Rika ^.^
Nota: Questa flash fa parte della raccolta “Father and Son”. Si tratta di una raccolta di storie varie incentrare sul rapporto, che io amo, fra Severus e Albus.
La raccolta, che mano a mano acquisterà altri pezzi, non segue alcun criterio logico, ma solo la voglia di approfondire questi due personaggi e la mia fantasia.
Ovviamente il titolo della raccolta è un omaggio all’omonima canzone di Cat Stevens.
Inquadrati.
Ignorando
i continui borbottii – che variavano da un “Non
avresti dovuto!” mormorato con
un’inclinazione ambigua, a un ben più chiaro
“Ti ucciderò, Potter” – Harry
entrò nell’ufficio della Preside con un voluminoso
pacco in mano.
La
McGonagall lo accolse con un sorriso cordiale. Ultimamente sorrideva
più
spesso.
«
Oh, è arrivato! »
«
Già. Posso? »
«
Ma certo. »
Harry
posò il pacco sulla scrivania, sotto lo sguardo attento
della professoressa.
L’ospite
del quadro sembrava essersi chiuso in uno sdegnato silenzio e il
“Ragazzo-Sopravvissuto-Due-Volte” ne
approfittò per liberarlo dalla carta da
pacchi e posarlo sulla parete, vicino a una vecchia conoscenza.
«
Snape! » esclamò entusiasta quest’ultimo.
«
Dumbledore. » rispose piatto e distaccato
l’interpellato.
«
Oh, mio caro ragazzo, finalmente sei qui. »
continuò emozionato.
«
Quale gaudio. » rispose sarcastico.
«
Hai fatto un ottimo lavoro. »
«
Buono da morire, si direbbe. »
«
Severus! » lo riprese bonariamente.
«
Albus. » rispose lentamente, per nulla colpito dal rimprovero.
«
Non incominciare. »
«
Non rompere. »
Harry
si lasciò sfuggire un risolino.
«
Avrà un bel daffare con questi due, professoressa.
»
«
Io e tutti i presidi a venire, nei secoli dei secoli. »
rispose con aria
affranta e divertita allo stesso tempo « Non me ne parlare.
»
Harry
tornò a rivolgere l’attenzione ai due ex-presidi,
giusto in tempo per vedere
Dumbledore entrare nel quadro di Snape, che però non
sembrava aver preso
l’intrusione molto bene.
Dava
le spalle al suo ospite con aria offesa, o forse indifferente: non era
mai
stato facile per Harry interpretare le emozioni sul volto del
professore; da
quadro la cosa non sembrava cambiata.
Ora
Dumbledore stava avanzando alla chetichella verso la schiena
dell’altro, con le
braccia aperte, un
sorriso amichevole e
con fare incoraggiante.
Snape
voltò appena la testa.
«
Non ci provare nemmeno. » sibilò, mettendolo in
guardia e scoccandogli
un’occhiata omicida.
«
Su, su » rispose l’altro in tono affettuoso
« Dopotutto ti devi far perdonare:
le ultime parole che mi hai rivolto non sono state affatto carine.
»
Snape
girò gli occhi al cielo.
«
Grazie di avermi ricordato di essere stato artefice della tua
dipartita. »
sbuffò.
«
Oh, non essere sciocco, ormai è passato. Ma
perché adesso non vieni qui a darmi
un abbraccio di riconciliazione? » spalancò
ulteriormente le braccia,
guardandolo conciliante.
«
Se potessi ti ucciderei di nuovo! » si lasciò
sfuggire Snape, esasperato e con
tono sofferente.
Dumbledore
abbassò le braccia di scatto.
Harry
si chiese se si fosse arrabbiato per quell’ultimo commento.
Snape
probabilmente lo sperava: sembrava sollevato. A quanto pareva pensava
di averla
fatta franca, evitando un momento imbarazzante che Harry non dubitava
avrebbe
rifuggito anche da vivo.
Dumbledore
intanto aveva assunto un’espressione pensierosa.
«
Posso porti una domanda, Severus? »
«
Ho forse il potere di impedirtelo, Albus? » gemette
ironicamente.
«
Ecco, pensavo » e i suoi occhi brillarono pericolosamente
dietro le lenti a
mezzaluna « Non ti senti anche tu un
po’… inquadrato? »
Snape
rimase senza parole, la bocca leggermente aperta, mentre Harry e la
McGonagall
scoppiavano a ridere.
Dumbledore
nel frattempo sfruttò lo sbigottimento di Snape per
acchiappare e stringere in
un abbraccio la povera vittima.
Harry
ridacchiò, asciugandosi le lacrime e rivolgendo un cenno
complice alla preside,
per poi dirigersi verso la porta.
L’ultima
cosa che vide prima di uscire dall’ufficio, fu la smorfia
terrorizzata di
Snape, che cercava con ogni mezzo di liberarsi dalla calorosa stretta
di
Dumbledore. Invano.
Harry
scosse la testa, sorridendo, e si incamminò per il corridoio.
«
Che cosa strana, i quadri. » sussurrò fra
sé e sé.