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Autore: Anthy    16/04/2010    34 recensioni
Perché ognuna di noi è un po' come la "donna cannone".
Perché i difetti sono le prime cose che vediamo in noi stesse.
Perché in molte sogniamo di essere prese per mano con amore e volare via, in alto.
E perché non sempre i sogni rimangono fantasie...
Dal capitolo:
"Lo sguardo si concentra lì, in basso.
Hai un volto carino, un volto grazioso.
Ma non lo sai. Non ti interessa saperlo.
I tuoi occhi sono fissi sui tuoi fianchi, sul tuo addome, sulle tue gambe.
Qualcuno direbbe che sono forme morbide.
No, è solo grasso".
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Donna
Note: di solito, le note le metto alla fine, però per questa shot preferisco metterle subito.
Come penso si intuisca dal titolo, la storia è nata dopo aver ascoltato “La donna cannone” di De Gregori.
Con la canzone, tuttavia, ha a che fare solo per quanto riguarda la donna che prendo in considerazione.
La canzone nasce per raccontare una storia reale – da quel che ho letto – su una “donna cannone”, figura utilizzata nei circhi soprattutto nel passato, che fugge dal suo ambiente per amore.
Mentre cercavo la spiegazione una frase mi ha colpita, una frase che descriveva la “donna cannone”: donna goffa, non piacente, che per questo veniva usata in qualche spettacolo comico.
E là ho storto il naso. Posso capire che era il passato – perché mi auguro che non esistano più spettacoli del genere – ma mi sembra odioso dover provocare il divertimento altrui per le caratteristiche fisiche di un altro che compie azioni ridicole.
Ed ho trovato altamente ironico il fatto che l’abbandono della “donna cannone” descritta da De Gregori provocasse il fallimento del circo in cui lavorava.
Mi è sembrata una rivalsa.
Ma questo ovviamente è un mio punto di vista: magari c’era chi faceva quel mestiere più che volentieri.

Da quella sensazione di rivalsa che io ho sentito, è nata la shot. Ho immaginato una mia donna cannone, una donna come tante. Una donna che può essere vista da tutti: da chi “morbida” non è, ma si vide lo stesso; da chi morbida effettivamente lo è e soffre per questo; da chi non riesce a vedere quei piccoli pregi che possiede e che non sono per forza fisici.
È una piccola storia senza pretese, questa, ma che spero possa piacervi.
Buona lettura,
Anthea.


La donna cannone






"La donna cannone" - Youtube


Specchio, impietoso amico di ogni donna.
Ti osservi, ti guardi.
Lo sguardo si concentra lì, in basso.
Hai un volto carino, un volto grazioso.
Ma non lo sai. Non ti interessa saperlo.
I tuoi occhi sono fissi sui tuoi fianchi, sul tuo addome, sulle tue gambe.
Qualcuno direbbe che sono forme morbide.
No, è solo grasso.
Una lacrima scende, da occhi stupendi.
Ma a chi interessa come sono, con tutta quella roba lì?
Ti allontani ed in ogni movimento ti senti impacciata, scoordinata.
Ti vesti – ti torturi.
La camicia bianca tende, tende troppo.
E non importa se il tuo seno florido viene esaltato.
Ti vergogni dei tuoi fianchi; li accarezzi con le mani e ne senti la – troppo morbida – consistenza.
E le gambe come le copri?
Ti mordi un labbro, portando nervosamente una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Una ciocca di un bel castano...
Il tuo armadio non è molto pieno e gli abiti presenti sono molto simili tra loro: gonne larghe, pantaloni dal taglio morbido... qualche vestito, frutto di pazzie momentanee. Momentanee sì, perché mai indossati.
Ti riderebbero dietro, se solo ci provassi.
Scegli un pantalone in cotone, comodo. Nero.
Vai in bagno, devi truccarti, ma fai fin troppo velocemente: trucco leggero, ti senti già abbastanza ridicola senza.
Raccogli velocemente i capelli, indossi una giacca – nera – ed esci di casa, con borsa in spalla.
Senza colazione.


Cammini per strada, lo sguardo basso.
Hai paura di inciampare; se cadessi, chi ti tirerebbe su?
Eviti spallate, eviti persone, eviti possibili urti.
Sempre tu eviti, gli altri sono indifferenti.
Stringi la mano sul manico della borsa, stringendola a te.
Con la coda dell’occhio, vedi due ragazzi mano per mano.
Sorridi, e sogni.


L’ascensore sale. Sei in un angolo, cercando di stringerti il più possibile.
La porta si apre, gente entra.
Non vieni degnata di un’occhiata.
Di un saluto.
Rimani lì, fino al tuo piano.
Con un flebile « Permesso», ti fai strada.
E giuri di sentire sbuffi d’irritazione, al tuo passaggio.
Esci, mortificata. Conoscerai mai la delicatezza?

Arrivi puntuale, appoggi la borsa sulla tua scrivania.
Risate richiamano la tua attenzione.
Risate femminili.
E le vedi, nei loro tailleur firmati, nella loro silhouette longilinea, nei loro capelli curati.
Abbassi lo sguardo, frugando fra carte che non sai di cosa parlano.
E guardi i tuoi fianchi, il loro volume.
Guardi, e vedi tutto nero.


Seduta fuori sul balcone, ti abbracci le gambe, osservando le stelle.
Osservando, senza vederle.
Perché pensi, pensi alla giornata appena trascorsa, pensi alla vita, pensi al futuro.
Nessun grazie ti è stato rivolto, nessun “brava, ottimo lavoro”.
Nulla.
Eppure... cosa succederebbe se tu non ci fossi? Chi farebbe quei lavori che non rientrerebbero nelle tue mansioni?
Scuoti il capo: quando sei stata assunta hai accettato tutto, anche quanto non detto.
È il tuo lavoro.
È la tua vita.
La tua stupida, noiosa vita.
Chissà dall’alto come si vede la tua esistenza...


Nuovo giorno, stessa routine.
Cambia solo il colore, oggi. Sei vestita in marrone.
Ma la sostanza non cambia, vero?
Sospiri, osservando la macchinetta del caffè.
Le monete tintinnano nella mano.
L’occhio si alterna fra la scritta “caffè” e “cioccolata calda”.
“Più” o “meno” zucchero.
Difficile scelta.
Ma anche se prendessi una bevanda senza zucchero, cosa cambierebbe?
Nulla.
Il braccio avanza, il dito si piega...
Le monetine cadono.
Le vedi per terra, dorate.
Le vedi per terra, che si beffano di te.
Dovresti chinarti ora.
Dovresti mostrare a tutti l’ampiezza del tuo sedere, ora.
E lo stai per fare – rassegnata – quando una mano ti precede.
Ed un corpo.
Ed un volto.
Un uomo.
Lo vedi chinarsi agilmente, per poi risollevarsi e sorriderti.
Non è bellissimo, non stupendo, non è il principe azzurro.
Però è bello. È... carino, per i tuoi gusti.
Ma sono gli occhi a catturarti. Occhi espressivi, occhi felici, occhi pieni di vita.
Troppo sbalordita, ti limiti a fissarlo. Finché non ti accorgi che non l’hai ringraziato, che stai facendo la maleducata.
Ed arrossisci, mormorando « Grazie».
Sicuramente, starà pensando che sei un’idiota. Ne sei certa.
Chi potrebbe pensare diversamente, vedendoti?
Eppure... da quella piccola parola, ne segue una sua.
Ed un’altra, un’altra ancora.
Una conversazione.
Ti fissa in volto, non sui fianchi; ti sorride, senza guardarti con superiorità; sembra interessato a ciò che dici, non annoiato.
E quando se ne va, salutandoti per nome, esprimendo la speranza di parlare di nuovo con te, ti senti per un attimo normale.
Ed interessante.
La macchinetta suona, la cioccolata calda con tanto zucchero è pronta...


È passato un altro giorno ed un altro ancora, seguito a sua volta da un altro.
L’hai rincontrato, una, due, tre volte.
E forse anche più.
Quando sorride, sussulti.
Quando ti sfiora, arrossisci.
Quando parla, ti incanti.
La paura di vivere un’illusione è tanta; per una persona insicura come te, poi, è devastante.
Ma... vuoi provare.
Provare a fidarti.
Provare a vivere.
Provare a buttarti.
E quando alla mattina ti osservi allo specchio, l’occhiata ai fianchi diventa veloce, consapevole.
E ti riscopri donna, ti riscopri bella.
Riscopri il tuo volto grazioso, i tuoi occhi chiari, i tuoi capelli scuri, il tuo seno florido.
E quei vestitini sono visti con sguardo diverso, quelle gonne sono occhieggiate con desiderio.
Nulla di volgare, nulla di troppo.
Perché non posso concedermi anch’io qualcosa in più?, ti chiedi.
Perché devo nascondermi?
È una lotta costante fra la tua paura e il desiderio di sentirti... apprezzata.
La mano esita, accarezzando un vestito in cotone dalla gonna ampia che arriva a mezza gamba, dalla scollatura generosa ma non volgare, dalla spalla a mezza manica. Un vestitino con tanti fiorellini bianchi su sfondo blu.
Un colore scuro, è vero, ma è un primo passo.
E alla fine lo indossi. La pancia c’è, i fianchi pure, il sedere anche.
Però... forse non assomigli ad un mostro...
Il campanello suona.
Sussulti.
Ti riderà dietro? Ti prenderà in giro? Ti troverà ridicola?
Gli occhi si fanno lucidi, mentre apri la porta.
E quando ti sussurra « Ciao amore», vorresti piangere veramente.
Ma ti trattieni, mentre ti sfiora le labbra con le sue, mentre ti accarezza un fianco, incurante del rotolino.
Dice che gli piacciono le tue curve.
La tua ciccia.
Non capisci, non riesci a capirlo. E quando glielo dici, lui ride sempre.
Alla fine, non fai più domande.
Quando avete fatto l’amore la prima volta, hai voluto che fosse tutto buio.
Ti vergognavi, avevi paura di leggere disgusto nei suoi occhi.
Di vederlo scappare.
Ma lui ha accettato, brontolando sulla tua sciocchezza.
Ed ora è ancora qua, davanti a te, che attende di uscire.
Uscire con te.
Sorridi leggermente, andando a recuperare la borsa, prima di raggiungerlo di nuovo.
Alle tue spalle, una porta viene chiusa.


Due ragazzi camminano per strada, vicini l’uno all’altra.
Parlano, sorridono, scherzano.
Lei si porta una mano alle labbra, quando ride.
Lui si gratta una guancia, quando è nervoso.
Camminano, felici, incuranti di tutto e tutti.
Le loro mani sono unite, mai si lasciano.
Le mani unite, con amore.




E con le mani amore, con le mani ti prenderò
e senza dire parole nel mio cuore ti porterò
e non avrò paura se non sarò bella come vuoi tu
ma voleremo in cielo in carne ed ossa
non torneremo più...
(“La donna cannone” di Francesco De Gregori)


***



   
 
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