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Autore: Ruta    19/03/2012    3 recensioni
Il Dottore era arrivato a quello che nessun altro sarebbe stato capace di realizzare mai.
Era riuscito a prendersi parti notevoli – quasi fondamentali - nelle esistenze delle donne più importanti della sua vita. Rivestire quel ruolo importante che lui avrebbe desiderato solo per sé.
Di tutte e due, madre e figlia, possedeva qualcosa. Di entrambe l’evolversi dei sogni, di una il passato, dell’altra il tempo intero.
E a lui, marito e compagno, padre mancato, non restava a volte che guardarlo afferrare inconsapevolmente le sue occasioni perdute, possibilità smarrite per sempre nell’impossibilità di viverle.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Pond, River Song, Rory Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con il Dottore, Rory aveva avuto sin dall’inizio un rapporto strano, fatto di stravaganze e costruito sull’incapacità di comunicare, capirsi a vicenda. Più che bizzarro, quasi anomalo. Tanto che ancora adesso, dopo mesi di forzata convivenza e folle e problematica vicinanza, gli risultava pressoché impossibile trovargli giusta collocazione e definizione.
Era solo… beh, insolito. Tutto qui. Non poteva considerarlo propriamente un amico, non senza che l’accezione del termine acquisisse una nota nuova e particolare almeno, tutta sua. Il perché di quel rifiuto era facile da spiegare comunque.
C’era stata quella cosa con Amy in partenza, quell’elettricità satura di eccitazione e frenesia che aveva riscoperto in lei dopo anni di passività, che aveva rischiato di minare definitivamente qualsiasi possibile cosa potesse instaurarsi tra lui e il Dottore. Perché Amy amava il Dottore, questo gli era stato chiaro da sempre. Era la forma di quell’amore senza età, vecchio quanto lo erano i sogni che si portavano dentro, intimo e caro come i ricordi d’infanzia, caldo e autentico quanto solo un sentimento puro, sincero e profondo poteva essere. Fondamentalmente innocente.
Era stata la forma, appunto, e la sua dimensione senza limiti di tempo e spazio a circoscriverlo, a lasciarlo dapprincipio destabilizzato, nonché a riempirlo di ragionevoli paturnie e dubbi in merito. Come se non fosse bastato il resto a traumatizzarlo. Viaggi nel tempo. Roba da pazzi, altroché.
C’era stata una gelosia sottotrama che lo aveva reso ai suoi occhi sicuramente poco gradito quindi.
E un rancore molto più radicato di qualsiasi invidia. Perché una delle sue speranze per il futuro, sin da bambino e poi da ragazzo, era stata quella di rendere felice Amy. Saper restituire al suo sguardo la luce disincantata che una mattina senza sole dei loro sette anni si era portata via, senza mai ridarla indietro. E quando Amy, all’alba del loro matrimonio, si era presentata con un sorriso felice stampato in volto (felice, troppo felice, non era stato capace di evitare di pensare con egoismo) e aveva alzato gli occhi verso di lui, a Rory era mancato il fiato.
Con un groppo in gola aveva osservato miliardi di cose mai viste prima attraversarle lo sguardo: sogni nel cassetto, progetti, castelli in aria e fantasie infantili, abbagli e miraggi di un’era mai conclusa fino a quel momento. Mai davvero. Cose che Rory sapeva bene lei avesse lasciato in un campo di stelle, come molliche di pane lanciate per ritrovare la strada di casa, cose che avrebbe desiderato restituirle lui un giorno, orgoglioso e impacciato. Scovandole col coraggio intrepido di Indiana Jones e presentandosi come un eroe nel riportargliele.
Il Dottore lo aveva privato di quella possibilità.
Gliel’aveva rubata e Rory lo aveva odiato per questo (molto immaturamente, se ne rendeva conto adesso), prima di capire quanto quel comportamento fosse sciocco e infantile.
Amelia Pond, la sognatrice, la bambina che aveva aspettato un’intera notte nel giardino dietro casa e segretamente anche tutte quelle a venire, pur rifiutandosi di ammetterlo in seguito, Amy piccola e straordinaria, meravigliosa già nelle scorze e asprezze appena accennate, apparteneva al Dottore. Ma era giusto così.
La bambina Amelia era del Dottore e quel pensiero agrodolce, pur se difficile da mandar giù con leggerezza, Rory alla fine era stato capace di accettarlo. Era il prezzo del suo amore per Amy.  
Si era sobbarcato il peso di quell’ammissione dolceamara, senza “se” e “ma” che tenessero di fronte alla sua ineluttabilità. Era quasi inevitabile che finisse così ad ogni modo. E Rory aveva perciò rinunciato a quella parte di sogno, accettandola con rassegnato spirito di sopportazione, per il bene di Amy e di quel suo sorriso rinato, di quel suo sguardo di nuovo luminoso e splendente in cui non si rifletteva più solo lui ormai, ma una costellazione di mondi, altre realtà e dimensioni e pianeti.
Un universo intero da riscoprire pian piano negli anni a venire.
Aveva accolto la nuova situazione, gestendola come meglio gli riusciva e come i suoi sforzi gli permettevano, aspettando il momento in cui avrebbe potuto fare lo stesso che aveva progettato di fare per l’Amy più giovane con quella un po’ più grande. Con sua moglie.
Poi era arrivata River con la sua personalità spumeggiante, il carattere agguerrito e deciso, allenato nelle intemperie e in difficoltà a lui inimmaginabili, ma che bastavano a infierire senza ritegno sul suo cuore già un poco martoriato, ma sempre pulsante e sempre più vivo.
River e la consapevolezza di essere padre, anche se tardiva e privata della lenta e pigra soddisfazione che la scoperta avrebbe dovuto portargli. Il piacere e l’orgoglio, la stupida vanità di un marito diventato padre e compagno, finalmente non solo nelle parole quanto nei fatti.
Il dolore bruciante di Amy, dopo, la disperazione del suo nome gridato, delusione a rimbombare sorda e acuta nella sua voce, come qualcosa di corrosivo e acido, un veleno senza antidoto. La rabbia incancellabile, troppo recente perché non fosse impressa su carne in segni vividi e rosso fuoco, la frustrazione del fallimento; e la propria incapacità di prendersela con l’unico che, desiderandolo appena un po’ di più, sarebbe potuto diventare capro espiatorio perfetto per quella loro perdita incalcolabile.
Il dolore identico che aveva visto allargarsi negli occhi del Dottore, occhi vecchi e stanchi, aveva considerato mai come allora, il vederli infossarsi, di solito sporgenti e guizzanti, in quel volto lungo e affilato, liscio e senza rughe visibili. Per la prima volta aveva avuto pietà del Dottore, del suo dolore come del proprio, della sensibilità innata di quel gentiluomo d’altri tempi, pazzo nella sua genialità come tanti altri prima di lui sparpagliati nella storia, semplice e buono negli affetti. Aveva provato compassione del senso di colpa che gli aveva fatto contrarre le pupille e ingobbito la schiena, il passo circospetto con cui si era avvicinato ad Amy quando probabilmente l’unico desiderio che sentiva era stato uguale al suo: il bisogno di abbracciarla stretta, per consolarla ed essere rassicurato, in un conforto reciproco. Amy che si era ritratta d’impulso e quel dolore che era esploso finalmente nel Dottore in tutta la sua potenza dirompente, che gli aveva fatto abbassare lo sguardo e le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti per l’impotenza.
Rory aveva osservato tristemente la scena alle loro spalle e per la prima volta aveva capito che solo volendolo, in quell’istante, da quel momento, un solo gesto da parte sua avrebbe potuto sostituire a quella cosa senza nome che lo legava al Dottore una parola difficile da pronunciare anche solo nella propria mente. Era rimasto immobile, però, bloccato dalla furia gelida che nonostante tutto non era riuscito a ingoiare, come diviso a metà tra quello che avrebbe voluto provare e quello che nella realtà concreta sentiva.
Il Dottore era andato via per poi tornare mesi più tardi con nuove avventure, nuove scoperte sconcertanti. E Mels, la loro amica più cara, Mels che aveva ascoltato confidenze che ora gli apparivano del tutto inappropriate, era diventata sua figlia. La Melody neonata che aveva stretto e cullato tra le braccia come in un’illusione, spazzata via e trasformata nella semisconosciuta River Song dal fascino magnetico e impetuoso ereditato da Amy. Melody che trovava un posto un po’ più comodo finalmente e meno gualcito, bella e amata come aveva temuto che non sarebbe mai riuscito a fare, nonostante la sua ovvia volontà in proposito.
Melody, Mels, River Song che amava il Dottore, anche lei, che sposava il Dottore e che era a conoscenza di segreti e verità sul Dottore che loro non avrebbero potuto neppure immaginare. Com’era giusto che fosse.
Il Dottore era arrivato a quello che nessun altro sarebbe stato capace di realizzare mai.
Era riuscito a prendersi parti notevoli – quasi fondamentali - nelle esistenze delle donne più importanti della sua vita. Rivestire quel ruolo importante che lui avrebbe desiderato solo per sé. Di tutte e due, madre e figlia, possedeva qualcosa. Di entrambe l’evolversi dei sogni, di una il passato, dell’altra il tempo intero.
E a lui, marito e compagno, padre mancato, non restava a volte che guardarlo afferrare inconsapevolmente le sue occasioni perdute, possibilità smarrite per sempre nell’impossibilità di viverle.

 

 

 

 

Credenziali di un padre

 

 

 

 

 

 

 

 

- Che faccia strana. – Perso nei propri pensieri, Rory sussultò trasalendo ed Amy, comparsa dal nulla di fronte a lui, il viso a pochi centimetri dal suo, sorrise con indulgenza.
– Pensieri importanti? In quel caso li reclamo per un penny. –
- N-no. Nessun pensiero importante – negò abbassando lo sguardo. Amy aggrottò la fronte, fissandolo in silenzio per qualche istante e valutando l’insieme. Era seduta in bilico sul bracciolo della poltrona, la sua poltrona preferita e indossava una di quelle gonne che lasciavano ben poco all’immaginazione.
– Non m’incanti – disse infine, accomodandosi in una posizione più comoda.
Con gli occhi concentrati nell’analizzare lo stato delle proprie unghie, Rory sentì il braccio di Amy premuto contro il fianco, il gomito conficcato quasi per caso nelle costole. Gli sfuggì un lamento che soffocò subito tra i denti.
– Conosco quello sguardo. È il tipo di sguardo che hai quando pensi a qualcosa di assurdamente triste o senza senso. Come quando credevi che fossi innamorata del Dottore o che… - Amy s’interruppe sentendo un altro gemito sospetto. Eppure non le era sembrato di aver colpito troppo forte.
- Mi stai ascoltando? – domandò minacciosa, tirandogli un orecchio così da farlo girare verso di lei. 
Rory teneva ancora gli occhi bassi, questa volta fissi sui suoi capelli a quanto pare. Ebbe un moto d’impazienza. – Possibile che sia sempre così con te? Non ti confidi mai, non mi dici mai quel che pensi – proruppe esasperata.
Questo parve smuoverlo. Rory sollevò la testa rivolgendole uno sguardo cupo e severo. – Non sono io quello. –
- Di cosa diavolo parli? –
- Dovresti saperlo – fu la replica amara. Si alzò dalla poltrona con un movimento fluido, saltando su a molla e spostandosi al centro del salotto. Amy lo seguì senza accorgersene, quasi a guidarla fossero i fili di un marionettista. - E invece non lo so perché tu non ti decidi a dirmelo! –
- Non c’è nulla da dire – Rory sospirò stanco. – Finiamola qui. – Il silenzio inaspettato che seguì la propria richiesta gli fece quasi sperare che per una volta, quell’unica volta, il buon cuore di Amy potesse avere avuto la meglio sul quel mostro vorace che era la sua smania di sapere.  
- No che non finisce qui! –
Come non detto.
Trasse di nuovo un respiro profondo sentendola muoversi dietro di lui e portarsi alle sue spalle. Poteva immaginarla con l’aria accigliata e le braccia conserte in petto, lo sguardo implacabile e feroce di chi pretende una risposta sensata. Sospirò, questa volta con un ché di assente, girandosi a contemplare l’esatta trasposizione di quel che aveva ricostruito con dovizia nella mente.
- E va bene - capitolò, facendo un cenno di resa col capo. - Non c’è modo di scamparla a quanto pare. - Rialzò il mento e le spalle in un gesto inconscio, raddrizzando la schiena e irrigidendola in una posa spartana. Amy osservò quei particolari, ipnotizzata suo malgrado. Era in momenti come quelli che Rory senza accorgersene tirava fuori una parte di sé a lei sconosciuta per certi versi. Più maturo e meno trasognato, senza quel fare un po’ buffo che sin da ragazzi era stato in grado di stamparle un sorriso in faccia, regalandole il buonumore.
Diventava un uomo tanto più vecchio e lei sentiva come fisica l’urgenza di toccarlo per trattenerlo, riportarlo alla realtà che non era quella di una caverna sotterranea gocciolante o la stasi dei corridoi di mille depositi e musei, ma quella felice in cui lei non faceva da bella addormentata in una gigantesca bara realizzata col metallo di stelle nane.
- Sai che giorno è oggi? –
C’era un ché di impellente nel tono che servì a metterla in guardia. Istintivamente Amy lanciò un’occhiata al calendario di paesaggi da favola e spiagge tropicali appeso sul muro alla sua destra, di fianco al pianoforte. 19 marzo. Non le diceva nulla, ma il terrore che dietro quella data potesse nascondersi chissà quale ricorrenza particolare la fece andare nel panico.
– Oddio, è il nostro anniversario, vero? – cominciò nervosamente sgranando gli occhi. – No, non lo è. Quello è a maggio – si corresse dopo un secondo, rilassandosi e poi riprendendo ancora più concitata: - Primo appuntamento? Neppure. Primo bacio forse? Ma quello è ad ottobre! Basta non ce la faccio più. Dimmelo tu, Rory. Cosa ho dimenticato? –
Rory, che aveva osservato la scena a metà tra l’interdetto e il divertito, perse istantaneamente il sorriso stiracchiato che aveva fatto breccia sul suo viso.
- Pensaci meglio, Amy – le chiese in un sussurro. Ed Amy lo fece, per poi sospirare a propria volta un “Oh, Rory” pieno di comprensione. 19 marzo, si ridisse colpevole. La festa del papà. Come aveva potuto passarle inosservato?
Forse perché fino ad un anno fa non ce lo avevi neppure un padre, si ritrovò costretta a giustificarsi con se stessa.
- Rory – lo chiamò avvicinandosi a lui e sfiorandogli il braccio con la mano. Rory non si ritrasse, ma non fece niente per mostrare di notare la sua presenza. Non sapendo cosa fare di preciso e attendendo che lui le dicesse qualcos’altro, Amy si limitò a non ritrarre la mano. – Rory – lo richiamò afona quando ogni singolo quadro e foto appesi alle pareti le erano venuti a noia.
Lui si riscosse dal torpore e si agitò irrequieto sul posto. - Non so perché reagisco così, d’accordo? – inveì demoralizzato. – Non lo capisco neppure io. È solo che… -
Solo che… già, solo cosa precisamente?
- È solo che è così frustrante – concluse Amy con un’espressione prudente. – Abbiamo Melody, ma è come se non l’avessimo. È destabilizzante, non trovi? Avere una figlia, ma non sapere cosa fa, dov’è e con chi è. –
Sul ‘con chi fosse’ Rory avrebbe avuto di ché ridire, ma tacque preferendolo.
- Non è che mi aspettassi chissà cosa – si ritrovò ad ammettere a voce, quasi incredulo di quanto stava raccontandole. – Ok. In realtà non mi aspettavo praticamente niente. Solo che tra l’aspettarsi il nulla e avere il nulla la differenza nella realtà è… - immane. Rory si portò le mani davanti al naso, i palmi uniti come in una preghiera. Amy gli si appoggiò contro circondandolo col suo abbraccio e mettendogli il mento sulla spalla. – Mi dispiace – l’udì mormorare al suo orecchio.
- Anche a me – replicò Rory sommesso. – Anche a me. –
Mi dispiace così tanto.
- Vedrai che… - incominciò Amy, ma la frase appena iniziata cadde nel vuoto.
Come avrebbe dovuto continuarla? Vedrai che se ne ricorderà, avrebbe voluto dirgli, ma come poteva farlo? Come, se non era che una speranza quell’eventualità? Flebile e vacua. L’eco di un sogno quando i suoni filtravano il sonno e si era lì lì per svegliarsi.
Lo squillo del telefono si fece largo, penetrante e molesto, nel silenzio perforando loro le orecchie per il fastidio.
– Chi sarà mai a quest’ora? Neppure la notte si può avere un po’ di pace. –
Amy alzò gli occhi al cielo, sbuffando con un’espressione esageratamente seccata e Rory rise di cuore. Si sciolse dall’abbraccio con una delicatezza che lo scaldò nel profondo e si diresse in cucina. Sulla porta del salotto si voltò e gli dedicò un ultimo sorriso rapido e luminoso prima di scivolare oltre. Rory chiuse gli occhi per un istante, lottando con qualcosa di invisibile dentro di lui, un mostro che si dibatteva tra il desiderio atroce di seguirla e affondare il volto contro il suo collo per non lasciarla andare più e quello di ritornare alla poltrona e immergersi nel rosso caldo e confortevole della morbida imbottitura. Non scelse nessuna delle due alternative. Si avvicinò alla finestra, invece, e scostò le tendine di pizzo ricamate gettando uno sguardo obliquo alla strada davanti casa. La macchina rosso fuoco era parcheggiata proprio di fronte alla siepe di quel fazzoletto d’erba che Amy si ostinava a definire giardino. Al vederla, Rory sospirò come al solito per il sollievo. Il regalo del Dottore era stato un dono apprezzatissimo certo, ma da quel giorno Rory non aveva conosciuto pace al riguardo. Era terrorizzato all’idea che qualcuno gliela rubasse o la graffiasse per sfregio o peggio ancora.  La loro inoltre era una via poco trafficata e a quell’ora della notte il timore era sempre che qualcuno potesse…
Un movimento circospetto all’imbocco della stradina attirò il suo interesse catapultandolo in quell’angolo. Lo sguardo di Rory percorse lo spigoloso tratto spostandosi con un moto circolare tutt’attorno e cercando di capire chi o cosa avesse catturato la propria attenzione. E poi comparve. Contro la linea dell’orizzonte già scuro, alle spalle la recinzione di ferro battuto di un cancello e l’olmo davanti al quale il Tardis era scomparso l’ultima volta che il Dottore aveva fatto loro visita, quando il loro viaggio insieme a lui si era concluso e ne era iniziato come predetto uno tanto più complicato e meraviglioso. Spuntò fuori dal nulla, sbucando come da una fessura vuota tra gli spazi, una crepa nel tempo. River – l’avrebbe riconosciuta ovunque, anche se indossava un mantello e faceva di tutto per tenere nascosto il viso, ad esempio mantenersi lontana dai riflessi di luce giallastra del lampione a pochi metri - si avviò proprio in quella direzione. Quando erano ormai solo pochi passi di distanza a separarla da casa, una decina, nulla di più, alzò il volto verso la finestra con fiducia, quasi fosse sicura che lo avrebbe trovato ad attenderla e il cappuccio le scivolò sulle spalle rivelandone il sorriso splendente nella penombra e quel cespuglio di capelli riconoscibilissimi. Lo intravide e il sorriso si ingrandì facendosi se possibile ancora più caldo e abbagliante. Così familiare da essere perfino doloroso.
River sollevò una mano per salutarlo e Rory sventolò la propria di rimando con un groppo in gola che si affrettò a scacciare deglutendo a vuoto.
Gli sembrava pesasse un macigno e quando la riportò giù, mentre River percorreva l’ultimo brevissimo tratto e lui sentiva risuonare il campanello nel silenzio della casa, mentre Amy percorreva di corsa il corridoio d’ingresso e chiedeva chi fosse, mentre apriva la porta con River che urlava “Sorpresa!” e le udiva scoppiare entrambe in risate gioiose e grida d’entusiasmo, mentre le sentiva intente a parlottare tra loro complici e avviarsi probabilmente a braccetto dov’era lui ad attenderle, mentre ascoltava tutto questo – suoni cari, semplici, familiari – e il peso scompariva definitivamente, sciogliendosi in barbagli di nulla, Rory socchiuse per un’ultima volta gli occhi e ringraziò. Non era un uomo di fede o dottrina, non credeva in inezie o in qualcosa che non fosse tutto ciò che poteva essere contenuto tra le dita lunghe delle proprie mani. Scettico per natura e convinzione, non aveva fiducia in alcunché che potesse essere afferrato in un abbraccio d’immateriale, rivelarsi un pugno di mosche.              
Ciò nonostante quella sera Rory ringraziò e nel farlo credette con tutto il cuore.


 

La dedico a mio padre, quest’anno e sempre per tutti quelli a venire,
che rimane il mio eroe anche se finge di non saperlo.
È inutile dirti quanto tu mi sia indispensabile, vero?
 

 

 

 



Probabilmente vi chiederete cosa spinga una persona a voler scavare nella testa di un personaggio, specie se il personaggio in questione è uno come Rory. Ecco, a chi se lo fosse chiesto per l’appunto, la risposta sta proprio in questo particolare: nel fatto che la testa e i pensieri appartengano a Rory.
Ho sempre avuto l’impressione, forse sbagliata, che venisse troppo bistrattato in generale, tanto dagli autori quanto dai fan della serie, che purtroppo il suo potenziale, le sue parole, ogni suo gesto fosse in qualche modo sminuito perché messo continuamente, pur se non esplicitamente, a paragone con quelli ben più estremi ed epici del Dottore e di Amy. Ma Rory è un eroe, di quelli più autentici e reali, quelli delle occasioni speciali quando la situazione lo richiede, ed è un papà.  È l’uomo che ha aspettato duemila anni l’amore della sua vita vegliandone il sonno e sorvegliandola come un tesoro da custodire. È il mio mito quest’uomo e io lo adoro e lo venero dal profondo. Perché rappresenta l’apoteosi di ogni cliché che si sgretola, una regolarità di abitudini e prassi quotidiane frantumate in un’ambizione senza limiti di tempo, l'aspirazione a quella normalità fin troppo sbeffeggiata. Tranquillo, pacato, divertente e di un’autoironia involontaria… Amy è una donna fortunata e così anche River. Ha un padre meraviglioso e io ho solo voluto darle l’opportunità di farlo capire anche al diretto interessato. Un saluto a tutti e i miei più sinceri auguri ai papà di tutti ;)

  
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