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Autore: Kuno84    31/01/2013    8 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Due parole prima di cominciare. Volevo scusarmi per il ritardo con cui ho risposto ad alcuni commenti o messaggi privati qui su EFP, dovuto semplicemente al fatto che nelle ultime settimane non sono praticamente passato mai per il sito. A tale proposito per chi fosse interessato, anche a contattarmi più rapidamente, ho creato un piccolo gruppo facebook su questa fanfiction (e le prossime che pubblicherò) al seguente indirizzo:
https://www.facebook.com/groups/124540564387546/
E ora la buona notizia: ho terminato di scrivere la fanfiction, sto dando giusto i ritocchi finali. ^__^ Siamo in dirittura d’arrivo, e gli ultimi capitoli saranno postati a intervalli regolari di tempo. Come sempre, un grazie a chi segue questa storia e un grazie altrettanto grande a una beta d'eccezione come Tiger eyes! Buona lettura!
Nei capitoli precedenti. Il piano di Genma e Ukyo, consistente nel bagnare quest’ultima con l’acqua della fonte Akanenichuan e darle le sembianze di Akane in modo che la falsa fidanzata potesse parlare con Ranma e riportarlo alla ragione, ha provocato ben altre conseguenze. Il gruppo di Nerima, riunito al Nekohanten, ha appreso da poco che la vera Akane è ancora viva dentro il corpo di Ukyo, ma che entro l’alba inevitabilmente una delle due ragazze morirà…



Capitolo 12
“Scelta”


“Non vorrai farlo davvero...”
Ignorò le parole dell’interlocutrice e cercò di guardare da un’altra parte. Ma non era affatto facile, il luogo in cui si trovava non aveva dei confini e delle direzioni distinguibili: il miglior paragone che le sovveniva era quello con una spessa coltre di nebbia, e di fatto non scorgeva alcun panorama che avrebbe potuto definire con certezza un’altra parte.
“Mi stai ascoltando?! Non pensarci nemmeno!”
Niente da fare. Dovunque si voltasse le ricompariva di fronte: lei sì, perfettamente riconoscibile come se fosse stata sotto un riflettore. Ukyo provò a serrare le palpebre, ma perfino così facendo il volto turbato di Akane continuava a presentarsi alla sua vista.
Sbuffò, con fare stanco e sconfitto. Forse era logico che non riuscisse a sfuggirle, dato che ora convivevano nello stesso corpo.
“Infatti non ci sto pensando.” Disse, cercando di controllarsi. “Se sei ancora in grado di giocare con la mia mente come hai fatto poco fa, dovresti sapere che la decisione l’ho già presa.” Sollevò il capo, come per scrollarsi di dosso qualcosa di fastidioso. “Mi bagnerò con l’acqua fredda e poi sarà quel che sarà.”
Ecco fatto. Che ci voleva? Averlo pensato, prima, era stato così semplice. E adesso lo era stato anche dirlo. Non ci voleva poi molto.
Akane le afferrò il polso costringendola a guardarla dritta negli occhi. La sua espressione, visibilmente alterata, le diede l’idea che per qualche motivo non avesse gradito la propria replica.
“Se tu lo farai, ogni volta che tu lo farai, io mi verserò dell’acqua calda. È chiaro?!” Esclamò determinata. “Non ci tengo a morire, certo, ma non ti permetterò nemmeno di sacrificarti per me!”
Ukyo fissò incredula la propria interlocutrice per qualche istante, finché non fu del tutto sicura di aver udito bene. Dunque era davvero questo che pensava? Questo?! Indubbiamente si trattava della vera Akane, la stessa ragazza ingenua che ricordava.
Non riuscì a trattenere una risata di scherno, e la minore delle Tendo non sembrò apprezzare nemmeno quella.
“Ora che ti prende? Sei impazzita?!”
E poi Ukyo sorrise, stavolta con un gesto pregno di amarezza, di fronte alla confusione dell’altra fidanzata. “Sei tu che non comprendi. Pensi che voglia sacrificarmi per te? Dare la mia vita per gettarti tra le braccia di Ranma in modo che possiate vivere felici e spensierati il vostro lieto fine? Ah, mi spiace tanto, ma non sono questa santa che credi!”
Sono tale e quale al padre di Ranma, continuò in silenzio. Ma ad alta voce disse: “Io sono l’imperfetta Ukyo Kuonji dell’okonomiyaki. Sono un’egoista e l’unica cosa che mi interessa… sottolineo l’unica… è riavere indietro il Ranma determinato, che non si dà mai per vinto, il Ranma che conoscevo.” Il ‘mio’ Ranma avrebbe voluto concludere, ma al momento non si sentiva in grado di fare una simile affermazione. “E se questo è il prezzo…”
Si arrestò, per vedere la ragazza di fronte a sé scuotere lentamente la testa. “E pensi… tu pensi forse che veder morire la sua amica d’infanzia davanti ai propri occhi lo farebbe star meglio? Non puoi credere una cosa simile.” Mormorò.
“So che mi… vuole bene.” Replicò Ukyo. O almeno spero che me ne voglia ancora. “Ma sono anche certa che lo supererà, con il tempo. La tua perdita invece… non riesce, non può, non vuole, perché Ranma ti ama. Ama te. Lo capisci questo?”
La confessione fece trasalire Ukyo stessa mentre la proferiva, ma non aveva in alcun modo potuto trattenere le parole dentro di sé. E poi i ricordi, non suoi, di Jusendo l’avevano definitivamente confermato: era Akane il punto debole di Ranma, Akane la sua vulnerabilità. E per quanto questa verità le facesse male, ancora di meno poteva sopportare l’ottusità di quella ragazza di fronte alla… fortuna… sì, alla fortuna che le era stata riservata. Nessuna promessa tradita, nessuna vendetta da portare avanti. Soltanto un amore ricambiato.
Fissò attentamente la giovane Tendo, che aveva almeno avuto la decenza di arrossire.
“Ukyo… sei chiaramente sconvolta. Ascolta...”
“No, tu ascolta me!” Replicò, sorpresa dalla rabbia che tutto d’un tratto le stava ribollendo in corpo. “Ci ho provato, sai, ho provato in tutti i modi a far sì che smettesse di soffrire per te! Ho dato tutta me stessa, sono stata al suo fianco nel momento più difficile, ma non è servito a nulla… a malapena si accorgeva della mia presenza! Non avrei mai voluto mettere in atto la messinscena del suo vecchio, ho cercato di evitarlo fino all’ultimo istante, almeno finché ho compreso che ‘la piccola Ukyo’ non avrebbe mai potuto riempire quello spazio vuoto. Però adesso…”, sentì la sua stessa voce ridursi a un leggero sussurro, “adesso, forse, finalmente potrò…”
“Immolarti?” Finì per lei Akane. “Ti senti in colpa, lo so perché ho avvertito tutta la tua angoscia, prima. Vuoi rimediare in qualche modo, e lo capisco, ma sono stata io a mettere in gioco la mia vita. Sapevo il rischio che stavo correndo quand’ero in Cina, quando ho deciso di non restarmene in disparte con la guida ma di prendere l’iniziativa, di cercare di aiutare Ranma. Lo sento anche adesso, e sento che, in fondo, provi paura… e anch’io ne ho. Tanta. Per questo dobbiamo trovare un altro modo!”
“Una soluzione diversa non esiste, hai ascoltato anche tu Obaba!” Ribatté Ukyo. “E poi non si tratta di te, te l’ho detto. Non puoi fare questo torto… non solo a lui, intendo, ma anche alla tua famiglia.” Disse, pensando al volto tetro di Kasumi e a quello esasperato della stessa Nabiki. “Hai idea di quante persone tengano a te?”
Al contrario di me, completò amaramente. Io ci ho provato, pensò, in tutti i modi. Non ho nessuno, ho vissuto sempre in solitudine. Ranma è tutto quel che potevo avere, l’avevo perso per poi ritrovarlo. Ho cercato di esserci per lui in questo momento tanto difficile. Ma la mia presenza, in fin dei conti, non fa alcuna differenza.
E Ukyo sussultò. Si era ricordata, improvvisamente, che nulla poteva più essere nascosto tra loro. Ne dedusse che Akane le aveva appena letto ciascuna di quelle ferite che riponeva nel cuore, e sentì il desiderio di scappare via come una scolaretta piena di vergogna.
Ma non poteva sfuggirle, già. Non le rimaneva che recitare fino in fondo la parte di Ukyo il maschiaccio caparbio e orgoglioso e guardarla dritto negli occhi. Fu allora che con sorpresa si accorse che quelli di Akane erano lucidi.
Ukyo non voleva sentirsi dire parole di conforto, di circostanza. Non le avrebbe sopportate. Ma non ricevette nulla di simile: Akane non aprì bocca, non disse nulla, eppure le rispose lo stesso, in qualche modo, che no, non era sola, nemmeno lei. C’era Konatsu, certo, ma non si stava riferendo soltanto al suo fedele kunoichi.
Ora fu Ukyo a percepire nitidamente ogni sentimento che albergava nel cuore dell’ultimogenita delle Tendo e, con sorpresa, vi trovò una calda ondata di affetto ed empatia rivolti nei suoi confronti. Nonostante tutto.
“Sai, prima hai detto di essere una persona egoista. Però io penso che non vi sia nulla di egoista”, concluse Akane ad alta voce, “nel desiderare la felicità… della persona che amiamo.”
I successivi pensieri non presero nemmeno la forma di parole. Per Ukyo non ce n’era più bisogno, sapeva quel che c’era da sapere: che in fondo erano soltanto due ragazze come altre, innamorate della stessa persona e impaurite allo stesso modo dalla morte. E che questa comunione di emozioni, in qualche modo, stava reciprocamente infondendo loro il coraggio di affrontare ciò che le attendeva.


La paura. Aveva imparato da decenni a convivere con questo sentimento, e ciò non implicava assolutamente che le sue abilità di artista marziale gli consentissero di vincerlo. Poteva essere forse biasimato per questo? L’importante era tirare avanti, senza curarsi dell’orgoglio. E sì che di cose paurose ne aveva viste tante, nella sua vita, ma nessuna di queste lo terrorizzava quanto le reazioni furiose del suo compagno di tante avventure. E questa emanazione poteva classificarsi, senza troppe discussioni, sul podio delle più agghiaccianti.
“Genma, ora pagherai!”
Essere chiamato per nome spezzò anche l’ultima delle sue difese psicologiche. Questa novità non costituiva affatto un buon segno.
Da ciò che la propria miopia gli consentiva di distinguere, la manifestazione dell’aura di Tendo non aveva assunto la classica forma demoniaca, quella fornita di testone e lingua biforcuta – e in tal caso almeno avrebbe benedetto la propria perdita degli occhiali – ma costituiva piuttosto un’estensione dei suoi lineamenti normali: tuttavia era carica di un tale nugolo di sentimenti negativi, che avvertiva come un peso sul proprio capo e lo stava rapidamente accerchiando in un abbraccio letale.
D’un tratto Genma sentì esplodere dentro di sé tutti i timori e le angosce, i sensi di colpa e i rimorsi accumulati in un’esistenza che sapeva bene non essere stata delle più irreprensibili.
Crollò in avanti, incapace di sostenere un simile fardello un secondo di più. Cadde nel vuoto, per una manciata di lunghi secondi, e poi finì a terra come un corpo morto, picchiando la faccia sull’asfalto. I sensi gli furono immediatamente annebbiati dal dolore e, quando tornarono, constatò che una mano lo aveva afferrato per il colletto della veste e l’aveva sollevato di qualche centimetro. Un pugno affondò nel suo stomaco, mozzandogli il respiro e scagliandolo all’indietro. La mente e il corpo furono impossibilitati a funzionare, lasciandogli solo il suo istinto di artista marziale, libero di registrare ogni singolo colpo che riceveva e di gridargli inutilmente di difendersi.
Si sentiva come un grosso e vecchio sacco da boxe sul punto di sfondarsi. Non poteva controbattere in alcun modo, ancora immobilizzato dall’attacco di ki precedente, né a questo punto sapeva se avrebbe desiderato farlo. Era già la seconda volta, quella notte.
Per nessun motivo in particolare ricordò un Ranma piccino che correva tra le sue braccia, dopo aver eseguito con successo per la prima volta uno dei kata più semplici: il bambino aveva un’aria incredibilmente spensierata e, buttatosi in mezzo alle sue manone, gli stava gridando grondante di gioia: “Hai visto, papà? Ce l’ho fatta! Sei contento di me?”. Poi, di botto, l’immagine svanì e la serie di pugni cessò, e Genma inspirò avidamente l’aria fredda della notte, a dispetto dell’agonia dei polmoni e degli altri muscoli.
“Già… finito?” Sogghignò, o almeno quella era l’intenzione. Aveva raccolto troppo poco fiato per risultare irriverente come avrebbe voluto.
Anche Tendo respirava con affanno, almeno da quel che riusciva a udire. Non era facile, le orecchie gli fischiavano.
“Ho solo iniziato.” Disse l’altro ad alta voce, come se avesse inteso e volesse rassicurarsi che lui potesse ascoltarlo bene. “Non hai proprio niente da dire? Parlo di tuo figlio.”
Genma sentì un sapore sgradevole salirgli alla bocca. Prima di parlare, sputò a terra.
“Tendo”, si mise con fatica in posizione seduta, “credevo di averti già ricordato… che non hai titolo per insegnarmi come prendermi cura di…”
Il pugno lo raggiunse in pieno naso mentre proferiva le ultime parole.
“Come osi rispondermi così?! Dopo tutto quello che gli hai fatto, è davvero questo il meglio che hai da dirmi? Alzati e guardami in faccia!”
Genma digrignò i denti, sia per il dolore cane, sia per il nervosismo crescente, che stava rimpiazzando l’apatia di pochi istanti prima. “Non… riesco.” Mormorò. Si pulì alla bell’e meglio con la manica un rivolo di sangue, quindi tese l’altro braccio in direzione dell’interlocutore. L’altro accennò a tirarlo su.
Ci sei cascato. Genma diede uno strattone, trascinando Soun verso di sé e soprattutto verso la propria mano chiusa a pugno. Colpita vittoriosamente la sua mascella con un montante, gridò con tutta la sua rabbia.
“Pensi che sia stato facile per me?! Credi davvero che non voglia bene a mio figlio?! Parli tanto, ma li avevi visti… di’, li avevi visti i suoi occhi?”
Non arrivò alcuna risposta, era collassato al suolo. Del resto, se era riuscito a centrargli il mento come si era prefissato, quello era il minimo. Soddisfatto, si sporse per constatare il risultato del proprio brillante contrattacco. Capì di aver commesso un errore ancora prima di ricevere il destro di Tendo in pieno volto. Che pollo sono stato… Pensò amaramente.
Poi il dolore gli impedì di pensare qualsiasi altra cosa per diversi secondi.
Attendeva il resto della reazione furiosa dell’altro, ma stranamente non arrivò.
“Alla fine l’hai ammesso.” La voce di Soun non tradiva più rabbia. “Ci voleva tanto?”
Genma si massaggiò la guancia tumefatta, incredulo. L’ho ammesso? Ho ammesso cosa? Poi, d’un tratto, comprese.
“Tendo, sul serio, non vorrai… si trattava di questo? Soltanto per questo ce l’avevi tanto con me?!” Avvertì nuove energie fluirgli nelle vene e colpì, senza soluzione di continuità con le ultime parole. Questa volta l’interlocutore incassò docilmente prima di rispondere.
“Ovviamente no. Non era… solo per questo.” Accennò, come saggiando le parole. “Saotome, io ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso, e il fatto che alcune volte, anche parecchie, non apprezzi i tuoi metodi… non significa che non sappia individuare, dietro a essi, le tue buone intenzioni. Quando ve ne sono, chiaro.” Si rialzò in piedi, barcollando leggermente. “All’inizio, lo confesso, ero furioso e basta, non potevo credere al tuo cinismo. Con il passare dei minuti, un po’ per volta, ho però compreso… so bene che la cosa ti è sfuggita di mano, mi è perfettamente chiaro che farci credere che Ranma fosse impazzito, farlo credere a lui stesso, non rientrava nei tuoi piani. Quello che non ti ho perdonato è di aver perseverato, di avere continuato a usarci tutti, anche nel tempo in cui la situazione era degenerata. Soprattutto di non essere uscito allo scoperto, stamattina, quando potevi e dovevi. Almeno con me. Con l’uomo che conosci da più anni di quanti vorresti contare… e che fino a oggi si era ritenuto un tuo amico.”
Per un istante, Genma dimenticò il dolore della batosta ricevuta e avvertì unicamente una fitta, al petto, di tutt’altra natura. Una fitta che non sentiva da tanto di quel tempo e che, in tutta onestà, non credeva avrebbe avvertito mai più.
“Sbagli, Tendo. Da parte mia, non ti ho mai ritenuto… un mio amico.” Disse, distogliendo lo sguardo. Quindi si scosse a sua volta, tirandosi su in posizione eretta e sentendo nuovamente su di sé, con quel gesto, il peso di tutti i lividi che si era procurato. Non era più un buon incassatore come ai bei tempi. “Sei sempre stato il mio amico, e proprio per questo… stamane ero stato tentato, seriamente, di parlare, di dirti tutto… ma mi conosci, sono il solito sentimentale, forse non me la sono sentita di… renderti mio complice, se capisci cosa intendo. Siamo entrambi ben lontani dall’essere perfetti, eppure mi piace continuare a pensare a te, esattamente come ai vecchi tempi, come quello di noi due retto e probo.”
Si guardarono per qualche secondo, senza più dirsi nulla, senza che i loro volti tradissero alcun sentimento.
Dentro di sé al contrario Genma poteva notare con soddisfazione che, per quanti colpi avesse ricevuto, era riuscito a lasciare al proprio interlocutore diversi segni della sua amicizia. Del resto era sempre così che sistemavano le cose, tra loro. Non che ora fosse stato tutto quanto risolto con un colpo di spugna, ma gli piacque sperare che Tendo gli avrebbe rivolto ancora la parola, nei prossimi giorni.
Poi l’incanto si ruppe. Udì delle voci, e vide delle figure minute dirigersi verso di loro.


La sua prima sensazione diretta del mondo esterno fu un brivido lungo le tempie e la nuca. Portò la mano sulla fronte per scostare l’acqua che le colava dai capelli fradici e ne approfittò per chiudere gli occhi e ripensare a cosa avrebbe detto. Entrando nella coscienza di Ukyo, aveva avuto modo di scoprire ogni cosa avvenuta in sua assenza, e sapere di aver provocato tanto dolore alla sua famiglia e a tutte le persone che le volevano bene la stava opprimendo di sensi di colpa.
Una mano vellutata si sovrappose alla propria e, riaprendo le palpebre sorpresa, vide Kasumi passarle una salvietta e aiutarla ad asciugarsi. La sua espressione serena e sorridente calmò l’ansia che aveva in corpo. Accennò ad aprire bocca, quando un altro asciugamano, più grande, le coprì la vista e le massaggiò vigorosamente il capo.
“Troppo fredda, vero? Scusa tanto, volevo essere sicura del risultato.”
Nabiki scostò il panno dal suo viso e fece capolino da dietro le sue spalle. Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma venne anticipata dallo slancio di una terza figura.
“La mia bambina! Sei veramente tu?!”
Prima che potesse rendersene conto, Akane si era ritrovata stretta tra due possenti braccia e con la faccia schiacciata contro un petto familiare.
“Papà… così la stai soffocando!” Disse Kasumi per lei, e la presa fu mollata con un gesto altrettanto brusco.
Akane riprese fiato e alzò la testa, pronta alla visione delle lacrime del genitore e pensando già a come calmarlo. Ma ciò che vide la colse del tutto di sorpresa e, francamente, fu tanto presa dal resto che non constatò nemmeno se il padre stesse o no piangendo. Un occhio nero, un fazzoletto infilato nelle narici e che provava vanamente a tamponare una copiosa uscita di sangue, un volto gonfio di lividi e dai lineamenti quasi irriconoscibili.
“Cosa ti è accaduto, papà?!” Registrando il tono della propria voce, Akane sospettò per un attimo di aver perso lei, per prima, la calma.
“Oh, nulla, nulla... solo un piccolo scambio di vedute, niente di importante...” Fece lui con un tono conciliante, esibendo un sorriso che non migliorò affatto la vista d’insieme. “Non riesco a credere che… che sia tutto finito! È un sogno, anzi un miracolo! Ma ditemi, come ci siete riuscite?!”
Akane provò a rispondere, ma le parole non le uscirono dalla bocca. Devi dirglielo, intimò una voce nella sua testa, che non seppe se associare a se stessa oppure a Ukyo. Invece preferì voltarsi e incrociare un altro sguardo.
“Sorellina…” Pronunciò Kasumi, avvicinandosi a lei, e in quel ‘sorellina’ c’erano poemi interi di gioia e d’affetto. I suoi occhi, sì, erano sicuramente lucidi: era molto più facile scorgere il brillio su quel volto così limpido.
Si strinsero forte, l’una tra le braccia dell’altra. Poi la sorella più grande si scansò con grazia, lasciando spazio a Nabiki. Quest’ultima tuttavia non si avvicinò, e si limitò a scrutarla attentamente.
La reazione non passò inosservata, nemmeno a papà.
“Cosa… cosa c’è, Nabiki?” Domandò, come senza fiato. “Per… per caso non è la nostra Akane? Si tratta ancora di Ukyo?”
“No, non è questo.” Nabiki scosse la testa. “Ma ancora non sai una cosa… e se le mie sorelle non si decidono a dirla, ci penserò io. Vedi, Akane e Ukyo sono nello stesso corpo ma non possono convivervi se non fino all’alba… così, pare che poco fa abbiano preso una decisione.”
“Papà”, finì Akane, scoprendo la propria voce rotta dall’emozione e dalle lacrime che d’un tratto premevano per sfuggirle, ma cercando comunque con tutta se stessa di esibire un volto sereno, “non potevo… non potevo permettere che qualcuno morisse a causa mia. Non sono qui per rimanere… ma per un ultimo saluto.”


   
 
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