Questa
è una ff che avevo
iniziato a scrivere tempo fa! La cancellai, trovando troppo complicato
scrivere
in terza persona. Ho cos’ deciso di riprenderla. Solo il
prologo sarà in terza
persona, il resto della storia invece sarà in prima, dal
punto di vista di
Isabella e talvolta di Edward. ^^
Detto questo vi lascio alla lettura, ma non prima di aver indicato il link del mio gruppo su Fb, dove troverete spoiler e info sulle mie storielline. Un bacione.
Moonlight
Isabella
Swan aveva
più volte sentito parlare della famiglia Cullen, sebbene la
loro natura di
vampiri fosse celata al mondo, essendo lei cresciuta nel territorio di
La Push
era consapevole di ben più di quanto degli umani dovessero
sapere. Suo padre,
Charlie Swan, era lo sceriffo della città, legato a La Push
da una profonda
amicizia con uno degli anziani della tribù dei Quileute:
Billy Black.
E
fu grazie a loro
che Isabella aveva conosciuto Jacob, suo migliore amico sin
dall’infanzia, che
con il tempo era divenuto qualcosa di più. Legati da un
forte sentimento erano
convolati a nozze poco dopo aver conseguito il diploma e Bella si era
trasferita nel territorio di La Push definitivamente, dopo aver
frequentato lì
la scuola già da tempo. Suo padre era a conoscenza della
presenza di vampiri
nel territorio e a differenza di sua figlia non era propenso ad
immaginarla in
una scuola priva di protezione, circondata da creature leggendarie con
particolari regimi alimentari.
I
Cullen per un certo
verso potevano essere considerati innocui. La loro alimentazione
prevedeva
esclusivamente sangue animale, grazie alla scelta del capo famiglia,
Carlisle,
che aveva ripudiato la sua stessa natura pur di non abbandonarsi
all’istinto bestiale
che dimorava nel suo corpo.
Con
il tempo attorno
a lui si era costruita una vera e propria famiglia, altri vampiri che
come lui
condividevano quelle idee che, per quanto strampalate, erano riuscite a
generare un clima di coesione e affetto pari a qualsiasi famiglia
biologicamente costituita. Oltretutto, per convenzione sociale e per
assicurarsi una degna copertura, Carlisle e la sua compagna, Esme, si
dichiaravano,
al mondo umano, i genitori adottivi dei cinque vampiri del clan. Tutto
ciò era
naturalmente permesso dalle età apparenti che dimostravano.
Edward,
il primo ad
unirsi a Carlisle e al suo progetto, era stato trasformato appena
diciassettenne, salvato da morte certa a causa dell’epidemia
di spagnola che
aveva ucciso i suoi genitori. Era un ragazzo avvenente e
l’unico della famiglia
a non aver ancora incontrato una compagna con cui dividere la sua
esistenza.
Non se ne crucciava, era solito dedicarsi ad attività
alternative in grado di
lenire la sua solitudine ed occupare il suo tempo.
Rose,
era stata trasformata
poco tempo dopo Esme, e Carlisle aveva sperato di trovare in lei una
degna
compagna per quel ragazzo che ormai considerava come un figlio. Non fu
così,
ciò che li univa era semplice affetto fraterno ed i continui
battibecchi ne
erano la palese dimostrazione. La bellezza eterea di lei non
scalfì il giovane
vampiro e la sua vanità ferita sommata al desiderio di
maternità infranto e
alla dolorosa violenza subita in vita, resero il suo carattere
più scontroso di
ciò che in realtà il suo buon cuore avrebbe
voluto. Almeno sino a quando
durante una caccia non salvò il suo compagno dalle grinfie
di un orso,
introducendolo poi in casa Cullen: Emmett. Brioso e allegro
conquistò il suo
cuore con un solo sguardo, divenendo per lei quel costante appoggio che
aveva
da sempre desiderato.
Gli
ultimi due membri
giunsero in famiglia in modo assai bizzarro. La piccola Alice, vampira
minuta e
dal carattere esuberante, possedeva un potere inusuale: la visione del
futuro.
Per quanto impreciso le permise di incontrare la sua metà,
Jasper, vampiro
tormentato dal suo violento passato, e con lui raggiunse quella che
sarebbe
stata la loro nuova dimora.
Erano
una famiglia
alquanto insolita e la loro bellezza non passava certo inosservata. Si
erano
trasferiti a Forks da pochi anni, scegliendo quella meta a causa della
costante
coltre di nubi che copriva il piccolo paesino. Lì Carlisle
esercitava la
professione di medico, rinomato per la sua bravura, e fu proprio
ciò a dare
inizio a quegli eventi che inesorabilmente avrebbero mutato la vita di
molti.
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Era
una mattina di
giugno ed Isabella camminava tranquilla per le strade di La Push, con un passo lento, reso
naturalmente più
goffo a causa della gravidanza. Era ormai entrata nell’ottavo
mese di
gestazione e sebbene non le piacesse dimostrare le sue debolezze era
costretta
a passare in casa gran parte del suo tempo, divenendo causa di continue
apprensioni da parte di suo marito Jacob.
Erano
giovani e molti
avevano ritenuto il loro passo troppo affrettato, eppure lei non si era
mai pentita
di ciò che era accaduto. Riteneva di amarlo ed era certa che
avrebbero
trascorso la loro vita insieme sebbene un costante cruccio le
provocasse non
poche preoccupazioni.
Il
suo Jacob era un
licantropo e, per quanto potesse apparire strano agli occhi di tutti a
causa
della relazione intensa che avevano instaurato,
Isabella non era il suo imprinting. Aveva udito svariate leggende in
proposito,
ma solo di recente aveva assistito ai frutti di quello strano fenomeno,
quando
la cugina di Leath era giunta in città e, disgraziatamente
per quest’ultima, si
era scoperta essere l’imprinting di quello che a breve
sarebbe divenuto suo
marito.
Era
stato straziante
assistere a ciò che ne era conseguito. Leath era affranta
per la consapevolezza di aver perduto quello che
considerava l’amore della sua vita.
Anche
lei era un
licantropo e, per quanto avesse odiato in precedenza quel destino
avverso,
aveva accettato le privazioni che le aveva imposto, almeno sino a
quando non
aveva visto il suo sogno d’amore brutalmente infranto. Aveva
provato rancore
per Sam, lo aveva odiato pur sapendo che lui avesse avuto ben poca
colpa in
quell’avvenimento. Era stato il
destino a
decidere per lui, per loro.
Ed
era tutto ciò che
terrorizzava Isabella, l’idea che in un lampo anche la sua
vita potesse essere
sconvolta in quel modo.
Nonostante
tutto però
cercava di godersi la gravidanza e la sua vita coniugale.
«Bells,
non credi sia
ora di tornare? Sarai stanca!» Jacob la fissò
corrucciato, notando il suo
respiro affannoso.
Lei
scosse il capo in
segno di diniego, desiderava godersi i frutti della primavera. Quella
leggera
brezza e l’odore di salsedine la inebriavano e non voleva
assolutamente
privarsene. Sarebbero state le sue ultime passeggiate prima
dell’arrivo del
bambino. «Sto bene, sono solo leggermente
affaticata.» mormorò
tranquillamente, accomodandosi su di
una panchina poco distante.
«Credo
sia il caso di
andare in ospedale!» affermò prontamente,
soffermando il suo sguardo apprensivo
sul viso cereo della sua giovane moglie. Lei era ostinata,
tremendamente
ostinata, e di questo lui ne era consapevole.
L’idea
di recarsi
all’ospedale di Forks non lo allettava particolarmente, la
consapevolezza della
presenza di un vampiro tra quella fila di medici gli incuteva un certo
timore.
Non riusciva a comprendere perché Isabella si avesse
categoricamente espresso
il suo desiderio di partorire lì. Aveva affermato di non
avere alcuna
intenzione di affrontare un viaggio sino a Seattle quando il bambino
avesse
deciso di nascere, lo trovava un inutile rischio.
Non
voleva certo far nascere il suo
piccolo in una macchina!
Alla
fine era stato
costretto a cedere alle sue inoppugnabili riflessioni, ammettendo a se
stesso
che la presenza del dottor Cullen fosse, in fin dei conti, un bene. Era
considerato uno dei migliori chirurghi d’America, molto
probabilmente per le
sue doti di vampiro che gli permettevano una maggiore concentrazione,
precisione e velocità. Jacob era consapevole che il parto di
Bella sarebbe
stato tutt’altro che semplice, essendosi manifestate
complicazioni sin
dall’inizio. Il suo corpo troppo gracile, così
come
il suo cuore, erano una costante afflizione.
Il
timore di perderla
lo tormentava ogni giorno, quando scrutava il suo volto adombrato dalla
fatica,
il suo ventre troppo gonfio, quando udiva il suo respiro farsi
più affannoso.
Se
l’avesse persa ne
sarebbe impazzito.
Tornarono
a casa
qualche ora più tardi, avevano passeggiato sino a quando
Isabella non aveva
manifestato un certo malessere. Le leggere fitte all’addome
lasciarono il posto
a lancinanti dolori in poco tempo e Jacob spaventato la convinse
finalmente a
recarsi in ospedale.
«Tranquilla
amore
mio, andrà tutto bene. » mormorava come un mantra
stringendole la mano, mentre
Bella con gli occhi lucidi accarezzava il pancione, terrorizzata
all’idea di
poter perdere il suo piccolo.
Sarebbe
stato un
maschietto, un bellissimo maschietto. Avevano già arredato
la cameretta e
scelto un nome: Daniel. Era stata Isabella
a proporlo, le ricordava un tenue azzurro.
Adorava
quel colore
per la serenità che le infondeva, proprio la stessa che
provava ogniqualvolta
pensava al suo bambino. Il solo pensiero di poterlo perdere la
dilaniava. Tentò
invano, durante il tragitto fino all’ospedale, che le parve
infinito, di non
soffermarsi su simili pensieri per non peggiorare la situazione a causa
dell’agitazione. Le sembrava di impazzire.
Andrà
tutto bene, tutto benissimo.
Quando
finalmente l’auto
accostò accanto alla struttura, Isabella fu portata
immediatamente in una
stanza per effettuare i dovuti accertamenti. Eppure tuttavia,
l’espressione preoccupata del medico non sfuggì a
nessuno dei due.
Il
solito pallore di Bella si era visibilmente
accentuato dandole un colorito tutt’altro che sano.
Fu
allora che Jacob
decise. Non avrebbe permesso a delle stupide leggende di impedirgli di
salvare
la sua famiglia. Si diresse velocemente al centro informazioni
chiedendo con
enfasi di poter conferire con il dottor Cullen. Lui era il migliore,
lui
l’avrebbe salvata. Avrebbe salvato entrambi.
Quel
gesto per quanto
potesse apparire folle non era che lo specchio della sua disperazione.
L’amore
che provava per la sua Bella era immenso.
Era
tutta la sua
vita, lo era sempre stata sin dalla loro infanzia.
Non
aveva amato che
lei, sebbene fosse consapevole che non fosse il suo imprinting. Non gli
importava,
era certo che nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Bells nel
suo
cuore, non lo avrebbe permesso.
Era
consapevole che
in fin dei conti ciò non derivava dalla sua
volontà, ma quando aveva deciso di
chiedere la sua mano si era ripetuto che non poteva rinunciare a lei,
per
qualcosa che forse un giorno sarebbe potuta accadere. Aveva agito
egoisticamente, ma non era riuscito a fare altrimenti.
«Jacob
Black?»
mormorò sorpreso Carlisle Cullen, notando la figura del
giovane accasciata su
di una sedia nella sala d’aspetto. Era consapevole della
sua natura di licantropo e l’idea che
volesse conferire con lui lo stupiva non poco.
Il
ragazzo si alzò di
scatto ponendosi dinanzi al vampiro. «Deve
salvarla!» esclamò accorato.
L’espressione di pura angoscia sul suo viso permise al medico
di comprendere la
gravità della situazione e, attese le dovute spiegazioni sul
caso, non indugiò
oltre.
Carlisle
amava il suo
lavoro, salvare vite umane gli permetteva in parte di espiare il
peccato che la
sua natura gli aveva imposto, e non avrebbe fatto eccezione per
nessuno.
Neanche per un licantropo.
Si
recò così nella
sala dove si stavano svolgendo le analisi per poter appurare la
gravità delle
condizioni di Isabella. Come tutti in città conosceva la
storia della figlia
dello sceriffo Swan, era una ragazza tranquilla che aveva frequentato
La Push
sin dall’infanzia. Carlisle era certo che anche lei fosse a
conoscenza della
sua natura, eppure durante le varie visite in ospedale non aveva mai
mostrato
il minimo accenno di paura o disgusto al suo passaggio.
Era
sempre stato
sorpreso di ciò.
«Dottor
Miller!»
salutò il suo collega prima di recuperare la cartella
clinica. «Quali sono le
condizioni della paziente?»
Quest’ultimo
gli porse
le immagini dell’ecografia appena conclusa, mostrandogli la
posizione anomala
del piccolo ed il cordone ombelicale attorno al suo collo.
Non
potevano far altro
che anticipare la nascita… un
parto
d’urgenza.
Non
appena la notizia
le fu comunicata, Isabella scoppiò in un pianto convulso,
attanagliata dal
terrore di ciò che il suo bambino stava subendo e temendo di
esserne stata lei
stessa la causa per una sua disattenzione. «Qualunque cosa
accada pensate al bambino!»
sussurrò debolmente al dottor Cullen prima di abbandonarsi
all’effetto
dell’anestesia.
______
Carlisle
uscì dalla
sala operatoria stremato. Non avrebbe mai creduto che la sua natura di
vampiro
potesse permettergli di avvertire determinate sensazioni,
eppure…
Il
suo sguardo saettò
per la sala incontrando gli occhi scuri del licantropo e
avvertì il coraggio
venir meno. Come avrebbe potuto comunicare a quel giovane che i suoi
sogni
d’amore erano stati stroncati tanto presto?
«Jacob
– mormorò
addolorato, affiancandosi a lui. – è in
coma!»
Non
si abbandonò a
giri di parole o salamelecchi inutili. Nulla avrebbe potuto mai
addolcire una
simile notizia e, per quanto assurdo potesse apparir,e lui stesso
soffriva per
quella povera creatura i cui respiri si affievolivano ad ogni attimo.
Era
così maledettamente
giovane…
Jacob
rimase
paralizzato. Non vi erano dubbi, il tono del dottore e la sua eloquente
espressione, non permettevano alcun fraintendimento, non sarebbe
sopravvissuta.
La sua Bella stava morendo.
Neanche
lui comprese
cosa accadde, il suo petto straziato dai singhiozzi si abbassava e si
alzava
velocemente, rendendo ansante il suo respiro. Le voci si confusero
inevitabilmente. Non avvertiva nulla oltre al suo dolore.
Lui
non voleva
perderla! Non poteva…
____________________
Jacob
si svegliò,
scoprendosi su di una branda. Volse il suo sguardo sulle pareti bianche
rammentando finalmente di essere in ospedale.
Ricordò
tutto, tutto
ciò che avrebbe tanto desiderato ignorare.
Un
ulteriore
singhiozzo gli sfuggì e disperato si portò le
mani sul volto inconsapevole di
cosa sarebbe accaduto.
«Jacob…»
Così preso
dai suoi pensieri non aveva notato la presenza di Carlisle, in un
angolo della
sala. Non poté fare a meno di sobbalzare.
Osservò
il dottore
che lo fissava con uno sguardo dolente, ma non proferì
parola, troppo impegnato
a reprimere i singulti e le lacrime che minacciavano di uscire.
«So
che la mia potrà
sembrarti una proposta folle, ma desidero che tu ascolti fino
all’ultimo prima
di decidere.»
Carlisle
comprendeva
che probabilmente la sua richiesta non sarebbe mai stata accolta. Ma
non poteva
non tentare il tutto per tutto. Non poteva pensare di lasciarla morire
definitivamente senza giocarsi anche quell’ultima carta, che
per quanto
disperata poteva in parte salvare la situazione.
In
quella povera
ragazza aveva visto quella che sarebbe potuta essere una nuova figlia.
Così
giovane per dover abbandonare quel mondo e così amorevole
per non poter non
crescere il suo bambino.
«Potrei
portarla via
di qui e trasformarla! – esclamò diretto
aspettandosi una qualche reazione dal
giovane che però non arrivò. Leggermente
rincuorato decise di proseguire. – so
che per voi licantropi questo può essere impensabile, ma
l’addestreremo al
nostro stile di caccia e l’aiuteremo a non uccidere umani e a
vivere a contatto
con loro… potrà veder crescere suo
figlio.» Terminò in ansia, passandosi
nervosamente le mani nei capelli color grano.
Non
seppe
interpretare il silenzio che calò nella sala per svariati
minuti. Jacob restava
immobile come una statua tenendo gli occhi fissi sul soffitto.
«Cosa
proverà?»
domandò d’un tratto, sorprendendo il vampiro.
Non
era quella la
reazione che si aspettava.
«La
trasformazione
sarà dolorosa.» confessò, mentire
sarebbe stato inutile ed inopportuno.
«Dimenticherà
tutto?»
«
Ci sono delle
possibilità! I ricordi umani nella nuova vita diventano
sbiaditi e talvolta può
accadere che vengano totalmente cancellati. –
sospirò, scrollando le spalle. –
Ma non posso affermarlo con sicurezza.»
Jacob
prese un
profondo respiro. La prospettiva che il dottore gli stava proponendo
era tanto allettante
quanto folle. Lui, l’alfa del branco, stava permettendo ad un
vampiro di
mordere sua moglie e trasformarla in un mostro. Eppure, non riusciva a
vedere
il lato negativo di ciò che sarebbe accaduto,
perché nonostante tutto Bella ci
sarebbe stata. Non sarebbe scomparsa dal suo mondo e da quello del loro
bambino.
Avrebbe
desiderato
chiederle un parere, chiederle se desiderasse rinunciare alla sua
anima… ma
sapeva che essendo ciò impossibile la decisione non spettava
che a lui.
E
per l’ennesima
volta agì da egoista.
«Fallo!»