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Autore: _iridescentyack    15/03/2012    1 recensioni
Alexandra è una ragazza irreparabilmente diversa alle altre anche se non riesce ad accorgersene. La sua mentalità è profondamente diversa dalle altre, ha un’indole solitaria e abbastanza stravagante, come ogni grande genio che si rispetti. Ha vissuto una vita da strega davvero brillante ma all’ombra di un grande mago, senza che nessuno si accorgesse delle sue straordinarie capacità di strega, senza che nessuno si fermasse e si rendesse conto di aver sempre avuto accanto un genio.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il nido della fenice.

Alexandra Hastings era stesa sul gelido pavimento di un salotto sconosciuto. Raggomitolata, la ragazza non poteva far altro che pensare a come avrebbero reagito le poche persone che sapevano che era viva quando avrebbero appreso della sua imminente e straziante morte.

«Sudicia Nata Babbana dov’è Potter?» continuava ad urlare la strega davanti a lei, il suo tono gelido, il volto pallido e gli occhi scuri le avevano fatto gelare il sangue nelle vene fin dalla prima volta che aveva incrociato il suo sguardo, folle, da assassina a sangue freddo.

Bellatrix Lestrange mosse qualche passo verso di lei sorridendo e attorcigliandosi una lunga ciocca di capelli scuri attorno al dito. Godeva del dolore della giovane ragazza, questo Alexandra l’aveva capito da subito. La strega alzò la bacchetta e senza aver bisogno di proferir alcun incantesimo un’altra lettera apparve sulla chiara pelle della ragazza e una nuova tremenda fitta colpì Alexandra che si sentì l’avambraccio bruciare ancora di più, come se fosse in fiamme, come se fosse stesa su una brace e non su un pavimento di marmo.

Chiuse gli occhi per non urlare, sentì una lacrima solitaria rigarle la guancia come per dire tutte le parole che la ragazza non era in grado di pronunciare, tutte le urla che aveva soppresso, tutto quello che avrebbe voluto raccontare e che non aveva mai avuto il coraggio di confidare a nessuno.

“Le lacrime di fenice curano le ferite.” Le avevano detto una volta. Lui allora le aveva raccontato tutto ciò che sapeva sulle fenici ma quella discussione, come molte altre prima, venne ben presto dimenticata.

Peccato che le sue lacrime fossero pressoché inutili davanti a decine di tagli causati in modo da scrivere “Nata Babbana” sull’avambraccio. L’ultima lettera sanguinava molto più copiosamente delle altre, a stento si leggeva quell’ultima “A”. La tortura andava avanti da ore, tra maledizioni Cruciatus e tagli decisi con la punta di un pugnale, e Bellatrix Lestrange cercava di ottenere da Alexandra informazioni su Harry Potter. Purtroppo la ragazza sapeva che la strega non avrebbe avuto alcun problema a ucciderla, al Signore Oscuro non interessava affatto una nata babbana appena ventitreenne.

«Non c’è modo di resistermi, avanti, alzati e combatti!» La ragazza, disarmata e sanguinante, si mise a sedere, cercò di alzarsi premendo le mani sul pavimento ma le braccia le tremavano e ricadde a terra con un tonfo sordo e senza forze, scatenando la risata spettrale di Bellatrix.

 Accadde tutto in pochi secondi. La strega si avvicinò ad una finestra in attesa di quel lupo mannaro, Greyback, che aveva l’incarico di venderla al ministero e la giovane desiderò schiantare la donna. Bellatrix fu lanciata contro il muro facendo cadere una mensola carica di libri che precipitarono rovinosamente sull’alta capigliatura della Mangiamorte. La bacchetta scivolò via e la donna, che ancora non aveva perso i sensi, cercò invano di afferrarla ma quella raggiunse Alexandra, come se capisse l’ardente desiderio della ragazza di fuggire via, di salvarsi dalla lenta e dolorosa morte che l’aspettava.

«Incarceramus.» borbottò allora la giovane allo stremo delle forze agitando goffamente la bacchetta. Bellatrix Lestrange fu avvolta da pesanti catene che la fissarono saldamente al muro della vecchia casa babbana.

«Stupida Mezzosangue cosa hai fatto?» sibilava indignata la donna cercando di liberarsi. Alexandra strisciò fino al vecchio divano di velluto verde smeraldo e prese la sua bacchetta di ippocastano.

«Un ingegno smisurato per il mago è dono grato.» recitò Alexandra con un filo di voce. Da diligente Corvonero aveva imparato quelle parole anni prima come tutti gli altri studenti della sua casata ma solo in quel momento si era davvero resa conto di quanto fossero vere. Come accade ai giovani maghi, anche la ragazza era riuscita a schiantare una strega senza bacchetta ma non ci sarebbe mai riuscita senza ricordarsi che ne era capace.

 

Un urlo penetrante e continuato svegliò la giovane ragazza che d’istinto si toccò l’avambraccio destro. Le cicatrici, rosee e lucide, risaltavano sulla pelle chiara e ricordavano a Alexandra che prima o poi Bellatrix Lestrange sarebbe tornata a terminare ciò che aveva iniziato mesi prima.

Ma non era stato quel flashback a svegliare la ragazza; l’incanto Gnaulante risuonava per la modesta casa come un antifurto babbano.

La ragazza si alzò silenziosamente dal letto e fece in punta di piedi i pochi gradini che la separavano dalla porta d’ingresso cercando di non far scricchiolare la vecchia scala di legno. Alexandra arrivò nell’ingresso e non vide nessuno. Stava per tornare al piano di sopra quando qualcuno dietro di lei si schiarì la gola.

«Non dovresti lasciar perdere così velocemente, sai?» la sua voce fu come una secchiata d’acqua in faccia, come un risveglio troppo brusco da un incubo.

Alexandra sorrise voltandosi.

«Ragazza, ti credevo assennata!» replicò la voce nel vederla sorridere così gaiamente.

Il ragazzo dai capelli scuri emerse dall’ombra con un sorriso inquietante sul volto. Mosse qualche passo verso la ragazza poi, prim’ancora che potesse aprir bocca nuovamente, una sottile rete d’argento si alzò dal pavimento e avvolse il ragazzo che rimase sospeso a mezz’aria dimenandosi come se avesse un doxy infilato nei pantaloni.

«Non sarò assennata» disse Alexandra sorridendo divertita «ma almeno sono prudente.»

Un colpo di bacchetta della giovane e l’incanto Gnaulante smise improvvisamente di suonare.

Un altro colpo e Nathan Gray atterrò con un tonfo sordo sul pavimento.

Un terzo colpo e la rete scomparve.

Il ragazzo si alzò da terra, i lunghi capelli neri che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte, gli occhi azzurri che guizzavano dalle grosse e pelose ciabatte della ragazza ai suoi capelli rossi, probabilmente simili ad una di quelle balle di fieno che Alexandra aveva lasciato nel suo giardino.

Rimasero per chissà quanto a fissarsi l’un l’altro.

Alexandra non aveva mai capito cosa c’era tra lei e quel ragazzo. La prima volta che l’aveva incontrato aveva immediatamente capito che c’era qualcosa in quel ragazzo che l’affascinava tremendamente ma purtroppo non sapeva se doveva esserne spaventata o meno.

Si sorrisero complici come avevano fatto mille altre volte e Alexandra lasciò stare la questione che la tormentava da tempo.

 

La stanza riluceva di una debole luce verdastra.

Fu questo a svegliare Alexandra la mattina seguente, quando il sole era già alto in cielo. Si mise lentamente a sedere trascinando con se la morbida e calda coperta.

«Alex? Sei sveglia?» la voce di Nathan accanto a lei la fece sobbalzare. Alexandra rispose con un’altra domanda «Cos’è questa luce Nat?» lui le rispose allungandosi verso di lei per abbracciarla. Mise il suo naso sul collo della ragazza stringendola come se dovesse fare a meno di stare con lei per del tempo, come se non la vedesse da mesi.

Quando si separarono Nathan evitava ancora di rispondere alla ragazza che sedeva con lo sguardo perso chissà dove. Si decise a rispondere solo quando Alexandra spostò lo sguardo nei suoi occhi e il ragazzo non seppe resistere più a lungo.

«Ecco.» così dicendo alzò il braccio e mostrò alla ragazza il marchio sull’avambraccio sinistro. Un grosso serpente strisciava fuori da un teschio, tetro, spaventoso, mortale.  Il Marchio Nero riluceva debolmente sulla chiara pelle del Mangiamorte.

Lui era un corvo, portava morte e disperazione con sé ovunque andasse; lei era una fenice, in grado di salvare chiunque dalla più orribile morte con una sola lacrima anche se non ne era a conoscenza. 

 

 

Note dell'autrice:  Non so se qualcuno la sa ma Alexandra vuol dire "salvatrice di uomini" e questo rende il presonaggio davvero simile alla fenice. Non so davvero dirvi come la mia fantasia (decisamente esagerata) abbia originato questa storia e non so neanche come andrà avanti, so solo che ho già in mente il finale per vostra sfortuna. 

Per Cat: Alessandra è un'altro nome di Cassandra nel poema drammatico "L'Alessandra di Licofrone", quindi la storia è praticamente dedicata a te. Eh già, che cosa triste. 

  
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