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Autore: Flaminia_Kennedy    21/03/2012    2 recensioni
Lo chiamavano Leone Rosso, per il coraggio che dimostrava in battaglia e per la criniera di fulvi capelli indomiti.
Un Principe alla sua prima vera conquista, una città sacra e un giovane Custode, tutto avvolto dal mistero e dal suono scintillante e dal tocco raschiante della sabbia che scorre.
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Aprii gli occhi quando sentii una voce lontana.
Era attutita dai molti massi che miracolosamente mi erano caduti attorno creando una strettoia dov’ero riuscito a sopravvivere, ma potevo chiaramente sentire qualcuno parlottare tra sé e sé “maledetto Xemnas! Padre…non sono riuscito a proteggervi. Spero che qualcuno nel castello sia stato risparmiato” sentii dire.
Stringendo a me la Chiave, nascondendola poi nella fascia che avevo in vita, strisciai nel cunicolo finchè non raggiunsi un enorme frammento di marmo che mi bloccava l’uscita “Sono qui! Aiuto!” esclamai, battendo un pugno sulla lastra.
Era difficile respirare a causa dello spazio ristretto e sentii un dolore sordo venire dalla schiena, dove avevo picchiato nella caduta.
Chissà che livido enorme stava nascendo “sei umano?” chiese la voce dall’altra parte e i miei occhi rotearono “no sono un mostro…certo che sono umano! Chiunque tu sia, aiutami ad uscire! Non respiro!” tentai di urlare più forte possibile, gonfiando il petto e occupando praticamente tutto il posto disponibile in mezzo a quelle macerie “sta indietro, d’accordo?” la voce si era spostata da un lato e qualche secondo dopo sentii la roccia sopra di me vibrare appena per i passi di qualcuno.
Della polvere mi scese negli occhi, ma mi costrinsi a guardare la pietra venir spostata molto lentamente dal principio, poi superata una certa angolazione cadde da sola assecondando la gravità con un tonfo che mi fece tremare il cuore “ecco!” riconobbi la voce, ora che l’aria passava liberamente in mezzo alle rocce e una volta strisciato fuori incontrai a poca distanza dal mio viso un paio di verdissimi occhi luccicanti d’intelligenza “cosa?!” mi misi in piedi barcollante “con tutte le persone che potevano sopravvivere…proprio tu!” esclamai additandolo con rabbia.
E la mia ira crebbe, quando nacque un sorrisetto malizioso sulle labbra del Principe “potrei dire la stessa cosa ragazzino” mi rispose furbetto “allora…che cos’è stato tutto quel trambusto? Che cos’ha fatto la sabbia?” mi chiese, trasformando abilmente il suo sguardo sornione in una stilettata, come se fosse stata colpa mia.
Incrociai le braccia sul petto “non hai mai sentito parlare della Clessidra del Tempo? Sabbie del Tempo?” dissi ironicamente “Hai liberato le Sabbie del Tempo, ora siamo tutti maledetti a meno che io non metta a posto il caos che hai creato!” aggiunsi, mascherando con l’acidità la paura che mi aveva ghermito il cuore.
Si, non c’era altra soluzione se non quella. Fortunatamente avevo nuovamente la Chiave, che mi promisi di proteggere fino alla morte “E io avrei liberato il caos? E’ stato Xemnas a ficcare quel coso” m’indicò la vita, dove spuntava l’elsa di cristallo della Chiave “in quell’affare” indicò allora il soffitto buio, bloccato dalla piramide di rocce che aveva rischiato di schiacciarmi come un insetto.
Sbuffai, prendendomi la fronte con una mano, chiudendo gli occhi.
Pensa, pensa…cosa devo fare? Ricordati gl’insegnamenti…
Il Principe fece un passo avanti “e come aggiusteresti tutto, ragazzino?” mi chiese e lo guardai “sicuramente non rimanendo qui…e non mi chiamo ragazzino. Sono Roxas” gli dissi.
Lui sorrise, strano vedere un sorriso in circostanze simili, e mi batté una mano sulla spalla mentre mi passava accanto “piacere di fare la tua conoscenza, Roxas, sebbene conoscerti in questa situazione sia…particolare” mi aveva detto “su, andiamo, voglio controllare se qualcuno nel castello sia sopravvissuto”.
Quella frase mi accese qualcosa nella testa: sapevo come rimediare, solo che mi mancavano le abilità per farlo “io preferirei uscire di qui il più in fretta possibile…e non pensare che ti chiamerò Principe o Altezza Serenissima” dissi scocciato.
Non ricevetti un nome, solo una risatina leggera e sbruffona che mi fece venir voglia di alzare una mano e tirare con quanta forza avessi quei capelli rossi e strambi verso il pavimento “bene allora, Roxas” disse calcando per bene il mio nome “se uscire dal castello è il primo passo per rimediare, ecco l’uscita” indicò il balcone oltre la finestra alla mia sinistra.
Spalancai gli occhi per la paura e per lo shock ricevuto: in effetti era quella l’unica uscita dalla stanza, altrimenti bloccata dalle macerie cadute poco prima…l’unico problema era che ci trovavamo quasi in cima all’altissimo maniero e io ero dannatamente poco attratto da simili altezze.
Quello sciagurato del Principe invece era saltato sul parapetto del balcone e mettendosi con le gambe a cavalcioni mi aveva lanciato un sorriso malizioso “che fai, non vieni? E’ stata una tua idea, dopotutto” mi aveva chiesto.
Scossi forte la testa “non mi arrampico come una scimmia, io” risposi acidamente, sentendo la paura rammollirmi le gambe alla sola idea di affacciarmi da quel balcone “piuttosto resto qui a marcire”.
Sapevo che era una minaccia vana, ma non riuscivo nemmeno a immaginarmi fare un’azione così…poco consona “d’accordo allora, tanti saluti” disse scavalcando il parapetto e sparendo oltre di esso.
Dannazione, non mi stava lasciando veramente lì, vero?!
Corsi verso il parapetto per chiamarlo -in un qualche modo-, ma spuntò appena poggiai le mani sul corrimano in pietra “scherzetto” mi disse sornione, appeso alle colonne in pietra che formavano il parapetto, come se non gli costasse nessuna fatica, poi una sua mano mi afferrò per i vestiti e mi tirò in avanti, obbligandomi a scavalcare la balconata e posare i piedi su uno stretto cornicione che faceva il giro del palazzo.
Urlai, non potei farne a meno, e mi tenni al muro come meglio potei dato che era liscio e senza grandi imperfezioni “Cadremo!!” esclamai ancora con gli occhi serrati per la paura, ma la risposta del rosso fu una lieve risata alla mia destra “il trucco è non guardare giù, memorizzalo” disse lui tranquillo come se stesse per camminare su un largo viale.
Una folata di vento mi artigliò i vestiti laceri e sporchi, gonfiandoli per scoprirmi appena il petto, come se avesse voluto buttarmi giù dal mio infinitamente piccolo rifugio “la fai facile!” urlai di nuovo, cercando di guardare nella sua direzione, vedendolo iniziare a camminare agile lungo il cornicione, il petto contro il muro e la testa voltata a guardare dove metteva i piedi.
Procedeva un po’ a granchio, ma per quanto ridicolo sembrasse, mi pareva sempre migliore di quello che avrei potuto fare io, ovvero un bel niente.
Non fece nemmeno una smorfia quando saltò un pezzo di cornicione crollato, per poi calarsi verso quello sottostante.
Chiusi gli occhi e mi girai lentamente per assumere la stessa posizione del rosso, riuscendo a respirare solo quando fui praticamente abbracciato al muro.
Sentivo il cuore battermi così tanto nel petto che pensavo sarebbe esploso da un momento all’altro “su gattino arruffato! Scendi!” sentii gridare il Principe sotto di me.
La curiosità vinse qualche secondo sulla mia paura e gettai un’occhiata verso il basso: c’era un’altra terrazza sotto di me, dove il giovane uomo stava in piedi a guardarmi, ma i miei occhi proseguirono oltre, vedendo il terreno maledettamente lontano e gli alberi che mi erano parsi enormi ora erano grandi come il mio pollice.
In quell’attimo un brivido mi percorse la schiena: avevo guardato giù! Dannazione, avevo guardato giù!
Mi agitai così tanto che un piede scivolò oltre il cornicione e dopo qualche secondo in cui il mio corpo sembrava quasi aver raggiunto di nuovo l’equilibrio, sentii il vento metter mano e l’ennesima volata mi sbilanciò all’indietro, staccandomi definitivamente dal muro.
Caddi all’indietro, sentendo l’aria tapparmi le orecchie e mentre aprivo la bocca senza riuscire a gridare, pensavo che sarei morto, anche se fossi atterrato sulla balconata sottostante: ero troppo lontano, mi sarei spiaccicato sul marmo come un moscerino schiacciato da una pantofola.
Pensavo già di morire con la vergogna di non esser stato un buon guardiano, ma inaspettatamente all’impatto non colpii la roccia preziosa del balcone, né tantomeno quello elaborato del corrimano, come mi aspettavo anche di fare.
Mi accorsi di essere ancora vivo quando sentii una voce nelle orecchie dire “Preso, micio!” con tranquilla allegria.
Aprii gli occhi che avevo chiuso nel terrore di cadere e mi ritrovai a fissare i suoi occhi verdissimi che altrettanto fissavano i miei “pensavo che i gattini sapessero arrampicarsi” mi sfotté mentre il suo sorriso, da sincero e bellissimo si trasformava in un ghigno malizioso.
Mi aveva preso, ero caduto letteralmente nelle sue braccia e assunsi in volto il colore del più violento dei tramonti, quando notai che mi stava tenendo ancora sollevato, con un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena.
Il mio cervello sembrò improvvisamente liberarsi dalla morsa del panico per incominciare a ingranare e mi dimenai come una furia “lasciami, depravato senza cervello!!” urlai, riuscendo miracolosamente a toccare il marmo della balconata coi piedi, il volto ancora più arrossato e caldo.
Oh, che vergogna!
La sua risata accentuò se possibile l’imbarazzo che provavo “me ne devi una, micetto, ti ho salvato la coda” disse con un sorriso furbetto, poi indicò l’unica porta che dava sulla balconata “quella se non sbaglio è la strada per la mensa delle guardie.
Siamo quasi al piano terra micio…” “SMETTILA DI CHIAMARMI COSI’!!”.
Avevo perso la pazienza, avevo gridato con le fiamme negli occhi dandogli un pugno molto poco efficace nel suo fianco.
Sbuffai come un toro alla sua ennesima risata “…hai fatto proprio un bel volo”.
Impallidii a quella frase “usciamo di qui…” mormorai prendendomi gli occhi con una mano mentre il Principe mi scombussolava i capelli con un colpo di mano “sissignore!” aveva detto.
   
 
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