Da bambina sognavo scarpette di
cristallo
Vol. II
***
Chi sei tu, che nel buio della notte osi inciampare
nei miei più
profondi pensieri?
W. Shakespeare
***
“Da bambina sognavo scarpette di
cristallo…
.. già..
.. come tutte le bambinette
viziate di tredici anni.. Come quelle insulse
adolescenti dell’epoca, bambole di carta in mano a genitori avari e presuntuosi
che cercavano di ritrovare in me –o in tutte noi, se preferisci- la loro
infanzia perduta…
Sognavo quelle maledette scarpette da
ballerina per poter andare via da lì, luogo di sangue e lussuria..
.. dopo
quella morte straziante e dolorosa.. ma tu mi compativi, sorella, e te l’ho già
detto; chissà, forse ti ringrazierei per questo.
A dire il vero, non ti ho mai ringraziata per nulla. Nemmeno quando venivi con passi
felpati nella mia stanza e pettinavi, pacata e
silenziosa, i miei capelli da principessa.
Ricordi quando giocavamo ad essere delle gran
signore? E quando ridevamo delle nostre sciocchezze,
una volta divenute grandi?
.. forse non
siamo mai cresciute abbastanza per renderci conto dell’ idiozia che era velata
dietro quelle risate.
Da piccole sognavamo entrambe quelle
preziose scarpette che avevamo visto ai piedi di Andromeda…
.. ricordi
come le desideravamo? E ricordi quante volte abbiamo
aspettato, pazienti, nella sua camera d’oro e argento che lei s’addormentasse, reginella dai capelli biondi e dalla pelle coperta di
efelidi, nel buio profondo della notte? La sentivamo pregare quel Dio in cui
credeva la mamma. Gli chiedeva di aiutarla in quelle sue stupide competizioni
in punta dei suoi piccoli piedini da neonata.. gli
confessava che si sentiva più vicino a Lui, e dimenticava i peccati carnali del
suo mondo.
Noi, nascoste nell’armadio verniciato
di un colore rosa confetto, tacevamo, io un po’ divertita dalla sua macchiata
purezza, stolta e falsa, tu un po’ titubante e scioccata da tanta sincerità.. ed era per questo che poi ti tiravi sempre indietro,
quando era il momento di avvicinarsi alla sua casa delle bambole e sottrarle
quelle scarpette bianco avorio.
Andavi sempre via e non facevo mai in
tempo a farmarti, tirandoti quei bei riccioli d’oro
che tanto piacevano al papà…
Ti lasciavo andare, guardandoti con
occhi felini, incupiti dal pazzo desiderio di vendetta.
Guardavo la bella addormentata
fra le coperte di seta e cominciavo a nutrire sentimenti d’odio perché lei
poteva volare ed io no. Perché *voi* avevate i
capelli biondi che papà adorava, ed io capelli neri come l’ebano, sporchi ed
untuosi. Capelli che tu continuavi a pettinare un po’
disgustata, amata sorella.
E mentre io sognavo di avere il tuo
bel fisico da adolescente matura di giorno, e di notte m’intrufolavo sempre
nella stanza della saccente Andromeda che continuava
a ballare, desiderando ardentemente le sue scarpette, tu invece pensavi ad
altro e non mi fu mai soddisfato il piacere di sapere il contenuto del flusso della tua anima che un tempo
era pura e bianca.
Ricordi quando, d’estate, sedevamo in riva al
fiume, tutt’e tre vicine, l’una affianco all’altra
come se non ci fosse nessuna differenza fra di noi, nessuna incomprensione,
nessuna bugia, nessun peccato?
E rimembri come mi gettavo nell’acqua
limpida spruzzandovi, trasmettendovi un po’ della mia allegria di giovinetta
non ancora troppo cresciuta? Voi restavate sedute lì sulla sponda, adagiate
come bambole di porcellana su un telo candido, e ridevate un po’ disturbate
dalla mia frivolezza e gaiezza.
Un tempo sareste
corse subito con me in quel fiumiciattolo, anche a costo di rovinare gli abiti
da piccole principesse che la mamma confezionava apposta per noi…
.. ed invece
rimanevate lì, imbarazzate e meste, le mani in grembo, gli occhi bassi.
Un tempo parlavamo..
.. forse non
proprio come tre sorelle affezionate, ma ci sforzavamo di sembrarlo agli occhi
altrui e cercavamo di autoconvincerci che lo eravamo
davvero… sangue dello stesso sangue, legate da un patto di vita e di morte fino
alla fine dei giorni.
Invece tutti avrebbero potuto notare
la differenza che c’era tra di noi, a cominciare dal
colore dai capelli, per finire con l’espressione del volto. Eravamo così
diverse, e mi chiedevo quale fosse il motivo.
Era perché io sognavo scarpette di
cristallo e voi no?
Voi le avevate già.
Andromeda le sue belle
ballerine bianche, tu il tuo bel ragazzo che ti faceva viaggiare anche solo con
un bacio. Ed io? Io ero sola, e continuavo a sognare.
Ricordi ad Hogwarts?
Tutte nella stessa casa, lo si vedeva dal serpente verdeggiante che brillava sul gilè della divisa monacale di quella scuola. Come il resto,
odiavo anche quella prigione di torrette e prati verdi.
Eravamo assieme anche nei dormitori,
ma eravamo lo stesso così distanti.
Lo ricordi, Narcissa?
Io si. Ricordo che tentavo di crescere fra quelle mura ostili, ma il tempo
sembrava non passare.. solo per me.. mentre tu maturavi,
bella ed elegante, un vera principessa, come quella che speravi di essere da
piccola. Andromeda già una regina dai capelli lunghissimi color del miele e dalle
fattezze di una vera donna, auspicata da tutti, invidiata da molti, me
compresa.
Era ormai l’alba dei miei sedici anni ma, accoccolata in quel letto a baldacchino, sentivo
quegli anni così aspettati abbandonarmi. Ero sempre più bambina, e sempre di
più sognavo da sola.
Da bambina sognavo scarpette di
cristallo…
*.. le
stesse che indossavano le mie odiate sorelle,
ed odiavano anche me.. *
Tu cosa ricordi di quegli anni, cara?
Il tuo bell’uomo
che portavi nella nostra stanza quando pensavi che
dormissi e che ti seduceva, cattivo e arrogante, e ti faceva del male.
Certo, ricordi quei piccoli malandrini che ti
seguivano con la coda dell’occhio, fra cui riconoscevi anche nostro cugino..
Puoi mettere a fuoco la sua figura?
Sirius, alto, bello..
dannatamente bello con la sua chioma ribelle che i nostri genitori odiavano. Sai, per questo l’hanno diseredato. Che
piccolo stolto è stato! Mettersi contro maghi così potenti…
Tu ricordi lui con la lussuria che
era tipica della nostra famiglia e ricordi l’ultimo giorno di scuola in cui
solcammo insieme, per l’ultima volta, quel cancello inerme ed incantato per
tenerci rinchiuse lì.
Eravamo dinuovo
l’una accanto all’altra, come se fra noi fosse stata annullata qualsiasi
distanza.
Eppure c’erano.
Io rievoco spesso quel giorno, e
cancello quelli seguenti in cui smisi di essere una
bambina.
Non ci tenevamo per mano, ma sedevamo
sulla riva di un fiume sconosciuto, che non era il nostro posto segreto. Ci
guardavamo per capire se fosse cambiato qualcosa.
Non ci parlavamo.
Non ci comprendevamo.
Eravamo diverse, non uguali, non
succinte, non lungi dall’essere schiave del nostro orgoglio.
Allora mi
accorsi di quanto fosse presente quell’elemento
che ci accomunava: un marchio indelebile che parlava da solo, con frasi brevi e
concise.
Allora tutte
ci accorgemmo che qualcosa ci avrebbe tenuto insieme
nonostante le differenze che intercorrevano fra di noi.
Allora tutte smettemmo di cercare falsi ideali in stupide fantasie
fanciullesche e per la prima volta ci potemmo prendere per mano senza essere
scottate dal fuoco ardente dell’indignazione e dell’invidia.
Da allora smisi di sognare ed
accettai un po’ di più la realtà.
Però quanta rabbia c’era ancora
dentro di me quando vedevo voi danzare davanti agli
occhi attoniti dei vostri amati, con quelle scarpe ch’io avevo sempre voluto e
per cui avrei dato la mia stessa vita. Tintinnavano sul pavimento inesistente
delle mie rare ed uniche fughe in mondi paralleli alla ricerca della me stessa
che ero stata da piccola..
.. entravo
in porte nere, e al centro di ogni stanza c’era una bambina coi capelli d’ebano
che le incorniciavano il volto bello e giovanile, la quale sorrideva prima,
piangeva poi.
Sul suo viso –incredibilmente- si
alternavano i sentimenti più reconditi dell’animo umano. Lei lo era ancora.
Ancora pura, ancora
casta, senza quel marchio a gravarle sulla coscienza; lei ancora bambina.
Io un’assassina e rivedevo nei suoi
occhi me stessa e ricordavo quello che sognavo da bimba, quello che avevo
sempre cercato, per cui sono diventata quello che
sono.
E allora lei mi disse
che non c’era motivo per piangere.
Ricordi, almeno tu, Narcissa, cosa sognavo da bambina?
Una volta ci credevi anche tu, ma
forse eri troppo umana.
Da bambina sognavo scarpette di
cristallo…”
L’esile figura scomparve ancora una
volta dalla vista offuscata da lacrime di ghiaccio della giovane donna che
sedeva, imperterrita, ad un tavolino con una tazza di tè nelle mani candide.
Sapeva che sarebbe tornata ancora perché Dio non aveva ancora finito con lei.
Perché anche lei
aveva dimenticato cosa significava essere bambine.
Aveva dimenticato il posto dove aveva
nascosto le sue ballerine affichè la sorella non le trovasse.
Anche lei sognava quelle scarpette…
…
“Cara sorella, da bambine sognavamo
insieme, vicine, strette in un abbraccio distaccato. Ora che siamo grandi,
sogniamo la medesima cosa, strette nell’abbraccio gelido della morte.
Sogniamo scarpette di cristallo…”
Nota:
Volevo solo dire due parole, prima
che mi uccidiate (autrice originaria comrpesa)^^ Premetto che da quando ho letto “Da bambina
sognavo scarpette di cristallo” non ho fatto che rimuginare su una possibile
continua.. anche se quella era una one-shot. Bè, possiamo considerare questa fic
come uno ‘spin-off’. Non so, fate voi. So anche che
non sono all’altezza dell’ autrice-maestra e che
questa storia non può reggere il confronto con quella da cui deriva, ma io ci
ho voluto provare. Spero abbiate capito cosa volevo
dire in queste righe. La mia e-mail è Pan_z@inwind.it
e, bè, se recensite mi fate capire se ho fatto uno
sbaglio colossale oppure è qualcosa di accettabile e
tollerabile*O*. Ah, è sottinteso che la storia ‘Da bambina…’ è proprietà di Lucky e che nessuna violazione dei copyright
è pertanto intesa. Bene, allora alla prossima-
Pan_z