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Autore: kishal    14/03/2012    1 recensioni
"L’uomo, immerso in un silenzio dovuto e gravoso, riusciva oramai a percepire di sé solo il cuore, che ripercorreva veloce la macabra via dei sentimenti passati cui aveva mozzato ogni speranza di realizzazione, e il cervello, perso in un oceano di vecchi ricordi dal sapore dolceamaro. Una vocina lontana – più che la coscienza, il suo spirito di sopravvivenza – lo avvertiva ogni tanto che se avesse continuato così, avrebbe avuto un infarto molto presto."
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ninphadora era morta durante l’ultima battaglia

*************************

Dolce,

come un marshmallow.

 

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Ninphadora era morta durante l’ultima battaglia.

Quella lapide di marmo rosa, cosparsa di piccoli unicorni che correvano qua e là, era la sua.

Si trovava all’interno di un piccolo parco privato retrostante la villa dove lei era vissuta con i suoi genitori.

Un’immagine sorridente della donna con i cortissimi e sbarazzini capelli di un colore rosso vagamente tendente al rosa lo guardava pieno d’amore da un’ovale d’oro zecchino.

Purtroppo non aveva avuto la possibilità di starle accanto nei suoi ultimi istanti di vita. Lui era stato mandato a contrastare l’avanzata dei Deatheaters sul fronte occidentale… mentre lei era rimasta a combattere in casa, nelle campagne nei pressi di Londra.

Aveva saputo l’angosciante, nefasta notizia tornando alla sede centrale dell’Ordine, quando era stato informato che l’avevano ritrovata priva di vita abbandonata in una fossa comune fra i tanti deceduti della giornata.

Quel giorno stesso la guerra era finita. Ed era una tale ingiustizia che lei, che fin da piccola aveva combattuto per la vittoria, non avesse avuto la possibilità di goderne la pace.

 

Non era riuscito a piangere una lacrima, nel vedere il suo corpo esanime.

Quando, successivamente, aveva ripensato alla sua reazione in quel momento, si era sentito pervadere dall’orrore per ciò che aveva fatto tanto spontaneamente. Perché aveva sorriso. Con amara rassegnazione, è vero… ma aveva sorriso. Un sorriso che era un addio al suo cuore, un addio a tutto ciò che di profondo e intenso ci può essere in un uomo….

Con lei, era morto anche il suo spirito.

Il destino non aveva concesso loro di amarsi. Non la vedeva da un anno e mezzo, da quando cioè l’aveva lasciata e si era fatto trasferire in un reparto lontano dalla Sede Centrale degli Auror.

Aveva poi constatato che non era cambiata minimamente da come la ricordava… forse i capelli erano più lunghi ed i lineamenti ancora più dolci del solito… Le aveva accarezzato la vivace chioma rosa ed era rimasto lì, immobile, a rimirare la sua bellezza eterea, incredibilmente rimasta intonsa dalla crudele morte.

 

 

“Ti amavo, Dora – disse al suo ritratto, dopo esserglisi inginocchiato dinanzi – ma non potevamo stare assieme.

Tu eri così meravigliosa… ed io ero così povero, così vecchio, così pericoloso per te… ti meritavi di meglio.

Mi rammarico di averti fatto provare un dolore tanto grande nel lasciarti, ma al mio fianco avresti sofferto anche di più.

Non ti scorderò mai…”

 

 

“Ehi… ehilà!”

 

Remus si alzò in piedi, voltandosi in direzione della voce che aveva parlato. Una ragazzina dai lunghi capelli biondissimi si avvicinava nella sua direzione, inciampando qua e là, ma con un’aria così risoluta su quel viso da bambola da non lasciare dubbio sulle sue intenzioni bellicose.

“Buongiorno…” Disse il bel licantropo. La fanciulla lo squadrò dall’alto al basso, con fare guardingo e scostante. Aveva una bellezza fresca, eterea, che ricordava molto quella delle ninfe nei libri di mitologia, con un leggero strabismo che rendeva i suoi occhi azzurri ancora più intriganti.

“Bando alle ciance signore, non sa che questo è un territorio privato? Cosa ci fa qui?!” Gli disse, arrabbiata, mostrandosi molto più decisa e aggressiva di quello che il suo aspetto dava a intendere.

“Sì, ne ero consapevole, ma…” Provò a obiettare lui, venendo prontamente interrotto.

“Che c’è? Sarò pure una ragazzina ma, le posso assicurare, so usare questa bacchetta!!” Minacciò, puntandogli davanti al naso quel luccicante bastoncino di legno bianco che teneva stretto nella manina affusolata.

Sentendo l’arma sfiorargli il naso, Remus non poté fare a meno di indietreggiare. “No, aspetta, posso spiegarti…

 

Lei per tutta risposta avanzò, ma non appena il suo piede ritoccò terra si ritrovò con le gambe all’aria, immersa in un groviglio di foglie secche proprio davanti alla lapide.

Indispettita, sotto lo sguardo allibito di Remus, si mise a gridare, scaraventando ovunque le foglie che aveva sopra e fermandosi poi a fissarlo, sbuffando.

“Lei non ha la minima idea di quante volte io sia caduta solo oggi, signore! E’ una maledizione, non riesco a stare in piedi senza fare danni!

Lui scoppiò a ridere, inchinandosi per aiutarla a rialzarsi.

“Sei una Tonks, ragazzina?”

“Ci può scommettere!” Affermò lei, ridendo con lui, mentre i suoi capelli assumevano una graziosa tonalità rosa, che le dava l’aria di una deliziosa caramella.

“Immaginavo… sono venuto qui per salutare Ninphadora, era una mia carissima amica…” Disse, indicando la tomba. “La persona più meravigliosa che io abbia mai conosciuto… “ E qui gli occhi gli si riempirono di amarezza.

 

La ragazza lo fissò intensamente senza che lui se ne accorgesse, divenendo sempre più seria mentre analizzava le sensazioni che si leggevano sul volto del bell’uomo di mezza età mai incontrato prima d’allora.

“Tu la ricordi?” Le chiese lui poi, come riprendendosi da una trance e ricordandosi della sua presenza.

“Non avevo neanche un anno quando è morta.” Replicò, facendo spallucce.

“Se n’è andata quasi sedici anni fa…”

“Sì, fra un mese saranno sedici anni precisi. Cosa l’ha portata qua? Non ci conosciamo, non è mai venuto qui in passato”

Lui fece spallucce, calciando un sasso lontano, verso il bosco che abbracciava quella tenuta. “Mi mancava. Volevo vedere dove era stata sepolta. E’ l’unica che non ero ancora venuto a trovare. Sai… la guerra ha devastato tutta la mia famiglia… tutti i miei amici…

“Oh, a chi lo dice! Io sono dovuta crescere con mio nonno! Non che sia antipatico, per carità, però ogni tanto lancia grida tanto potenti da far tremare perfino i dissennatori…. Diamine, dovreste sentirlo!

Poverino! Alla fin fine non ha neanche tutti i torti! E’ un babbano, ed è venuto qua solo per crescere me! Ogni volta che mi vede fabbricare con la magia gli si rizzano i peli delle orecchie! IRIS NON FARE DANNI! Il primo anno di scuola ho fatto saltare il tetto sbagliando una pozione corroborante!” Esclamò tutto d’un fiato, scoppiando a ridere.

 

Remus rise con lei. Quella ragazzina gli stava proprio simpatica, era in gamba! “Quindi, ti chiami Iris?”

“Esattamente, Iris come la dea greca dell’arcobaleno! Sa, sono una metamorphomaga, e i colori sono sempre stati la mia passione!” Disse birichina, facendo mutare alla velocità della luce il colore dei suoi capelli, fino a ritornare al precedente rosa caramella.

L’uomo abbassò un attimo lo sguardo, ricordando con dolore la stessa abitudine che aveva la sua bellissima ninfa. “Io sono Remus Jhon Lupin…

“Sì, l’avevo capito. Ho sentito parlare molto di te. E in alcune foto ti ho pure visto, con la divisa da auror. Oh, le dispiace se le do del tu?”

Ma no, no, figurati! Mi fai sentire troppo vecchio dandomi del lei! Comunque, tornando al tuo discorso, sì, ho combattuto ai tempi della guerra.

“Lo so bene.” Rispose lei, con un’aria saccente che fece incuriosire Remus.

“Sei figlia di uno dei fratelli di Taddeus Tonks?” Domandò, incuriosito. Non poteva essere altrimenti, d’altronde: quella ragazza doveva certamente essere una nipote di Dora. Le somigliava tanto da rendere quasi doloroso guardarla sapendo che, invece, non si trattava di lei.

Iris, per tutta risposta, scoppiò a ridere. “Oh, no, no assolutamente!”

“E di chi...

“Non fare l’ottuso!”

“…”

“Mia madre è lei, Remus: Ninphadora!”

 

 

Silenzio.

Remus fu così scioccato da quella rivelazione da fare letteralmente un balzo indietro, la voglia di scappare via che improvvisamente invadeva il suo cuore. “Che… che stai dicendo?!?!” Sussurrò.

 

La ragazza rimase impassibile davanti alla sua reazione. Il sorriso che portava sulle labbra non si oscurò neanche di poco, come se fosse preparata a tutto ciò già da molto tempo.

“Mi ha avuto durante la guerra, e mi ha lasciato alle cure dei genitori: il suo uomo l’aveva lasciata, lei non aveva avuto la voglia di dirgli di me e in più doveva combattere per salvare…beh, il mondo!

Purtroppo però anche i nonni dovettero intervenire alla guerra, e la nonna ci lasciò le penne… giunta la pace, poiché erano morti tutti venimmo a vivere qui, a Unicorn Manor.

La mamma aveva lasciato molti scritti, tanti diari in cui parlava delle persone a lei più care. Tu compari in ogni pagina. Quasi in ogni rigo, a dire il vero!”

 

L’uomo, immerso in un silenzio dovuto e gravoso, riusciva oramai a percepire di sé solo il cuore, che ripercorreva veloce la macabra via dei sentimenti passati cui aveva mozzato ogni speranza di realizzazione, e il cervello, perso in un oceano di vecchi ricordi dal sapore dolceamaro. Una vocina lontana – più che la coscienza, il suo spirito di sopravvivenza – lo avvertiva ogni tanto che se avesse continuato così, avrebbe avuto un infarto molto presto.

 

Quello che stava dicendo la ragazza era assurdo e inaccettabile.

E inaspettato e meraviglioso.

Un sogno divenuto realtà.

O un incubo da cui avrebbe dovuto fuggire.

 

A quel pensiero, d’improvviso, tutte le paure che erano sorte durante la sua relazione con Dora tornarono a galla, adattandosi alla figura della giovane strega che aveva davanti come una seconda pelle.

Lui era un mostro. Non sarebbe mai potuto essere un buon padre. Era vecchio, coperto di ferite… e la catapecchia dove viveva non poteva di certo offrire a Iris tutti i confort che aveva in quella villa da sogno!

Non poteva essere vero. Non doveva essere vero. Il destino non poteva essere così crudele con lui, costringendolo a rinunciare prima alla donna che amava, poi alla figlia appena ritrovata.

Iris” mugugnò, con voce spezzata. “Cosa mi stai dicendo? Ho… ho capito bene?”

 

Lei alzò le sopracciglia, fissandolo con aria saccente… e con una buona dose rimprovero, pure. “Se hai capito di essere tu l’uomo crudele che ha abbandonato mia madre, facendola soffrire immensamente e costringendola a nascondere le gioie di una gravidanza così attesa e voluta…” Disse, fermandosi poi di botto, lasciandolo in sospeso proprio sul più bello. Tipico di Tonks.

…si?”

“Hai capito benissimo.

Sono tua figlia, Remus JohnLupin. Sangue del tuo sangue. Una strega fatta e finita! Beh, quasi, sono ancora al sesto anno… Comunque, per la cronaca: prova a scappare, o a dirmi che non mi vuoi più vedere perché sei vecchio, povero e pericoloso e farò quello che mia madre non fece sedici anni fa.

Ti prendo a pugni, e di brutto. Te le do di santa ragione, così tante che sarai costretto a rimanere qui perché non sarai minimamente capace di andare altrove! Ti…” Ma non concluse la frase, perché due forti braccia la avvolsero e un petto caldo e robusto la accolse con impeto.

 

Remus non era riuscito a trattenersi.

Improvvisamente, mentre il ritratto di una Tonks triste e solitaria gli si disegnava nella mente indotto dalle parole della figlia, l’immagine di un’altra Tonks, una Tonks morta, dilaniata dai fuochi della battaglia, abbandonata fra le varie carcasse di una fossa comune, si era fatto spazio nella sua mente, prendendo il posto di tutte le paure che prima l’aveva occupata, e accompagnandosi a un’altra, terribile constatazione: l’aveva lasciata sola, non solo nella vita ma anche nella morte.

Era stato un vile, un egoista.

E riusciva a capirlo solo allora, diciassette anni dopo averla lasciata, sedici anni dopo la sua morte; lì, davanti alla sua tomba, davanti alla loro figlia.

Aveva sbagliato tutto quanto con lei.

Ma mai, MAI avrebbe commesso di nuovo quegli stessi errori.

Mai avrebbe più dato ascolto alle sue paure. Mai.

 

“Mai! Non sai quanto me ne pento!” Esclamò con enfasi, piangendo a dirotto.

Lei sorrise, pure commossa, sentendo il padre lasciarsi andare in quel pianto liberatorio.“Sai, leggendo i suoi diari all’inizio ti ho odiato. Non riuscivo a capire il tuo comportamento, la tua vigliaccheria mi era intollerabile. Anche se lei, perfino dopo la vostra separazione, continuava a dipingerti come un angelo, un eroe, l’uomo della sua vita, io ti odiavo. Sapevo perfettamente chi eri da quando ti ho visto arrivare, superando i confini della villa e dirigendoti subito verso questo posto. E avevo intenzione di farti saltare le cervella, per quello sono corsa qui su armata! Beh, perlomeno volevo tentare di farti saltare le cervella… sono un tal disastro che qualche volta perfino la bacchetta si rifiuta di obbedirmi!

In ogni caso, sai quando ho cambiato idea? Quando ti ho visto sorridere. D’improvviso tutte le parole di mamma avevan senso. Quando sorridi ti risplende l’anima, e non è un mostro quello che appare agli occhi di chi ti guarda – come so tu credi… ma un dolcissimo marshmallow.

Poi ti ho scorto guardarla in quella foto come se… come se dentro quella cornice ci fosse il riassunto di tutta la tua vita, costellata di fallimenti, dolori, morti… e troppe, troppe colpe che ti appesantiscono le spalle. Se il tuo sorriso m’ha fatto capire quale splendida persona sei, il tuo amore per mamma mi ha costretto a perdonare tutti i tuoi errori.

E sai cosa ho deciso allora? Che avrei fatto di tutto, DI-TUTTO, per convincerti a restare!

 

Dopo quel discorso, Lupin, ormai rosso in volto e tutto tremante per la commozione, non sapeva più se ridere o piangere. Nel dubbio, faceva entrambe le cose assieme, tenendosi ben stretta la figlia al petto. “Per Merlino, ma perché non sei venuta mai a cercarmi?! Sapevi chi ero, sapevi che ero tuo padre!

“Perché non avrebbe avuto senso: eri stato tu ad andare via, dovevi essere tu a fare ritorno! Se fossi venuta io, mi avresti anche potuto rifiutare, per le stesse ragioni per cui hai rifiutato la mamma. Poi, come ti ho detto, non ero così sicura di volerti. Se fossi venuta da te e tu mi avessi rifiutato, probabilmente ti avrei preso a botte! Così, ho deciso che era più prudente aspettarti: sapevo che prima o poi saresti giunto qui, da lei, a salutarla”

“Amavo tua madre. L’amo ancora”

“Me ne sono accorta”

“E tu le somigli parecchio”

“Sì?”

“Solo lei sarebbe stata capace di paragonarmi a un marshmallow! Ma, a parte questo, avete molto altro in comune…

…Soprattutto sul fronte danni!”

“Lei non era solo quello!”

“Non era solo un disastro, dici?”

“Beh, in gran parte sì! Però aveva qualcosa di speciale, una luce che faceva brillare non solo lei, ma pure tutti quelli che le stavano attorno. Sei stata fortunata, l’hai ereditata.

Insieme al suo naso a patata!”

“Ehi, questo è un colpo basso papà, un vero e proprio colpo basso!” Sbraitò lei, portandosi una mano a nascondere il suo piccolo, simpatico difetto.

 

Remus, tuttavia, era rimasto quasi paralizzato nel sentire una piccola, magica parola. “… Dillo di nuovo”

“Colpo basso?!

“No, malandrina, non quello!” Ridacchiò Remus, vedendo la sua espressione birichina. Per tutta risposta la figlia lo abbracciò, spingendolo ad avviarsi con lei verso la villa.

 

“Vieni, papà, andiamo a casa: il nonno non vede l’ora di incontrarti. Ha già preparato il tea e i biscotti al cioccolato! Era particolarmente fiducioso riguardo l’happy ending del nostro incontro!

Oh, sai una cosa? Il cioccolato piace un mondo anche a me!”

 

 

 

The End

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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