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Autore: lilyblack    19/08/2010    12 recensioni
Non sempre Bellatrix è stata una mangiamorte efferata. Un giorno incontrò però l'uomo che le ha cambiato la vita e le ha rubato l'anima, in un'accezione diversa da quella che usiamo di solito. L'incontro fra una donna disposta a tutto e il suo Signore.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Piccola mangiamote cresce

Angolo dell'autrice: Questa storia ha partecipato al contest 'Fairytale gone...bad'
arrivando prima con mia grande gioia.
E' la storia di Bellatrix, della sua anima venduta e del suo Signore.
In fondo alla pagina troverete il giudizio di colei che ha indetto il contest.


-Nick (se diversi sul forum e EFP indicate quello che andrà inserito nel banner): lilyblack
-Titolo: Soul in Sale- Ritratto di una dannata.
-Personaggio Principale (e personaggio dei cartoni a cui è riferito): Bellatrix-Megara
-Personaggi Secondari: Voldemort-Ade
-Pairing: non presente
-Numero scelto (con rispettivi elementi assegnati): Vento-Sogno-'E' solo la luce della luna': Numero 2
-Rating: giallo
-Genere: Introspettivo, Dark
-Avvertimenti: One-Shot/Missing Moments/Slice of life
-Trama: Una giovane Bellatrix al suo primo incontro con colui che diventerà la sua ragione di vita. L'attimo in cui passa da essere solo Bellatrix Black ad essere Bellatrix la mangiamorte.Uno spaccato di vita in cui i pensieri della mangiamorte più famosa all'incontro con il suo signore prendono il sopravvento. E' in un certo senso quì che la follia di Bellatrix inomincia a scatenarsi.
-NdA: I paralleli sono Megara-Bella e Voldemort-Ade, in quanto sia Megara che Bellatrix vendono la loro anima.Prendo in considerazione la Megara prima del cartone e la Bellatrix precedente ai libri, entrambe quindi hanno gli elementi base del loro carattere, che però non sono sviluppati a tutto tondo, in quanto ancora troppo giovani. Bellatrix non è ancora efferata e malvagia, ma ha già il germe della follia.Quello che potrebbe sembrare OOC è in realtà solo la consapevolezza che a 17 anni il tuo carattere non è totalmente formato.




Non dimenticherò mai il giorno in cui, per la prima volta, ho visto colui che chiamo Padrone.
Ero giovane, indifesa e invasa da una sete di potere e vendetta ancora oggi inestinguibile.
Vedevo il mondo per com'era, sudicio, e buona parte dei suoi abitanti come un'immensa massa di indegni, comprese le mie perfettissime sorelle. Andromeda era talmente buona da cariarmi i denti con la sola vicinanza e Narcissa sempre più presa dal suo ruolo di principessina di casa che avrei fatto qualsiasi cosa per aprir loro gli occhi, mostrare come realmente andava il mondo e per spezzare in mille frammenti i loro delicati cuoricini.
Quel giorno ero ad Hogsmeade, appena fuggita da una noiosa festa in famiglia, quando mi avvicinò; gli alberi non erano lontani, il vento portava il profumo dei fiori marciti e il sole in procinto di tramontare dipingeva sull'erba le ombre delle lapidi.
Lui era bello e terribile: i capelli neri sembravano frammenti di oscurità, il rosso dei suoi occhi rassomigliava alle fiamme degli inferi e il sorriso mellifluo era la tipica smorfia regale di chi ha la capacità profetica di guardare oltre il naso dei mortali.
Capii subito l'importanza del momento, era impossibile non intuire che dopo allora niente sarebbe stato uguale a prima: l'aria sembrava vibrare, l'energia era canalizzata attorno alla sua figura ed era impossibile, allora come oggi, non rendersi conto della sua natura innegabilmente speciale.
Ci guardammo a lungo, sentii i suoi occhi nella mia mente e il suo potere soggiogarmi, come se fosse un dio. La sensualità di un gatto e la temibilità di un serpente convivevano in lui, e io che ero sempre stata affamata di particolarità, di novità e di eccezionalità non potevo non abbandonarmi totalmente alla sua persona; non mi resi subito conto quanto tutto quello mi stava travolgendo, in pochi istanti, ma se anche ne fossi stata cosciente, non mi sarei egualmente fermata.
Ancora oggi, rinchiusa in queste quattro mura, ricordo come un discorso surreale il nostro; immersi fra il cupo fruscio dei rami e il fastidioso tubare di due inutili piccioni, sotto un cielo invaso improvvisamente da nubi che sembrava aver portato lui, era ben difficile mantenere un contatto con la realtà.

'E' un luogo lugubre...'

Fu questa la prima frase che mi disse e fu come se avesse lanciato una lenza nel mio cervello, lì dove sostava l'impossibilitazione a parlare che il suo arrivo mi aveva inflitto. Mi sentii piena di energia, stimolata senza motivo e il ghigno tipicamente Black plasmò le mie labbra quando la risposta le accarezzò, diretta e sfrontata.

'Il mio animale preferito è il corvo.'

Con un colpo di bacchetta lanciai una scintilla fra gli alberi e uno dei succitati animali prese il volo.

Ugualmente, però, la risposta non aveva apparentemente senso, tanto che Andromeda avrebbe scosso il capo sconsolata e Narcissa avrebbe deriso la mia apparente follia, ma lui capì; non mi guardò come se fossi una malata di lebbra, non mi destinò il sorriso compiacente che si regala ai bambini scemi, bensì mi guardò come una persona che lui comprendeva.
Essere guardati con stima era una sensazione che avevo provato raramente e ringalluzziva il mio ego come poche cose, quasi come il vederlo rispondere usando parole simili alle mie.
Avete mai sentito sulla pelle il senso di appartenenza che si prova quando si incontrano gli occhi di un'anima affine?

'Molti hanno paura del buio e dei suoi figli come della morte...'

Il suo tono di voce mi diede la stessa sensazione di quando il pitone di Regulus era scappato dal suo terrario e si era attorcigliato contro le mie gambe: ebbi paura, ma in quel contatto viscido con qualcuno di più potente e pericoloso di me trovai un punto d'orgoglio e di forza.
Io bramavo imparare e non potevo volere altro che abbeverarmi dalle labbra di chi, come lui, parlava con tanta disinvoltura della morte e si accompagnava a me durante una passeggiata in un cimitero desolato.
Mi ero alzata senza nemmeno rendermene conto e oramai camminavamo a piccoli passi verso la zona più antica del cimitero, li dove sostava un gatto nero con degli immensi occhi gialli.
Conoscevo quel gatto, l'avevo chiamato 'Becchino' e lui mi aspettava sempre lì, fra le lapidi di due bambini orfani morti annegati una cinquantina di anni prima a largo della Cornovaglia, almeno stando a quanto recitavano le lettere incise nella pietra.

'Io potrei innamorarmene!'

Pronunciai quelle parole con determinazione e un tono soffuso che, negli anni, avrei in parte perso e in parte rafforzato: oggi tutti mi dicono che la flautata voce da pazza che ho è il mio più grande tratto distintivo, ma allora ero priva di molti dei dettagli che oggi mi caratterizzano.
Occupata a lanciare al gatto biscotti rubati alla scorta di Narcissa, non vidi lo sguardo attento con il quale accarezzò le pietre tombali alle mie spalle, non notai la luce malvagia che gli attraversò gli occhi e persi, sbaglio che non ho mai più ripetuto, un'occasione di cibarmi delle sue movenze.
Ero abituata a perdermi in immagini create dalla mia mente e proiettate oltre i miei occhi, mischiavo mondi reali a realtà fittizzie tanto spesso che, anche in un momento talmente importante, non mi resi conto di essermi estraniata se non quando la sua voce mi fece sobbalzare.

'Sono parole forti...'

Fu improvviso, lampante e fulminante: ero sul banco degli imputati. Bellatrix Black, degenarata rampolla della famiglia Black, savia sorella e figlia goticamente ribelle, era per la prima volta giudicata da qualcuno che non portava il suo stesso cognome o quello dei Lestrange, la famiglia del suo promesso.
Inaspettatamente non mi sentii indispettita, ma spronata a reagire dalla consapevolezza che chi abbassava per primo la guardia era perduto e che, sicuramente, questa persona non sarebbe stata il lui ancora privo di un nome.
Impiegai qualche minuto a decidere come rispondere, quale tono e che tipo di parole usare e concentrai tutte le mie energie, come mai avevo fatto prima e mai feci dopo, nell'atto di proferire parola, nonostante avessi delle distrazioni di tutto rispetto.
Feci appello alle mie convinzioni più profonde, al mio scansonato e irragionevole modo di dire le cose e allo stesso tempo cercai di staccarmi da tutto quello che per me era solito e canonico: avevo un desiderio viscerale di essere nuova e speciale, unica e indispensabile, all'altezza di come mi illudeva di essere il suo sguardo.
Volevo, dovevo e potevo staccarmi dalla vecchia me, dalla ragazza che voleva di più, ma viveva ancora all'ombra del grande arazzo di famiglia, in attesa del matrimonio del secolo che l'avrebbe unita ad un uomo del quale non le interessava assolutamente niente.
Sono sempre i momenti che non programmi a sconvolgerti la vita e quello aveva tutti i presupposti per esserlo: ero scappata da quella festa con il solo scopo di far infuriare Andromeda.

'I deboli mi disgustano e poi si sa, il mondo è dei forti.'

Questo sputai all'improvviso nell'aria, dopo tante elucubrazioni, senza nemmeno rendermi bene conto del momento in cui la frase era uscita dalle mie labbra. Mi ero talmente staccata dalla concretezza della Bellatrix canonica da potermi, quasi, vedere divisa in due.
I miei occhi neri si specchiavano nei suoi occhi neri vedendovi dentro l'immensità della notte, l'abisso della morte e il potere che derivava dalla loro conoscenza; mi girò la testa a quel contatto visivo che ancora non avevo osato in maniera così profonda e mi sedetti con noncuranza su una lapide per non far notare la mia piccola caduta di stile.
Un botta e risposta apparentemente banale con delle potenzialità profonde, alle quali mi sono abbandonata come fossero correnti marine e io una bambina che giocava a galleggiare.
Fu allora che vidi il primo accenno di interesse nei suoi occhi: quando la mia voce si fece tagliente come una lama elfica, al pensiero delle mie deboli consanguinee. Un lampo di luce nera uscì metaforicamente dai suoi occhi per violare i miei e per rapire ogni più piccola espressione, anche di quelle nascoste fra le ciglia. Abbassai per prima gli occhi, anche se solo per un attimo; in confronto a lui ero e sarò sempre una debole, nonostante l'immenso desiderio di essere per lui speciale, che nacque allora e non si è mai spento.

'I deboli sono tanti.'

Inizialmente non capii cosa veramente volesse dire e tentai di barcamenarmi in un limbo di risposte banali, tra le quali non riuscivo a scegliere colei che sembrava essere meno cattiva delle altre.
Odiavo fare brutta figura, ero pregna dell'orgoglio di famiglia e nell'attimo stesso in cui, come tutti i miei consanguinei, mi rendevo conto che il momento era cruciale diventavo competitiva, ambiziosa e sfrontata. Lui era criptico e sembrava cercare qualcosa di preciso da me, nonostante il nostro fosse, almeno all'apparenza, un incontro casuale. Non ero e non sarei mai stata una grande oratrice.
Una ventata d'aria autunnale mi invase, portando con sé una manciata di odori tra i quali rovistai nella speranza che mi portassero qualche idea o qualche ricordo da poter usare nel mio fallimentare discorso, appena diventato più importante di un colloquio di lavoro al ministero: una questione di vita o di morte.
Stranamente mi venne in mente mio cugino Sirius, quello bacato, che si divertiva a dire che la sua forza era quella di vedere noi, la nostra famiglia e tutto il nostro mondo in maniera differente dalla massa.
Ghignai; non avrei mai pensato che lui potesse essermi utile, ma in fondo la vera furbizia risiede nel sapersi servire di chiunque se serve, anche degli insospettabili.


'La forza non è nel numero, ma nella capacità di vedere le cose come realmente sono.'

Rivisitazione limata e ispirata delle parole del familiare.
C'era qualcosa in me che mi autofomentava e ancora oggi non capisco se sia stata la luce nei suoi occhi o il suo innato carisma. Una strana brama cresceva in me, incendiava il mio cervello come una luce folle e mi faceva sempre più comprendere la sua natura divina.
Riuscii appena a rendermi conto che lo stavo osservando con labbra dischiuse e lo sguardo languido. Non mi rendevo conto di quanto al mio signore potessi sembrare patetica e solo l'idea di assomigliare a Narcissa quando guardava Lucius mi fece rabbrividire e riprendere la dignità perduta.
L'immagine della piccola di casa che sbatteva le ciglia alla vista del borioso e, a parer mio, nemmeno tanto bello promesso sposo aveva il potere di farmi rivoltare lo stomaco.
Lucius Malfoy era ed è una persona sfuggente, poco affidabile e dalle convinzioni ben poco solide.

'Chi è la giovane bionda dei tuoi pensieri?'

La sua voce mi colse nuovamente di sorpresa e il mio istinto ebbe il buon gusto di farmi abbassare lo sguardo per scusarmi di quella negligenza, come se lui fosse il mio insegnante.
Non sussultai, però, quando mi resi conto di dove poteva spingersi, ma mi limitai a far crescere sempre più l'ammirazione verso di lui, senza far niente per fermarla.
Bipolare come sono sempre stata, alternavo facilmente attimi di esaltazione a momenti di indignazione estrema e quella domanda che lui mi aveva fatto mi forniva l'alibi perfetto per spingermi in una delle mie filippiche contro la mia seconda vittima preferita. Nessuno batteva Andromeda nella mia personale lista nera.

'La mia indegna sorella.'

Respirai a fondo per continuare lungo la mia strada, ma non feci in tempo a finire e nemmeno ad iniziare, per dirla tutta, la mia crociata contro l'inettitudine, il mio chiodo fisso.
Non gli interessava quello che avevo da dire se non era strettamente pilotato dalle sue parche parole. La sua voce melliflua si sparse nell'aria, spezzando immediatamente il suono del mio discorso e procurando alla mia schiena un gelido brivido che mi percorse dal collo lungo tutta la colonna. Lo stato di concentrazione in cui mi ero posta era oramai andato in fumo; ero solo una figura magra e vestita di nero, seduta su una lapide sbeccata nel bel centro di un cimitero dimenticato, in un freddo giorno d'inverno.


'Molti reputerebbero degno di biasimo denigrare il sangue del tuo sangue.'

Per qualche strano motivo pensai che lui non faceva parte di quella risma di persone; come una freccia che mi colpiva giusto alla base della nuca, lì dove lui mi stava evidentemente fissando visto che si era spostato alle mie spalle, mi giunse la sensazione che quella era una delle stoccate più importanti, un punto di svolta, una domanda cruciale e decisiva.
Cercai nel buon senso una risposta, nelle regole che avevano tentato di insegnarmi, nel mio passato e nella mia istruzione. Per l'ennesima volta l'unica risposta che trovai fu quella dettata da quel fuoco viscerale chiamato impulsività.
Ancora oggi mi lascio guidare dall'istinto quando torturo, catturo e uccido. Lui non ha mai avuto di che lamentarsi del mio lavoro: ama, evidentemente, il mio lato animale.

'Purtroppo le mele marce nascono in qualsiasi dinastia, non è di certo mia la colpa.'

Tentai di alzarmi e voltarmi di scatto per guardarlo negli occhi, con il risultato che feci una grande fatica a rimanere in piedi in equilibrio ed elegantemente.
Continuai a parlare senza remore: mento ben alto, sorrisetto sfrontato e dita che giocherellavano distrattamente con la bacchetta che portavo appesa alla cintola, e che incominciava già a curvarsi proprio li, al centro.
Era la prima volta, dall'inizio della chiacchierata che i miei occhi si trovavano nei suoi e fu destabilizzante. Si era presentato in incognito, con apparente normalità, eppure quel fuoco dirompente che ora vedevo nei suoi occhi prima, ero sicura, non c'era. Nonostante tutto non avevo paura; nonostante avessi avuto prima,con quell'incursione nella mia mente, una prova di fin dove potesse spingersi: avrei potuto baciarlo e prostrarmi ai suoi piedi, ma la paura non era annoverata nei sentimenti che lui mi ispira o mi ispirava.
Aveva aggirato la lapide e vi si era seduto sopra, al mio posto, accarezzando distrattamente un anello con un serpente che portava al mignolo destro, secondo la moda delle famiglie purosangue.

'E tu di quale dinastia fai parte?'

Tono noncurante, parole appena accennate e vocaboli ripresi da quelli che avevo usato io, come se non fosse realmente concentrato su quello che ci stavamo dicendo. A questa domanda sapevo rispondere, era una vita che aspettavo mi venisse posta.
Pensai ad Andromeda e Sirius, con i loro sdolcinati modi di essere.
Pensai alla superficiale Narcissa, dietro alla quale mia madre perdeva ogni attimo della sua giornata.
Pensai a me e a Regulus che tormentavamo Kreacher, l'elfo della zia, e annuii tra me e me, senza nemmeno rendermi conto che la foglia di un albero mortuario non ben precisato mi era planata sul capo.

'Di quella che comprende i giusti valori.'

Nessuna indecisione, nessun ripensamento. La mia voce uscì fiera, decisa; andai dritta al punto.
Il botta e risposta stava diventando sempre più serrato, le fiamme del suo sguardo, seppur temibili, mi avviluppavano come gli abbracci di un amante mentre, nella mia mente, una febbre saliva e si spingeva sempre più oltre. Avevo gli occhi lucidi, come una malata, ma mai ero stata sana come in quel momento in cui, lo sentivo, stavo prendendo le redini della mia vita.
Il suo silenzio mi incitava a parlare con la stessa potenza di uno schiantesimo ben piantato nello stomaco.
Ebbi la decenza di deglutire, appena intimorita, prima di riprendere a parlare.

'Di quella che comprende il valore della purezza, della gloria e del potere depositato nelle mani giuste.'
Il potere doveva essere una monarchia, ne ero sempre stata convinta.
L'epifania di lui su un trono, con un gruppo di fedeli cortigiani ai suoi piedi, mi fece sorridere. Avevo tante idee che lui avrebbe apprezzato, ne ero sicura, ci voleva solo del tempo per condividerle.

'Come ti chiami?'

Mi resi conto in quell'istante che non sapevo il suo nome. Gli avevo raccontato, con le parole e le immagini mentali, buona parte della mia vita, ma non sapevo il suo nome. Sarebbe potuto essere uno scherzo di Sirius e dei suoi amici burloni, potevo trovarmi davanti a James Potter in pozione polisucco. La diffidenza mi invase come una marea, ma quando alzai lo sguardo, che avevo posato sull'orizzonte, verso di lui l'erroneità di tutto ciò che avevo pensato in quei pochi istanti mi fece vergognare. Quello stupido di Potter non avrebbe mai potuto, nemmeno nella sua migliore interpretazione, avere un'aura di potenza così forte attorno alle spalle.
Abbassai le ultime resistenze, qualora ci fossero state. Chinai il capo rispettosa in un saluto di altri tempi, di quelli che a casa accompagnavano le riverenze e i balli frivoli.
Mai il mio tono fu così orgoglioso di quando pronunciai il mio nome omettendo il cognome. Ero certa che lui lo conoscesse già, ma volevo lasciarmi il mio sangue alle spalle: era troppo poco, nonostante la purezza, in un momento come quello.

'Bellatrix, mio Signore, significa La Guerriera'

Una guerriera pronta a tutto, dalla ferocia e dalla lealtà forgiati in anni di vita in una famiglia tanto rassomigliante, nel suo profondo, ad un esercito.
Si era alzato e mi era venuto vicino. Al mio interno tremavo, percorsa da quella febbre nata poco prima e che ancora oggi non si estingue, ma nemmeno un capello tradì la mia profonda emozione. Le emozioni sono inutili, rendono deboli e banali.
Il cinismo, non la tanto decantata bellezza, salverà il mondo.

Mi sfiorò la guancia e sembrò che volesse bruciarmi con il solo calore del suo sangue; la sua pelle era viscida e la mia, così poco abituata a contatti umani, fu percorsa da un brivido che non fece altro se non accrescere l'ascendente che lui aveva avuto su di me sin dal primo momento in cui aveva varcato i cancelli del cimitero, della parte più remota e privata della mia vita.
Io condividevo poco con il resto del mondo e l'unica cosa che non avevo mai condiviso con nessuno, omettendo il gatto Becchino, era il mio rifugio segreto.
Lui aveva saltato ogni ostacolo, ogni apparenza e convenienza sociale. Non si era curato della mente e aveva puntato dritto al cuore e a ciò che vi ribolliva dentro per catturarmi.

'Io posso aiutarti nella vendetta...'

Non pensavo in quel momento alla vendetta, nonostante fosse una cosa a cui tenevo molto, ma lui centrò ugualmente il problema. Non mi sono, però, mai permessa di chiedergli come fosse riuscito ad entrare così in profondità nel magma della mia mente.
La frase fu ripetuta all'infinito, ma non so se realmente dalle sue labbra o solo dalla mia immaginazione. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quel suono dolce e vischioso della parola 'vendetta'. Risussurrai quelle lettere una ad una, affinché le mie labbra le rapissero e non ne perdessero mai memoria, finchè alito di vita fosse stato nel mio corpo. Pronunciata da lui non era una parola qualsiasi, era una realtà concreta, come se l'avesse evocata dalla bacchetta. Non riuscivo a pensare ad altro che non fossero i corpi delle mie sorelle imploranti pietà ai piedi della mia gloriosa figura.
Io vestita lussuosamente di nero, con una corona di crisantemi sul capo, mentre costringevo Andromeda-La Santa a legarsi ad un lussurioso e vecchio mago purosangue.
Inspirai l'aria come se potesse portarmi già l'odore dei nemici periti al mio passaggio. Mi sentivo viva e piena di un'energia sovrannaturale; avrei fatto qualsiasi cosa perché questo sogno non finisse.

'Ogni favore costa, però, a questo mondo piccola guerriera...'

Sapeva essere affascinante e imponente; la sua mano, infilata nei miei capelli, rendeva impossibile alla mia nuca muoversi, e per la prima volta io mi sentivo totalmente a mio agio nel sentirmi soggiogata a qualcuno. Desiderai quasi baciarlo per fargli capire quanto fossi totalmente in sua mercè. Era bello e anche oggi che non lo è più io lo vedo divino, persistentemente perfetto nella mia memoria come in quella di nessun altro. Pensai a cosa fossi disposta a dare pur di andare via con lui subito, immediatamente, verso una vita nuova.

'Qualsiasi cosa!!'

La veemenza e l'entusiasmo non erano mai stati, prima di allora, elementi tipici del mio carattere, ma continuavo ad immaginarmi padrona incontrastata non solo di me stessa, ma anche di Narcissa ed Andromeda come e più di quanto non sia mai stata nostra madre; quelle immagini mi surriscaldarono come quel bacio che non ho mai osato dargli.
La sua mano aveva abbandonato i miei capelli e il suo sguardo aveva abbandonato me, andandosi a posare su Becchino che, pochi passi più in là, rincorreva invano un piccolo animale. Pochi istanti dopo una luce rossa tramortì, torturandola lievemente, la lucertola e il gatto potette portare a termine il suo innocente assassinio. Non avevo mai visto un'imperdonabile scagliata con tanta leggiadria. Decisi allora che la Cruciatus sarebbe stata la mia arma migliore. Non mi accontentavo più di dominare le mie sorelle, ad una velocità impressionante i miei proponimenti erano cambiati ed era il pensiero di piegare la gente alla pazzia che incominciava a darmi alla testa.

'Solo una cosuccia...'

Il suo tentennare mi faceva del male fisico. Tutti i nervi erano tesi fino allo spasimo e ogni attimo di silenzio creava un'agonia all'interno del mio corpo magro; sentivo le gote imporporarsi per la febbre e le tempie pulsare.
Mi avvicinai di qualche passo e mi bloccai sul posto quando mi resi conto che lui non era più davanti a me, ma che, nuovamente, mi aveva colta di sorpresa smaterializzandosi alle mie spalle.
Avrei potuto girarmi e catturare le sue labbra, ma preferivo non sapere che sapore avessero se il prezzo era farmi bollare come una donna debole e banale. Ho sempre sublimato negli anni il mio desiderio per quelle labbra e i miei incantesimi sono ancora oggi i migliori.
Sostenni con stoicità i brividi che mi percorsero la spina dorsale quando parlò così vicino al mio orecchio da sfiorare la pelle del lobo.

'Solo la totale fedeltà a me, Lord Voldemort.'
Lord. Austero.
Voldemort. Imponente e tremendo.
Quei due nomi già mi piacevano, gli si addicevano perfettamente.
Si era portato nuovamente innanzi a me e il mantello gli era scivolato oltre le spalle; il vestito nero accarezzava un corpo asciutto e ben fatto, ma le rughe attorno agli occhi rossi segnalavano che l'età doveva essere ben più avanzata della mia. Mi guardava e per un attimo ebbi l'impressione che le pupille diventassero una fessura oblunga simile a quella dei serpenti che ricorrevano più di una volta nel suo vestiario.
Il silenzio parla, contrariamente a quanto crediamo. Il suo silenzio parlava delle parole che lui si aspettava di sentire da me e che io non tardai a pronunciare.

'Potete considerarla già vostra.'

Non mi accorgevo dei capelli che il vento mi aveva buttato sul volto, ne delle scarpe con il tacco scelte da mia madre che incominciavano a starmi troppo strette.
Sembravo un soldato o, ancor meglio, la sacerdotessa di un culto appena nato; mi sentivo speciale. Mi sentivo speciale perchè evidentemente, mi dissi, lui mi vedeva speciale; poco importava che questo ragionamento esistesse solo nella mia testa, chi ero io per oppormi all'alta considerazione che lui doveva avere di me? Era la mia grande occasione e non bisogna mai porre limiti alla divina provvidenza.
Sarei potuta essere come Proserpina che scende nell'Ade, con il signore della morte. Il vento mi portò nuovamente l'odore di fiori marci, di quelli dell'ingresso del cimitero, mentre Becchino era oramai lontano, stagliato contro la sagoma del sole sulla via del tramonto.

'Dedicheresti la tua vita a seguire i miei consigli e i miei amici.'

Non era una domanda, era un'affermazione e la mia ennesima prova sarebbe stato non protestare. Qualsiasi persona con la testa sulle spalle non avrebbe detto diversamente da quel che io dissi: annuii, inizialmente silenziosa.
Eravamo ancora molto vicini, ma era come se tra di noi ci fosse una lunghissima scala; lui ovviamente in cima e io con il tempo sarei arrivata quando più su possibile.
Mi posai una mano sul petto senza voler essere né sdolcinata né patetica, ma non mi ero nemmeno resa conto di quanto stessi facendo.
Le parole prendevano forma nella mia testa e pesavano fin sulle labbra per poter uscire. Leccai debolmente il labbro inferiore e presi tanti piccoli respiri, per essere sicura che non mi mancasse il fiato. Feci finta di essere pronta alla risposta per ben due volte, e poi il tutto scoppiò nell'aria all'improvviso senza che mi rendessi conto di quello che avevo detto, per la seconda volta in quello stranissimo pomeriggio.

'Vi dedicherò anche la mia anima.'

Parole lente come una marcia funebre, ritmo inesorabile come una dichiarazione d'amore. Nessuno avrebbe potuto mettere in discussione quanto quelle parole fossero profondamente sentite.
Perché ci sono parole e parole; lettere che ti scivolano sulla pelle come pioggia fastidiosa e lettere che ti si marchiano a fuoco nelle meninghi, così che tu non possa mai più dimenticarle.
Io certamente non ho più dimenticato.
Continuai ad osservare il suo volto, ma era impassibile quanto quello di Silente era pieno di colorate e chiassose emozioni durante i banchetti. L'unica espressione che le sue labbra morbide mi regalarono fu un piccolo ghigno che a me parve di soddisfazione.

'Non si torna indietro, Bellatrix.'

Come se io avessi voluto andare in qualche luogo ove lui non era contemplato.
Nessun rimorso, nessun rimpianto e l'accetazione totale di quel contratto che avevo appena firmato con le parole. Un contratto a vita dal quale si viene liberati solo con la morte.
Si era allontanato da me e inconsciamente aprii le nari quanto più possibile per lasciare che il vento portasse a me il suo profumo.
Negli anni, tutte le volte che ho evocato quel momento, ho sempre ricordato un profumo diverso a seconda del posto in cui mi trovavo, del mio stato d'animo; il mio profumo preferito è quello di cenere e putrefazione, di bruciato e di distruzione.
Ho perso alcuni frammenti di ciò che accadde dopo, ma ricordo benissimo che annuii più e più volte, nonostante alcuni dicano che sono folle e non ho più un cervello, che ho venduto il mio brillante intelletto. La stupidità umana non ha limiti, esiste ancora qualcuno capace di confondere un mero organo come il cervello con qualcosa di immenso come l'anima.


'Non torno mai sui miei passi.'
Eppure feci un passo in avanti. Lui si era allontanato da me sentivo il bisogno inconscio di percepire la sua aura contro la mia pelle. E' complicato spiegare cosa si prova a sentirsi sfiorare da qualcosa di impalpabile come la pura energia magica che aleggia attorno ai grandi maghi, una di quelle sensazioni impossibili da spiegare se non le si è provati in prima persona.
Puntai gli occhi su un punto imprecisato del luogo, cercando di trattenere nella memoria quell'attimo, quel sentore di una lieve e fredda carezza sui lembi di pelle lasciati scoperti dal vestito.
Fu così che mi prese di sprovvista quando tornò a parlare.

'Chiudi gli occhi...'

La sua voce era come un veleno dolce e affascinante e mi distrasse quel tanto che bastava per permettergli di afferrare il mio polso sinistro. Il dolore fu lancinante e sembrò che mille e più aghi si conficcassero nel braccio passando da un lato all'altro, senza però che nemmeno una goccia del mio sangue puro cadesse dalle vene.

Lapidi su lapidi allineate, occhi rossi e mani eleganti furono le ultime scene che vidi prima che sopraggiungessero l'immenso dolore e il buio della memoria.
Pareti con carta da parati in seta e pavimento in legno, tendaggi pesanti e copriletti leziosi.
La mia stanza fu la prima cosa che vidi quando mi svegliai, appollaiata sul davanzale della mia stanza nella casa di Grimmauld Place 14, due palazzi più in là di quella dei miei cugini.

Non riuscii immediatamente ad evocare tutto quello che era successo. Pensai fosse un sogno, tutto attorno a me appariva sfocato, evanescente e feci fatica inizialmente ad attirare a me qualche particolare concreto.
Chiusi gli occhi e inspirai quanta più aria potevo, tentando di allontanare il mondo dalla mente per poi poterla riempire di sensazioni e realtà.
Inizialmente non capii, non compresi. Ero ancora troppo stordita per ricollegare tutti i tasselli in un attimo e mi ci vollero svariati minuti.


Piccioni che tubavano. Snervanti.
Una voce che sapeva d'inferno. Affascinante.
Un profumo inafferrabile. Vitale.
La sensazione di avere un legame inscindibile scritto nel sangue. Finalmente il ricordo.

Il reale sfumava nell'onirico e, nonostante avessi ricordato gran parte del discorso, fino a quando il dolore al polso non arrivò bruciante al centro del cervello non mi resi conto di nulla.
Solo allora abbassai lo sguardo verso il mio polso sinistro, verso la camicia che sembrava bruciata e tutto ciò che vi era sotto.
Un teschio sporcava la mia pelle candida, un teschio nero come il mio cognome e come era irrimediabilmente diventata la mia anima. La paura non fece parte delle mie reazioni e non provai niente se non un feroce orgoglio alla vista di quel segno così fresco e terribile e una labile gioia, perché significava che non era stato tutto solo un'illusione.
Avrei dovuto coprire quel segno come Dorian Gray aveva tenuto nascosto il suo dipinto.
L'unico modo di non far sapere al mondo che non hai più la tua anima è tenere ben nascosto il simbolo della perdizione.
Feci apparire una benda e incominciai a fasciarmici il braccio, nel tentativo di creare un diversivo e nell'attesa di un'altra soluzione. Ogni giro di benda attenuava il senso di bruciore, i dolori sparsi nel corpo che derivavano dal marchio e mi estraniava dal mondo grazie a quel lieve attimo di pace che si interruppe con un tocco delicato e inopportuno sulla mia spalla.
Avevo sentito il suo disgustoso profumo di mandorle insidiare il mio naso, ma ero troppo presa dai miei ricordi per rendermi conto della sua figura alle mie spalle. Narcissa aveva sempre avuto la brutta abitudine di essere troppo silenziosa quando camminava e di avvicinarsi sempre nei momenti meno opportuni, visto che si riteneva la padrona incontrastabile del mondo.

'Cos'hai al braccio?'
Come fare domande inopportune e snervanti, Volume primo, di Narcissa Black. 'Cissy era sempre stata un genio nel creare momenti inutili nella vita di chi le stava accanto.
Continuai inesorabile a fasciarmi; non aveva abbastanza forza fisica per contrastare i miei movimenti e questo mi rendeva piuttosto sicura.

'Niente, ho preso una botta.'
Negare sempre, fino allo spasimo: le regole del buon serpeverde non vanno mai dimenticate, bisogna farne un precetto di vita.
Discrezione, silenzio e determinazione erano i miei precetti, mentre mia sorella aveva sostituito alla discrezione il sacro principio di ficcanasare nelle vite che non le appartenevano; ad oggi. che io sappia, non ha ancora perso il suo vizio.
La luna piena mi inondava e proiettava la mia ombra piena sul pavimento. Ignorare la voce pedante con la quale condividevo la stanza era impossibile: la sua proprietaria era ferma a pochi passi da me, le braccia conserte sotto il seno e un cipiglio noioso sul volto.

'Ho visto un segno nero. Hai di nuovo picchiato lottato con qualcuno? Lo sai che..'
Lo sai che mamma non vuole.
Lo sai che mamma non approva.
Lo sai che mamma ti sgriderà.
Lo sai che sono obbligata a dirlo a mamma.

Potevo anche sbagliarmi sulle parole precise che lei avrebbe pronunciato, ma sicuramente non mi sbagliavo sul concetto basilare della sua paternale.
Mia madre era il suo unico punto di riferimento, la sua perfettissima pietra di paragone, il giudice al quale andava a riferire tutti i segreti che rubava dal mio mondo. Spesse volte i segreti erano abilmente manipolati per proteggere la verità.
Optai per il silenzio, ma il silenzio fu interrotto dal battere ritmico del piede sul tappeto persiano.
Scelsi qualche piccolo rumore di contrattacco, ma i suoi colpi di finta tosse sovrastava qualsiasi cosa.
La decisione finale puntò sul depistaggio.

'E' solo la luce della luna, torna a dormire, 'Cissy, o domani il tuo bello ti vedrà con le occhiaie.'

La figura di Lucius Malfoy aveva per un attimo aleggiato fra di noi, finendo per convincere la piccoletta che scoprire il mio segreto era meno importante della presentazione che doveva sfoggiare nei confronti del suo promesso. Non mi ha più chiesto niente su cosa fosse successo quella notte, ma se oggi ancora ricorda di quando tornai a casa con una macchia nera sul polso sicuramente avrà capito cosa vide.
Si voltò e uscì dalla stanza, probabilmente diretta verso la sua, lasciandomi sola con i miei pensieri.


1° Classificata a parimerito
Lilyblack “Soul In Sale”


-Grammatica: 8.5 -Lessico: 10
-Stile: 9.5
-IC: 10
-Originalità: 20
-Rispetto della traccia: 10
-Giudizio personale: 10
-Punti Bonus: 1

Totale: 79/83

Mi dispiace dover iniziare dalla grammatica. Avrei voluto cominciare tessendo le lodi della tua fic, mentre invece devo farti notare l’unica nota dolente. Ci sono davvero troppi errori, per lo più di distrazione e di battitura. Davvero un peccato, non era niente che non si potesse evitare con un’ulteriore lettura. Niente di grave comunque, si tratta più della quantità piuttosto che della gravità.
Andiamo a note più rosee. Il lessico è quasi da standing ovation, hai utilizzato una terminologia che innanzitutto richiama alla mente delle immagini... beh, raccapriccianti in modo affascinante, se mi passa questa strana espressione. Inoltre mi piace come i termini quasi si fondano con il carattere di Bella e Voldemort, come siano quasi un’espressione dell’oscurità che permea entrambi, e della tetraggine che li circonda. Ottimo sarebbe stato anche lo stile, se non fosse proprio per quegli errori che in svariati punti fanno arenare nella lettura. Tuttavia non ti ho voluto penalizzare troppo in quanto, se non si considerano le sviste, la narrazione è assolutamente lineare, cosa davvero encomiabile dato che si tratta di una storia discretamente lunga e con pochissimi dialoghi. Eppure, si legge tutta d’un fiato, lascia in sospeso, ti fa quasi entrare nella storia stessa, in un mondo a parte dove esistono unicamente Bellatrix e il Suo Signore.
Per quanto concerne l’IC, non credo che avresti potuto fare di meglio. Ti dirò di più, la tua precisazione nelle note non era necessaria. Che fosse più giovane o meno, ho trovato Bella perfetta, con quelle reazioni e sensazioni che faranno poi da base a quello che sarà una volta divenuta Mangiamorte. E se posso osare tanto, l’hai caratterizzata meglio di quanto abbia fatto la stessa Rowling. E perfetto è anche il personaggio di Voldemort, che mantiene il suo solito aplomb, ammalia Bella per poi mostrare il suo vero volto, il volto di chi desidera necessariamente qualcosa in cambio, ossia la fedeltà assoluta (che Bella del resto non è poi così restia a dargli).
Inoltre, mi è piaciuta la scelta di descrivere proprio questo momento. Ho letto svariate volte storie sul primo incontro fra i due, su quando lui ha fatto di lei una Mangiamorte, ma di certo non ho mai avuto a che fare con niente di così approfondito, quindi ti faccio i miei complimenti anche per questo. Perfetto anche il rispetto della traccia del contest, sia per quanto riguarda l’utilizzo dei prompt, sia per la caratterizzazione dei personaggi. È vero, Megara e Bella hanno decisamente qualcosa in comune, così come hanno delle madornali differenze, eppure tu sei stata bravissima a mettere l’accento sui punti di contatto che esistono fra le due. Stessa cosa dicasi per Voldemort/Ade (anche se è un parallelismo che, non so perché, mi ha fatto sorridere) in qualità di protettori (o di carnefici) delle due donne, a cui sono pronti a prendere l’anima.
Insomma, come avrai intuito ho amato la tua storia, dalla prima all’ultima riga. È coinvolgente, intensa in un modo quasi incredibile e, per quanto mi riguarda, una volta limati quei piccoli errori diventa assai vicina alla perfezione.
Bravissima
!



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E i ringraziamenti per i commenti che avete lasciato alla storia *_* mi avete fatta sorridere commuovere e arrossire. Questa storia è diventata una figlia per me. *.*
Spero che continui a piacere.
   
 
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