.
La verità era che quando li aveva visti scambiarsi un bacio alla fine del concerto le si era disintegrata davanti agli occhi la convinzione che si poteva recuperare davvero il tempo che lei e Matthew avevano perso. In quel momento aveva sorriso perchè le si era liberato un peso dal cuore.
"Beh, ogni volta che li vedo mi sembra già di vederli sposati.", continuò guardandomi furtivamente, "Sai da quanto stanno insieme? da quasi cinque anni."
"Se stai cercando di farmi sentire in colpa stai cadendo male."
"Perchè loro stanno funzionando alla perfezione e tu l'hai mollato? Gaia non lo segue dappertutto, ma fanno sacrifici entrambi per stare insieme..."
"Smettila Dominic.", lo interruppi alzandomi in piedi, "Non è affar tuo né tantomeno mio. Io ho fatto la mia scelta e se non l'hai capita sono cazzi tuoi. Non è tuo diritto venire a farmi una predica così ridicola."
Buttò la cicca consumata per terra, "Non l'hai mai capita neanche te, la tua cazzo di scelta."

 

 

NdA: Già, ci sono ancora! Questa volta ho voluto provare qualcosa di diverso: l'idea per questa storia l'avevo già in mente da un po', quindi mi ci sono buttata direttamente; è divisa in due capitoli e quindi il prossimo sarà il conclusivo. All'inizio me l'ero immaginata come una one-shot ma mi sono resa conto che era troppo lunga e quindi a malincuore l'ho dovuta dividere.
Il titolo è preso dalla canzone The balcony dei Rumour said fire
Beh, la finisco, ora. Credo mi abbiate già sopportato abbastanza. Grazie per aver letto fin qua! 

  
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