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Autore: konachan98    22/03/2012    3 recensioni
"E iniziò a raccontare una storia.
Una storia in cui persone innocenti venivano uccise perché avevano idee diverse.
Una storia dove questi sovversivi venivano minacciati a colpi di manganello e purghe.
Una storia nella quale la polizia non stava a guardare, anzi, prendeva parte attiva ai maltrattamenti.
La storia di come Mussolini era diventato il loro capo."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Novecento/Dittature
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Verrà un giorno...

 

Era lì, immobile, al centro del grande salone della Camera. Tutti lo stavano osservando, nella trepida attesa che cominciasse. Il silenzio era talmente profondo, che sembrava si potesse rompere con un martello.

E fu esattamente ciò che fece, con un martello chiamato “parole”.

-Signori della Camera-

iniziò

-Vi prego di donarmi un attimo della vostra attenzione.

Si schiarì la voce.

-Come ben saprete, tramite le elezioni è stato eletto il nostro eccellentissimo presidente: il signor Benito Mussolini. Ora, Vi chiedo: sapete come sono avvenute le elezioni?

Un ministro alzò la mano. Dopo aver ricevuto la parola, rispose, quasi divertito.

-Beh, ovviamente, signor Matteotti, tramite i seggi elettorali!

-Più che giusto. Ma avete frainteso le mie parole. Intendevo: come ha convinto-

sottolineò con un tono di voce più convinto questa parola

-la popolazione a votarlo?

Tutti tacquero.

Giacomo spostò lo sguardo a destra, poi a sinistra. Infine, parlò.

-Con repressioni violente e minacce.

La Camera scoppiò in tumulto.

I ministri erano divisi: chi era sdegnato per Mussolini, che non si faceva scrupoli pur di passare al potere, e chi era sdegnato per Matteotti, che osava proferire certe accuse infondate proprio davanti ai Signori della Camera.

Ma lo scontento era generale.

-SIGNORI! VI PREGO! CALMATEVI!

Ristabilì la calma Giacomo, parlando con voce ferma e soave, da vero leader. Ci sapeva fare. Il silenzio tornò come quello iniziale.

-Bene.

Sussurrò Matteotti.

E iniziò a raccontare una storia.

Una storia in cui persone innocenti venivano uccise perché avevano idee diverse.

Una storia dove questi sovversivi venivano minacciati a colpi di manganello e purghe.

Una storia nella quale la polizia non stava a guardare, anzi, prendeva parte attiva ai maltrattamenti.

La storia di come Mussolini era diventato il loro capo.

Tutti i ministri tacevano, trascinati dalle sue parole come da un fiume in piena.

E capirono.

Capirono che avevano sbagliato.

Capirono che bisognava rimediare quando ce n'era stato il tempo.

E tacevano, i disgraziati.

Tacevano, schiacciati dalle loro colpe, l'animo squartato dai loro peccati.

E volti che si scurivano, e volti che arrossivano di vergogna.

Gente che non aveva avuto il coraggio di dire ciò che già sapeva, che aveva fatto lo gnorri.

Ma quella persona lì, in centro, non aveva avuto paura.

Quell'uomo che stava parlando non aveva il volto scuro o rosso.

Non stava in silenzio, di fronte a quello scempio.

E quella parola gli sarebbe costata cara, ma...

 

Stava tornando a casa, Giacomo, a piedi, accompagnato dalla luce dei lampioni a gas.

Molti ministri si erano offerti di accompagnarlo con le loro auto, c'era anche chi si era offerto di ospitarlo a casa sua.

Ma Matteotti rifiutò.

Lui già sapeva che non si sarebbe potuto fermare ciò che aveva innescato.

Sorrideva triste, Giacomo, mentre tornava alla sua dimora. Ripensava alla sua famiglia, a sua moglie, alla sua vecchia madre, ai suoi figli che sarebbero cresciuti senza di lui, ma solo col ricordo del suo discorso.

Almeno, avrebbero imparato una gran lezione di vita.

Per un attimo, Giacomo ebbe paura. Si strinse nella sua giacca. Iniziò a piangere, silenziosamente.

-Signore, proteggimi...

sussurrò, tra i singhiozzi impercettibili che spezzavano le parole come accette che spaccavano la legna.

Nonostante fosse il 30 di Maggio, sentiva freddo.

Il freddo della morte si faceva sempre più vicino, con una dolcezza sadica.

Ma questa paura durò poco, il tempo di un attimo.

Giacomo si asciugò con la manica della giacca grigia le lacrime salate e brucianti.

Trasse un profondo respiro e continuò a camminare, accompagnato dal signor Crepuscolo.

 

E questo continuò per 10 giorni, con solo una piccola variazione: a poco a poco, iniziò a non sentire più la paura. Iniziò a non perdere più il coraggio delle sue idee, la speranza che tutto quello sarebbe cambiato.

E proprio 10 giorni dopo, quel 9 Giugno, la morte arrivò ad abbracciarlo con le sue mani gelide.

Stava tornando a casa, sempre a piedi.

“Stolto.” penserete.

“Eroico.” penseranno altri.

“Giusto.” pensava Giacomo.

Lui credeva che fosse giusto continuare come se niente fosse.

Benito non avrebbe potuto fare niente.

La gente sapeva.

Prima o poi, l'avrebbero rovesciato dal suo scranno sporco di sangue.

Proprio mentre ci rifletteva, avvolto dalle mani calde del crepuscolo, una vettura nera gli si avvicinò.

Il battito del cuore di Giacomo aumentò a dismisura.

Ormai, nelle sue orecchie rimbombava solo quel battito sordo e continuo, quasi ossessivo, e un pensiero:

«Ecco, stanno venendo a prendermi. Prima o poi sarebbe successo. La morte non lascia scappare i suoi figli.».

Ed ecco che lì, dal finestrino abbassato, spuntò il viso di Marcello, suo grande amico.

-Ehi Giacomo!

Matteotti per un attimo ebbe la sensazione di stare per morire d'infarto. Il cuore s'era fermato tutto d'un tratto, sorpreso, confuso. Poi, riprese il suo battito regolare.

Disse, rasserenato

-Marcello...

poi, notò lo sguardo dell'amico.

Non aveva il suo solito brillio scherzoso negli occhi.

Aveva uno sguardo triste, rassegnato.

Giacomo sorrise tristemente.

E così Mussolini voleva fargli bere tutto il bicchiere del dolore.

-Avanti amico mio, fai quello che devi fare.

Marcello inizialmente scosse la testa. Poi, come fucilato da un ricordo non troppo lontano, aprì la portiera e fece salire Matteotti.

Giacomo, dopo essere salito, la richiuse.

L'auto ripartì.

-Mi...dispiace...

sussurrò Marcello, con voce tremante, poco prima di prendersi il volto tra le mani e di scoppiare a piangere.

Giacomo lo abbracciò.

 

Circa due ore dopo, si ritrovò in una villa splendida, in stile neo-romanico.

Osservava basito e meravigliato le opere appese alle pareti, le sale riccamente arredate, i suppellettili così finemente adornati.

Giacomo fu spinto dentro una sala completamente diversa dalle altre.

Era un cubo vuoto, nero, con solo una sedia al centro della scena e una lampadina che pendeva dall'alto, donando alla camera una luce flebile e intermittente, che conferiva un'atmosfera spettrale e...pericolosa.

La porta venne richiusa.

Dall'angolo a destra, oscurato, comparve Mussolini, con un bisturi in mano, che gli luccicava tremante e minaccioso tra i guanti di pelle nera.

-Buonasera, signor Matteotti.

Gli annunciò, con un sorriso innocente sulle labbra.

Giacomo rimase rigido, in piedi, fermo vicino alla sedia. Strinse le mani a pugno, in preda al disgusto e al ribrezzo.

Poi, sputò ai piedi di Benito.

-Mi fai talmente schifo che non meriti neppure di essere sputato in faccia.

Spiegò, digrignando i denti.

Mussolini rise sadicamente.

-E così vuoi giocare, piccolo socialista? E va bene allora: giochiamo!

Lo afferrò per una spalla e lo fece sedere sulla sedia, che traballò leggermente.

Due uomini, che comparvero dietro di Matteotti, lo ammanettarono.

Benito andò con passo lento all'angolo sinistro.

Ormai gli occhi si erano abituati alla flebile luce della stanza, e a Giacomo parve d'intravedere un tavolo del medesimo colore della stanza, con sopra decine di strumenti per la tortura.

Mussolini tornò con un coltellaccio da cucina.

Giacomo capì subito che voleva fare quel pazzo dominatore.

Tremò al pensiero della sua sorte, ma poco dopo si ristabilì.

Benito si spostò dietro di lui, gli afferrò una delle mani e iniziò a tranciare il suo corpo.

Prima le dita, poi le mani, le braccia...

Matteotti urlava di dolore, si dimenava, piangeva, lo insultava,...

ma non aveva mai chiesto pietà, nonostante tutte le volte che Mussolini gli avesse ripetuto che, se avesse chiesto la grazia, lui gliel'avrebbe concessa.

Benito rideva sadicamente, lo scherniva, continuava imperterrito col suo sadico gioco, mentre i loro corpi e la camera si coprivano di rosso sangue, e s'impregnavano dell'odor del ferro.

Poi, Mussolini riprese in mano il bisturi e glielo puntò alla gola.

-Te lo chiedo un'ultima volta, rinnegato di Dio, rifiuto umano: chiedimi la grazia, e te la concederò.

Giacomo respirava affannosamente, perdeva sangue a fiotti, il corpo era inondato dal dolore.

Aprì la bocca per parlare, e sputò sangue sul viso di quello psicopatico che gli si stagliava davanti.

-MAI!

Urlò poi, rabbioso.

-Ricorda, Benito, verrà un giorno...!

-Basta così.

Sentenziò Mussolini, che gli tagliò la gola d'un colpo.

Matteotti iniziò a boccheggiare, in cerca di un'aria che non sarebbe mai arrivata.

Poi, il capo si piegò, e il corpo divenne floscio e privo di vita.

Benito si leccò il viso sporco di sangue.

Poi lo sputò.

-Ha il sapore del letame.

Disse, uscendo dalla sala, diretto in bagno a ripulirsi.

Quel sangue, però, insieme al sangue di migliaia di innocenti, riuscirà ad espiarlo solo con la morte.

E per tutta la vita, e anche oltre, avrà il sapore del letame e l'odore del rifiuto addosso.

  
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