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Autore: Carla Volturi    16/03/2012    5 recensioni
L’aria che respiriamo può portarci alla mente un ricordo di un evento particolare della nostra vita, un amicizia, un amore. E’l’aria, il sole, il mare a far incontrare Cecilia, giovane giornalista venticinquenne con Damiano, militare trentacinquenne.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Nuovo, nuovissimo capitolo!
Un bacio da Carla.

CAPITOLO 2- PARTENZA


Una valigia viola grande aperta sul letto. Una di dimensioni inferiori a terra. La mia camera sotto sopra, fortuna che non c’è mamma, mi avrebbe ammazzata per la confusione, che inevitabilmente si crea quando devi partire, a maggior ragione se devi trasferirti. Ebbene si, parto, vado via…mia nonna Lucia mi ha sempre detto che la fuga può aiutare molto quando si ha un problema, soprattutto se si conosce un tipo come mio nonno Carlo. Personalmente non fuggo proprio da nulla, il mio è solo un modo come un altro di conoscere nuova gente, nuovi posti, insomma classico di una giornalista tipo, che gironzola in giro per il mondo. Bhè io mi accontento di vagare per la Costiera Amalfitana, il che non è poco. Ora che mi soffermo un attimo sul luogo in cui mi trovo, mi rendo conto che sembra quasi passato un uragano: vestiti sparsi sul letto a castello, che all’epoca dividevo con Brando, mio fratello gemello, computer in riavvio sulla scrivania di legno, sedia letteralmente coperta da prendisole vari. Ricordo quando eravamo piccoli io e Brando, vi erano barbie e macchinine telecomandate ovunque, che prontamente mettevano a posto nelle ceste di vimini la sera: eravamo tremendi, ma allo stesso tempo buoni, la mamma doveva gestire quattro figli, da subito ci ha insegnato la teoria della collaborazione in casa. Non vi dico di notte mio fratello quante me ne faceva passare: cuscinate in faccia, oggetti vari sotto le coperte o spettacoli imbarazzanti ma divertenti di lui vestito da donna, che si faceva palpare generosamente il sedere dall’altro mio fratello, Carlo, maggiore di tre anni. Ho anche una sorella, una santa sorella, Elena, gemella anche lei ma non mia bensì di Carlo: non abita piu’ qui con noi da due anni, si è trasferita a Minori, città originaria di mio padre, dove gestisce la biblioteca creata tempo addietro da mia nonna Lucia. Credo che vi siano venute delle emicranie devastanti a causa dei continui nomi…un po’ di pazienza, sono una perfezionista, mi piace tracciarvi ogni singolo passaggio, ogni singolo dettaglio della mia vita.
Nel frattempo termino i bagagli. Miro la mia persona nello specchio a muro, attorno al quale ci sono delle piccole foto di famiglia. Scoppio a ridere nel vedere Carlo e Brando vestiti da sexy cubiste per il carnevale di un tre/quattro anni fa, io ed Elena all’epoca optammo per qualcosa di leggero: le vampire ammiccanti. Morale della favola: quei trogloditi dei nostri fratelli andarono in gelosia e invece della classica  sfilata sotto i carri festosi, ci ritrovammo a mangiare un panino salsiccia e friarielli presso un venditore ambulante, il cui sguardo era rivolto non tanto a noi donne, quanto a loro maschietti. Tiè, vi sta bene!. Il tempo trascorre velocemente, senza che te ne accorgi: il consueto carrè che la mamma (satana dei miei capelli) mi faceva fare da Tonino, il suo parrucchiere, ha lasciato spazio ad una lunga, lunghissima coda di cavallo castana, sempre ben in ordine. Seno non troppo prosperoso, una terza regolare. Pancia piatta, fianchi leggermente pronunciati. Pelle non molto scura e altezza fortunatamente non discutibile come quella di Elena. Sono una donna ormai, una donna di venticinque anni, che si appresta a salutare la propria famiglia…è giunto il momento di vedermela da sola. Proprio Elenuccia mi ha fatto omaggio di questo magnifico abito a mezze maniche blu scuro a pois. Ballerine bianche, coordinate con accessori del medesimo colore. Lucia, mia nonna, mi ha sempre detto che una ragazza elegante acquista punti dinanzi ad un uomo intelligente…chi sa, forse è anche con la sua eleganza che ha conquistato il suo Carlo. Non perché lui sia mio nonno, ma è impensabile non amare uno come il nonno Carlo, è di un fascino, di una bellezza e di un animo buono che fa paura. Anche se devo ammettere il mio peccato, gli uomini della mia vita sono senza dubbio Brando e Carlo: si è vero il papà è sempre il papà, ma i miei fratelli sono tutto per me, li amo con tutta me stessa, farei ogni cosa per vederli sempre felici. Siamo molto legati noi quattro, quando eravamo ancora piccini dormivano nella stessa stanza pur di stare insieme. E quando costruivamo la capanna segreta in giardino? Potevamo entrare solo noi, li ci mangiavamo, li giocavamo e ci raccontavamo le nostre cose. Se non ci sono loro in casa, mi sento a metà. La mia vita a metà senza la loro voce.
Prendo le valigie. Un ultima occhiata alla stanza, ormai vuota di tutto, o quasi. Chiudo la porta e mi dirigo verso il corridoio, nello specifico verso la scala a chiocciola di legno, che conduce al piano inferiore. Guardo verso il basso: non credo che ce la farò da sola a scendere questi due mattoni stracolmi di abiti, oggetti e attrezzatura varia.
Mano nel fianco e voce alta: “Babbo mi aiuti, per piacere?”.
Nessuna risposta, ma piccoli rumori sui gradini. E all’improvviso lo vedo sorridermi. Capelli brizzolati, muscoli non piu’ possenti e tesi. Rughe ben presenti sul viso: ha ormai sessantaquattro anni il mio papà, ma è sempre bello, di gran fascino, molto galante ed elegante.
Espressione da cucciolone: “Devi per forza andare?”.
Broncio: “Papà!”.
Solleva gli arti superiori: “Come non detto”.
Prende il mio bagaglio e scende giu’ in salone. Lo seguo, stando attenta a non scaraventarmi la valigia sulle gambe nude. Tutte le mie accortezze poco servono, credo che a causa degli urti mi usciranno un paio di lividi violacei sulle caviglie. Sai che novità, da piccola avevo le cartine geografiche sulle gambe. Papà mi rimproverava perennemente, diceva che ero una signorina e non un maschiaccio, come quei scellerati dei miei fratelli.
Il salone di casa mia è molto grande e soprattutto pieno di ricordi di famiglia. Ad esempio vi cito il pianoforte nero, che mamma regalò a papà il giorno del suo quarantesimo compleanno. Mio padre Cristiano suona piuttosto bene, da bambini ci faceva sedere accanto a lui e ci dedicava qualcosa, salvo le sue folli idee di interpretare delle canzoni in dialetto, sfoderando delle doti canore molto ma molto discutibili: stona che fa paura. Un altro cimelio è il divano beige, avrà all’incirca una trentina d’anni, non so quante volte mia madre l’ha riparato. Ormai non ci si siede piu’ nessuno, visto che non regge, eppure resta li in un angolo della stanza, i miei genitori dicono che li sopra c’è tutta la loro vita. Le mie domande non sono andate oltre, non mi va di sapere cosa c’è stato su quel divano. Ma ciò che adoro di piu’ in assoluto è il pezzo d’argilla, conficcato nel terreno fuori al giardino: mamma un giorno ci fece adagiare le nostre mani e scrisse il nostro nome: Carlo, Elena, Brando, Cecilia…i suoi quattro gemellini. Siamo nati a distanza di tempo, ma riusciamo a percepire distintamente i sentimenti provati l’uno dall’altro…pura telepatia la nostra.
La mamma nel suo vestito beige mi attende alla porta, con faccia un po’ triste. Le vado incontro e l’abbraccio forte: “Guarda che non vado mica in guerra”.
Sospira: “Si lo so, ma ve ne siete andati tutti via ormai”.
Prendo le sue mani tra le mie: ”Mamma è giusto cosi, sarebbe capitato prima o poi”.
Annuisce, infranta. Papà cinge il suo ventre da dietro e bacia il suo capo con amore.
Apro la porta. Osservo la mia piccola 500 verde posteggiata, con tanto di portiere spalancate. Con l’aiuto dei miei genitori porto dentro ciò che resta del mio trasloco. Ripongo il tutto e tiro un sospiro di sollievo. Un po’ mi fa strano andar via, cambiare vita. Ovvio che i miei mi saranno sempre accanto, potremmo vederci ogni volta che desideriamo. Eppure il pensiero di non vivere piu’ sotto lo stesso tetto, di non dormire piu’ insieme, getta tanta tristezza nel mio animo.
Stringo forte la mia adorata mamma, anzi no “il femminone esagerato” come la chiama papà. Dopo di che tocca proprio a lui prendere il mio saluto e il mio ringraziamento per tutto quello che mi ha dato, per tutto quello che ha fatto per me in questi lunghi venticinque anni. Ne hanno fatti di sacrifici e noi da buoni figli ci siamo sempre prodigati a non deluderli mai. Penso proprio che ci siamo riusciti, chi in un modo, chi un altro ci siamo realizzati sotto ogni punto di vista.
Entro in macchina. Metto in moto. Un ultimo saluto e vado via, non senza vedere i miei genitori, Cristiano e Bianca, abbracciarsi con trasporto ed affetto. E’raro imbattersi in un amore profondo e totalizzante come il loro, davvero molto raro.
  
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