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Autore: fiubi    17/10/2006    6 recensioni
Nessuno può sapere quando la nostra vita si concluderà…la morte può arrivare sempre, anche quando non la si aspetta…oppure può non arrivare, quando più la si brama. Anche gli efferati umani hanno desideri…ma questi non vengono esauditi.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’infinito crepuscolo di questo mondo


Una preghiera alla luce tetra delle stelle





Nell’ombra getto la mia devozione
Sento il fischio di un vento lontano che lentamente porta verso di me un’aria talmente fredda tanto da farmi provocare lievi tremolii lungo la schiena…Brividi che lentamente mi destano da questo sonno ristoratore, riposo intriso di paure, di timori e di incertezze…un sonno precedente alla battaglia. La mia mente, allora, si riempie di nefaste immagini cariche di sangue, di dolore, di urla, di morte ed ecco che dunque i miei brividi si fanno sempre più fitti e consistenti…la paura per la guerra si rifà in me, più forte e più viva che mai. Con movimenti lenti mi porto le braccia attorno al mio corpo per cercare di scaldarlo e, lentamente, l’assopimento viene meno lasciandomi solo con il rumore del vento che fischia fra le fronde degli alberi.
Solitudine intorno a me. E Buio. Buio pesto. Tutto è tenebroso e cupo, e questo mi fa…paura. Le palpebre si alzano di scatto e il mio sguardo si perde in questa oscurità che mi avvolge e che mi circonda e, nel mio corpo, quasi nasce una sorta di stupore e di curiosità: mai ero stato in un luogo così tetro. Con movimenti calmi e pacati mi tiro in piedi dal mio giaciglio e comincio a camminare, mentre il mio cuore prende a battere sempre più forte nel mio petto, quasi a farlo scoppiare…non vedo nulla, il nulla è intorno a me, non so cosa sto calpestando, non so dove sto andando, ma so cosa sto lasciando: un mondo orrendo, fatto di violenze, di scomparse, di tradimenti, di sofferenze…tutto attorno a me è ignoto, ma questo non mi spaventa…tutto sarà meglio che rimanere in questo mondo.
Mi muovo senza fretta in questo spazio etereo, lasciando che la mia mente si svuoti completamente e non opponendomi a questa strana sensazione di leggerezza e di libertà che sta invadendo la mia anima martoriata fin quando, nel buio più scuro, riesco a scorgere una debole luce, un piccolo puntino luminoso e luminescente. Rimango fermo lì, in piedi, immobile di fronte a quell’oblio, ad osservare sempre più estasiato quella minuscola fonte di bagliore e, ad un tratto, come se qualcuno avesse compiuto un incantesimo, sopra il mio capo, sopra di me, si apre una splendida volta celeste, piena di numerosissime e meravigliose stelle che illuminano il cielo nero. Osservo, come un bimbo che scopre per la prima volta le bellezze ed i prodigi della natura, questo splendido spettacolo, mentre gli occhi della mia anima si perdono nella beatitudine di questa atmosfera magica, incantata, suggestiva, ammaliante. Il mio sguardo si perde in quell’infinito e le mie labbra si tirano in un impercettibile sorriso quando, di fronte a me, si apre un immenso mare sulla cui acqua, calma e tranquilla, risplendono i riflessi delle molteplici stelle. Qua e là piccoli cerchi concentrici si dischiudono mentre sento che la mia pelle e i miei capelli si stanno bagnando di gocce che pigramente e mollemente cadono dall’alto. Ad un tratto, però, un forte lampo trafigge il cielo e si va a scontrare contro la superficie dell’acqua e, mentre la volta celeste inizia a creparsi sempre di più, minacciando la distruzione, dalle profondità abissali di questo mare nero esce una figura luminosa, cerchiata da una iridescenza quasi divina e celestiale. La bellezza limpida ed elegante, in pochi secondi, si apre di fronte a me, in un vero spettacolo per qualsiasi occhio umano: splendide ed impalpabili ali bianche si muovono con lentezza mentre lei, stupendo angelo dalla bianca carnagione, mi guarda con uno sguardo sofferente. Senza nemmeno accorgermene dai miei occhi color ghiaccio cominciano a scendere, copiose ma silenziose, lacrime salate, mentre in un leggero alito di vento che mi colpisce il viso riesco a sentire una flebile voce di donna le cui parole mi fanno gelare il sangue: “morirà”.


Di colpo i miei occhi si sbarrano dalla paura e mi tiro a sedere, su questo morbido letto, chiuso in una lugubre ed umida stanza, ed immediatamente tutti i ricordi ritornano: il castello di Voldemort, la guerra, la vicina battaglia. La mia fronte è imperlata di sudore e, con un veloce gesto, mi passo il palmo della mano sulla pelle del mio viso, asciugandola. Dalla piccola ed unica finestra della mia stanza scorgo i primi raggi del sole che fanno capolino sulla terra, lasciando morire le tenebre della notte. Tutte le nuvole del cielo si colorano di uno splendido rosso rubino e così il mio viso si illumina, scaldandomi leggermente per quel che possono fare i raggi attraverso il vetro. Questa potrebbe essere la mia ultima alba. Chiudo gli occhi mentre, a fatica, deglutisco, al ricordo del mio incubo…non riesco a trovare un significato al sogno mentre nella mia mente continua a risuonare quella parola, quell’avvertimento. Mi allungo sul materasso e riappoggio il mio capo sul cuscino mentre tutti i miei capelli biondi si sciolgono disordinatamente sulle lenzuola. Con mani quasi tremanti apro un cassetto del comodino da cui tiro fuori una piccola cassettina di legno scuro, che appoggio sul mio ventre piatto. Rimango lì, fermo, ad osservarla, mentre i miei occhi accarezzano dolcemente le decorazioni incise su di essa. Con poca forza riesco ad aprire la scatolina e dentro guardo con impazienza un piccolo foglio ripiegato più volte su sé stesso. È lì di fronte a me e, desideroso, lo prendo con le mie lunghe dita perfette e l’apro. Il mio cuore perde un battito. Dimentico di respirare. Chiudo un attimo le palpebre ma subito dopo le riapro, dipendente e soggetto da quella foto, capace di imprimermi nel cuore e nell’anima sentimenti che mai avrei pensato di provare.
-Draco! Svegliati, è ora di andare!-
Spaventato e con vari tremolii ripongo la fotografia nella scatolina che, velocemente, rinascondo al suo solito posto.
-si, padre. Mi cambio e vi raggiungo- dico cercando di immettere nel tono della mia voce un po’ di coraggio e di spavalderia. Con gesti lenti mi tiro su dal letto e raccolgo le mie vesti nere di Mangiamorte, indossandole. Pronto per dirigermi verso la stanza del trono dell’Oscuro Signore nascondo la mia bacchetta dentro la tasca del pantalone ed appoggio la mano sulla maniglia ma, prima di uscire, mi rigiro un’ultima volta a guardare quella stanza, la mia casa in quegli ultimi anni passati crogiolandomi nel dolore…il richiamo del mio Signore Oscuro mi desta da quei pensieri e, finalmente, riesco a trovare il coraggio di venir fuori da quella camera. I corridoi di questo castello sono bui e i miei passi riecheggiano come tamburi di morte ed io, efferato umano, percorro questo sentiero dall’anima smarrita…mi sento perso e vuoto e il mio corpo, vacuo ed insignificante, non vuole morire, unico modo ed unica via per raggiungere anche una piccola ma importante pace. Tutti i miei sogni, tutte le mie speranze sono state spazzate via ed ora, nella mia solitudine e nella mia malinconia, ho solo il desiderio che il mio fragile cuore si fermi e mi accompagni nell’eterno riposo.
-Draco smettila di dormire…il nostro Signore Oscuro sta spiegando il piano di battaglia- disse la voce piatta e fredda di mio padre, accompagnando queste parole da un veloce gesto con il suo bastone, colpendomi il fianco ormai livido per tutti i colpi presi
-mi scusi padre- risposi io con ossequio, mentre facevo finta di ascoltare le parole, per me futili, di Lord Voldemort. La battaglia…già sento i rumori dei sortilegi, già vedo scie colorate degli incantesimi, già sento l’odore del sangue…una nausea mi pervade ed immediatamente mi porto la mano sinistra sulla bocca, schifato da quei pensieri, sconvolto da quella sempre più vicina realtà.
-….e tu, mio Draco, condurrai i Mangiamorte nell’avanzata sul campo di battaglia, immediatamente dopo i primi scontri con il gruppo comandato da tua zia Bellatrix…l’attacco è già iniziato. Andate miei servitori, e non fate prigionieri- disse lui guardando il giovane biondo con il suo sguardo penetrante.
-si, mio signore- risposi prontamente, chiudendo la mia mente dall’assalto di Tom Riddle.
Lentamente tutti i comandanti dell’esercito si alzarono e cominciarono a scomparire uno ad uno. Rimasi lì, in piedi, mentre i palmi delle mie mani erano chiusi in due pugni talmente forti che le mie nocche sbiancarono. Il mio cuore aveva praticamente smesso di battere e le mie gambe divenivano sempre più molli. Respirai profondamente l’aria fredda del castello e, prima di smaterializzarmi, riuscì ad incrociare, anche se brevemente, lo sguardo preoccupato di mia madre.


Il vento gelido e forte mi fece subito fremere tanto che, con gesti veloci, mi chiusi il lungo mantello nero che indossavo e, poggiato il cappuccio a punta sul capo, mi coprì il viso con la solita maschera argentata. In piedi su di una rupe, guardavo in basso, dove si stendeva una grande pianura su di cui centinaia di uomini combattevano e si uccidevano, si ferivano e si tramortivano. Ma al di là del campo di battaglia, meravigliose montagne si innalzavano e le alte alture quasi sembrava stessero toccando il cielo, dal quale era scomparso il caldo sole, lasciando posto ad uno spesso strato di scure nuvole.
-signor Malfoy….il comandante Bellatrix ha già attaccato…tocca a noi, ora- disse un soldato che, rivolgendosi a me, si era inginocchiato.
-si…ora attacchiamo- risposi con voce dura, sapendo che da comandante il mio ruolo è quello di tenere in alto il morale dei miei commilitoni. Ma la cosa è ardua. Forse, io, ho più paura di tutti loro messi assieme. E, con sonori crack, ecco che dall’alto di quella scoscesa altura mi ritrovo immerso nella guerra…ma non nella mia guerra…in una guerra di altri. Ed io sono solo un efferato umano, guidato dal semplice istinto animale, pronto ad uccidere solo per salvarmi la vita. A questo pensiero, però, mi blocco. Gli incantesimi mi sfiorano mentre attorno a me la gente combatte, e si ferisce, e muore. Ed io, forse, ho capito quello che devo fare…morire allevierebbe le mie pene. Ed allora perché non farsi uccidere?
-combatti, mangiamorte!- mi disse contro una voce intrisa d’odio e di disprezzo, mentre dalla sua bacchetta mi veniva lanciata contro una maledizione senza perdono. Agilmente mi scansai in modo da non farmi colpire. Ma se avevo così tanta voglia di morire, perché non mi facevo ammazzare?
-hai sentito, Mangiamorte, quello che ti ho detto?- urlò di nuovo la figura coperta da un lungo mantello rosso che gli copriva il capo, ed ancora una volta fui bersaglio delle sue magie. Ed ancora una volta io non fui colpito.
-ti diverti a prendermi in giro, eh?- sbraitò lui arrabbiato, pronto a colpirmi di nuovo, con inaudita violenza. E per l’ennesima volta io scansai i suoi numerosi colpi, senza però avere il coraggio di rispondere.
-ma cosa diavolo stai facendo?- disse di nuovo l’Auror di fronte a me, mentre il suo petto si muoveva velocemente per l’affanno.
Io non risposi alle sue domande. Io pensavo solamente al perché non volevo lasciarmi uccidere da quei colpi. Forse la paura di morire? O il timore di un aldilà sconosciuto ed ignoto? O per mia madre? O, forse, per una flebile speranza che ancora accende il mio cuore…e forse questo mio muscolo non è fragile come pensavo, e non è nemmeno vuoto…forse spero ancora di incontrarla e di stare con lei per sempre…nel frattempo in cui, però, la mia mente si stava riempiendo di questi pensieri, un veloce fruscio mi passò vicino all’orecchio ed andò a puntare il mio avversario, ma prima che questo incantesimo di morte potesse raggiungerlo, un’altra figura si sovrappose, facendosi volontariamente colpire
-NOOOOO!- urlò l’Auror mentre si piegava sulla figura morente del suo compagno
-devi uccidere Draco, non ti devi divertire- disse intanto la voce fredda di mio padre prima di ritornare nella mischia della violenza. Ma non lo stavo più ascoltando. I miei occhi, la mia mente, tutto di me era attirato da quella figura sdraiata a terra che aveva preferito morire per salvare la vita del suo collega. Il sangue, però, cominciò a congelarsi nelle mie vene, mentre con passi lenti e malfermi mi avvicinavo ai due.
-Noooo, perché proprio tu?- piangeva l’Auror vivo per miracolo.
Le mie mani tremavano e, molto lentamente, mi inginocchiai pure io appoggiando le ginocchia su quel manto di terra sporco di sangue umano mentre mi sfilavo la maschera dal viso. L’Auror di fronte a me alzò lo sguardo velocemente ed immediatamente potei riconoscere gli occhi bagnati di lacrime di Ronald Weasley. Non so perché mi lasciò fare, forse perché lui sapeva…conosceva la nostra storia ed immaginava quello che io potevo provare in quel momento…
Con il mio tocco presi le spalle della figura a terra e la girai verso di me, mentre il cappuccio che copriva il viso iniziò a scivolare piano piano, fino a quando il viso pallido e bellissimo di Ginevra Weasley fu completamente scoperto. Il mio labbro inferiore iniziò a tremare sempre più forte mentre perdevo l’equilibrio sulle gambe, ritrovandomi seduto a terra, con il capo di lei appoggiato sulle mie cosce. Tremando le mie lunghe dita si avvicinarono alla guancia di lei fredda ma ancora morbida. La mia mente era svuotata. E pure il mio cuore. Quella flebile speranza era svanita tutta d’un colpo. La mia Ginevra era morta.
Alzai un attimo lo sguardo su Ronald prima di abbracciare Ginevra e scomparire da quel posto orrendo, dal luogo in cui il mio angelo era morto.


La mia stanza. Fredda. Umida. Ma la mia stanza.
Appoggiai il corpo privo di vita di Ginevra sul mio letto ancora sfatto e cominciai a sfilarle tutti i vestiti, ad uno ad uno. Il corpo splendido di lei è qui, di fronte a me, ma ella non c’è più, non sarà mai più mia. E, con enorme tristezza nel mio cuore, mi piegai su di lei e cominciai a piangere. E lei non mi abbracciò con le sue braccia, stringendomi al suo petto e dicendomi dolci parole. No. Lei non fece nulla. Lei era morta.
-Ginny, ti prego, parlami- urlai io disperato.
Il mio cuore era morto, con lei, e ora posso comprendere le parole dell’angelo del sogno…quell’angelo della morte. Con un incantesimo feci comparire di fianco a me un secchio d’acqua calda ed un fazzoletto di seta e, dopo averlo bagnato, iniziai a pulire il corpo della mia amata dal sangue rattrappito sulla sua pelle pallida e vellutata. Con gesti quasi meccanici la profumai e la vestii con bellissime vesti di seta bianca. Era tornata la mia principessa. La donna della mia vita. Il mio dolce amore.
E rimasi lì per molto tempo, seduto su di una sedia di legno, in una angolo della camera, a guardarla. E più la osservavo, più mi rendevo conto di quanto fosse bella quella creatura che, speravo, mi potesse salvare dal mio mondo, dal profondo pozzo oscuro in cui ero precipitato. Ma le cose non sono andate come speravo, e lei se n’è andata, per la seconda volta, da me…ed è tutta colpa mia. Dovevo proteggerla da mio padre, dovevo proteggerla da questa cupa umanità pronta oramai solo a distruggere e mietere vittime, anche innocenti. Innocenti come lo eri tu, mia dolce Ginevra, fulgida ninfa di vita e fonte d’amore. E dovevo proteggerla, in particolar modo, da me, efferato umano, portatore di morte e di distruzione, demolitore di anime e di sogni d’amore. Lacrime solitarie scendono dai miei occhi color ghiaccio, tristi ed infelici per il tragico funerale che verrà celebrato in onore della cara Ginevra. Colei che vide nella mia anima e guardò aldilà dei semplici pregiudizi, colei che mi ha amato e mi ha insegnato ad amare, colei che, quando tutto sembrava perduto e nulla sembrava ancora vivo, mi ha mostrato le sue emozioni ed i suoi sentimenti e mi ha salvato. Ora devo salvare io lei. Devo allontanarla da me. Mi alzai mollemente dalla sedia, un corpo inutile il mio, e mi sedetti sul materasso del letto, affianco a lei. Sfiorai con le dita la leggera veste e, con le lacrime agli occhi, mi abbassai su di lei: la guardai ancora, con uno sguardo profondo, prima di abbassare le palpebre lucide e baciarla sulle sue labbra, per l’ultima volta. Non fu un bacio duro o inconsolabile, non l’abbracciai forte contro il mio petto quasi stritolandola, non l’ho scossa violentemente; l’ho semplicemente baciata, con estrema stima ed affetto. Ho detto addio alla mia amata così, con un semplice contatto appena percettibile, mentre con una mano le accarezzavo i morbidi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle. Asciugai le guance con la manica del mio mantello e, ritornato fiero ed altezzoso come sempre, presi in braccio Ginevra e mi smaterializzai di fronte alla Tana, dove lei avrebbe voluto dormire per sempre. Appena giunsi di fronte alla porta, questa si aprì subito e tutta la famiglia Weasley, con Potter e Granger, uscirono dalla casa. Ma io non li guardai…avevo occhi solo per il mio angelo. Non piansi di fronte a loro. Non volli piangere di fronte a loro. E com’era successo sul campo di battaglia, come Ronald Weasley lasciò che io mi prendessi cura, per un’ultima volta, della sua amata sorella, così io l’affidai a lui, ponendo fra le braccia dell’uomo il corpo leggero, delicato, senza vita di Ginevra. Feci solo due passi indietro, senza perderla di vista, e quando il mio cuore seppe che lì, con la sua famiglia, lei sarebbe stata per sempre felice, me ne andai.



Nella mia mente ancora risuonano le semplici ma dolcissime parole che Ginevra mi aveva rivolto l’ultima volta che eravamo stati assieme, prima che ci dicessimo addio, prima che io divenissi un Mangiamorte: “Ti prego non dimenticarmi mai, e non dimenticare mai l’amore che ci lega”.
Beh, io non l’ho fatto.
La fotografia di Ginevra non è più contenuta dentro una cassettina e quest’ultima nascosta dentro il comodino, celata da sguardi indiscreti. Ora la foto è attaccata al muro della mia camera così che lei possa sempre vegliare su di me.
La camera è sempre la stessa, dentro questo castello così buio ed umido. Tutto l’ambiente è illuminato solamente da una semplice candela accesa sul tavolino, ed io sto seduto sulla sedia di legno, in un angolo della camera, mentre i miei occhi color ghiaccio guardano distrattamente il letto di fronte a me. Le lenzuola sono sfatte e di color rosso rubino e s’attorcigliano attorno a delle gambe immobili, ferme, molli. L’opaca luce che proviene dal cero illumina a malapena le quattro pareti, ma si riesce a scorgere la figura di un uomo sul letto, un corpo martoriato dal male, un corpo che ha ormai esalato l’ultimo respiro. Ed io sto guardando quello scempio come se fosse il mio capolavoro…mio padre, finalmente, è morto. Ricordo ancora come lui, terrorizzato, mi chiedeva di smettere di torturarlo ed io, ubriaco di quella felicità che mi pervadeva tutto, continuavo a ferirlo. Sono completamente sporco di sangue, ma non mi importa: quello che sento è odore di vendetta per me e per Ginevra…finalmente mi sono liberato di mio padre. Con la mano destra tengo ancora in pugno il pugnale che ho utilizzato per ferirlo e, sorridendo, guardo il mio riflesso fra le macchie di sangue…quello che vedo è un uomo…anzi no, un morto che cammina. Perché ora, finalmente, posso parlare di morte. Paura di morire? Non l’ho più. Timore di un aldilà sconosciuto ed ignoto? È veramente l’ultima cosa a cui penso. Dispiacere per mia madre? È un sentimento, il dispiacere, che non posso provare per una donna debole ed egoista….una flebile speranza che il mio cuore si riaccenda? Impossibile. Il mio cuore è stato sepolto con Ginevra ed ormai non vivo più per alcuno scopo, per nessuno. Ma non posso morire. Ho ucciso io Ginevra e morire, per me, sarebbe un’alleviare le mie pene. Dovrò perire di dolore, forse solo allora riuscirò a trovare il coraggio di ripresentarmi di nuovo a lei.
Mi metto più comodo sulla poltrona ed intanto muovo da una mano all’altra il pugnale dall’impugnatura decorata con un grosso drago d’oro ed incastonato di smeraldi. Con un gesto quasi automatico tiro su, fino al gomito, la mia tunica, lasciando scoperto il braccio sinistro, dove comincio ad osservare la pelle, prima così pallida e liscia, ora martoriata da una seria di lunghi e di piccoli tagli. Con uno scintillio avvicino l’arma al mio arto ed inizio ad accarezzare la pelle ancora liscia con la lama tagliente, mentre altro sangue si aggiunge a quello di mio padre.
Una risata diabolica esce dalle mie labbra.
Il dolore, ormai, è diventato piacere.
L’odio, ormai, è diventato aria per respirare.
La morte, ormai, è diventata linfa per la vita.
Ormai, sul nostro mondo, che abbiamo tanto amato, si è abbattuto un crepuscolo senza fine.





E con l'arrivo del mio periodo depressivo, ecco che la mia mente malata sforna storie altamente tristi...cercherò di riprendermi e di scrivere qualche fanfiction un po' più romantica!!! Alla prossima e...recensite!


FINE



  
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