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Autore: Elos    22/08/2012    3 recensioni
[…] James ricordava che c'era stato un tempo in cui tutti lo avevano chiamato Jim, ed era stato un garzone, poi un mozzo, e poi era tornato a casa e c'era stata l'Accademia ad aspettarlo. Ricordava di essere stato un garzone con il cuore saturo di mancanze e la testa ricolma di sogni e che poi, poi, da mozzo qualcuna di quelle mancanze era stata colmata: e da mozzo aveva visto il cielo come il cielo era veramente, dietro l'orizzonte, dietro la luna, e da mozzo aveva solcato le correnti dello spazio e visto mondi e lune, cavalcato la scia delle meteore, guardato le supernove esplodere e riempire l'universo della loro luce terribile e gloriosa, e tutto questo l'aveva cambiato.
Non aveva più potuto essere lo stesso, dopo.
Prima classificata insieme ad e m m e al concorso "Possa la fortuna essere sempre dalla vostra parte" indetto da Feel Good Inc e Ray08.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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. la via delle stelle



Certe notti...
Certe notti il cielo era un oceano, le luna pallida dello spazioporto scintillante come una lama di sole bianco, e le navi che partivano si levavano in scie sottili drappeggiate contro la notte, nel buio, e tutte le stelle, le stelle, le stelle si aprivano e fiorivano e c'erano storie in quelle stelle, storie e racconti antichi com'era antico l'universo, più antichi dei mondi. Certe notti, e la luce era chiara e accecante e le galassie sembravano stendersi lì, solo lì, dietro l'angolo, tanto vicine che potevi toccarle. Notti di pianeti spezzati e di scie di asteroidi che solcavano lo spazio, e a vederle dal suolo di Montressor le nebulose non erano verdi come gli smeraldi, verdi come l'acqua verde e verdi come il riflesso verde del sole sui mondi della galassia di Andromeda, e il moto delle stelle binarie non tracciava che pallide danze dietro la luna artificiale, non si vedevano i Pilastri della Creazione e Orione era solo un puntino, così, da Montressor nessuno vedeva gli infiniti pianeti che gli ruotavano attorno, nessuno vedeva gli anelli di ghiaccio di Ottorione Quarto, enormi, così grandi che erano più grandi del sole, grandi com'erano grandi solo le stelle; ma malgrado questo, malgrado tutto questo, la notte alzare gli occhi da terra era comunque come spalancarsi il mondo davanti.
Era la via del cielo, che apriva sentieri oltre le nuvole e l'aria, là dove le galassie si incontravano e le supernove spalancavano buchi nell'universo, là dove non c'era niente, né il nord né l'ovest né l'est, nessun sud verso cui puntare, tutte le stelle indicavano un'unica direzione – il cielo – e non c'era terra sulla quale posare i piedi, ma era una via lo stesso, quella, come una strada, una traiettoria, lanciata attraverso i mondi.
Di giorno essere a casa era bello e il vento portava gli odori buoni di una vita felice passata al suono delle stagioni, ma di notte... certe notti...
Certe notti.

Non si poteva essere più felici di così. Davvero. Jim – James – non aveva mai creduto di poterlo essere: non aveva mai creduto che gli sarebbe spettata una vita nella quale avrebbe avuto una casa a cui tornare e rispetto da portare indietro e una madre orgogliosa e amici fieri e l'ammirazione di tutti. Medaglie sul corpetto. Onore e gloria, a badilate.
Jim – James – aveva affrontato i bucanieri della luna viola di Toris e aveva riportato a casa i sette membri di una scialuppa dispersa, Jim – James – era il più giovane ufficiale mai uscito dall'Accademia con tutti gli onori, Jim – James – aveva coraggio da vendere, e non hai visto come ha tirato la nave fuori da quel buco nero dopo l'esplosione della gemella di Rigel? Jim – James – sarebbe diventato secondo ufficiale, presto, e poi capitano, e poi...
James ricordava che c'era stato un tempo in cui tutti lo avevano chiamato Jim, ed era stato un garzone, poi un mozzo, e poi era tornato a casa e c'era stata l'Accademia ad aspettarlo. Ricordava di essere stato un garzone con il cuore saturo di mancanze e la testa ricolma di sogni e che poi, poi, da mozzo qualcuna di quelle mancanze era stata colmata: e da mozzo aveva visto il cielo come il cielo era veramente, dietro l'orizzonte, dietro la luna, e da mozzo aveva solcato le correnti dello spazio e visto mondi e lune, cavalcato la scia delle meteore, guardato le supernove esplodere e riempire l'universo della loro luce terribile e gloriosa, e tutto questo l'aveva cambiato.
Non aveva più potuto essere lo stesso, dopo.
Attraverso il portale del Capitano Flint aveva visto gli infiniti pianeti che lo aspettavano dall'altro lato, e anche se quella volta non aveva voluto nulla più che tornare a casa, adesso che era a casa, e che aveva tutto quel che voleva, adesso scopriva che era come tenere sabbia nel pugno, desideri, manciate di niente che si disperdevano ogni volta che chiudeva gli occhi e pensava, pensava, pensava al portale, ai mondi e alle lune, alla scia delle meteore, alle correnti dello spazio ed alle supernove dalla luce terribile e gloriosa, il cielo dietro l'orizzonte che l'aveva cambiato.

C'erano notti in cui sognava tutto questo, e poi c'erano le notti in cui i suoi sogni erano neri e vuoti come il cielo visto dal suolo di Montressor: ma a riempire il buio c'era sempre il suono di passi diseguali, un tonf e un cloc, e poi la risata, la risata pienissima e forte, la risata che colmava l'universo, le supernove, le galassie. Che riecheggiava da un mondo all'altro fino ad arrivare da lui, Jim, su Montressor.
Quando si svegliava, credeva sempre di essere ancora lì. Nella stiva. Ad ascoltare qualcuno parlare.



Ma era un bravo ragazzo, Jim: anche quando il cuore gli si struggeva di nostalgia e le mani gli tremavano per il desiderio pazzo di fare, di fare qualcosa, costruire una tavola e provare a vedere se stavolta gli riusciva di battere il record del quartiere, gli bastava guardare sua madre per cambiare idea. Delle tredici rughe sul viso di Sarah almeno otto era stato lui a causarle, e se due di quelle rughe erano accanto alla bocca – rughe che davano la forma al suo sorriso e che ammorbidivano il suo profilo, rughe gentili e amichevoli, Jim le conosceva come fossero sue – tutte le altre erano sulla fronte, attorno agli occhi: le rughe che le aveva causato facendole credere che non ci sarebbe stato futuro, per lui, che si stesse rovinando la vita. Tutte le madri hanno rughe così, ma Jim era cresciuto senza un padre a spiegarglielo, questo. Quelle rughe, per lui, erano rughe da senso di colpa.
E Jim, James, era un bravo ragazzo. James si copriva di gloria e onore, e tornava a casa carico di medaglie, di lustro. Tutti lo amavano, James.

Il dottor Doppler certe volte lo guardava in faccia ed aveva un'espressione stranissima negli occhi, sul muso, e Jim non poteva fare a meno di pensare che sapesse. Il Capitano Amelia era cieca. Sua madre era cieca, ma il dottor Doppler... il dottor Doppler, forse...

James si godé la vita. Davvero. Gloria e onore, e lo spazio gli si apriva davanti agli occhi quando montava sulla sua nave, ed era diventato secondo ufficiale con gli anni, poi primo ufficiale, infine capitano: il giorno della nomina i capelli di Sarah erano stati grigi com'era grigia la neve nei giorni dell'inverno nuvoloso, le sue rughe profonde e ampissime nella piega del suo sorriso radioso, e James aveva sentito il suo cuore gonfiarsi di fronte a quel sorriso, che era più splendente delle medaglie, più splendente delle stelle, anche. Lo teneva ancorato a terra, così.
Essere capitano, avere il timone sotto le dita, era un buon surrogato: il cielo sotto di lui, sopra di lui, le stelle e la via, ma le rotte della nave erano rotte fisse, le rotte della Marina, e si girava attorno a Montressor così tanto che ci si dimenticava quasi, a volte, che c'era tutto un universo pieno e nero ad aspettarli là fuori.
James aveva avuto una Grande Avventura, scritta proprio così, con le maiuscole, Grande Avventura, e aveva visto il portale, i mondi, le lune, la scia delle meteore, le correnti dello spazio, le supernove terribili e gloriose e il cielo dietro l'orizzonte, il cielo, la via delle stelle, che l'aveva cambiato: nessuno poteva tornare uguale, dopo, e c'erano giorni in cui la nostalgia sembrava mangiargli il cuore.
Pensava alla risata che riempiva le notti buie, i suoi sogni, il tonfo di quella gamba diseguale. Certe volte si svegliava e gli sembrava d'averlo accanto a sé – e Morph era agitato, quelle notti. C'era stata una volta in cui James, Jim, l'aveva sorpreso spiaccicato contro la finestra a guardare il cielo di fuori.
Si godé la vita. Si cercò una ragazza e fu sul punto di sposarla, ma poi tutto andò a monte: la ragazza aveva la primavera nel sorriso e l'estate nei capelli, tutta la terra bellissima e verde negli occhi e il colore delle dune rosse del deserto di Montressor sulla pelle, ma non c'era niente di cielo, di celeste, in lei, niente che si spalancasse nelle notti in cui James alzava gli occhi e le stelle gli si affollavano nella testa. Sarah ne fu dispiaciuta – ma James era giovane, ancora, c'era tempo. Aveva trovato un capello grigio nel pettine, quella mattina, ma un capello grigio non fa di certo di qualcuno un irrimediabile scapolo. Neanche un'intera ciocca di capelli grigi ci riesce, né la prima ruga, accanto all'occhio sinistro, dove la pelle formava una minuscola pieghettina nel solco della sua espressione, quando James scrutava il cielo e strizzava le palpebre per poter vedere meglio. Certe notti.

Doppler sapeva. James ne era certo. Doppler sapeva.

E potresti prenderti una vacanza, Jim, gli aveva detto il buon dottore, una bella vacanza. Su una piccola nave, eh? Una bella vacanza per vedere qualcosa di nuovo.
Ma una vacanza non gli colmava il vuoto, non cominciava neanche a riempirlo, era come cercare di saturare l'oceano a colpi di ditali d'acqua. Si prese una bella vacanza e tornò pregno di desiderio per le cose che aveva visto, sentito. Di nostalgia per le bettole fumose negli angoli segreti delle città, quelle dall'odore di catrame e del selenio delle vele solari, dove la gente, viaggiatori, marinai, pirati, si radunava per parlare. Per raccontare.
Certe volte Jim aveva l'impressione di vederlo lì in mezzo, lui. Lui con la sua gamba di ferro, con la sua mano di ferro. Con un occhio nero ed uno scintillante. Di sentire la sua risata e di sentire le sue storie, ombre e figure disegnate sulle pareti perché era stato un maestro di teatralità, Silver, Silver, un maestro nell'arte della frottola e dell'inganno e della storia, Silver era stato un narratore di storie, un cantore dello spazio e dei cieli, e l'aveva sedotto, Silver, sedotto alla strada delle stelle.

In una di quelle bettole aveva incontrato una piccola ragazza, James. Una piccola donna – era un uomo, anche lui, un uomo maturo, adesso. Jim il ragazzo e il mozzo era scomparso da qualche parte oltre la curva dei trent'anni, e adesso James muoveva per doppiare quella dei quaranta e aveva molte ciocche grigie, qualche ruga in più, ed era abbronzato e bello e sicuro di sé e infelice, anche, nostalgico e pieno di vuoto e di mancanze come neanche da giovane era stato. La piccola donna aveva avuto un faccino lentigginoso e i capelli rossi e cortissimi, quasi rasati, e la pelle del colore del bronzo, e nei suoi occhi si erano riflesse tutte le stelle del cielo.
James sapeva che non avrebbe potuto tenerla con sé, mai. Non su Montressor, né altrove. Non si tiene in nessun luogo qualcuno che ha occhi così.



Adesso sentiva anche la voce di lei, la notte. La voce di lei e la risata. Mancanze e vuoti e le galassie che si spalancavano sembrarono esplodere l'una nell'altra, mescolarsi e germinare, il giorno in cui Sarah Hawkins morì.
Era un giorno di pallido maggio. Il vento aveva portato il profumo buono dei fiori. Era venuto tutto il villaggio a salutarla, e Amelia e il dottore avevano pianto sulla tomba, perché era stata una buona amica, Sarah. Una buona madre. James chiudeva gli occhi e per un attimo tornava ad essere Jim seduto sul suo letto, e la voce di Sarah diceva che nelle notti più limpide, quando i venti dell'Etherium soffiavano placidi, le grandi navi mercantili con i loro carichi di cristalli solari arturiani si sentivano sicure e protette. Nelle notti più limpide, quando i venti dell'Etherium soffiavano placidi...

Nelle notti più limpide i venti dell'Etherium si alzavano in un universo dove le stelle ingemmavano il buio, i soli come vampe bianche al carbonio che accendevano scintille dietro alle palpebre chiuse, e sulla scia delle antiche comete le navi che ne solcavano la coda levavano spruzzi di polveri d'oro, e quello era il tesoro dei mille mondi, il bottino dei mille mondi, quello era ciò che il Capitano Nathaniel Flint aveva visto, mille mondi nel palmo d'una mano. Oro e gemme erano rimasti a sedimentare nel nucleo di un pianeta lontano perché non erano stati che una scusa, un pretesto, la ragione da porre davanti a tutte le altre ragioni, le galassie e le supernove e le Nubi di Magellano, le giganti rosse e le stelle binarie, la lenta danza dei sistemi solari. Quello era stato il bottino dei mille mondi, e James l'aveva avuto per un attimo, solo per un attimo.
Nelle notti più limpide i venti dell'Etherium soffiavano placidi; soffiava il vento della tarda primavera sulla tomba di Sarah Hawkins, e l'erba bassa s'increspava di minuscole onde. L'odore dei gerani e della verbena arrivava frizzante e c'era il mare, là accanto, ai piedi della scogliera, con il suo richiamo soffice da sirena che aveva mandato naviganti a migliaia in cerca della prossima corrente, della prossima spiaggia, dall'altra parte dell'oceano. La locanda che era stata pagata con le gemme di Silver e Flint era una sagoma buia alle spalle di James: come una casa senz'anima, nelle sue stanze non aleggiava nessuno spirito vicino, familiare, non era rimasto in esse il respiro e la voce di Sarah. Era casa di Sarah, quella: James si sentiva a disagio nel suo silenzio, e nemmeno i ricordi di Jim sembravano aiutarlo.
Era stato James, Jim, il bravo ragazzo. James e Jim, gloria e onore, James e Jim che era rimasto a casa, da Sarah, per Sarah. James e Jim che si era lasciato legare mani e piedi, come una nave ancorata alla baia, per restare con lei, lei dal sorriso ampio che apriva rughe e fossati sul suo viso, come colline nei suoi momenti tristi, lei che l'aveva tenuto per mano, sempre, che gli aveva fatto da padre e da madre, da sorella, amica, lei che era stata per un po' tutto il suo universo – fino a quando Jim non aveva visto cosa c'era oltre, dall'altra parte del sole, delle stelle.
Si chiese quanto a lungo avrebbe ricordato che odore aveva la verbena – e poi si disse che doveva tornare lì, prima o poi. Non domani. Forse neanche tra un anno. Ma tra dieci, tra dieci anni, sì, e Doppler avrebbe capito – Amelia no, lei non poteva capire, malgrado tutto, nonostante tutto – ma Doppler avrebbe capito. Tra dieci anni, tornare e ritrovare questa tomba, qui, e Doppler un po' invecchiato e i suoi bambini, e poi forse non più Doppler, troppo vecchio, troppo, ma il suo sangue nei suoi nipoti e nei nipoti dei suoi nipoti, e certe volte bastava questo a fare una casa.
Tra dieci anni, perché James – Jim – voleva dieci anni per riempire il vuoto che gli aveva mangiato l'anima, la vita, la nostalgia atroce e furibonda di tutti quei mondi che avrebbe potuto visitare, avrebbe potuto, se non fosse stato ancorato.
C'erano le stelle. La vita e le stelle, certe notti, oltre la notte, sentieri di galassie infrante e mondi perduti, soli da trovare, da esplorare, supernove che aspettavano solo lui per esplodere e poi satelliti, Aldebaran, Silver dalla risata che riempiva i mondi, la donna dagli occhi pieni di pezzi di cielo.
Tutte queste cose, da vedere.

Partì con la prima luna d'estate.








Note della storia: E noi invece partiamo dal lato tecnico. Questa storia si è classificata prima e vincitrice del Premio Speciale Miglior protagonista maschile al concorso Possa la fortuna essere sempre dalla vostra parte, indetto da Feel Good Inc e Ray08. Il primo posto è spartito assieme a Fotogrammi di una dipendenza, di e m m e, l'altra metà del Distretto 9.

Potete trovare i giudizi ed i banners (OOoommmmygorsh... B-E-L-L-I-S-S-I-M-I!) qui. Si ringraziando ancora le giudiciE per disponibilità, gentilezza, rapidità e completezza dei giudizi; e dierrevi, infinitamente, per aver suggerito un finale che mi piace molto di più così com'è ora.

Sarebbe dovuta essere parte di una raccolta, ma finirà all'interno di una serie di one-shots. La serie si intitolerà ever after e sarà aggiornata... non so bene quando. Ogni volta che avrò un pezzo adatto, suppongo. Non farò finire il tutto all'interno di una raccolta perché mi piace che le raccolte abbiano un senso, un inizio ed una fine, e questa invece forse non ce li avrà: ho un sacco di idee e sarebbe carino usarle, non dico tutte, ma parecchie.

La raccolta nasce perché ho avuto modo recentemente di rivedere parecchi film Disney, di quelli che da bambina mi avevano fatto battere forte il cuore... e, riguardandoli, ritrovo quelle medesime stonature che all'epoca avevo visto, ma senza saperci mettere il dito sopra, in un certo senso. Ragazze che facevano tutto un viaggio, una guerra, alla scoperta di sé stesse ed alla fine ritornavano ad essere le medesime persone di prima, avventure che passavano come l'ombra di un sogno, matrimoni che dopotutto non era proprio proprio proprio necessario che ci fossero - cribbio, perché metterceli?
Vedere Jim inquadrarsi in un'Accademia mi aveva lasciata un po' con l'amaro in bocca, perché no, non è necessario essere a tutti i costi un bravissimo ragazzo. Certo, meglio non essere neanche un cattivo ragazzo, ma dopo aver conosciuto Silver, dopo aver visto tutto quello che il mondo, l'universo, potevano offrire, tutto quel che ha saputo fare è andare nello stesso posto da cui venivano i robottoni beoti di inizio film?
Ennoggrazie.
  
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