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Autore: find me a place    08/11/2012    1 recensioni
La mia vita? Un casino. Perchè? Per colpa sua.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CI TENEVO SOLO A DIRVI CHE IN QUESTO CAPITOLO SI PRESENTERA’ SOLO IL PERSONAGGIO PRINCIPALE PIU’ UN ALTRO CHE SARA’ MISTERIOSO(?) DAL PROSSIMO CAPITOLO CI SARANNO I RAGAZZI. c:
 
PROLOGO
Un’altra inutile giornata in questo inutile mondo. Ma chi me la faceva fare? Alzarmi alle sei tutte le mattine, andare a fare colazione con i miei come se nulla fosse, come sei il mondo girasse nel verso giusto, come se la vita fosse facile, come se io fossi felice.
Sono Kate Lawrence e a nessuno interessa di me.
Anche quel giorno la sveglia suonò e io dovetti cercare di alzarmi con tutte le mie forze. La giornata non si prospettava delle migliori, il primo giorno di scuola non era mai un giorno bello, almeno non per me. Mi diressi verso la cucina con un sorriso falsissimo stampato in viso facendo finta di nulla, facendo finta di non sentire le urla di mio padre e i singhiozzi strozzati di mia madre che cercava di urlargli contro a sua volta. Appena varcai la soglia mio padre smise di urlare e mia madre si asciugò le lacrime con il grembiule da cucina. Come se la situazione fosse normalissima mia madre mi disse –cosa vuoi per colazione tesoro?- io risposi mugugnando ancora non pronta psicologicamente a parlare quella mattina. Mia madre così mi diede una bustina con dentro 3 waffles caldi da poter mangiare mentre andavo a scuola visto che già ero in un mostruoso ritardo, ma io me ne fregai dell’ora afferrando la bustina e uscendo di casa con moltissima calma. Appena fuori cacciai l’ipod che mi aveva regalato lo zio per il mio scorso compleanno e mi misi le cuffie nelle orecchie per non dover sentire gli uccellini cantare che facevano sembrare tutto fin troppo allegro. Il tragitto da casa a scuola era abbastanza lungo, quasi 35 minuti a piedi nelle strade di Londra, ma ai miei genitori non importava ne’ di questo ne’ di me, anche se mia madre non lo dava molto a vedere. Arrivata a metà strada come mio solito svoltai in un vicolo dove c’era un vecchio cane nero a cui ogni giorno davo la mia colazione, almeno nel periodo scolastico. Era già un po’ che camminavo quando davanti a me si vedeva l’enorme edificio marroncino che era quella sottospecie di ‘scuola’ se così si poteva chiamare. Mentre camminavo per raggiungere la mia schifosa destinazione una macchina mi sfrecciò di fianco facendo così schizzare tutta l’acqua marrone di una pozzanghera che finì proprio addosso a me. Come volevasi dimostrare io ero sempre lo stesso scarto umano di sempre, ormai da tre anni e questo sarebbe stato il quarto. Ero bagnata e non potetti fare nulla così, ancora con le cuffie nelle orecchie e la musica a tutto volume entrai nel cancello della scuola.
Ecco che ora riaffioravano tutte le paure che sempre mi avevano circondata. La paura di essere ancora derisa, anche se per nulla. La paura di essere picchiata ancora. Tutto. Io ero lo scarto umano della scuola, non la secchiona che almeno aveva una vita sociale con i suoi amici secchioni, ero il vero e proprio scarto umano di cui nessuno teneva conto, se non per picchiarmi o farmi del male nessuno mi considerava.
Entrai nella scuola e mi diressi alla segreteria per prendere l’orario delle mie lezioni e il numero del mio armadietto e quando stavo per uscire una voce mi fermò –signorina Lawrence salve!-
Cazzo era il preside. No, non lui. Non poteva essere lui. Non doveva essere lui. –salve signor preside.- dissi quasi in un soffio cercando di fare un sorriso che si rivelò una smorfia. –volevo augurarle un buon anno e volevo dirle che quest’anno deve studiare duramente per passare- -grazie, studierò sicuramente signore.- risposi. Lui credeva che io avrei studiato con tutto quello che passavo? Non penso, non potevo.
Mi incamminai verso l’armadietto 314 e quando lo trovai lo aprii e ci buttai dentro le prime cartacce che trovai nello zaino solo per alleggerirlo almeno un po’. La mia prima lezione era chimica, quanto non sopportavo quella materia,  non la capivo, come quasi tutte le altre d'altronde. Per non incontrare tanta gente nei corridoi e non dover rispondere a troppi sorrisi falsi dei professori mi incamminai verso l’aula quando qualcuno mi bloccò per un braccio. Mi pietrificai. Solo una persona aveva quella presa in tutta la scuola e io la conoscevo, aveva lasciato fin troppi lividi sulla mia pelle, mi aveva fatto fin troppo male. Non mi voltai, rimasi di spalle aspettando che mollasse la presa. –ehi giocattolino sento le tue braccia più sottili. Dieta? Cos’è ti sentivi poco accettata?- non risposi, non volevo rispondere a quel lurido verme, anche perché  non potevo, mi mancava il fiato. –rispondi!- tuonò la sua voce –rispondimi ho detto!- non risposi di nuovo, avevo troppa paura –lo sai cosa succede a chi non fa quello che gli ordino.­- disse ancora, abbassando la voce però questa volta, per paura che qualcuno lo sentisse anche se i corridoi erano ancora vuoti. Non ce la feci, non risposi. Con uno strattone mi fece voltare e mi ritrovai in pochi secondi con le spalle al muro. Lui aveva un ghigno divertito in faccia mentre probabilmente i miei occhi erano pieni di puro terrore. Lo vidi portare il braccio leggermente indietro e caricare il pugno. Quello era di sicuro per me. Bum. Dritto nel mio stomaco. Poi un altro ed un altro ancora. Mi piegai su me stessa dolorante, il mio stomaco vuoto poi non aiutava di certo, continuava a brontolare e faceva ancora più male. Mi accasciai a terra con le spalle al muro e nascosi la testa nelle ginocchia per non far vedere quelle poche lacrime versate. Alzai la testa con ancora la vista un po’ appannata e  lo vidi andare via, verso i suoi due amici, i suoi scagnozzi possiamo dire. I bulli della scuola, quelli rispettati da tutti. 
  
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