Capitolo 11
Disagio
Crescente
«Ahia!»
«Scusa.»
«Cerca di stare più atten-ahia!»
«Se stessi ferma, forse riuscirei
ad evitare di farti male.» sbottò Lee, sollevando solo per un secondo lo
sguardo dall’ago che teneva in mano, per lanciare a Kim un’occhiataccia.
Lei incrociò le braccia al petto,
imbronciata. «Sei sicuro che quell’affare sia sterile? Ogni volta che una bolla
scoppia, fa un male cane...»
«Non le sto scoppiando, le sto solo
bucando per far uscire il pus.» puntualizzò Lee, pazientemente. «E ci ho
passato sopra la fiamma dell’accendino, più sterile di così si muore.»
«Ecco, evidentemente le esalazioni
di benzina mi uccideranno. Tu e il tuo zippo del cavolo.»
«Davvero quando non stai bene non
puoi fare a meno di sparare idiozie a raffica? E stai ferma, accidenti! N, a che punto sei con le bacche?»
N sobbalzò violentemente. Dovendo
occuparsi di Kim, Lee aveva deciso di ottimizzare i tempi, mettendo in mano
all’ospite indesiderato mortaio e pestello. Così, erano dieci minuti buoni che
N combatteva con una manciata di baccafragole. Il punteggio era attualmente 1 a
7... per le bacche.
«Q-quasi pronte!» esclamò il
ragazzo, frettolosamente. Aveva una grossa macchia bluastra sul naso e l’aria
di chi non ha la più pallida idea di cosa fare per sopravvivere altri cinque
minuti. «Credo.»
Lee annuì. «Ok. Appena eliminato
quel “credo”, aggiungi un cucchiaio e mezzo di olio di Bellossom. Uno e mezzo, non di più.»
«R-ricevuto.» balbettò N,
nervosamente. «Un cucchiaio e mezzo, un cucchiaio e mezzo...» ripeté fra sé,
continuando a pestare le baccafragole.
Seduta sul divano, accanto a lui,
una donna dai lunghi capelli neri ridacchiò. «Oh, come siete carini!» disse, portandosi le mani al
viso in adorazione. Da dietro le lenti degli occhiali, i suoi occhi parevano
luccicare. «Un po’ mi dispiace avervi colto in un momento inopportuno, ma
vedervi così... mi scalda il cuore.»
Kim e Lee la fulminarono con lo
sguardo. Dama Munna era di certo una delle persone più irritanti che fosse
capitato loro di incontrare, durante l’anno maledetto in cui erano partiti alla
volta della Lega Pokémon di Unima. Costantemente con la testa tra le nuvole,
inutile quando c’era bisogno di lei e perenne fonte di guai, il sospetto
generale era che si sballasse di Fumonirico un giorno sì e l’altro pure. Beh,
fin qui non è che fosse molto diversa da qualunque altro abitante di Unima. Ciò
che la rendeva veramente insopportabile era...
«Sì, è decisamente un momento inopportuno.» sbottò Lee, riprendendo il suo
lavoro con l’ago («Ahia!»). «Quindi vediamo di arrivare al punto in fretta. Che
cosa ci fai qui, Zania?»
«Oh, è una storia un po’ buffa, a
pensarci.» cinguettò lei. «Vedete, Vincenzo, del Laboratorio di Analisi –
sapete, quello coi capelli neri e gli occhiali – non aveva tempo, quindi ha
chiesto a Domitilla, quella simpatica di Ricerca e Sviluppo, quella che tempo
fa si era quasi sposata con Emiliano di PokéNeurologia, ecco, a lei, di
portarvi i risultati del test che avete richiesto l’altro giorno, ma pare che
lei si sia presa un tremendo raffreddore, così ha chiesto di farlo ad Annibale,
l’ex ragazzo di Annunziata, quella un po’ strana che ogni tanto vende fiori sul
Percorso 6, solo che Annibale era veramente tanto impegnato, ma sua sorella è
in buoni rapporti con la cugina del fratello minore di quella che fino a tre
anni fa stava con – mi sfugge il nome, Ughetto? -, beh, insomma, Arianna, una
mia collega, solo che lei oggi aveva una così importante partita di–»
«Ma ci arrivi al punto?!» la interruppero
Kim e Lee, esasperati.
«Insomma, sì, Arianna ha passato i
risultati a me e io ero libera, così sono venuta a portarveli.» concluse Zania,
con un sorriso.
«La voglia di lavorare dei
ricercatori mi commuove.» commentò Lee. «Sono dei tali scaricabarile... che
cosa fanno tutto il giorno, raccolgono margherite?»
Zania frugò nel suo camice da
laboratorio fino a tirarne fuori una sottile scatola rettangolare. Un tempo
doveva essere stata lucida e bianca, ma ora, forse a causa dei numerosi
passamano, era grigiastra, sbeccata e
decorata da quella che aveva tutta l’aria di essere una macchia di caffè. «Ecco
qui.» disse Zania, aprendola.
All’interno c’era un pezzo di
stoffa nera e arancione, che sembrava essere stato strappato da qualcosa di più
grande.
«Dai test risulta che si tratta di
una microfibra elastica ed impermeabile, leggermente antiurto. In altre parole,
proviene senz’ombra di dubbio dalla divisa di un fantallenatore.»
«Ah!» esclamò Kim, soddisfatta,
puntandole un dito contro.
«Kim, se non stai ferma...»
«L’avevo detto! L’avevo detto, io,
ma nessuno mi ha dato ascolto. “Non
si sa mai”, “Meglio verificare”... un cavolo, e adesso ci ritroviamo con Dama
Munna che attenta alla nostra sanità mentale con le sue chiacchiere! Pretendo
delle scuse ufficiali, sia da te...» indicò Lee, «...che da te.» concluse,
spostando l’indice in direzione di N.
Quest’ultimo, che fino a quel
momento era stato troppo impegnato a valutare quanto fosse esattamente “mezzo
cucchiaio” d’olio per prestare attenzione, alzò lo sguardo e le rivolse
un’espressione confusa. «C-credo che Annibale non avrebbe dovuto dire ad
Annunziata che assomigliava a un Conkeldurr...»
«Ascolta quando la gente parla!» lo
sgridò Kim. «Abbiamo appena concluso, com’era sempre stato chiaro, ovvio ed
incontestabile, che avevo ragione io: quella che Lee ha inseguito nella foresta
era una fantallenatrice.»
«Evviva la modestia...» commentò
Lee, alzando gli occhi al cielo.
«Senti, quando ci vuole ci vuole.»
lo rimbeccò Kim. «Nel momento esatto in cui Unfezant è tornato con quel pezzo
di stoffa, già sapevo di che cosa si trattava. Non avrai mai più il diritto di dubitare di me.»
«Ehm...» Zania alzò una mano per
richiamare l’attenzione, come una scolaretta. «A dire il vero, non ci è stato
possibile determinare il sesso di chi indossava questi abiti. Non c’erano
tracce di DNA e...»
«Era una ragazza.» ripeté Kim,
categorica. «Tanto per cominciare, Lee ha reagito istantaneamente quando l’ha
vista scapp- ahia!»
«Scuuuusa.»
Kim storse il naso e continuò: «E
poi, lo vedi quel bordino arancione? È chiaramente un orlo. E solo le gonne
delle fantallenatrici hanno gli orli fatti così.» dichiarò, assumendo
un’espressione completamente soddisfatta, alla “ho ragione, ho ragione, lo so che ho ragione.”
«Ooooh.» fece Zania, ammirata.
«Com’è che sai così tante cose sulle fantallenatrici, Kim?»
La ragazza sembrò cadere
istantaneamente dal suo piedistallo, colta alla sprovvista da quella domanda.
Arrossì e balbettò qualcosa di simile a: «P-per nes... nessun... uhm...»
Lee ridacchiò. «Kim voleva
diventare una fantallenatrice, da piccola.» spiegò, divertito.
«Zitto!» scattò lei, con le guance
di un bel rosso cremisi. «È una storia vecchia, avevi promesso di non parlarne
più!»
«Di cosa? Di come fossi
incredibilmente determinata, solo finché non hai scoperto che avresti dovuto
tingerti i capelli di blu?»
Kim lo guardò con un che di
disgustato. «Questo è un colpo basso, Lee. Davvero un colpo basso.» borbottò.
«Spero che il prossimo minestrone di N ti vada di traverso.»
«Cosa?» chiese il sopracitato, come
cadendo dalle nuvole. «Non sono stato io, non ho fatto nien–»
«Ti vuoi decidere ad ascoltare?!»
gli abbaiò contro Kim, ormai completamente esasperata dalla situazione.
«Senti, queste bacche mi stanno
facendo impazzire!» piagnucolò N, disperato. «Me ne è finita una nell’occhio un
minuto fa e brucia da morire, praticamente sembrano avere vita propria e
davvero non ne vogliono sapere di...»
Con un sospiro, Lee si alzò in
piedi e andò verso di lui. Gli porse la mano. «Dammi, ci penso io, altrimenti
qui rischiamo una crisi isterica collettiva. Tu va’ a finire con Kim, mancano
solo un paio di bolle.»
N rimase incantato a guardarlo,
come se fosse stato una sorta di angelo disceso dal cielo per salvarlo.
«Grazie... però...»
«Non preoccuparti.» sogghignò Lee.
«Per quanto malvagie, le terribili baccafragole non hanno alcun potere su di
me.»
L’espressione densa di gratitudine,
N sembrava ora fisicamente impossibilitato a smettere di fissarlo, tale era il
suo stato di adorazione.
«Allora, me lo dai il mortaio o no?
Non abbiamo tutta la giornata, sai.»
«Posso baciarti?» chiese N, come in
trance.
Lee diventò istantaneamente color
porpora, si sbilanciò e per poco non cadde all’indietro. «Ma anche no!» urlò,
terrorizzato alla sola idea.
«Oooooh, come siete carini!»
*******
«Che hai fatto alla mano?» chiese
Kim, quando N le si avvicinò con l’ago che Lee per poco non gli aveva
conficcato nel palmo.
N sbatté le palpebre, perplesso,
come se si fosse accorto solo allora del sottile rivolo di sangue che gli
scorreva lungo il dorso della mano. «Ah...» fece, a disagio. «Non è niente, non
c’è bisogno che ti preoccupi.»
«E chi si preoccupa? È solo che
è...» uno strano presentimento la fece esitare. «...strano...». Strinse le
labbra fino a farle sbiancare, rendendosi conto da sola di che cosa si
trattava. A colpo d’occhio non era facilissimo notarlo, ma il sangue sgorgava
da quattro piccoli tagli a forma di mezzaluna.
Unghie.
Le sue.
Kim abbassò frettolosamente il
capo, costringendosi a tacere.
«Oh, ne era passato di tempo,
dall’ultima volta che avevo assistito a una scena del genere!» stava
ridacchiando nel frattempo Zania, in brodo di giuggiole. «Non cambi mai, eh,
N?»
Lui alzò le spalle, lievemente
rosso in viso. «Sai com’è, sono “la cosa più banale che esista”.» disse,
tranquillamente. «È normale che sia anche piuttosto prevedibile.»
Kim si morse la lingua. Col senno
di poi, non è che avesse voluto davvero dirgli quelle parole. Era stato... come
un riflesso condizionato.
Se
mi dai un pugno, te lo restituisco. Se mi fai il solletico, rido. Se mi batti
le mani davanti agli occhi, li chiudo. Ma se mi fai un complimento...
Nessuno le faceva complimenti. Beh,
a parte Lee, ma lui non contava. I suoi erano come i complimenti dei genitori,
non ci si poteva fare affidamento. Quindi, non c’era abituata. Che cos’era
giusto rispondere, in situazioni del genere? “Grazie”? “Mi fa piacere”? “Va’ a
quel paese” sembrava un’opzione molto più ragionevole.
D’accordo, N non le piaceva. Era
strano, fastidioso, ambiguo, da un certo punto di vista addirittura
terrificante. Ma questo non le dava il diritto di ferirlo gratuitamente.
«Ti
preferisco di gran lunga quando sorridi.»
Si sentì sprofondare.
Letteralmente. Il soffitto sembrò farsi sempre più lontano e le pareti sempre
più alte, mentre una voragine lentamente la inghiot–
«Kim!»
N la prese per un braccio, evitando
per un pelo che la sua spalla ustionata andasse a sfregare contro lo schienale
della sedia su cui era appollaiata. «Sta’ attenta... rischi di farti male.»
Kim alzò lo sguardo su quegli occhi
verdi, così pieni di preoccupazione nei suoi confronti.
Pensò alla sua mano sanguinante, al
conforto che le aveva dato stringerla mentre piangeva.
«Un
Magikarp entra in un caffè, splash.»
«Sei...» cercò invano le parole per
esprimersi. Erano lì, un’accozzaglia di lettere che le turbinavano in testa, ma
che non ne volevano sapere di unirsi a formare qualcosa di senso compiuto. Ce
la mise tutta. «Sei un idiota.» disse infine, senza alzare lo sguardo. «E un
maniaco. E un lacché di Nardo e... e un idiota. E ti odio.»
N aggrottò le sopracciglia. Per un
attimo, i suoi occhi parvero farsi lucidi.
«...ok.» disse soltanto, alzandosi.
Si mise una mano sulla nuca, a disagio. «Ah, probabilmente avrai sete. Vado a
prenderti un bicchiere d’acqua.»
Allibita, Kim lo osservò sparire in
tutta fretta dietro la porta della cucina. Si diede poi uno sguardo alla
spalla: non c’erano più bolle gonfie, e lei non se n’era nemmeno accorta. Tirò
un calcio all’aria, frustrata, senza capire perché.
«Ed eccone un’altra che non cambia
mai.» sorrise Zania, che sembrava starsi divertendo come mai nella sua vita.
«Quando ti deciderai ad essere un po’ più onesta con te stessa?»
«Quando ti deciderai a levarti dai
piedi, Zania?» replicò Kim, acida. «Hai fatto quello che dovevi fare, perché
non torni a raccogliere margherite?»
«A dire il vero...» la donna si
sistemò gli occhiali, assumendo d’un tratto un’aria quasi professionale. «Comunicarvi
i risultati del test non era l’unica ragione della mia visita.»
«Oh, eccola.» sbottò Kim. «Mi
dispiace, ma non abbiamo soldi da destinare alla ricerca, né pokémon su cui
lasciarti fare esperimenti, né tantomeno zucchero per la tua torta. Va’ a fare
l’elemosina a chi non fa già fatica ad arrivare a fine mese.»
«Sottoscrivo.» concordò Lee,
dall’altra parte della stanza. Dopo lo shock subito a causa della “proposta
indecente” di N, si era rintanato in un angolo a trucidare le baccafragole,
senza spiccicare parola.
«No, il fatto è che al Laboratorio
abbiamo una piccola urgenza e... ci farebbe piacere se trovaste il tempo di
occuparvene.»
Gli occhi di Lee s’illuminarono,
nel buio del suo angolino. «Un’urgenza retribuita?» chiese, con cautela.
«Naturalmente.»
«Contaci, allora!» sorrisero Kim e
Lee, scambiandosi un’occhiata complice. «Di cosa si tratta?»
«Oh, non è nulla di particolarmente
complicato.» spiegò Zania. «Avete presente Emiliana, quella di Pokémonologia
Avanzata che fino all’anno scorso stava con Ruggero di–»
«Vieni al punto!»
«Beh, sì, sono successe un po’ di
cose ed è finita che un Elgyem ci è scappato via. Ma dobbiamo consegnare i
risultati di un importante esperimento sui poteri psichici dei pokémon entro
dopodomani...»
«Quindi ve ne serve un altro?»
riassunse Kim, sbrigativa.
«Esatto. Entro domattina,
possibilmente.»
Lee alzò gli occhi al cielo.
«Fantastico.» disse, il tono impregnato di sarcasmo. «Ora abbiamo un titolo
perfetto per il film di Nardo. Gli Eroi di Unima in: “Alla Ricerca dell’Inutile
Elgyem Perduto: Corsa Contro il Tempo per un Pugno di Noccioline”!»
«Sul serio volete farvi pagare in
noccioline?»
*******
«Non dire sciocchezze, è ovvio che vengo anch’io.»
«Non dire sciocchezze, è ovvio che resti a casa.»
«Non sarebbe meglio se non ci
andasse proprio nessuno?»
«Sta’ zitto, N!» esclamarono Lee e
Kim, lanciandogli una comune occhiataccia.
«Io vengo e basta. Non posso certo
lasciarti andare da solo!» riprese Kim, testarda.
«No, tu non puoi andartene in giro nelle condizioni in cui sei, punto.» si
oppose Lee, con decisione. «Ho già perso il conto delle volte in cui hai
cercato di farti ammazzare, solo nell’ultima settimana.»
Kim sbuffò. Poteva anche essere
vero... ma non aveva importanza! Lei era lei. Una piccola serie di incidenti
non poteva bastare a fermarla. «Quanto la fai lunga, per un paio di graffi...»
«Una scossa elettrica, un morso di
Galvantula e un’ustione di secondo grado tu li chiami “graffi”? Ma ti si deve
staccare un arto per farti considerare l’idea di passare un paio di giorni a
riposo?»
«Gli esseri umani ne hanno quattro
appunto per l’eventualità.»
Lee si passò una mano sulla faccia e
inspirò profondamente per calmarsi. «Senti, ho detto di no e la questione è
chiusa. Tu e N rimarrete qui, mentre io andrò a occuparmi di Zania e del suo
psicoaffare volante.»
«No!» esclamarono gli altri due,
per una volta sulla stessa lunghezza d’onda.
«Non puoi andare da solo, chissà
mai cosa potrebbe succederti!» disse N, sinceramente preoccupato.
«Kim ha appena avuto la stupenda
idea di darsi fuoco, è lei che deve
essere tenuta sotto stretta sorveglianza.»
«Preferisco morire, piuttosto che
rimanere di nuovo sola col maniaco verde.» obiettò Kim. «E ripeto che lasciarti
andare senza nessuno che ti copra le spalle è follia.»
«Non ho mica cinque anni! Sono
anch’io un allenatore, esattamente come te.»
«Sì, ma...» Kim si morse un labbro,
combattuta. Non voleva lasciarlo andare da solo, punto e basta. Non era così
che andavano fatte le cose. Probabilmente con la sua testardaggine stava
ferendo l’orgoglio di Lee, ma non le importava.
Dietro di loro, qualcuno
tossicchiò.
«Ehm...» disse Zania, timidamente.
«Se volete, posso restare io con Kim. Al Laboratorio non c’è comunque molto da
fare, in questi giorni...»
Kim le lanciò un’occhiata di
sbieco. «Di’ la verità, voi ricercatori passate sul serio tutto il giorno a raccogliere fiori, eh?»
«Ma allora è perfetto!» trillò N,
che pareva estasiato dall’idea. «Quindi io andrò insieme a Lee e Zania
controllerà che Kim sopravviva nel frattempo. Siamo a posto, no?»
Lee e Kim si scambiarono uno
sguardo indecifrabile, che sottointendeva incertezza, preoccupazione, leggera
ansia, “Io con questo/a non ci voglio stare”, “È tutta colpa tua” e “Ma in
fondo che alternative abbiamo?”.
Alla fine, abbassarono la testa e
sospirarono.
«E va bene, facciamolo.»
*******
«Le bende vanno cambiate ogni due
ore, l’unguento alla baccafragola dovrebbe bastare fino al nostro ritorno, ma
se dovesse finire...»
«La ricetta per farne dell’altro è
sul tavolo della cucina, lo so.» sorrise Zania, con l’aria di chi ha tutto
perfettamente sotto controllo - anche se le probabilità che fosse davvero così
erano infinitesimali. «Non ti preoccupare, ho memorizzato tutte le indicazioni
e ho il numero del tuo Interpoké, per ogni evenienza.»
Lee arricciò le labbra, poco
convinto. «Assicurati che beva tanto. E se le dovesse venire la febbre...»
«...morirò tra atroci sofferenze e
le mie ultime parole saranno “gliel’avevo detto”, sì.» lo interruppe Kim, annoiata.
«E sulla tua tomba farò scrivere:
“Kimberly Anne Stewart, figlia scapestrata, amica inaffidabile e allenatrice
suicida”.» ribatté Lee, piccato. «“Gli psicologi dei suoi conoscenti e gli
avvocati dei suoi avversari ne piangono sentitamente la scomparsa.”»
«Molto divertente.» fece lei,
sarcastica.
Lee le mise una mano sulla testa
con fare paternale. «Vedi solo di comportarti bene. Ti lascio qui con due gambe
e due braccia, preferirei ritrovarle tutte quante al mio ritorno.»
«Va beeeeene, mammina.»
«Ecco. Noi faremo del nostro meglio
e torneremo a casa il prima possibile. Giusto, N?»
«Giusto!» confermò lui, scattando
sull’attenti.
«Uhm.» Kim, un po’ incerta, guardò
Lee, N ed infine Zania, che pareva aver impostato come screensaver facciale un
sorriso tanto largo quanto inquietante. «D’accordo. Fate... fate attenzione.»
borbottò, senza guardarli in faccia. «...tutti e due.»
N congiunse le mani al petto come
in preghiera, d’un tratto sinceramente commosso. «Oh, è la prima cosa vagamente
carina che mi dici da mesi!»
«Non farti strane idee! Sei incluso
solo perché se ti facessi male diventeresti un peso per Lee, e Arceus non
voglia che gli debba accadere qualcosa per colpa tua!»
«A-ah, certo.» l’assecondò N, tutto
contento. «Allora andiamo?» chiese a Lee, avviandosi fuori dalla porta aperta.
Il ragazzo annuì. «Prima partiamo e
prima ce la sbrighiamo, giusto?»
Stava per uscire anche lui, ma Kim
lo fermò: «Lee, aspetta un secondo.»
Lui si voltò e alzò un
sopracciglio. «Sì? Cosa c’è?»
«Hai il cappello storto, scemo.
Ecco, sta’ fermo un attimo...» disse Kim, allungando una mano per
sistemarglielo.
Lee ridacchiò. «Com’era? “Tieni
sempre con cura...”»
«“Il cappello di un allenatore
rappresenta il suo onore. Trattalo sempre con cura e rispetto.”» lo corresse
Kim, abbassandogli un filo la visiera per completare l’opera. Il suo sguardo
vagò per qualche secondo da destra a sinistra, incerto su dove soffermarsi.
«Non ho ancora deciso se perdonarti o no. Però... grazie. Se non fosse stato
per te, ora sarei ridotta a un colabrodo.»
«Ehi, dovere.» sorrise Lee. «Sai,
Kim, occuparsi di te è un lavoro a tempo pieno. E io sono così bravo che, se
iniziassi a pagarmi, potrei anche farne la mia professione per la vita.»
Kim fece per sorridere e dirgli
qualcosa sulle righe di “Sì, aspetta e spera, il giorno in cui riuscirò a
mantenerti non arriverà mai!”, ma dopo neanche un istante un paio dei suoi
neuroni si collegarono e lei scoprì le sue guance diventare purpuree. «N-n-non
dire scemenze!» esclamò, spingendolo fuori dalla porta. «Avanti, sbrigati e va’
a farti violentare da N, che è meglio!»
Lee rabbrividì. «N-non dirlo
neanche per scherzo! Che ho detto di sbagliato?»
«Fila! Non dar aria alla bocca più
di quanto non devi.»
«Ma io... e va bene, e va bene...
Dio, se ti capirò mai...»
Kim chiuse la porta di botto,
ritrovandosi leggermente affannata. Quella giornata sembrava essere un
susseguirsi di situazioni decisamente stressanti.
A riconferma di questo fatto, due
dita le picchiettarono sulla spalla sana. Dama Munna le sorrise.
«Allora, Obbligo o Verità?»