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Autore: Sylphs    15/03/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

 
 
 
 
 
 
Isadora era alla finestra del terzo piano e si sporgeva nel vuoto fino alla vita, godendosi il fresco del mattino. Il tempo era nuvoloso, ma la foresta era piena di profumi che non aveva colto subito: muschio, aghi di pino e qualche fiore raro. Teneva gli occhi chiusi, un sorriso sereno dipinto sulle labbra, i capelli che le si riversavano sul vestito viola. La si sarebbe quasi detta felice.
Quando udì un rumore di passi pesanti dietro di sé, fece un sorriso e si girò prontamente verso il corridoio luminoso del maniero. L’orco uscì dalla sua stanza sbadigliando, e si bloccò con espressione piacevolmente sorpresa quando la trovò lì. Lei incrociò le mani dietro la schiena, amichevole: “Buongiorno”.
“Buongiorno” rispose lui gentilmente. Si chiuse la porta alle spalle: “Non pensavo che fossi sveglia”.
“Sono le otto” disse lei: “Stavolta sei stato tu a dormire di più”.
L’orco arrossì: “In effetti sì…”
“Mi fa piacere. Ieri è stata proprio una bella giornata, vero?”
“Infatti”.
Rimasero un istante in piedi l’uno di fronte all’altra, entrambi indecisi sul da farsi. Alla fine l’orco disse, con evidente svogliatezza: “Dovrei andare a caccia…”
“Oh, no, ti prego” Isadora fece una smorfia: “Non voglio rimanere sola tutto il giorno. Perché non rimani qui? Potremo fare tante cose! E poi ci tenevo proprio a presentarti un mio piccolo amico…”
Capì che l’orco aveva già accettato, anche se cincischiò un po’: “Gli altri orchi diranno che mi sono rammollito…”
“Che te ne importa degli altri orchi? Che parlino pure! Tu cosa vuoi?”
L’orco si morse il labbro. Però non resistette a lungo: “E va bene” disse infine con un mezzo sorriso. Isadora rispose con un altro abbagliante: “Che bello! Presto, seguimi” lo prese per mano e lo tirò in direzione della sua stanza. Lui la seguì senza più la minima esitazione.
Nella camera di Isadora c’era una confusione indescrivibile: vestiti sparsi a terra, la branda sfatta, briciole sul pavimento e fogli scritti. La ragazza arrossì quando arrivarono sulla soglia, ma l’orco non commentò. Puntò dritta l’enorme groviera che aveva lasciato sopra alla branda, al cui interno si intravedevano movimenti vari e rumori di denti che rosicchiano. Fece segno all’orco di inginocchiarsi presso il formaggio, poi fece la voce grossa e chiamò: “Armageddon! Vieni fuori, devo presentarti una persona”.
I movimenti cessarono, ma nessuno uscì dalla groviera. Isadora, rossa in faccia, ripeté: “Armageddon! Non farmi sfigurare proprio adesso! Vieni fuori!” ancora niente. Allora, con un sorrisetto furbo, Isadora continuò: “Che peccato. Per cena quella fonduta che ti avevo promesso te la potrai scordare…”
Uno squittio di protesta risuonò chiaro da dentro la groviera rosicchiata a metà, poi Armageddon ne balzò fuori indignato, con la pelliccia bianca unta di giallo. Isadora sorrise trionfante. Non l’aveva mostrato nemmeno a Katrina: era sempre rimasto nascosto. Lo prese fra le mani, e, rivolgendosi all’orco: “Questo è Armageddon, il mio fratellino. Armageddon, questo è un mio nuovo amico”.
Armageddon scrutò coi suoi occhietti neri e brillanti l’orco. Lui gli restituì lo sguardo e rispose impacciato: “Che carino…”
Il topolino camminò sulle mani rosee di Isadora e si spostò su quelle dell’orco, intento a studiarlo con attenzione. L’orco sobbalzò e se lo rigirò tra le mani goffamente, temendo di schiacciarlo: era davvero minuscolo! Armageddon gli si appoggiò contro e chiuse gli occhi, rannicchiandosi contro il suo petto. Isadora sorrideva come un genitore: “Gli piaci. È sorprendente: di solito è sospettoso con tutti. Da mio padre non si è mai lasciato tenere”.
“Ho paura di farlo cadere” disse l’orco, che teneva Armageddon con la massima precauzione nelle mani tremanti. Isadora ridacchiò e gli si avvicinò, protendendo le sue per riprendersi il topolino: “Aspetta, lascia fare a me…” gli tolse delicatamente l’animaletto dalle mani e lo posò dove stava prima. Armageddon squittì di delusione. Isadora rise ancora: “Volevi rimanere col tuo nuovo amico, eh? Dovrei essere gelosa!”
“Come mai l’hai chiamato Armageddon?” le chiese l’orco, lanciando al topolino un’occhiata di apprezzamento. Isadora sorrise al ricordo: “Una storia divertente. Mia madre me lo portò che avevo poco più di un anno, e non sapevo parlare. Allora lo guardo e, non so perché, gli grido in faccia “Armageddon”! Forse non volevo fargli un complimento, ma da allora l’abbiamo sempre chiamato così”.
Risero entrambi. Poi fu l’orco ad alzarsi in piedi: “Forse è ora che tu conosca meglio un’altra persona…”
“Non sono sicura di volerlo” sorrise Isadora. Ma l’orco la tirò su: “Devi”.
Si misero a correre fianco a fianco, ridendo, ai piani bassi. Ad un certo punto si imbatterono in Katrina che veniva verso di loro con aria perplessa: “Padrone, scusatemi, volevo sapere se oggi devo fare…” si interruppe quando li vide passare. Non l’avevano neanche vista. Allora sorrise e si ritirò di nuovo: “Non vi disturbo” decise improvvisamente di eclissarsi in camera sua.
Bruto era fuori e si era appisolato sull’erba, il testone appoggiato sulle zampe anteriori. Quando l’orco e Isadora uscirono, si svegliò con un sussulto e li scrutò attraverso le palpebre socchiuse. Non aveva un’aria socievole, e la ragazza ebbe un tentennamento. Ma l’orco le sorrise e la spinse delicatamente in avanti: “Non avere paura”.   
 Così si avvicinarono ancora. Bruto balzò sulle quattro zampe, fissandoli. Con Isadora aveva avuto solo confronti, uno dei quali l’aveva anche fatta finire col sedere per terra in un pavimento bagnato, nei tempi che adesso erano come lontani. Allora non si era fatta problemi a trattare col cane, ma adesso che era venuta per farsi accettare, esitava.
L’orco protese le braccia e Bruto gli si slanciò addosso festante. Isadora li osservò mentre facevano la lotta, ferma dov’era, senza osare intromettersi. Alla fine l’orco rise, si liberò dalla presa del cane, lo grattò sulla testa e si volse ad Isadora rivolgendole un sorriso che conteneva un’ombra di dolcezza: “Non devi fargli vedere che hai paura, né che vuoi sfidarlo. Con Bruto devi essere ferma. Decisa, ma neanche troppo impudente”.
Prese il meticcio nero per il collare e lo spostò ai piedi della fanciulla. Un’offerta. Lei però esitava: “E se poi mi morde?”
“Non lo farà” l’orco esitò, poi disse timidamente: “Dammi la mano”.
Isadora gliela porse. Lui gliela prese con delicatezza e la guidò verso il testone di Bruto. Lei si irrigidì e provò a ritrarre il braccio, ma l’orco la tenne ferma con gentile fermezza. Quando le sue dita incontrarono la ruvida pelliccia del cane, sobbalzò. In breve l’orco poté lasciarle la mano, e indietreggiò con aria soddisfatta: lo stava accarezzando da sé. Per un po’ lo fece rigidamente, e rigido rimase Bruto, ma, via via che andavano avanti, ci prese gusto e si inginocchiò accanto a lui. Gli prese il testone fra le mani e lo grattò con vigore: “Ehi, cagnaccio, non sei poi così male come pensavo, lo sai?”
Bruto fece il prezioso per un po’, poi lo sguardo fiero dei suoi occhi scuri si ammorbidì, balzò sulla ragazza e le rifilò una bella linguata sulla faccia. Lei si ritrasse di scatto, crollando nell’erba alta: “Bleah!” ma subito dopo scoppiò a ridere fragorosamente. L’orco, ridendo con forza a sua volta, si chinò su di lei, cercando di aiutarla a rimettersi in piedi: “Tutto bene?”
“Sì…io…” per un attimo, i loro sguardi si incontrarono come quella volta nella prateria, e rimasero entrambi a corto di parole…ma Bruto, indignato, che aveva notato che lo stavano tagliando fuori, cacciò il testone tra i loro volti, lanciando un abbaio di stizza. Isadora si scostò con una risatina nervosa: “Non sarà geloso, vero?”
“Non vuoi che abbia altri amici, Bruto?” gli chiese l’orco grattandolo sulle orecchie. Ma il cane abbaiò ancora, con più sdegno di prima. Isadora gli strizzò l’occhio: “Mi sa proprio di no, eh, Bruto?”
Ma poiché lei e l’orco avevano ripreso a stare tra loro, il cagnone comprese l’antifona e si ritirò stizzito sulla soglia del maniero dov’era in piedi Katrina, abbandonata contro il portone con espressione sognante. Non aveva mai visto il padrone così felice: lo vedeva ridere con Isadora, parlare animatamente assieme a lei, fissarla con gli occhi che brillavano, sedersi accanto a lei sull’erba, mentre si sorridevano. Era una cosa che Katrina non vedeva da cinquant’anni, una cosa che non avrebbe mai creduto di veder crescere in un posto da incubo come il maniero, e che la riempiva di gioia. Una cosa che, purtroppo, lei non aveva mai conosciuto. Una cosa che aveva illuminato il maniero come una luce, trasformandolo completamente.
“Non è meraviglioso, Bruto?” chiese trasognata, senza staccare gli occhi dall’orco e la ragazza che sedevano sorridenti in mezzo agli alberi: “Il padrone si è innamorato!”
Bruto, cupo, lanciò un basso ringhio. A lui la cosa non andava affatto bene. Immaginava che da ora in poi quei due si sarebbero sempre eclissati per conto loro, lasciandolo solo. Katrina rise, lo prese per il collare e lo trascinò all’interno del maniero: “Su, non facciamo i guardoni: io e te ce ne andiamo a giocare nel maniero!”
Nel frattempo, l’orco ed Isadora stavano mezzi distesi sull’erba, senza accorgersi di loro. Timidi boccioli di fiore incominciavano appena a colorare l’erba. Isadora ne prese uno e se lo portò al naso. L’orco la fissava, stentando a credere che fosse lì con lui. Ad un certo punto, allungò timidamente una mano e la posò su quella della giovane: “Sai” disse a fatica: “Sono felice di aver ascoltato tuo padre, quella notte. Di aver fatto un accordo con lui”.
Isadora sorrise, lasciò cadere il piccolo fiore e gli strinse a sua volta la mano: “Anch’io ne sono felice”.
L’orco sussultò. La scrutò attentamente in viso, come per vedere se gli mentiva: “Dici sul serio?”
“Dico sul serio” disse lei, senza smettere di sorridere. Al che vide le ultime resistenze dell’orco cedere di colpo, lo vide concedersi il terribile lusso della speranza. Le strinse con forza le mani: “Isadora” mormorò: “Pensi di essere… felice qui?”
“Sì”.
“Devi dirmi la verità”.
“Fidati di ciò che dico. Guarda” Isadora frugò nell’abito viola, poi ne trasse qualcosa che mostrò all’orco. Lui vi posò sopra uno sguardo trepidante: era l’anello di legno che le aveva consegnato il giorno in cui lei era venuta a vivere lì, quando si erano accolti con freddezza glaciale. Lui ne portava uno uguale, che non aveva mai tolto, neanche quando le dava ordini e le urlava contro. Isadora sorrise, tenendolo ben stretto tra le dita: “Te lo ricordi?”
“Certo!”
“Ho sbagliato a gettarlo via. Ma allora era diverso, non credi?”
“Sì. Era diverso”.
Rimasero un istante in silenzio. L’orco sembrava pieno di speranza e pieno di timore: “Ricordi…ricordi quando ti dissi che la felicità non dura, Isadora?” lei annuì. L’orco osò sorriderle teneramente: “Tu mi hai dimostrato che mi sbagliavo”.
La ragazza non ebbe il tempo di dire o fare qualcosa. Di colpo un rumore turbò il loro raccoglimento: zoccoli di cavalli che percuotevano il terreno poco lontano dal maniero, voci di uomini che parlavano tra di loro. Isadora sobbalzò, tirandosi su di scatto, l’orco riacquistò immediatamente la propria espressione minacciosa mentre si voltava verso la foresta. I rumori erano sempre più vicini: chiunque fosse, si stava avvicinando.
“Che succede?” bisbigliò Isadora. Girandosi a guardarla, per un attimo il volto dell’orco tornò gentile: “Resta sempre dietro di me” poi serrò i pugni e si mise a gambe larghe. Katrina, attirata a sua volta dai rumori, ricomparve sulla soglia assieme al cane Bruto. Perfino Armageddon zampettò fino a raggiungere la padroncina, che gli offrì prontamente la manica. Si raggomitolò dietro l’orco, che, mosso dal desiderio di difenderla, sembrava ancora più minaccioso del solito.
Qualcosa smosse la boscaglia, poi due uomini a cavallo comparvero nel breve prato che circondava il maniero. Fermarono le cavalcature con parole sussurrate. Uno di loro era un uomo vestito in modo impeccabile, con occhi verdi luccicanti e un sogghigno astuto, che Isadora riconobbe con un senso di inquietudine come Lord Fox, mentre l’altro…
“Papà?” mormorò Isadora, incredula. Katrina e l’orco spalancarono gli occhi: sì, l’altro uomo era proprio il pacioso marchese di Soledad, insudiciato e scomposto dalla cavalcata, che gettò un grido acuto non appena vide la figlia viva e vegeta: “Isa! Grazie a Dio!”
Isadora restò immobile, pietrificata. Avrebbe dovuto essere felice…ma c’era qualcosa di sbagliato in quell’arrivo improvviso, nell’accompagnatore di suo padre. Il quale scese precipitosamente dal cavallo. Inciampò nella staffa e finì col sedere per terra…ma si rialzò con foga e le corse incontro incespicando: “Isa! Isa!”
La strinse in un abbraccio soffocante. Lei rimase inerte. “Che ci fai qui, papà?”
Nel frattempo Lord Fox era sceso elegantemente dal suo destriero e aveva gettato un’occhiata schifata al maniero, all’orco e a Katrina, che non avevano ancora accennato una mossa. Infine sorrise ad Isadora: “Siete salva, marchesina, non temete”.
“Salva?” fece lei: “Ma che significa tutto questo?”
“Io e Lord Fox siamo venuti a liberarti, Isa” le disse il marchese, felice come una pasqua. Le sopracciglia di Isadora erano sempre più inarcate: “Liberarmi?”
Una voce lugubre disse all’improvviso: “Cosa ci fate nel mio territorio?”
L’orco era comparso accanto ad Isadora, e ora li fissava con fredda minaccia. Non aveva gradito il loro arrivo, si capiva bene. Isadora si voltò verso di lui, per spiegargli, per avvertirlo che qualcosa non andava…ma si sentì agguantare per il braccio da Lord Fox, che la trasse a sé con aria protettiva: “Rozza bestia, come osi rivolgerti così a due salvatori? Tu, che hai tenuto sadicamente prigioniera la mia fidanzata, come osi intrometterti ora che l’ho finalmente liberata?”
“La tua fidanzata?” esclamò Isadora stupefatta. Ma il suo stupore non era neanche lontanamente paragonabile a quello dell’orco: nell’udire quelle parole impallidì e indietreggiò leggermente, fissandola ad occhi spalancati. Lord Fox sogghignò, le circondò la vita con entrambe le braccia e la premette contro di sé: “Sei davvero splendida, mia cara. Hai agito esattamente secondo i piani”.
“Di che piani parli?” sibilò Isadora, tentando senza successo di liberarsi dalla stretta. Cosa stava succedendo? Perché Lord Fox parlava in quel modo, e perché suo padre non diceva nulla, ma annuiva? Provò un presentimento di terrore.
“Ma di che cosa state parlando?!” ruggì l’orco all’improvviso. Tremava in modo spaventoso, i pugni serrati con tanta forza che le unghie vi avevano aperto piccoli segni a forma di mezzaluna. Anche Katrina, lì accanto, fissava Lord Fox e la ragazza con aria spaesata. Isadora lottò contro la stretta di Lord Fox per dir loro che neanche lei capiva, che era tutto sbagliato…ma Lord Fox non gliene lasciò il tempo, perché le insinuò una manaccia tra i capelli e si rivolse all’orco con occhi brillanti: “Della meravigliosa interpretazione della mia promessa. Non speravo in un risultato così positivo”.
“Cosa significa?!” urlò l’orco. Diventava sempre più paonazzo e minaccioso. Il ghigno malefico non abbandonava le labbra di Lord Fox: “Credevi davvero che sarebbe venuta qui di sua spontanea volontà, orco? Quando il marchese portò la notizia, noi dovevamo sposarci. Sposarci, capisci? Perché ci amiamo. Non avremmo rinunciato per nulla al mondo al nostro amore”.
“No! Non è vero!” disse Isadora, disperata. Fu allora che intervenne il marchese: “Cara, Lord Fox sta dicendo la verità, e tu lo sai”.
Lei lo fissò inorridita. Non era possibile. Non poteva essere: “Papà…” lui però sostenne il suo sguardo, anzi, strizzò leggermente gli occhi, come per comunicarle di non smentire l’uomo. Che le intrappolò il volto in una mano. Il modo in cui la toccava era orribile, sembrava che stesse tastando una statua carica d’oro: “Per cui, escogitammo un piano: la mia Isa avrebbe dovuto conquistarsi la tua fiducia e quella della tua sguattera per passarsela alla grande finché io e suo padre non fossimo venuti a liberarla”.
L’orco si era fatto immobile. Li fissava tutti con occhi vuoti. Pieno di orrore. Col petto stretto in una morsa, Isadora cercò di scrollarsi di dosso Lord Fox: “No, non è così…”
“I miei complimenti, mia cara. Ti amo” disse Lord Fox. Al che la attirò a sé e la baciò impetuosamente sulla bocca. Isadora spalancò gli occhi. L’aveva colta alla sprovvista, rubandole il suo primo bacio. Era un momento che non aveva affatto immaginato così. E il fortunato non doveva essere certo lui. Con le labbra incollate alle sue, gli affondò le dita tra i capelli e lottò per separarsi da lui…ma Lord Fox la teneva stretta fin quasi a farle male, e le sue mani che si stringevano sulla chioma rossa davano l’impressione che ricambiasse quell’effusione. Alla fine lui la lasciò andare di colpo, strofinandosi la bocca come per ripulirsela. Sconvolta, Isadora barcollò all’indietro.
L’orco accusò il colpo barcollando. Sul viso di Katrina, invece, comparve il puro sconvolgimento. Per un attimo appena, Isadora vide sul volto dell’orco tutto il dolore di questo mondo. Poi venne la rabbia, che gli sconvolse i tratti in una smorfia. La guardava pieno di furia e di delusione disperata. Al che lei si sentì sommergere da cieca disperazione. Tutto stava andando in pezzi nel giro di pochi istanti.
Allungando le mani verso l’orco, gli si avvicinò, senza che Lord Fox la trattenesse. Lo guardò con occhi pieni di sincerità: “Non è così, credimi…io non ho mai architettato nessun piano…è una bugia…”
“Credevo che tu fossi diversa” ringhiò l’orco con voce rabbiosa: “Credevo che tutte le tue belle frasi fossero vere. Dovevo aspettarmi che tu fossi come tutti gli altri. Falsa ed egoista”.
Il disprezzo nella sua voce le spezzò il cuore, che era il secondo ad andare in frantumi nel giro di un quarto d’ora: “Non dire così, ti prego…io ero sincera…lo ero davvero…”
“Risparmiami queste pietose bugie!” stavolta l’orco alzò la voce, costringendola a bloccarsi con le mani ancora tese. Era tornato quello di un tempo: torreggiava su di lei, il viso stravolto dal furore, gli occhi gli ardevano, e la bruciavano: “Mi hai ingannato. E io lo sapevo, me lo immaginavo…mi hai costretto a diventare qualcosa che disprezzo, che mio padre disprezzava… che tu sia maledetta! Che io sia maledetto per non aver sgozzato tuo padre, per avergli dato ascolto!”
“Ti prego…” la voce di Isadora era ormai ridotta ad un bisbiglio. Gli occhi le divennero lucidi. L’orco digrignò i denti, ma per quanto la sua rabbia fosse immensa, non era più in grado di fare del male né a lei né ai due che stavano con lei. Così si allontanò, gli occhi che la riempivano di disgusto e di dolore rabbioso: “Vattene via, e non farti rivedere mai più” si tolse l’anello di legno con furia e glielo gettò addosso, colpendola sulla spalla. Isadora però non poteva, non voleva permettere che finisse così: “Ma io…”
“Vattene”.
“Io non…”
“VATTENE, HO DETTO!” gridò lui con tutte le forze. Gli occhi di Isadora si riempirono di lacrime che le rotolarono copiose sulle guance pallide. Il marchese la prese delicatamente per un braccio e cercò di sospingerla verso i cavalli (Lord Fox era già in sella, compiaciuto): “Andiamo via, Isa”.
“No…” ansimò lei con voce impercettibile, pallidissima, mentre il padre la portava via: “Non posso…” fece per accasciarsi, ma lui la sostenne: “Andiamo via”.
Passarono accanto a Katrina, immobile là dov’era col cane Bruto. Isadora la fissò disperatamente, le guance rigate di lacrime: “Katrina…almeno tu…” ma gli occhi della domestica avevano perso la loro solita gentilezza, ed erano vuoti e increduli. Bruto fissò Isadora digrignando i denti e le ringhiò contro, acquattandosi come per attaccarla.
Lei si sentiva crollare il mondo addosso. “Non può finire così…” pensò. Si voltò verso l’orco, ma lui non incontrò il suo sguardo. Armageddon scrutava il tutto con aria perplessa dalla manica della padroncina. Era l’unico che le era rimasto…
Il marchese la sollevò fra le braccia. Isadora lo lasciò fare, completamente inebetita. La caricò sul cavallo di Lord Fox, che le passò le braccia intorno alla vita, stringendo la presa. La ragazza sentì il suo fiato caldo sul collo: “Ti ho appena salvata da una prigione. In cambio chiedo solo la tua mano”.
Isadora non riuscì a rispondere nulla. Continuò a piangere anche quando si allontanarono al galoppo dal maniero.

 
  
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