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Autore: MoonClaire    20/03/2012    1 recensioni
Dopo 10 anni, si è sicuri di conoscere una persona per davvero?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cancellai tutta la mattinata dalla mia mente. Basta ufficio, basta tutto, niente più flashbacks! Faceva male soffrire per amore. Era un fiasco amaro, più degli altri, chi poteva ridurmi a stare sola così in un locale ormai deserto? Mi sembrava di essere tornata teenager, in quello stato tale di innamoramento, dove si arriva a non capire più niente. E in tutta onestà mi sentivo stupida. Mi innamoravo totalmente per la prima volta e prendevo una scottante e cocente delusione. Avevo avuto due belle fettone di salame sugli occhi, inutile dirlo. Tutti questi anni trascorsi a ballare insieme e solo oggi, dopo essermi esposta e sbilanciata, arrivava la doccia fredda. E in più, ingessato, non avrebbe più potuto accompagnarmi alla gara. “Sembri molto delusa”. Alzando gli occhi dal menù che ormai avevo imparato a memoria, mi ritrovai davanti Noah. “Cosa ci fai qui?”. Sospirai... ero stata troppo brusca. Nonostante tra di noi non corresse buon sangue, Noah non c’entrava niente in questa storia. Forse dovevo scusarmi… forse, ovviamente. “È mio il locale?” rispose sedendosi davanti a me, pur non avendo ricevuto alcun invito. “E poi volevo farti assaggiare questa, l’ultima creazione del pasticcere Noah”. “Non è la tua serata libera?” domandai acida ignorando la torta. Scrutandomi con le sopracciglia corrugate sopra i suoi occhi nocciola, si schiarì la voce “Se non mi vedi, non vuol dire che non ci sono...”. Avvicinando di più il piatto mi ritrovai costretta a spostare gli occhi su quella fetta di torta fin troppo invitante. “Lo so che non siamo mai stati amici, ma non ti ho mai visto così...”. Amici, già... le nostre strade si erano incrociate e perse per quasi dieci anni e in tutto questo lunghissimo periodo eravamo stati inclassificabili. Stereotipare Noah era sempre stato difficile per me. Un momento era il bullo strafigo della scuola, l’attimo dopo era... era cosa? Era, appunto inclassificabile. Era qualcuno che di Noah non aveva nemmeno l’ombra. “Acida, cattiva, ridicola per stare qui seduta le ore da sola senza nessuno?”. Alzando lievemente le spalle, mi sorrise. “Io userei triste…”. E dimenticavo sempre quanto Noah mi conoscesse bene. Nonostante a scuola fossimo l’acqua ed il fuoco, sembrava che lui sapesse tutto di me. Più grande di un anno e appartenente alla classe dei belli e dannati, avevo sempre evitato accuratamente di incrociarlo nel corridoio del liceo. Non mi interessavano i tipi così, non volevo innamorarmi di qualcuno che non mi avrebbe nemmeno preso in considerazione perché non ero abbastanza per i suoi canoni. Io ero normale. Io come quasi tutto il resto della scuola. Lasciamo a quei pochi eletti che si credono tali, l’idea di essere famosi… e Noah faceva parte di questa banda di creduloni. Non volevo avere a che fare con lui, con loro. Non chiedetemi perché, ma mi piaceva il mio gruppo di amici. Quello che rideva in classe, che suggeriva a tutto spiano se qualcuno non era preparato. Non mi interessava andare in giro per i corridoi a farsi ammirare. No, per niente… Riportando la mia attenzione su di lui, abbassai lo sguardo, avvicinando la torta. “Già, anche io userei quella parola…”. Posando i gomiti sul tavolo, si sporse in mia direzione “E come mai?”. Addentando la torta, scossi la testa, l’acidità stava crescendo. “Come hai detto tu, non siamo mai stati amici”. “Ok..” annuì lentamente e si guardò le mani. “Non per colpa mia stella d’oro, sono anni e anni che tento di entrare nelle tue grazie. A scuola non mi hai mai potuto sopportare, nonostante non ti avessi mai fatto nulla di grave..”. Spalancando gli occhi, ingoiai quel magnifico dolce allo yogurt. “Mi hai lavato con la coca cola, mi hai fatto cadere addosso un gelato al cioccolato, e quando avete allagato il corridoio, ho fatto una scivolata assurda davanti a tutta la scuola!”. Noah tentava in tutti i modi di trattenersi dal ridere. “Sono incidenti di percorso..”. “Noah.. con quella caduta ho dovuto dire addio alla danza moderna, e dedicarmi al liscio…”. “Lo so…” sussurrò e per la prima volta notai il rimorso sul suo viso. “Credi che non mi sia odiato quando ho scoperto cosa era successo?”. “Non puoi capire…” replicai giocando con la forchetta. “Ci ho provato… come ho provato ad esserti amico per tutti questi anni… ma tu non mi hai mai accettato” mormorò più serio che mai. “Lo so… è una cosa patologica, sei come un’allergia e…” e non sapevo più cosa rispondergli. Mi aveva messo, in una manciata di secondi, con le spalle al muro, e per la prima volta mi accorsi che tra i due, non era lui quello che credeva di appartenere alla classe d’élite. “Devo andare!” borbottai alzandomi di scatto. Ebbene sì, stavo scappando. Non mi piaceva essere in questo genere di situazioni, specialmente con una persona incompatibile che mi metteva a disagio soltanto guardandomi. “Cosa… ma perché?” chiese confuso alzandosi a sua volta. Pensai velocemente ad una scusa, e l’unica che trovai fu un banalissimo “Sono quasi le due, devi chiudere!”. Si, che figura, eloquente sempre, imbranata solo quando mi servivo brillante. Noah mi stava guardando con un sopracciglio alzato. “In tutti questi anni non mi sei mai sembrata così pazza come in questo momento…”. In effetti... “Il locale è mio, quindi non preoccuparti che puoi restare qui con me anche dopo l’orario di chiusura…” e mettendomi un braccio intorno alle spalle, mi riaccompagnò verso la mia sedia. “Siediti, mangia e raccontami…” borbottò prendendo posto vicino a me. Troppo vicino per i miei gusti. Deglutendo, tentai di mandar giù l’amaro boccone della delusione. A bocca piena, incurante di ogni finezza e regola del galateo, iniziai il mio sfogo. “Oggi Max è entrato in ufficio bello come il sole, sorridente, e… si vedeva che c’era qualcosa di nuovo. I suoi bellissimi occhi azzurri erano diversi. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre e ho spiato sul suo gesso ed ho visto la nostra parola: ballo e…” mi fermai, troppo imbarazzata per continuare. “E?” spronò Noah confuso e incuriosito allo stesso tempo. “E…” arrossii, non potevo credere che stavo per dire questa cosa proprio a lui. “E… io… gli ho detto che sono innamorata di lui… e poi non ho capito più niente…”. “E lui?” sussurrò a voce bassa. “Non mi ha risposto… sì cioè… ha evitato di darmi una cocente delusione rifiutandomi, ma mi ha detto chiaro e tondo di trovarmi un altro partner per le regionali”. Spostai il piatto e poi lasciai cadere la faccia sul tavolo, picchiando una sonora testata. “Forza piccola, lo sai che non vuol dire niente!” provò a consolarmi Noah “Ha il braccio rotto, non potete ballare…”. “Vuol dire molto… c’è una sola persona con cui ha in comune il ballo a parte me…”. “Non mi viene in mente nessuna ragazza…” ragionò lui. “Infatti non penso che sia una ragazza…”. A quelle parole la bocca del mio confidente toccò il tavolo dallo stupore. “L’istruttore di ballo?”. Annuii e mi venne da ridere all’ilarità della situazione. Mi ero innamorata di un mio collega, del mio partner di ballo e non avevo capito che era gay e le sue attenzioni non erano mai state per me. Maledetto gesso, ora capivo perché veniva alle prove nonostante non potesse ballare. “Sei sicura? Cioè, Max sembra tutto tranne che gay…” borbottò Noah. “Lo so… ma oltre a lasciarmi con il cuore spezzato, mi ritrovo ancora una volta lontana dal mio sogno. Trovare qualcuno che sappia ballare o almeno portato per insegnargli tutto è impossibile…”. Maledetto Max, probabilmente lo odiavo più per quello che per il rifiuto. La voglia era di spezzargli anche l’altro braccio, ma siccome volevo ballare e non fare la vita da galeotta, fu un’idea da scartare. “Ti aiuto io!”. Guardai Noah per nulla convinta. “Smettila, sono seria!”. “Anche io!” replicò lui alzandosi. “Non sei capace di ballare” e fermando ogni sua protesta aggiunsi prontamente “Ballare in discoteca non vuol dire essere capaci di farlo!”. Alzò gli occhi al cielo, per nulla divertito “La settimana dello studente a scuola, la ricordi? Mi ero iscritto al tuo corso di ballo” spiegò. “Non ti sei mai presentato!”. Lasciò cadere le braccia lungo ai fianchi, ma poi, nervosamente si passò le mani nei capelli corti. “Mi sono spaventato, e ho deciso di darmi malato…”. Per la prima volta, quella sera, ero io quella confusa. “Prego?” Sospirò e iniziò a passeggiare avanti e indietro per il locale prima di fermarsi allo stereo e mettere della musica. “Vieni, che ti faccio vedere…” e tirandomi in piedi senza il minimo sforzo, mi ritrovai tra le sue braccia. Aveva scelto una bachata e la cosa iniziava a non piacermi. Ci sarebbe stato troppo contatto fisico. E già stare nel suo abbraccio mi innervosiva e… Però… ballava bene, si muoveva così bene, che per un attimo dimenticai chi fosse a ballare con me. Non mi aveva preso in giro, era davvero capace. “Quando sei venuta tu a fare il mio corso di chitarra, e ti ho posizionato le dita sulle corde, ho sentito il mio cuore che… oddio” borbottò nervoso. Alzai lo sguardo, tornando alla realtà e interrompendo la nostra danza. “Noah… devo darti ragione, questa volta con te potrei farcela…”. Mi ero sciolta in fretta da quella stretta, ma gli restai fin troppo vicino “Dovrò massacrarti per farti lavorare bene però…”. Sorrise e mi ritrovai ad abbracciarlo. “Grazie!” sussurrai. “Di cosa?” domandò confuso e scivolai via, verso il tavolino per recuperare le mie cose e per non stargli più così vicina. “Per avermi salvato dal declino” e sorridendo allacciai il trench. “Per prepararmi questi dolci così romantici in un locale tanto rock” e mettendo la borsetta saldamente sotto il braccio, mi allontanai. “Per essere stato un amico quando non te l’ho permesso” passando accanto allo stereo spensi la musica. “Per non essere venuto al mio corso, quel giorno di tanti anni fa e non avermi fatto innamorare”. “A domani…” lo salutai e mentre uscivo dal locale mi rispose “Ma per me non è stato così…”. Sorrisi e richiudendomi la porta alle spalle, mi accorsi di stare bene. Era Noah a farmi stare bene. E lo ammetto… probabilmente non mi ero mai innamorata…
   
 
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