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Autore: RosenQuartz    18/03/2012    3 recensioni
Stappò la bottiglia che emise un odore intensissimo e dolciastro vagamente familiare. Ne versò parte in un bicchiere che giaceva inutilizzato sul tavolo da quella mattina e la sua viscosità gli consentì di riconoscerlo immediatamente. Sospirò, e subito un sorrisetto nostalgico gli spuntò in volto. Avvicinò il bordo del bicchiere alle labbra e sorseggiò brevemente rabbrividendo. Quel gesto lo riportò indietro di anni, a un tempo in cui non sapeva ancora che genere di vita avrebbe condotto e a quante rinunce quell’esistenza l’avrebbe costretto.
Questa storia ha partecipato al "Alla Testa di Porco Contest" indetto da ferao sul forum di EFP classificandosi seconda e aggiudicandosi il premio "Miglior Comparsa".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Percy Weasley, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo: Un’occasione

Autore: Fata Blu94 (Forum); Fata Blu (EFP)

Personaggi: Percy Weasley; Sorpresa!

Genere: Introspettivo; Malinconico

Rating: Verde

Avvertimenti: One-Shot

Bevanda scelta: Vino di fior di sambuco

Introduzione: Stappò la bottiglia che emise un odore intensissimo e dolciastro vagamente familiare. Ne versò parte in un bicchiere che giaceva inutilizzato sul tavolo da quella mattina e la sua viscosità gli consentì di riconoscerlo immediatamente. Sospirò, e subito un sorrisetto nostalgico gli spuntò in volto. Avvicinò il bordo del bicchiere alle labbra e sorseggiò brevemente rabbrividendo. Quel gesto lo riportò indietro di anni, a un tempo in cui non sapeva ancora che genere di vita avrebbe condotto e a quante rinunce quell’esistenza l’avrebbe costretto.

Note dell’Autore: L’obiettivo di questa storia è rivelare il genere di vita che Percy conduceva prima della “conversione” finale. Lo stile potrebbe risultare eccessivamente descrittivo e forse un po’ pedante, con frasi che tendono alla paratassi, ma l’effetto è voluto. L’idea è di cercare di rispecchiare anche negli aspetti stilistici il personaggio, la sua costante e inconsapevole ricerca di asetticità e annullamento dei legami sentimentali. Il titolo deve essere inteso nel suo duplice significato di “pretesto” e “motivo indiretto o fortuito” (cit. Devoto-Oli): il pretesto corrisponde alla giustificazione per il proprio comportamento che ha cercato di darsi in quegli anni, mentre il motivo fortuito è proprio il vino che lo porta a ripercorrere alcuni momenti della sua vita e a comprendere quanto la sua solitudine presente non sia stata fortuita ma consapevolmente e scioccamente ricercata.

 
 



Un’occasione
 





 
Lo scatto della chiave nella serratura risuonò per la casa, immediatamente seguito dai passi strascicati di un uomo dai capelli rossi e le spalle curve. Sebbene avesse poco più di vent’anni, le profonde occhiaie e lo sguardo spento conferivano alla sua figura l’aspetto di un vecchio. Con lentezza entrò nel piccolo locale e posò le chiavi sul tavolino accanto alla porta. Nella penombra si lasciò cadere su una sedia e fece scivolare la cartella sul pavimento. Reclinò la testa all’indietro e rimase immobile per qualche istante tentando di ignorare il feroce mal di testa che lo tormentava da qualche giorno.

Lo sguardo vagò per la stanza fino a soffermarsi su un mobiletto accanto all’appendiabiti dell’ingresso, perfettamente anonimo e severo come qualunque altro oggetto in quella casa. Non era mai stato il tipo da personalizzare le proprie cose, men che meno la mobilia. In più, il fatto che trascorresse così poche ore della propria vita in quella casa non lo rendeva affatto necessario.

Al momento del trasloco sapeva che non avrebbe avuto il tempo per occuparsi decentemente dell’arredamento, così come era certo che rivedere la poca roba che possedeva negli scatoloni sarebbe servito a mandarlo ancora più in bestia di quanto già non fosse al termine di ogni giornata. Inoltre, la miseria che gli pagavano adducendo il pretesto che fosse troppo giovane per avere uno stipendio pari a quello degli impiegati più anziani l’aveva costretto a riempire il locale con un mobilio dal prezzo adeguato alle sue ristrettezze. Perciò la scelta era ricaduta sugli articoli di un negozietto vicino al Ministero, di fattura soddisfacente, prezzo abbordabile e stile abbastanza lineare da poter essere comodamente inseriti nella stessa stanza senza rendere la composizione sgradevole alla vista.

Non ricordava neanche perché avesse comprato quel mobiletto che si era rivelato subito dopo un inutile intralcio. Aveva optato per metterci dentro quei pochi alcolici che aveva il cuore di tenere nella remota possibilità che un ospite si presentasse a casa sua. Non che accadesse spesso: era più facile che qualcuno ci capitasse per caso piuttosto che per essere stato invitato dal padrone di casa. Il lavoro di cui lo caricavano comportava anche questo, oltre al fatto di essere invidiato e incompreso dalla maggior parte delle persone che conoscesse, ma capitava raramente che se ne rammaricasse. Donne, poi, neanche a parlarne: dopo Penelope ne aveva avuto abbastanza e non avvertiva nessuna necessità di sobbarcarsi una relazione complessa e delicata. Ce ne erano state un paio, più interessate alla sua brillante carriera che a lui stesso. Non era passato molto tempo in entrambi i casi prima che si allontanassero e perdessero la voglia di rimanere in contatto da entrambe le parti. Come se non bastasse, gli ultimi giorni erano stati un vero inferno. Accuse e rivendicazioni erano all’ordine del giorno in un momento in cui il mondo magico sembrava aver perso ogni parvenza di razionalità. Credeva di aver lavorato più in quell’ultimo mese che in tutto il tempo passato ai servizi di Crouch e di Caramell subito dopo, ma per principio evitava di lamentarsene: era assolutamente certo che prima o poi tutti quegli sforzi sarebbero stati ricompensati quanto meritavano.

Un’inconsueta curiosità lo fece avvicinare al mobiletto per controllare cosa vi fosse rimasto all’interno. Seduto sui talloni, girò la sottile chiave argentata per aprirlo. I cardini dello sportello cigolarono leggermente testimoniando quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che qualcuno vi avesse messo mano.

«Lumos» borbottò mentre un lucore opaco si propagava dalla punta della sua bacchetta.

La avvicinò alle bottiglie soffermandosi sull’etichetta apposta a ognuna di esse per capire di cosa fossero piene. Erano tutte di colore e forma differenti, contenenti bevande di volta in volta più chiare o più scure. Fu una bottiglia alta e affusolata che emergeva di qualche centimetro dal mucchio ad attirare la sua attenzione. La prese e se la passò tra le mani, notando che fosse sprovvista di etichetta, a differenza di tutte le altre. Al suo interno, un liquido di un porpora brillante riluceva catturando i riflessi della luce che ancora emanava la bacchetta ora posata per terra.

Con le sopracciglia aggrottate la sollevò dal pavimento e richiuse l’anta dell’armadietto mentre si poneva nuovamente in piedi.

Stappò la bottiglia che emise un odore intensissimo e dolciastro vagamente familiare. Ne versò parte in un bicchiere che giaceva inutilizzato sul tavolo da quella mattina e la sua viscosità gli consentì di riconoscerlo immediatamente. Sospirò, e subito un sorrisetto nostalgico gli spuntò in volto. Avvicinò il bordo del bicchiere alle labbra e sorseggiò brevemente rabbrividendo. Quel gesto lo riportò indietro di anni, a un tempo in cui non sapeva ancora che genere di vita avrebbe condotto e a quante rinunce quell’esistenza l’avrebbe costretto.
 


 
 
«Mamma!» chiamò a gran voce un bimbetto di non più di tre anni dal viso tondo e dai folti capelli rossi.

«L’ha fatto di nuovo!» urlò un altro bambino perfettamente identico al primo con un sorriso divertito sul volto paffuto.

Quella che doveva essere la loro madre uscì di gran carriera dalla cucina ancora con il canovaccio umido tra le mani e l’aria di chi si stesse preparando a rivolgere a qualcuno una feroce sgridata. «Percy, vieni subito qui!»

I gemellini si guardarono ridacchiando mentre un bambino di poco più grande entrava nella stanza con aria colpevole, le mani dietro la schiena nell’inutile tentativo di nascondere qualcosa e il labbro superiore coperto da una sostanza densa e gelatinosa.

La madre gli si parò davanti portandosi le mani sui fianchi. «Allora?»

Percy abbassò lo sguardo con gli occhi lucidi e consegnò alla madre il vasetto di marmellata di fiori di sambuco che nascondeva dietro la schiena.

La donna glielo strappò di mano. «Corri subito a lavarti le mani e la faccia, avanti!»

Il bambino scappò via mentre i fratelli ridevano divertiti.

«E voi due piantatela prima che chiami vostro padre.»

I bambini corsero via senza sembrare minimamente pentiti, incuranti delle minacce della madre.
 


 
 
Il Percy adulto scosse la testa perché si dissolvesse la scena nella sua mente, una delle tante che nell’ultimo periodo lo torturavano. Aveva sperimentato più volte quale potere avessero i ricordi della sua infanzia e, dopo, degli anni a Hogwarts. Cercava di allontanarli, ma non ci era mai riuscito completamente e si pentiva di questa sua debolezza, l’unica che davvero fosse capace di attribuire a se stesso.

Con uno sbuffo, tappò nuovamente la bottiglia di vino di fiori di sambuco e si abbassò per rimetterla al suo posto.

Imprecò quando rivide il bicchiere sul tavolo e nuove memorie spinsero per emergere.
 


 
 
La ragazza annusò il bicchiere con diffidenza. «E questo cosa sarebbe?» domandò all’allampanato ragazzo dai capelli rossi seduto di fronte a sé.

«Vino di fiori di sambuco» ribatté questi pomposamente.

«Non ci sarebbe qualcosa di un po’ più…» fece una smorfia. «Insomma, mi hai capito.»

Percy la guardò strano. «Non dirmi che non ti piace.»

«No, è molto buono, ma preferirei una Burrobirra.»

«Oh.»

«Per favore, non ti offendere» lo pregò lei. «Ma ha un sapore così forte.»

«Sì, sì, nessun problema» tagliò corto lui mentre chiamava la cameriera.

La ragazza gli posò una mano sul braccio. «Non è per questo che mi pentirò di aver accettato il tuo invito.»

Percy le sorrise abbandonando l’aria dispiaciuta.

Lei sorrise di rimando e abbassò lo sguardo.

Il ragazzo attese qualche istante in preda ad un conflitto interiore. «Non farlo» soffiò alla fine arrossendo fino alla punta delle orecchie e ricevendo in risposta un sguardo interrogativo. «Hai degli occhi bellissimi, Penelope» aggiunse sentendo ogni centimetro della pelle andare a fuoco.

Questa volta fu il suo turno di fissare il bicchiere di vino sul tavolo.

«Anche tu, Percy.»

 
 
 
Si sentì pizzicare gli occhi ripensando a lei. Si diede del ragazzino come ogni volta che capitava: non poteva stare ancora male per una donna che l’aveva lasciato in un bar anonimo mesi prima. Una donna di cui ricordava meglio di ogni altra cosa solo la figura snella che si allontanava in una strada affollata di Londra. Una donna che non l’aveva mai capito e che pure si era ostinato ad amare anche quando era chiaro che non ci fosse più alcun sincero legame tra loro.

Non era lei che l’aveva portato dove era adesso, ma la propria forza di volontà e il lavoro che aveva fatto per tutti i suoi principali: Crouch, Caramell e ora Scrimgeour. Era stato stimato da loro più che da chiunque altro, addirittura più che da Silente che, se mai aveva fatto qualcosa di buono nella sua vita, era stato nominarlo Prefetto e poi Caposcuola. Ma aveva sempre saputo che fosse pazzo e i loro ultimi dialoghi non avevano fatto che renderlo ancora più evidente.

 
 
 
«Percy Weasley.»

Un Percy sui diciotto anni si voltò trovandosi di fronte nientemeno che il proprio vecchio preside.

«Professore» lo salutò il ragazzo spingendosi gli occhiali di corno sul naso.

L’uomo scrutò con interesse il suo bicchiere prima di rivolgergli un’occhiata interrogativa.

«Vino di fiori di sambuco» spiegò il ragazzo.

«Non credo di averne mai sentito parlare.»

Percy alzò il mento.

«È una bevanda molto diffusa nell’Europa continentale.»

«E come può essere accaduto che tu ne sia venuto a conoscenza?»

«Mi è capitato di assaggiarla quando ero più piccolo.»

Silente annuì. «Alberello curioso il sambuco» disse dopo qualche istante di silenzio. «E dai molteplici usi» aggiunse dopo aver sorseggiato lentamente dal proprio bicchiere.

Percy non seppe come ribattere, quindi scelse di bere anche lui un sorso della propria bibita.

«Non trovi?» gli domandò l’anziano preside all’improvviso.

Percy quasi si strozzò col vino nel duplice tentativo di ingollare quello che aveva sorseggiato e ribattergli prontamente.

Silente nascose un sorrisetto divertito e volse lo sguardo verso le molteplici figure danzanti al centro della pista rimanendo in attesa di una sua risposta.

«Il sambuco è, in effetti, ampiamente usato in vari ambiti, da quelli domestici a quelli illeciti, per la sua duplice essenza, velenifera nelle fibre del legno, ma nutritiva nelle bacche e nei fiori» rispose Percy dopo che ebbe smesso di tossire.

«Sembra che tu ne sappia più di me» lo elogiò Silente. «Io non avrei saputo che parlare di quanto sia buona la marmellata delle sue bacche.»
 

 
 
 

Immaginò il liquido colare lungo i tubi del lavandino con lentezza e lasciare dietro di sé un persistente aroma di bacche, quasi non volesse abbandonarlo del tutto. Aprì il rubinetto con una smorfia di disappunto e vi pose sotto il bicchiere, strofinandolo con forza. Quando gli sembrò che fosse del tutto privo di tracce di vino, lo sollevò all’altezza degli occhi e lo scrutò con attenzione.

Fu un attimo, ma immaginò di vedere se stesso dall’esterno in quella posizione ridicola. La sua solitudine lo colpì come una pugnalata, mentre la sgradevole sensazione di vivere la vita di un altro si faceva sempre più concreta.

Deglutì e pose il bicchiere accanto al rubinetto. A passi lenti si portò in camera propria e si sedette sul letto.

Sentì gli occhi pizzicare per la seconda volta quella sera e se ne sorprese: erano anni che non piangeva e si riscopriva a farlo proprio quando sembrava che non ce ne fosse ragione. In quell’istante, una nuova immagine gli si affacciò alla mente, quella di un uomo dal viso deformato dallo sconcerto che guardava il proprio terzogenito uscire dalla porta di casa con la promessa di non ritornare.

Aveva avuto i suoi motivi, allora, e gli erano sembrati anche ottimi, i migliori che potesse immaginare. Ci ripensò come spesso aveva fatto negli ultimi giorni e, per la prima volta, si sorprese di non trovarli più tanto validi.












Prima di tutto, un sentito ringraziamento a chi ha commentato la storia sulla fiducia prima di conoscere il risultato del contest. Vi posto solo ora il giudizio dopo essermi ripresa dallo shock e dal luccicamento occhi ossessivo *___* 
Un ringraziamento va ovviamente anche alla meravigliosa giudiciA del contest!!
Ecco a voi il giudizio:





Seconda classificata: "Un'occasione" di Fata Blu94

 

 

Grammatica, sintassi e ortografia: 9,5/10
ministero: andrebbe con la maiuscola (-0,1)
più interessante: sarebbe “interessate” (-0,1)
Non era passato molto in entrambi i casi prima che si allontanassero: non è del tutto sbagliato, ma se dopo “molto” avessi messo la parola “tempo” sarebbe stato più scorrevole (-0,1)
girò sottile chiave: manca il “la” (-0,2)

Stile e lessico: 10/10
Anzitutto, ti dico subito che usare questo tipo di stile è stato un po’ un azzardo: può piacere o non piacere. Fortuna ha voluto che a me piacesse, e molto.
Lo trovo… adatto, perfetto per la situazione e il personaggio. Hai detto di aver voluto creare uno stile che “somigliasse” al personaggio, ed è proprio così. (Nota bene: ho letto la storia prima delle note d’autore, quindi non sono stata influenzata da esse.)
La lunghezza della storia è adeguata; i ricordi hanno il loro giusto spazio e sono ben inseriti, il finale è perfetto e conclude degnamente il tutto. Buono il lessico, non ho trovato ripetizioni ma solo scelte lessicali sempre diverse e più che adatte. Bravissima!

Caratterizzazione: 10/10
Percy è Percy, e vabbè, sei stata eccezionale e tutto quanto. Anche l’idea dell’usare uno stile “simile” a lui mi ha molto, molto colpita.
Ora, però, fammi spendere due parole per i personaggi “secondari” che appaiono nei di lui ricordi, ossia Molly, Penelope e Silente.
Avrai usato… quanto spazio per ciascuno di loro? Forse meno di venti righe per ogni cameo? Ecco, in quelle venti righe abbiamo dei mini-ritratti così ben fatti che boh, vorrei darti undici.
Quello che mi ha fatta letteralmente impazzire è Silente: dice una manciata di frasi, eppure sembra di vederlo. Wow.

… va bene, parliamo anche di Percy. Hai trovato il modo di caratterizzarlo a tutto tondo, attraverso i ricordi e la descrizione del suo appartamento e del suo stile di vita. Anche il processo mentale – breve per lui, dettagliato per noi – che lo porta alla reazione finale è molto ben strutturato, complesso e sapientemente sfruttato. Di più non so che dirti, sono assolutamente soddisfatta.

Originalità: 9,5/10
Originale è originale, senza dubbio. Sono rarissime le storie che si soffermano sul periodo vissuto da Percy tra il quinto e il settimo libro, e ho quindi apprezzato moltissimo che tu lo abbia fatto.
Il mezzo punto mancante è più una “sottigliezza”: il fatto è che Percy viene quasi sempre associato al senso di colpa, quindi è un tema relativamente comune. Ma non possono negare che tutto il resto raggiunga vette di originalità, a cominciare dall’uso che fai del vino di fior di sambuco.
Ottimo, ottimo, ottimo.

Gradimento personale: 5/5
Gradimento pieno, assoluto e totale. La storia è profonda, ben scritta, estremamente evocativa. Non ho altro da dire.

Bonus: 3/3 (la storia è totalmente incentrata sulla bevanda)

Penalità: 0

 

Tot: 47/48












Scusate per lo sfondo celeste, ma ho provato in tutti i modi e non riesco a toglierlo...

 

   
 
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