Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: LandOfMagic    20/03/2012    3 recensioni
Le sventure sembrano non finire per chi porta il cognome Potter. Come a dire, la storia si ripete... E se anche la piccola Lily Potter subisse lo stesso destino del padre? Come si svolgerà il primo anno ad Hogwarts tra nuovi professori, nuovi amici e vecchie conoscenze?
DAL CAP. 10:
“Non avevo dubbi che sarebbe stata smistata a Corvonero. È una secchiona, forse peggio della madre!” sussurrò Ron all’indirizzo di Harry.
“Ronald Weasley, ti ho sentito sai? Almeno io non ho dovuto Confondere l’esaminatore di guida per ottenere la patente babbana!” lo rimbeccò la moglie.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2.      
Il rituale mancato


 
 
Studia il passato se vuoi prevedere il futuro.
Confucio


 
 
Al di là dell’estrema fila di casupole, oltre l’ultimo campo coltivato, la vegetazione dilagava in una macchia desolata ed incolta che sfociava in una sterminata boscaglia selvatica.
Calava la sera sulla foresta quando un folto corteo di maghi e streghe si riversò ai piedi del Noce Infernale. Si vociferava da innumerevoli generazioni che quell’albero l’avesse piantato il Signore Oscuro in persona per offrire un punto di riferimento riconoscibile alle schiere di suoi seguaci e tenere lontani possibili intrusi. Infatti, tutti i forestieri che si erano avventurati per i tortuosi ed intricati sentieri della foresta avevano sempre avuto l’impressione che quell’albero fosse diverso da tutti gli altri. Aveva un’anima malvagia e presagi nefasti si nascondevano tra i suoi rami. Gli ignari che avevano riposato sotto la frescura delle sue fronde ed avevano assaggiato i suoi frutti oleosi si erano ritrovati poi a vagare per ore smarrendosi nell’intrico della vegetazione selvaggia senza trovare una via d’uscita. Le ore erano diventate giorni, i giorni si erano trasformati in mesi e con i mesi erano passati gli anni. E nessuno aveva più fatto ritorno. Sembrava quasi che l’albero non permettesse agli sventurati che si avvicinavano troppo ai suoi misteri funesti di abbandonare quei luoghi.
Una fredda nebbia imperscrutabile accompagnò l’arrivo di quegli esseri magici ed avvolse perfino il più sottile filo d’erba sotto la discreta protezione del suo manto velato. Alcuni erano giunti a cavallo di una scopa volante, altri in sella a giganteschi gatti neri. Taluni, assunte le sembianze di pipistrello, avevano preferito destreggiarsi in volo per esibirsi poi in eleganti atterraggi davanti agli sguardi compiaciuti dei confratelli.
“Sorelle …” si fece avanti Eldrid Tersis, la strega più anziana. Levò in alto le vecchie mani rugose dalle lunghe unghie nere. “… e fratelli …” con un movimento scaltro delle dita si tolse il cappello a punta esageratamente sformato e rattoppato che portava in testa, com’era consuetudine per una fattucchiera del suo rango. Una cascata di capelli grigi riccioluti le si riversarono sulle spalle. Sottili fili d’argento che danzavano al ritmo della leggera brezza che riusciva a filtrare in quel groviglio di piante e cespugli.
“Ooooooooh … come si guida … questa cosaaa?”
Il discorso di Eldrid venne interrotto da un urlo che squarciò la foschia tutt’intorno, seguito da un tonfo sordo.
Un esserino fragile e minuto ruzzolò giù da un manico di scopa, capitombolò oltre il testone di un mago che ne seguì il volo con aria sgomenta e finì a faccia in giù nell’erba umida ai piedi di Eldrid.
“Ehm … ehm …” la strega si schiarì la voce con un colpetto di tosse, “Signor Wilford Paciock!” lo apostrofò, liberando con uno strattone un lembo del proprio mantello sgualcito schiacciato sotto il peso del ragazzino. “Un mago che non sa governare il proprio mezzo volante …” con la punta del piede si scrollò di dosso il povero malcapitato “… non è un mago che si rispetti!” concluse in tono sprezzante lanciandogli un’occhiataccia per nulla indulgente. Il ragazzino si rimise in piedi sulle gambe barcollanti. Non doveva avere più di dieci o undici anni a giudicare dalla statura e dai lineamenti decisamente ancora infantili. Alcune foglie umidicce si erano incollate ai suoi folti capelli biondi. Le staccò una ad una e le gettò per terra, poi si ripulì il palmo delle mani sul mantello nuovo di zecca che la madre gli aveva comprato il giorno prima alla Bottega di Madama McClan a Diagon Alley
“Chiedo scusa … Potentissima Eldrid!” fece Wilford con voce flebile e intimidita. Era visibilmente imbarazzato, un rossore purpureo gli era salito a donare un nuovo colorito vivo alle sue guance solitamente pallide e smunte. “E’ la prima volta che salgo su una …” torcendosi le mani ansiosamente cercò di proseguire nel suo tentativo di scuse.
“Vuoi dire che ad Hogwarts non te l’hanno ancora insegnato?” la vecchia strega avvicinò il viso affaticato a quello di Wilford per scrutarlo più da vicino. Il naso adunco e grinzoso gli sfiorò una guancia ed il ragazzino dovette reprimere l’impulso di allontanarlo bruscamente con una manata.
“Non ho ancora undici anni” ammise Wilford abbassando gli occhi, vergognoso, e stringendosi nelle spalle per farsi ancora più piccolo.
“Oh per mille diavoli, ragazzino…” esclamò Eldrid alzando gli occhi al cielo, esasperata “… dove sono i tuoi genitori?”
Wilford si guardò attorno con un misto di circospezione e timore, consapevole di essere nei guai. “I … io …” cominciò con un incontrollato tremolio nella voce. Fece una pausa e deglutì rumorosamente.
“Allora?” lo incalzò la fattucchiera. Una ventata di alito fetido inondò le narici di Wilford che, prontamente, si portò una mano a coprire la bocca per reprimere un urgente conato di vomito.
“Non puoi stare qui da solo, lo sai?” il tono minaccioso e lo sguardo fermo e severo di Eldrid Tersis fecero sentire Wilford Paciock ancora più in soggezione e spaurito. Si strinse più forte nel mantello come se quel gesto riuscisse ad infondergli coraggio.
“Non puoi partecipare a questa riunione!” lo ammonì la strega additandolo aspramente di fronte a tutti. Un coro di assensi si levò dalla folla di maghi lì attorno.
“Sei ancora troppo piccolo ed inesperto!” fece un mago con un buffo copricapo. Un pipistrello gli stava appollaiato sulla testa, le ali cartilaginee gli pendevano flosce sulle orecchie. Wilford proruppe in un sussulto di sorpresa quando scoprì che l’animale era vivo. Il pipistrello infatti si alzò in volo non appena un lontano ululato interruppe la conversazione. Prese a svolazzare freneticamente in cerchio sopra le teste di tutti i presenti come a voler perlustrare e tenere sotto controllo la zona.
“Io … io non volevo disturbarvi … ma il mio papà è molto malato …” il ragazzino, a disagio, parlava lentamente e con voce tremula “… la mamma dice che ha la Febbre Fumosa …” aggiunse piano, come se il pronunciare ad alta voce il nome di quella malattia la rendesse più grave.
Si udirono dei sospiri di commiserazione provenire da punti non ben definiti della mischia. La Fumosa era una delle Febbri Castigatrici. Una volta che si impadroniva del tuo corpo non ti abbandonava più. Ti consumava lentamente, il fumo iniziava ad uscirti dalle orecchie impedendoti di sentire, poi si estendeva al naso e alla bocca lasciandoti respirare a fatica, finché in ultimo giungeva alla gola e ai polmoni. Ed a quel punto eri spacciato, già imbarcato con un biglietto di sola andata per l’Aldilà.
Ma tutte queste cose Wilford non le sapeva.
“… e io sono uscito di nascosto … per cercare qualche radice di Mandragora … la mamma me le dà sempre quando ho la Tosse Catarrina e mi passa subito …” continuò il ragazzino più tranquillo, dato che ora erano tutti intenti ad ascoltarlo “… pensavo che così anche papà può guarire!” concluse con un sorriso speranzoso. “Solo che non sono molto ferrato nel volo … ho perso il controllo della scopa e sono finito qui! Non l’ho fatto apposta!” ammise con l’aria più innocente e sincera del mondo.
“Ragazzino, ammesso che tu la trovassi, la radice di Mandragora è molto rischiosa da estirpare se non consoci il metodo giusto … emette delle urla acutissime che ti possono rendere pazzo per sempre!” lo avvisò una streghetta dai corti capelli arancioni. Sulla sua spalla sinistra dormiva un Rospo Pruriginoso. Erano animaletti infidi quelli. All’apparenza sembravano innocui, ma se non ne eri il legittimo padrone ed osavi toccarne uno, il contatto con la loro pelle viscida ricoperta di bubboni giallastri ti causava un prurito cronico esteso a tutto il corpo. Ed esisteva un solo rimedio a quel fastidio: eliminare l’animaletto che l’aveva causato. Impresa ardua, dato che i Rospi Pruriginosi erano noti in tutto il mondo magico per essere gli anfibi più veloci e salterini.
“A mio zio Engus è successo … Adesso crede di vedere Berretti Rossi ovunque! Ma si sa che quelle creature ormai  sono estinte da un pezzo!” aggiunse con un gesto della mano ad indicare che allo zio mancava qualche rotella.
Wilford, sconsolato, si lasciò cadere per terra accanto alla sua scopa.
“Oh insomma, marmocchio! Raccogli quell’arnese e vattene in fretta prima che vada a riferire a tua madre della tua scappatella notturna!” sbottò Eldrid su tutte le furie. Non mancava molto all’alba ormai e restava poco tempo per celebrare il rituale. Non avrebbe tollerato altre interruzioni. Quello era un rito che si poteva compiere solo una volta ogni 25 anni nella Notte di Mezza Estate durante la quale i demoni ed i morti potevano tornare a camminare liberi sulla terra al pari dei vivi, mescolandosi e confondendosi tra loro. E lei non poteva rimandare, non poteva attendere altri cinque lustri … non le sarebbe stato concesso tutto quel tempo!
“Vattene, o il Signore Oscuro …” gli occhi le brillarono nel pronunciare quel nome tanto osannato “… ti eliminerà in un solo istante se ti troverà qui al suo risorgere!” gli intimò la vecchia, scoppiando in una risatina malefica.
Wilford Paciock, mortalmente spaurito, si rialzò a fatica. Le sue gambette magre non reggevano il peso di quella minaccia. Raccolse la scopa e corse via a perdifiato dove le ombre della notte cominciavano a tingersi di sfumature più chiare. L’indomani, nei suoi incubi più spaventosi, quella terrificante risata stridula gli sarebbe echeggiata ancora nelle orecchie.

 
 

***

 
 
“Sprazzi di luce ad est… L’alba è vicina, miei cari confratelli!” Eldrid avanzò qualche passo strascicato verso il Noce. “Dobbiamo sbrigarci!” aggiunse, ansiosa di perpetrare le sue empie intenzioni.
L’Albero Infernale, sempre all’erta, allungò i suoi rami nodosi a scalfire il terreno come fossero fruste. Un movimento sotterraneo fece barcollare Eldrid che dovette puntare saldamente i piedi a terra per non cadere. Le radici della pianta si smossero ed emersero in superficie con un fragore di zolle che si spaccavano e venivano lanciate in aria per poi piombare giù in una nuvola di terra.
“Scelleratezza e crudeltà guidano le mie azioni!” intonò la fattucchiera in una sorta di lasciapassare. Il turbinio di rami e foglie cessò all’istante ed il Noce riprese la consueta immobilità, non fosse che per quell’occhio magico che si spalancò proprio nel mezzo del tronco. L’iride giallognola fissò intensamente la strega.
“Eldrid, mia amatissima!” un’esclamazione gutturale scaturì dall’interno dell’albero.
“T…Tom? S..sss…sei tu?” l’eccitazione nella voce della vecchia la portò a balbettare.
Il grande Noce annuì smuovendo le sue rigogliose fronde. Seguirono acclamazioni e grida euforiche da parte degli astanti.
“Sei lì dentro?” fece la strega. Sbarrò i piccoli occhi grigi, stupita al nuovo cenno di assenso da parte della pianta. Mormorii confusi e vocii sommessi si diffusero per la radura.
“Tutti si domandano perché non vi manifestiate in tutta la Vostra nefandezza, Signore!” intervenne un mago il cui viso era interamente nascosto da un cappuccio nero, riportando i pensieri dei suoi confratelli.
“Credete che non lo farei se potessi?” ruggì il Noce, alcune foglie ormai rinsecchite si dispersero al suolo. “Ma sono bloccato qui…” aggiunse in un lamento doloroso “…la mia anima è incatenata nella corteccia di questo albero!” la sua voce si stava facendo sempre più flebile. “Ed ogni volta che tento di liberarmi non faccio altro che indebolirmi!” ormai si udiva solo un sussurro.
Non morto e non vivo. Intrappolato tempo addietro sulla soglia che divide due mondi.
“Come posso aiutarti, Tom?” la strega si prostrò ai piedi del Noce. “Dillo a una vecchia amica!” giunse le mani in segno di devozione.
“Dovete compiere il cerimoniale in tutti i minimi particolari, senza commettere errori … prima che albeggi! Se fallirete, sarò costretto a rimanere ancora in questo limbo e non sarete ricompensati con la vita eterna!”
“Non falliremo!” promise Eldrid e si rialzò con una riverenza.
Si udì un ululato, questa volta più vicino, ed il pipistrello emise una serie di squittii acuti.
“Rufus! Vieni giù, non c’è nessun pericolo!” lo apostrofò il suo proprietario.
“Portatemi i prigionieri!” ordinò Eldrid con autorità.
Dal fondo del gruppo si mossero due Golem, giganti di roccia solida dall’aspetto vagamente umano. Trascinavano una donna in lacrime ed una bambina ancora molto piccola.
“Tu … tu non puoi farci questo!” singhiozzava la donna, stringendosi al petto la figlioletta.
Capelli rossi. La razza Weasley non si smentiva mai.
“Mia dolce ingenua Ginny… dovresti essere orgogliosa di sacrificarti per il Signore Oscuro… dopotutto è un onore che non spetta a tutti!” Eldrid parlò con estremo sangue freddo mentre rimestava nel suo calderone un intruglio di lingua di rospo nero selvatico e coda di ratto di fogna. “Ma perché proprio noi? Perché la mia bambina?” Ginny stava tentando invano di liberarsi dalla morsa di pietra dei due Golem.
“E perché non voi, invece?” la vecchia strega squadrò la donna con occhi di ghiaccio. “Così mi è stato ordinato da Colui che noi serviamo, Colui che ha fatto delle Tenebre il suo regno, il nostro regno…”
“Ma…”
“Suvvia, sarà rapido e indolore!” Eldrid sorrise estasiata.
Rufus, il pipistrello, lanciò ancora alcuni stridii assordanti.
“Maledetto uccellaccio, fatelo stare zitto o lo trasformo in una statua!” spazientita Eldrid lo minacciò estraendo da una tasca del mantello la proprio bacchetta e puntandola contro il volatile. “Sto cercando di concentrarmi qui!” sbottò in un sospiro di frustrazione. Le rispose un altro lungo squittio.
“Ah, per mille Maledizioni Cruciatus! Ora BASTA!” tuonò Eldrid. Un raggio di luce bluastra scaturì dalla punta della sua bacchetta e colpì il pipistrello in volo. Questi, tramutatosi in pietra, precipitò al suolo e si ruppe in un fragore metallico e in una pioggia di piccoli pezzetti di selce.
“Noooo, Rufus!” il proprietario si fece largo tra i presenti ed iniziò a raccogliere uno ad uno i rimasugli del suo animaletto affezionato. “Il mio povero Rufus!” piagnucolò in una nenia dolente.
Senza il benché minimo briciolo di pentimento né  considerazione, Eldrid avanzò nuovamente verso il Noce.
“Prima di proseguire, Tom, dimmi… chi ha avuto la sfrontata audacia di rinchiuderti qui?”
“Harry Potter!” si percepì un debole bisbiglio e poi “Lui!” uno dei rami si allungò ad indicare un punto preciso oltre le spalle della fattucchiera.
Tutti gli astanti si voltarono immediatamente nella direzione mostrata. Per ultima la strega.
Un giovane uomo dai capelli scuri in contrasto con l’incarnato pallido si ergeva ritto dinnanzi a loro.
“Il ragazzo sopravvissuto!” esclamò Eldrid per niente sorpresa. “La tua reputazione ti ha sempre preceduto!”
“Desolato di interrompere questa allegra rimpatriata” replicò Harry in tono esplicitamente ironico, gli angoli della bocca piegati in una smorfia compiaciuta.
“Non mi cogli alla sprovvista. Mi sono preparata a convenienza per una possibile incursione” Eldrid emise una sonora risata malefica che fece vibrare l’aria di echi di anni di rancori radicati alle ostilità tra i seguaci di Lord Voldemort e i Potter.
Un bagliore azzurrognolo scaturì come un potente getto d’acqua a pressione dalla bacchetta della fattucchiera e si disperse spegnendosi nel fitto della boscaglia. Una manciata di secondi più tardi il terreno iniziò a vibrare sotto i loro piedi ed al limitare della radura apparve un esercito di Salici Piangenti, chiamati così per i pianti strazianti che emettevano quando in autunno le loro foglie secche si staccavano lasciando i rami nudi ad affrontare le gelate dell’inverno imminente. La leggenda voleva che fossero state le loro lacrime a dar vita al fiume che nasceva nella foresta e attraversava il villaggio.
Gli imponenti alberi dalle chiome flosce rivolte verso il basso avanzavano in fila tra il fruscio sibilante delle liane che seguivano un andamento oscillante ed il rumore cupo delle robuste radici che scalfivano la terra in profondità. Schierati in formazione d’attacco, fecero mulinare vorticosamente i loro rami minacciosi simili a lunghi artigli di drago tutt’intorno ad Harry. Una nuvola di terra e polvere si alzò nell’aria inghiottendo tutta la scena nella sua spessa trama di pulviscolo.
“Tutto qui quello che sai fare?” con uno scatto d’agilità ferina Harry saltò oltre la pesante coltre scura ed atterrò poco più in là come se quel gesto non gli avesse richiesto alcuno sforzo fisico. “Un gruppo di alberi buoni solo per farne legna da ardere! Francamente mi sarei aspettato qualcosa di meglio dal braccio destro di Voldemort!”
“Ah, piccolo presuntuoso! Questo non è che l’inizio!” riconobbe Eldrid, con fare altezzoso, fiera delle sue arti magiche. “Gar! Goyle! Prendetelo!” ordinò ai due giganti di pietra, sottomessi al suo volere. “E non lasciatevelo scappare! Quando avrò terminato il rituale, ho intenzione di torturarlo a mio piacimento prima di esporlo alla lenta agonia della Maledizione Cruciatus!” aggiunse, beandosi di quel pensiero gratificante che le regalò un brillio soddisfatto negli occhi.
I due golem marmorei lasciarono la presa sulle due vittime sacrificali.
“Che state facendo, stupide teste di marmo?” ruggì la fattucchiera montando su tutte le furie.
“Quello che ci hai ordinato!” ammisero all’unisono i due colossi, scambiandosi un’occhiata perplessa.
“Non vi ho ordinato di lasciar andare i prigionieri! Dateli a me, grossi ammassi di sasso senza un briciolo di cervello!” li rimproverò, livida in volto per la rabbia.
Prese in consegna le vittime dalle mani di pietra di Gar e di Goyle prima che avessero il tempo di tentare la fuga e le trascinò all’altare nero, proprio ai piedi del Noce, sul quale le avrebbe immolate per restituire la libertà al Signore Oscuro.
“La prego, ci ripensi! E’ ancora in tempo per tornare indietro!” la supplicò Ginny, tra urla angosciate di disperazione. Lacrime copiose le rigavano le guance e proseguivano lungo la sottile linea del collo ad inumidire l’immacolato colletto della tunica sacrificale che l’avevano costretta ad indossare. La piccola bimba che teneva in grembo, di appena due anni, dormiva di un sonno pesante e beato come può esserlo solo quello dei bambini ancora nell’età dell’innocenza. Pareva che nemmeno l’esplosione dell’intera foresta avrebbe strappato quella creaturina fragile ed indifesa alle calde braccia di Morfeo.
“Zitta! Non riesci a comprendere a quale onore sei destinata? Far risorgere il Signore Oscuro! Ora purificati e preparati a compiere la mia volontà!” Eldrid le porse una boccetta contenente un liquido dall’aspetto poco invitante. “Bevi!” le comandò severamente forzandole la mano, che teneva stretta l’ampolla, alla bocca.
Un puzzo nauseabondo raggiunse le narici di Ginny.
“Bevi, ho detto!” la pressò ancora.
Nonostante tentasse con tutte le energie rimastele in corpo di ribellarsi a quegli ordini, Ginny dovette soccombere e ingurgitare in un sol fiato quella pozione ributtante.
A distanza di pochi metri, Harry stava escogitando un modo per tenere testa all’indiscutibile forza fisica di quei mucchi di roccia che erano Gar e Goyle.
“Ragazzi, andiamoci piano, ok? Perché non ne parliamo un momento, eh?” voleva perdere tempo nell’attesa che gli si accendesse in testa la lampadina di un’idea brillante.
Ma i due titani non sembravano aver prestato orecchio alle sue parole. Procedevano a passi pesanti verso di lui, con intenzioni tutt’altro che amichevoli.
“Lei vi sta sfruttando! Vi ha soggiogati e vi usa come due marionette!” esclamò indietreggiando di due piedi ad ogni singolo passo che loro avanzavano. “Poi quando ne avrà avuto abbastanza e non saprà più che farsene di voi, vi distruggerà senza pensarci nemmeno un secondo!”
Gar e Goyle, come destati da una lunga trance, si osservarono sbigottiti. Le grosse mani di roccia calcarea, i fianchi di granito e gli arti inferiori di marmo. Si ricordarono di un tempo in cui erano i silenziosi guardiani della Torre d’Astronomia, dove gli studenti di Hogwarts passavano intere nottate a studiare la rotazione dei pianeti, la nomenclatura delle stelle e gli influssi della luna nella creazione degli incantesimi di protezione. Tempo in cui erano guardati con rispetto e sottile timore, più per la loro mole che per il loro aspetto che non aveva nulla di spaventoso. Anzi, avevano un grosso faccione da bonaccioni sotto tutti quegli strati di calcare. Destinatari della fiducia che tutti i presidi riponevano nella loro statica funzione di custodi e di protettori della scuola stessa.
“Ora ricordiamo!” esclamarono tutt’a un tratto in coro. “Quella megera ci ha strappato alla nostra pace dormiente ed ora avrà ciò che si merita!” aggiunsero con la loro voce cavernosa, per niente contenti dell’incantesimo al quale la vecchia strega li aveva legati.
“Ben detto, amici!” fece Harry, tirando un sospiro di sollievo.
Gar e Goyle, ora consci della sfacciataggine con la quale Eldrid li aveva sottomessi ai propri ordini, si rivoltarono contro di lei in tutta la loro ira marmorea.
“Come osate ribellarvi a me? Io vi ho dato la vita…” li minacciò puntando nella loro direzione la bacchetta magica “… ed io ve la posso togliere!” come era già accaduto per l’ignaro Rufus, un lampo bluastro fuoriuscì dalla punta di legno e colpendo i due golem li restituì alla pace eterna. “Ahahah!” una trionfante risata malefica squarciò il silenzio che seguì. “Insolenti!” fu l’acido commento di Eldrid, che si perse poi in un altro accesso di beffarda ilarità. “E adesso veniamo a noi!” si voltò, riferendosi alle due sacrificande. “Questa notte verrà ricordata nei secoli come una notte di festa per tutti i Mangiamorte rimasti…” esordì teatralmente rivolta alla cerchia di confratelli e di consorelle radunatisi per assistere al ritorno del loro Padrone. “Noi compiremo l’impresa straordinaria di liberare il nostro Signore con il necessario sacrificio di due anime innocenti…” proseguì tra gli applausi e le acclamazioni festanti degli altri maghi. “Tra poco sarete spettatori della sua nuova ascesa… egli camminerà di nuovo tra noi in forma umana, seminerà il panico ed il terrore in tutti i popoli, estinguerà ogni fiammella di Bene ancora presente nel mondo magico ed instaurerà un nuovo Regno, fatto di ombra e di oscurità. E ricompenserà noi tutti in un modo che non riuscirete nemmeno ad immaginare!”
“Bel discorsetto altisonante! Vorrei fare solo una breve precisazione…” intervenne Harry, quasi divertito. Si lisciò il bavero del mantello nero. “Oggi non ascenderà proprio nessuno!” sillabò parola per parola quell’ultima frase come a volerle conferire un maggiore effetto.
“Sono stanca della tua impertinenza e sono ancora più stanca delle tue sciocche interruzioni! Metterò a tacere quella tua lingua arrogante una volta per tutte!” sbottò la strega in uno sbuffo nervoso. Estrasse un uovo di Lombrico Tentacolato dalla tasca del suo pastrano e lo lanciò con forza ai piedi del ragazzo. Non appena toccò il suolo, il guscio si spaccò a metà e ne strisciò fuori un vermiciattolo dotato di una dozzina di tentacoli che si ingigantirono e si allungarono con la stessa rapidità con cui un mago esperto può destreggiarsi nell’utilizzo della propria bacchetta.
L’agilità e la velocità di Harry non contarono granché questa volta quando una di quelle membrane viscide e mollicce gli afferrò un piede e cominciò la sua scalata verso l’alto avvinghiandosi ad ogni parte del corpo che incontrava sul suo cammino.
“Divincolarti come un ossesso non ti aiuterà!” gli spiegò una voce alle sue spalle. Data la sua situazione poco felice il ragazzo non poté ovviamente voltarsi per riconoscere il suo interlocutore.
“Quel fastidioso vermicolo ti stritolerà ancora di più se continuerai ad agitarti per liberati. Se invece manterrai la calma e fingerai indifferenza ti lascerà andare da sé.”
“E tu chi sei?” fece Harry, valutando se seguire o meno quel consiglio. Chi gli garantiva che fosse la soluzione giusta?
“Considerami pure un amico” ribatté la voce.
Ad Harry non restava che fidarsi e tentare. Il lombrico si stava arrampicando con inesorabile tenacia verso la sua gola. Il ragazzo chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo, obbligò la propria mente a rilassarsi sempre di più fino quasi a cadere in una sorta di sogno estatico. Si trovava nella foresta, una creatura tentacolata lo teneva prigioniero nella sua stretta di ferro… all’improvviso lo invase una sensazione di torpore e provò il gradito sollievo della dolce scoperta di essere di nuovo libero. Riaprì gli occhi. Il vermicolo stava strisciando via, seguiva un sentiero che lo avrebbe condotto nell’intrico del bosco, forse alla ricerca di un habitat favorevole.
Harry si girò per dare un volto alla voce che lo aveva aiutato. Un vecchio mago si stava allontanando nei primi raggi del sole a cavallo di un grosso ramo nodoso. In una mano i resti di quello che una volta era stato il suo fedele pipistrello.
“Fulmini e saette, si sta facendo tardi!” gridò Eldrid, infuriata. “Dammi la bambina, presto!” strappò la piccola dalle mani di Ginny, la quale non riuscì ad impedirlo, sebbene ci avesse provato con grandi sforzi.
“Lasciala!” intervenne Harry tempestivamente. “Lascia subito andare mia figlia!”
“Ancora tu!” Eldrid sbarrò gli occhi per la sorpresa. Forse aveva creduto di essersi sbarazzata di lui. “Come sei riuscito a liberarti?” gli domandò posando la bimba sull’altare. Le fiammelle di alcuni ceri neri, disposti a formare il disegno di un serpente, rischiararono quel faccino innocente. Due grandi occhioni scuri, di una sfumatura intensa come puro cioccolato fondente, si spalancarono a salutare il mondo e si richiusero serenamente subito dopo con uno sbadiglio assonnato.
“Diciamo che ho avuto fortuna!” un sorrisetto audace gli illuminò il viso conferendogli un’aria di aperta derisione nei confronti dei trucchetti così poco efficienti di Eldrid.
L’attempata fattucchiera, non potendosi più permettere sprechi di tempo, decise di saltare i convenevoli e di passare immediatamente al fulcro del cerimoniale. Al diavolo Potter e tutta la sua famiglia!
Con tutte le intenzioni più empie di cui si poteva vantare, impugnò un coltellaccio da macello. Sulla lama incrostata del sangue di vittime di sacrifici passati baluginò il riflesso del flebile luccichio dei suoi infossati occhi malefici. Levò in alto l’arma, sopra la testa, e vibrò un colpo deciso mirando al piccolo cuoricino. 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: LandOfMagic