Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: emome    13/03/2012    2 recensioni
Questa one-shot l'ho scritta principalmente perchè mi era stata richiesta e all'inizio non mi veniva da scrivere nulla ma dopo le prime righe un fiume in piena. Sempre su un rapporto disastroso trà padre e figlio ma c'è una speranza per tutti.
Grazie per l'ispirazione memy881 XD.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Stava andando a scuola  come ogni mattina, da solo . Sentiva il gelo assalirgli la faccia nuda ; l’inverno quell’anno era arrivato troppo in fretta e troppo tardi se ne sarebbe andato. Lui odiava l’inverno.

Si sistemò meglio lo zaino  in spalla e cominciava già a vedere alcuni suoi compagni di scuola davanti e dietro di lui , ma nessuno affianco a lui.

Vedeva tutti quei gruppi di amici che camminavano insieme ridendo e scherzando ad alta voce e si sentì geloso come non lo era mai stato verso di loro.

Nessuno aveva mai voluto fare la strada della scuola con lui, né andare a studiare a casa sua nei pomeriggi , o andare al bar o fare qualsiasi altra cosa in sua compagnia. Non aveva amici, non è bello non avere amici.

Gli vennero le lacrime agli occhi ma le ricacciò indietro; ci mancava solo che si mettesse a piangere così a scuola avrebbero voluto sapere e magari lo avrebbero preso in giro.

Fece una smorfia per reprimere definitivamente le lacrime dietro gli occhi e allora lo colpì una fitta di dolore allo zigomo, sul livido. Chissà cosa avrebbero detto a scuola del livido violaceo che gli si era formato sullo zigomo, appena sotto l’occhio e perfettamente visibile. Durante tutta la notte aveva cercato di trovare un modo per coprire quel livido in modo efficace ma non glie ne era venuta nessuna di idea e quindi l’unica soluzione era stata tenerselo lì , ben visibile a tutti.

Iniziava a scorgere il liceo in lontananza ma l’ansia gli era passata, i suoi compagni erano solo un branco di stupidi ed insignificanti in confronto . . .

La sera prima credeva che suo padre fosse “in buona” , principalmente perché non aveva ancora rotto alcun oggetto ne lo aveva preso a schiaffi ma ormai dall’esperienza avrebbe dovuto sapere che bastava un niente per farlo scoppiare, anche il suo stesso respirare , tecnicamente, lo faceva infuriare.

“Cosa fai con quel libro in mano ?” così gli aveva domandato il padre, con l’aria che lui ben conosceva che stava per arrabbiarsi, infuriarsi. Sapeva che era meglio stare zitti o assecondarlo in ogni cosa dicesse ma Saverio non si trattenne dal rispondere al padre anche se non avrebbe dovuto “leggo, di solito ci si fa questo con i libri “  lo raggiunse in un attimo e gli tirò un potente schiaffone che colpì l’osso facendogli come al solito un male cane.

Ma era abituato a quel dolore, non era nemmeno tutto questo dolore insopportabile, almeno fisicamente. “Stupido ! stai in casa mia, mangi a sbafo, non fai niente dalla mattina alla sera e ti permetti anche di mancarmi di rispetto ? devi abbassare lo sguardo mentre ti rimprovero !”  ed un altro schiaffo nel medesimo punto. Questa volta faceva davvero male !.

Saverio rimase fermo, ancora seduto sul divano con lo sguardo basso.

Come gli era stato ordinato. Improvvisamente il padre lo prese per le spalle e lo sollevò da dove era seduto per portarlo alla sua altezza, guardandolo negli occhi. “ Perché sei così anormale ? alla tua età gli altri escono e giocano a pallone invece tu  leggi e studi tutto il santo giorno come un deficiente. Che razza di figlio mi è venuto fuori. “ l’ultima affermazione la disse più trà se e se lasciando andare di malo modo il figlio. Si girò e guardò di nuovo Saverio negli occhi “è colpa tua”.

E’ colpa tua.

E’ colpa tua.

E’colpa tua.

Gli era stato ripetuto tantissime volte da quando . . .

Saverio salì le scalette della scuola con la folla che gli sfrecciava ai lati, indifferente. Entrò nella sua classe con fuori la scritta 1B   e si sedette al suo solito posto accanto alla finestra , così da poter guardare fuori. Adorava farlo. Fortunatamente il professore entrò subito dopo di lui e si cimentò nelle sue solite spiegazioni destabilizzanti.

E’ colpa mia. Pensò Saverio, forse era davvero così.

Se lui due anni prima non avrebbe costretto sua madre a venirlo a riprendere a quella stupida festa di compleanno non sarebbe successo niente. Che poi la festa non era stata neppure un granchè e quelli che lui aveva reputato amici gli avevano fatto subito “ciao ciao “  quando non era più uscito con loro per il dramma. Il dramma. Così lo avevano definito tutti.

Se non ci sarebbe andato sua madre sarebbe ancora viva , ma invece il fato ha deciso che lui andasse alla festa, che quando chiamò per farsi venire a prendere trovò solo sua madre, che la macchina slittò sul terriccio e finì nella scarpata. Davvero la vita di tua madre vale meno di una festa ? ogni tanto una vocina nella sua testa gli domandava. Certo che no ! avrebbe voluto urlare , alla voce, a suo padre, a se stesso ,al mondo intero.

Ma invece se ne stava zitto, sparendo nei suoi libri e facendosi picchiare dal padre che non aveva mai straveduto per lui ma da quando era morta sua madre aveva iniziato a picchiarlo, perché era colpa sua.

Il padre aveva messo le cose in chiaro che appena compiuti i diciotto anni se ne sarebbe andato, gli avrebbe pagato la casa dove avrebbe vissuto am basta che se ne andava. Questo diceva suo padre. Fa male.

Passò la giornata che nemmeno se ne accorse e  tornò a casa, un semplice palazzo di periferia, ne troppo malandato ne troppo bello. Normale.

A casa buttò lo zaino in un angolo dell’ingresso, velocemente in bagno e si chiuse a chiave. Sentì la televisione in cucina e tirò un sospiro di sollievo.

Il livido era sempre violaceo , non era ne migliorato ne peggiorato. A scuola non gli avevano parlato per niente ed era una cosa positiva. Non li voleva.

In quella giornata grigia anche i suoi occhi erano grigi, freddi enon gli piacevano. Odiava il freddo.

Scoppiò a piangere senza una ragione apparente e si accasciò a terra singhiozzando, cercando di non farsi sentire. Aveva il terrore che lo sentisse ma non riusciva a fermarsi, come una diga per  che si rompe dopo anni di intemperie e vessazioni. Troppo debole e malandata per trattenere il fiume.

Come lui, una diga rotta. Era strano piangere dopo tutto quel tempo, non aveva pianto neppure quando era morta sua madre, ne all’ospedale, ne al funerale. I medici avevano detto shok ma lui diceva anormale. Anormale.

“ Che stai facendo lì dentro ?” la voce di suo padre fuori dal bagno lo fece trasalire facendogli scappare un singhiozzo. Non lo aveva sentito arrivare.

“Tutto bene ?” gli mancò l’aria sentendo quel tono di voce, era dolce.

Quel tono di voce con cui gli parlava quando era piccolo e aveva la febbre.

Gli scesero altre lacrime silenziose, prese a respirare con la bocca quasi a fatica. La sua voce non era infuriata come sempre ma poteva giurare che fosse dolce. Vide la maniglia abbassarsi ma a vuoto , poiché l’aveva chiusa a chiave. “Apri” disse suo padre dal’altra parte della porta , piano  e calmo.

Non era un ordine come sempre. Ma lui non voleva aprire , o forse si, ma non riusciva  muoversi perché quella voce non la sentiva da anni e non gli sembrava vero. Sembrava che suo padre non lo odiasse più ma aprendo la porta ,ne era sicuro, avrebbe riscoperto il padre violento degli ultimi due anni e non la voleva quella delusione. Invece se restava fermo non rovinava le sue aspettative e niente. “Perché non parli ? dì qualcosa, so che sei lì” non era ancora arrabbiato, sembravano più delle suppliche disperate.

“Va tutto bene” rispose finalmente Saverio con la voce arrochita dal pianto di qui  pregò che non si sentisse. “Non è vero” “se te lo dico io è vero”.

Di nuovo silenzio e la porta a dividerli, intanto Saverio si era alzato e si stava asciugando gli occhi con la carta igenica, sapeva già come lo avrebbe rimproverato se avesse saputo che aveva pianto.

“Saverio apri , non ti faccio niente” di nuovo quella voce terribilmente dolce che lo convinse a fidarsi, anche se una parte del suo cervello gli gridava di no farlo lui aprì la porta. Suo padre sembrava addolorato.

“Hai pianto?” “ no mi sono strofinato un po’ gli occhi” “non è vero “ costatò il padre continuandolo a fissare, addolorato. “Pensala come vuoi” scrollò le spalle Saverio.”Vieni a mangiare , c’è il pranzo “ disse a Saverio quasi sorridendo dopo pochi istanti di silenzio. Molto strano, di solito si preparava il pranzo da solo e al figlio gli dava i soldi per mangiare fuori o comprarselo fuori. Mangiarono insieme a tavola dopo anni e l’atmosfera si rilassò quasi del tutto. Era strano per  entrambi.

Il giorno dopo a scuola gli sembrò tutto più semplice, scambiare qualche parola con i compagni, trascorrere l’intervallo con loro .  Era facile, era lui che faceva tutto complicato.

Non riusciva a capire il comportamento del padre del giorno prima ma era stato investito da un improvviso buonumore che non voleva lasciare.

Circa a mezzogiorno e mezzo lo vennero a prendere a scuola dei poliziotti insieme ad un assistente sociale. Lo portarono nell’ospedale della zona, dicendogli “tuo padre ha avuto un incidente” così gli dissero.

Ma in realtà suo padre quella mattina si era tagliato le vene, gli spiegò il dottore dopo qualche esitazione perché dei “bambini di quattordici anni non dovrebbero sentire certe cose”. Si sentì mancare, come ? proprio ora che sembrava esserci uno spiraglio di luce  lui faceva una cosa tanto stupida ?.

No, non poteva farlo non poteva lasciarlo anche lui.

Dopo due ore di intervento lo condussero verso un corridoio freddo e bianco, deserto. Non gli piacevano gli ospedali. Lo fecero entrare in una piccola stanza con un solo letto dove vi era suo padre bianco come un cadavere in alcuni punti blu- violaceo. Si sedette accanto a lui “sei uno stupido papà! Proprio ora che iniziavo di nuovo a fidarmi di te tu provi ad ucciderti ?” gli disse con un misto di rabbia e dolore. Questa volta trattene per bene tutte le lacrime. Voleva essere come lui lo voleva, forte.

“Mi dispiace” sussurrò il padre “per tutto. Tu mi hai sempre voluto bene io invece ti ho trattato come un cane. Mi dispiace davvero solo che “ un colpo di tosse lo interruppe. “Non ti affaticare” “faceva tropo male ed io me la sono presa con te. Non è colpa tua”.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: emome