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Autore: Fusterya    19/03/2012    7 recensioni
Secondo episodio di una specie di raccolta che mi sono divertita a scrivere su Sherlock/John - consiglio di leggerla dopo “Quotidianità delirante” già pubblicata qualche giorno fa. Piccole Slice of life (post-resurrezione-post-Reichenbach) che ho immaginato accadere nella vita quotidiana di una neo-coppia assolutamente fuori da ogni schema: c’è un modo giusto per conoscersi veramente, per convivere e trovare un equilibrio nella nuova “situazione”? Le scrivo sorridendo, spero lo facciate anche voi.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Comincio anche oggi dal mattino: non so se sia perché succede sempre qualcosa di mattina o se perché la mattina semplicemente mi piace.
È l'inizio di tutto, come la prima pagina di un libro che ancora non sai se ti appassionerà o meno.
Comunque anche questa storia è accaduta di mattina, per cui... sono in cucina a far colazione, saranno le nove o giù di lì. Giornale aperto, caffè caldo, lungo e amaro come piace a me, un muffin sul piattino - gentilmente fatto in casa e offerto ieri da Mrs. Hudson. Il mio turno all’ambulatorio è almeno fra due ore, ho tutto il tempo.
Mi godrò questo tempo e questo silenzio con tutta la mia più profonda soddisfazione. Devo aggiornare il blog.
E poi sta accadendo qualcosa di incredibile, cioè lui DORME. Profondamente.
Quando mi sono alzato, era sprofondato prono sul materasso, la faccia schiacciata nel cuscino: sembrava fosse caduto giù da una finestra in quella posiz... oh... ok, questa non è proprio una delle mie migliori riflessioni.
Insomma, era così immobile e spiaccicato che mi sono chiesto come facesse a respirare… beh, respirava perché russava leggermente, ma ho pensato bene di controllare, non si sa mai.
Questo perché ieri sera – verso le 22 - è sparito all'improvviso, come fa spesso, solo perché, mentre era al pc e io guardavo la tele, qualcuno nel programma che stavo seguendo ha detto "forniture navali".
 È saltato su come una molla.
"Ma certo! Devo andare a controllare una cosa ai Docklands"
Quest'ultimo caso gli sta piacendo molto, anche se al momento non vedo nessi tra la morte violenta di un anzianissimo vescovo in pensione a cui hanno tagliato i piedi prima di crocifiggerlo e le forniture navali.
Ma a questo siamo tutti abituati, voi e io, no?
"Vuoi che venga con te?"
"Oh no, sarà una cosa veloce, goditi pure il tuo... ma cos'è quella roba che stai guardando?"
Ovviamente, quando apro la bocca per rispondere, si è già infilato il cappotto ed è sparito oltre la porta.
Prima o poi ce la farò, un giorno, a intuire al volo quando mi fa le domande retoriche.
Verso l’una di notte sono diventato nervoso.
Avevo appena finito di lavare l’unico piatto che avevo sporcato per la mia miserrima cena (ero convinto che avremmo ordinato qualcosa take-away, ma visto che ero solo, avevo desistito) e stavo uscendo dalla cucina asciugandomi le mani con un canovaccio.
Sono rimasto sulla soglia a fissare il soggiorno deserto.
Le lampade emanavano la solita luce calda, sembrava tutto in ordine, ma il quadro generale era distorto dalla sua assenza ingombrante. Di nuovo. Per un attimo il mio cervello ha ricordato lo strazio provato su quel marciapiede, quel giorno, e ho dovuto trattenere il respiro per respingere tutto quel buio, tutto quel dolore.
Poi mi scuoto. Idiota.
Non è certo la prima volta che sparisce per ore, una volta non ci avrei fatto nemmeno caso. Ma dopo allora non è così facile.
Prendo il cellulare… non nutro molte speranze, ma provo a scrivere un messaggio.
- Tutto ok? J -
Aspetto qualche minuto, spengo le luci e, miracolosamente, mentre salgo su in camera mia, il cellulare vibra nella mia mano
-Al freddo ma ok, vai a dormire SH –
Rigiro per un attimo il telefono tra le dita, mentre una sensazione di dolcezza mi scivola nel petto. Quando mi infilo nel letto, cado in un sonno profondo e immediato.

Fino a che non mi sveglia lui, ed è l’alba. Riemergo dal sonno perché mi sta abbracciando da dietro, ha le mani ghiacciate e le infila sotto la giacca del mio pigiama, appoggiandole sul mio petto.
“Sherlock…” sussulto
“Ho risolto il caso” mi mormora sul collo. Il suo fiato è caldo e assolutamente fantastico “dobbiamo festeggiare…”

Beh, è abbastanza evidente il perché a quest’ora stia ancora dormendo.
Ultimamente succede spesso, il che mi fa sorridere. Ah, e poi sta mangiando di più. Qualcosina, ma meglio di niente; infatti stamattina ho fame, ma c’è un solo altro muffin e glielo lascerò. Credo che scenderò giù allo Speedy a prendere qualcos’alt…
Il campanello comincia suonare impazzito.
Non è il singolo educato tocco “da cliente”, no: è un’unica, insopportabile nota continua. Che comincia a vibrare e singhiozzare impaziente mentre mi precipito verso il pulsante che apre la porta esterna, e solo allora riesco a farlo smettere.
Istintivamente agguanto la pistola che è sempre nel cassetto di un mobile a fianco della porta dell’appartamento, la infilo nella tasca destra del pigiama e attendo infastidito che questi passi veloci che sento salgano fino a me.
Quando guardo dallo spioncino, resto di stucco.
Quando apro la porta, ancora di più.
“Mycroft!”
Mycroft che si affretta? Che corre? Che arranca su per una rampa di scale?
Entra come una furia.
“Buongiorno, John, mi serve Sherlock, è urgente!”
“Sta dormendo.” Gli dico senza pensare mentre lo osservo girare su sé stesso e analizzare il soggiorno, poi si dirige verso la cucina.
Ci guarda dentro, solo allora crede alle mie parole.
“Devi svegliarlo, è una cosa seria!”
E a passo marziale si incammina verso la sua camera da letto.
Oh, no! Oh… no… no, no, no….
Parto come un razzo e lo inseguo, il sangue ghiacciato nelle vene.
“Mycroft… no, ci penso io, lo chiamo io” cerco di raggiungerlo ma è troppo tardi.
Ha già spalancato la porta di Sherlock e, ovviamente, il letto è vuoto e intatto.
Io mi cristallizzo dietro di lui, letteralmente. Mycroft si gira verso di me impaziente e irritatissimo.
“Dov’è?”
Uh… ecco… dov’è?
Deglutisco imbarazzato, devo avere la faccia dell’imbecille. Mi vedo come se fossi in uno specchio: spettinato, occhi sgranati, pigiama stropicciato. E anche, noto solo ora, malamente abbottonato.
“John, è IMPORTANTISSIMO: sicurezza nazionale. Dov’è?”  
Altri preziosi secondi di mio silenzio e della mia faccia da imbecille finalmente gli fanno accendere la lampadina. 
D’altro canto, si sa, il livello di intelligenza Mycroft è secondo solo a quello di suo fratello.
Mi guarda sgranando gli occhi anche lui. Poi li volge al soffitto, in direzione della mia stanza. Poi di nuovo a me.
“Oh…” dice “ma certo.”
Io guardo il pavimento. Provo a vincere l’imbarazzo cercando di dire qualcosa, ma lui è già partito verso le scale. Di corsa.
Oh, no! Oh… no… no, no, no….
“Mycroft, no! Ci vado io!”
Ma è tardi, tardi, tardi. Sale velocissimo e io mi devo ancora riavere dallo shock… in queste  cose non sono mai stato bravo: è Sherlock quello senza imbarazzi, tra noi due.
Lo inseguo ma non ce la farò. Mi fermo sulle scale e lo vedo salire di fretta.
E sono stizzito, perché Mycroft non le fa queste cose, lui riesce ad essere ruffiano da lontano, sapendo sempre tutto ma riuscendo a mantenere l’aplomb. Con Sherlock, evidentemente, non resiste.
“Mycroft, TI PREGO!” lo imploro dal basso.
Lui apre la porta e si sporge verso l’interno.
“Sveglia, fratello!” esclama a voce piena. Poi vedo che si ritrae “e… buon Dio, tira su quel lenzuolo!!!”
A questo punto io ho la faccia tra le mani.
Seguono 30/40 secondi di
“Sherlock, alzati!”
 “Mycroft! Che ci fai nella mia camera da letto?”
“A quanto pare non è la tua camera da letto.”
“Fuori di qui!”
“Vestiti e scendi, è urgente”
“Non sarà mai urgente quanto la mia voglia di strangolarti!”
E poi Mycroft si appresta a riscendere da quelle scale e già mi guarda con le sopracciglia inarcate.
Quando mi giunge davanti, si ferma e incrocia le mani dietro.
“C’è del caffè? E’ piuttosto… confuso.”
“Certo… sì” mi affretto a rispondere guardando ovunque, ma non dritto nella sua faccia.
E scappo via proprio mentre sento i passi pesanti di uno Sherlock arrabbiatissimo rimbombare sui primi scalini.
Qualche minuto dopo siamo seduti tutti e tre in cucina.
Sherlock è una furia spettinata in vestaglia, labbra serrate e braccia conserte al limite della rottura dei tendini. 
Mycroft ha appena finito di spiegare la complessa indagine di cui i servizi segreti non riescono a venire a capo. Ogni tanto mi lancia un’occhiata in tralice, ma io faccio finta di niente e osservo alternativamente le mie dita, il bordo della manica del pigiama, la tazza del caffè ormai freddo.
Addio, colazione. E benvenuto involontario coming-out.
“E perché mai questa roba di spie dilettanti dovrebbe interessarmi?” ringhia l’uno.
“Forse perché qualcuno vuole piazzare un ordigno nucleare in una sconosciuta città… nel bel mezzo dell’Europa???”
“Non sono James Bond. John, passami lo zucchero, il fatto che tu non ne usi non ti autorizza a conservarlo negli angoli più remoti di questa stanza!”
Apro la bocca dire qualcosa, ultimamente mi sto un po’ affrancando dalla sua dittatura, forte di questo nuovo “potere” che ho su di lui, ma poi decido di no e mi alzo, prendo lo zucchero dalla credenza e lo appoggio sul tavolo.
In questo momento è meglio non mettersi fra questi due, ma ci pensa Mycroft a farlo al posto mio.
“John, tu che ne pensi? Dovresti farlo ragionare”
Accenna appena quel suo sorrisetto da furetto e io penso alla pistola che ho ancora in tasca.
“Io?” chiedo confuso. Stamattina sto facendo proprio la figura del deficiente. Guardo Sherlock in cerca di aiuto, lui socchiude gli occhi in due fessure taglienti e io so che quello è il suo modo di dire - non ti intromettere, John Watson, o ti farò pentire di essere nato- .
“Io non posso dire niente, Mycroft. E’ una decisione di Sherlock.”
Sherlock mi guarda e accenna un IMPERCETTIBILE movimento di labbra in su che potrebbe essere interpretato come come approvazione, ma la mia boccaccia parla da sola
“...per quanto... la situazione mi sembri abbastanza delicata... e pericolosa”.
Le labbra di approvazione si curvano in giù con sdegno. Ecco, ora ce l’avrà con me per tre giorni. Mi spazientisco: sono ostaggio di questi due pazzi e il tutto contro la mia volontà.
“Sono un soldato, Sherlock!” sbotto “Certe questioni... patriottiche mi toccano ancora, se proprio ci tieni a saperlo! Nè ci tengo a morire di radiazioni, e né dovresti tu solo per fare un dispetto a tuo fratello!”
Sherlock sibila, più che parlare “Un fratello che entra nella mia stanza da letto senza invito di mattina presto”
“Non era la tua stanza da letto”
“Dio santo, Mycroft! E’ un argomento che ti eccita davvero così tanto?”
“Finitela, tutti e due! E’ una cucina popolata da adulti o una scuola materna?” credo di aver gridato.
Tacciono entrambi con lo sguardo su di me.
Sherlock si raddrizza nelle spalle, Mycroft mi guarda basito. Mi ha ascoltato!
 “I vostri servizi che fanno? Troppo occupati a proteggere il principe ereditario e consorte dai paparazzi?”
“Abbiamo tutti gli elementi, manca un collegamento... una visione d’insieme, e come sempre sono molto contrariato nel doverla chiedere a te. Fratello.”
“Lo farà, Mycroft” intervengo io “mi stupisco che tu stia ancora ai suoi giochetti. Lo fa per irritarti e ci caschi ogni volta. Ci vestiamo e veniamo con te.”
Sherlock guarda fuori dalla finestra, ha messo il muso ma resta zitto. Un miracolo!  
Mycroft mi osserva compiaciuto e si alza lentamente dalla sedia
“Ma bene.... bene... sì” mi dice con quel suo modo suadente... e irritante: non posso dare torto a Sherlock quando dice che lo vuole strangolare “il nostro dottore è una risorsa preziosa. Benvenuto in famiglia, John.”
Io avvampo, Sherlock si volta come un serpente.
“Mycroft, ti dò venti secondi per avviarti prima che la situazione ingestibile diventi IRRECUPERABILE!”
“Vado, ok. Vi aspetto al più presto” dice quello passandomi davanti, non senza rivolgermi un altro sguardo d’intesa.
Mi sento preso in mezzo da due schiacciasassi. Chi lo avrebbe mai detto che la mia vita sarebbe diventata questa assurdità? Bombe atomiche? Coinquilini nel mio letto?
Ma non ero io quello a cui non succedeva mai niente?
“Ti seguiamo col taxi” lo rassicuro mentre ci fa un cenno con la mano e scompare oltre la porta.
Restiamo soli io e la mia... situazione ingestibile, che ora mi guarda stizzito.
“Dunque tu saresti quello che mi controlla, adesso?”
Oh, Dio...  chi me la darà tutta la forza che ci vuole?
“Apparentemente sì” gli rispondo abbastanza sicuro di me.
“Hai detto bene... apparentemente.”
Mi viene da sorridere.
“Sono abbastanza sicuro di quello che dico.”
“E cosa te lo fa pensare?” borbotta mentre, finalmente, si versa due cucchiaini di zucchero nel caffè ormai imbevibile.
“Stai perdendo colpi, Sherlock Holmes” mi diverto, appoggiandomi con una spalla alla credenza “ieri hai commesso un errore”.
Simula noncuranza. E’ un bravo attore, ma non con me. Con me non lo fa più. Nè io ci cascherei.
“E quale, sentiamo?”
“Hai risposto al mio messaggio, ieri sera.”
Mi guarda sorpreso. Non ci aveva pensato. LUI... semplicemente non ci aveva pensato.
“Un messaggio inutile, una perdita di tempo. Di solito non lo fai, non durante un appostamento... o un’operazione: ieri però l’hai fatto.”
Mi osserva un po’ confuso, adesso. Questo è il mio campo, Sherlock. E’ esattamente il mio campo, e ti insegnerò tutto ciò che so.
“E’ questo che fanno le persone, Sherlock. E’ questo che si fa quando si tiene a qualcuno.”
“Bene” ammette senza battere ciglio “Ok... questo.. va bene.” e si mette a bere il caffè. O quel che ne resta.
Io lo guardo qualche altro istante, sorridendo dentro.
Bombe atomiche, servizi segreti, pericoli mortali... andrò dovunque, farò qualunque cosa per lui.
Lui per me l’ha già fatto quando ha mi ha salvato la vita “suicidandosi”... o almeno ha creduto di farlo nel modo giusto, anche se non si può dire che abbia valutato esattamente tutte le conseguenze.
Adesso, però, è tempo di lezioni un po’ meno traumatiche: ma vedo che lui sta già imparando.
E’ intelligente, per fortuna.
Eh sì, che fortuna.
  
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