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Autore: Blue_Bones    19/10/2011    2 recensioni
Hermione è un personaggio piuttosto particolare. Crede fermamente che ciò che pensa sia necessariamente corretto, almeno finché si tratta di ciò che le succede. Abituata com'è ad essere la prima della classe, tenta anche di controllare la sua vita. C'è una guerra fuori e lei non può permettersi distrazioni e svaghi. Così ha sempre dato per scontato che, come Harry era destinato a Ginny, a lei toccasse Ron, ma quando sembra che qualcosa sfugga, quando le certezze crollano, quando il mondo si rivela incontrollabile e quando tutto assume le sfumature incerte del tramonto, le sue convinzioni rimarranno tali?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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I libri erano caduti a terra senza che lei se ne accorgesse. Qualche povero idiota doveva averla urtata, ma l'avrebbe sentita. Si voltò e notò una zazzera scura - Lee, è vietato correre per i corridoi - il ragazzo si voltò appena, le fece 'ciao, ciao' con la mano e scappò via. La ragazza si appuntò di fargliela pagare il prima possibile, raccolse i libri e si diresse nella sala comune. Era venerdì, il sabato non avevano lezioni e lei avrebbe potuto leggere qualche libro in santa pace. Si mise a letto stringendosi nel pigiama pesante. Lesse un paio di capitoli prima di addormentarsi con il libro sul naso. Presa com'era dalla scuola tendeva a dimenticarsi cose superflue, come che giorno del mese fosse. Peccato per lei che qualcuno, invece, lo sapesse benissimo. La mattina successiva si preannunciava una buona giornata. Il sole era riuscito a vincere sulle onnipresenti nuvole Britanniche. Hermione Granger raccolse i capelli ricci, crespi e ribelli in una coda. Tutto in lei urlava "ordine", tutto tranne quei suoi capelli castani costretti dall'elastico. Il problema fondamentale, le aveva spiegato sua madre una volta, era che erano davvero troppi e per questo non potevano che essere voluminosi e intricati. Lei non se ne curava, aveva portato l'apparecchio per anni senza preoccuparsi del giudizio altrui, i suoi capelli erano qualcosa che faceva parte di lei e dimezzarli non sarebbe comunque servito a molto. Era sicurissima, guardandosi allo specchio, che con un minimo di volontà avrebbe potuto sistemarli perlomeno decentemente, se non proprio come al Ballo del Ceppo, visto che aveva dovuto coinvolgere Ginny in quella lotta titanica a ogni singolo riccio. In quell'occasione era stata costretta ad ammettere che quel genere di cose non faceva per lei. Il suo tempo era per lo studio, per la lettura, per gli amici e, da molti anni a quella parte, per la sopravvivenza. La sua più grande paura era mostrarsi agli altri per la persona insicura che era, spaventata dalla possibilità che le proprie origini le impedissero di inserirsi in quel mondo a cui sentiva di appartenere con ogni fibra del suo essere. Aveva imparato a rilassarsi leggermente in quegli anni. Grazie all'amicizia di Harry, Ron, Ginny e degli altri Weasley aveva scoperto di non essere inferiore a nessuno per davvero, non per autoconvinzione e orgoglio. Grazie a Luna e Neville aveva imparato ad accettarsi per com'era. Era però cosciente di non essere come nessuno di loro. Non era coraggiosa come Harry, né dolcemente goffa come Ronald, non aveva la forza di Ginny. Non riusciva ad evitare di preoccuparsi del giudizio degli altri come Luna e non riusciva a migliorarsi come aveva fatto Neville in quegli anni. Non riusciva mai a lasciarsi andare totalmente, specie perché quando lo faceva tentavano ad accadere pasticci piuttosto rilevanti. Per esempio, al terzo anno, con la rabbia a guidarla, aveva schiaffeggiato Draco Malfoy, anche se era stato forte questo non aveva comunque potuto salvare Fierobecco, che poi era stato salvato in un secondo momento in modo al limite del legale. O come quando, al quarto anno, aveva accettato l'invito al ballo di Viktor Krum e poi si era sentita attaccare da quello che considerava uno dei suoi amici. Giudicata, ancora e ancora. Traditrice. Inadeguata. Inadatta. Nel posto sbagliato. Si era sentita a disagio pur essendo nel giusto. Era scappata via, le lacrime che scorrevano. Erano state impossibili da trattenere, ma ci aveva provato. Poi, solo l'anno prima, quando aveva invitato Harry a creare un'associazione segreta di esercitazioni magiche per tentare di arginare i danni della megera che quell'anno avevano osato nominare insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. Piton era più competente, meno dispotico e meno finto e melenso. Se doveva scegliere sapeva chi preferiva. Senza dubbio. Eppure, nonostante le precauzioni, le tecniche di comunicazione da lei inventate e l'incantesimo sulla pergamena, erano stati scoperti, puniti, umiliati. No, decisamente non era il caso di lasciarsi andare, mai più. Era difficile quando, per esempio, i gemelli dicevano cose divertenti o inventavano qualcosa di a dir poco geniale. Da una sua parte, la sua testa le diceva che era sbagliato e pericoloso seppur ingegnoso, ma dal suo cuore sgorgava sempre una risata vera che veniva perennemente soffocata in gola, mentre la sua razionalità continuava a ripetere "E' sbagliato e pericoloso. Prima o poi qualcuno si farà male" e lei ripeteva quella tiritera come una filastrocca ogni volta, per il terrore che succedesse qualcosa, per la paura di sentirsi di nuovo fuori posto. Ingrata. Aveva paura di non meritare quel mondo. Presa dalle sue riflessioni scese con calma in Sala Grande e, come si aspettava, non trovò più nessuno. Si riempì il calice di succo di zucca e lo bevve in un sorso. Si volse verso il tavolo degli insegnanti mente imburrava il toast. Solo la professoressa McGonagall e il preside Dumbledore erano ancora ai loro posti e chiacchieravano fittamente. Sentendosi osservati si voltarono e le regalarono, rispettivamente, un gran sorriso, di quelli rari ed orgogliosi, con gli occhi luminosi e vivi e un occhiolino divertito, un mezzo sorriso e un alzata di calice. Incapace di trovare una motivazione per quel comportamento decise semplicemente di rispondere con un debole sorriso che fece ridacchiare sotto i baffi i due insegnanti. La ragazza, sempre più confusa, raccolse la borsa e andò a sedersi in uno dei giardini interni in cui altri studenti si erano radunati per giocare a gobbiglie o agli scacchi magici. Tutti cercavano di godere di quel sole timido che aveva vinto le nubi. Recentemente sia Harry che Ron si allenavano in vista della stagione di Quidditch quindi non si stupì di non averli ancora visti. Di solito seguiva gli allenamenti dagli spalti, ma quel giorno aveva preferito ritagliarsi un momento per se. Non succedeva spesso ormai. Da quel primo anno, da quel troll di montagna, non erano più stati soli. Se questo, spesso, era un bene, a volte diventava pesante convivere con due ragazzi che detestavano lo studio, la lettura e la riflessione, più di un boccino in mano ad un Cercatore avversario. Sorrise, l'aria era tersa e pura. Era così in pace, che non si accorse che Edwige era insolitamente appollaiata sulla sua borsa. La sua mente registrò qualcuno che parlava, ma ci  volle un secondo di troppo perché connettesse - Eh, cos'hai detto Fred, o George? No, direi che sei Fred. - L'altro la guardò stupito e lei gli indicò il collo - Non hai il neo - lui parve sorpreso - Pensavamo che non l'avesse notato nessuno. - Disse George, spuntando da dietro la schiena del gemello - Grengy, che ne dici di prendere la borsa, liberare Edwige da quella lettera e andare in Sala Grande? La leggi dopo, non vorrai mica saltare il pranzo, no? - Lei annuì, non era strano vedere i gemelli importunare Hermione mentre Harry e Ron volavano o giocavano a scacchi, ovviamente fino all'anno prima, quando i ragazzi avevano deciso che i loro studi potevano finire lì. Fred si stupì della distrazione della ragazza, ci avevano sperato, ma non pensavano di potersela cavare con le divise e le abitudini di diversi anni. Insomma si stava parlando pur sempre di Hermione Granger. Era incredibile la poca importanza che si dava. Eppure i capelli crespi e costretti, le unghie cortissime, mangiucchiate durante i momenti di forte stress, gli occhi cerchiati da occhiaie per il troppo studio, il sorriso teso di chi spera solo che vada tutto bene, di andare bene. La divisa in ordine, la cravatta allacciata maniacalmente, la camicia di un bianco impeccabile, la veste chiusa con l'unico bottone, i calzettoni pesanti e le scarpe antiestetiche in pelle nera e lucida. Tutto urlava "Ordine e Rigore", tutto esplicava il carattere cervellotico della ragazza. Gli occhi vigili sembravano pronti a cogliere ogni cosa fuori posto, senza riuscirci con la cosa più evidente. Fred aveva sempre pensato che una persona non avrebbe mai potuto vivere così senza perdere qualcosa di cruciale. Come per esempio il loro ritorno nella scuola. Era questo che l'affascinava di lei. Che lo divertiva, così da spingerlo a scherzare su di lei e con lei, nonostante la sua inflessibilità. George, di solito, lo seguiva per solidarietà. Sapeva che Fred aveva una particolare simpatia per Hermione, ma nessuno dei due riusciva a non riderci su. Erano gli opposti. Eppure Fred era attratto da questa forza invisibile, da quei capelli scomposti, dalle labbra mordicchiate dopo le lezioni e non senza motivo. Hermione era intelligente, ma in maniera troppo convenzionale e non per natura, ma per costrizione. Lui viveva con la volontà di farla rilassare, di farle prendere fiato da quell'immensa recita di perfezione ostentata. Perché lei non era priva di difetti, ma era perfetta così: con lo sguardo acceso, la voglia di conoscere e con quella risata che si fermava sempre troppo presto, sempre prima di giungere alle labbra, ma troppo tardi per non arrivare agli occhi. A pranzo non parlava, era intenta a fissare il vuoto cercando risposte a quel qualcosa che non le tornava e che continuava a sfuggirle come il fumo o l'acqua. Mangiò lentamente, sempre immersa nei suoi pensieri, mentre Fred la osservava sperando che quel qualcosa le sfuggisse ancora per un po', giusto il tempo di un giorno, prima di scivolare via con la notte, prima di lasciarsela sfuggire ancora. Prima di sperare, un ultima volta. Quando la sera giunse le nuvole non erano riuscite a coprire il tramonto rossastro che Hermione non riusciva a smettere di fissare con aria corrucciata - Uno zellino per i tuoi pensieri - disse una voce alle sue spalle - Non credo valgano così poco, Weasley - sospirò Hermione, sorridendo, ma aggiunse - Ho solo l'impressione che mi sfugga qualcosa. E' come se sapessi di dovermi ricordare una cosa ovvia, ma presa dalla routine non riesco a coglierla. - Scrollò le spalle, mentre Fred rideva con gli occhi. Una scintilla divertita li illuminava - Te l'ho sempre detto che sei troppo impegnata, no? - La ragazza lo fissò, poi scoppiò a ridere tirandogli amichevolmente la borsa sullo stomaco - Hey, vorresti offendere? - L'altro ridacchio e prese la borsa di Hermione dicendo - E' ora di cena su, su! - Fred non riusciva a frenarsi. Aveva voglia di ridere, di darle della sciocca per essersi dimenticata di che giorno fosse e magari aveva anche voglia di baciarla, ma questa era un'altra storia. Cenarono ridendo e scherzando - Sai, Hermione, ho sempre apprezzato la tua preoccupazione per gli animali in difficoltà. - Disse, per esempio, a fine serata - Cosa vorresti dire, Fred? Dov'è George? Spero non stia combinando qualcosa e tu non sia il diversivo. - Lui parve non aver sentito l'ultima parte, ma lei sapeva che se glissava allora doveva per forza aver ragione, ciò che il ragazzo disse poco dopo, però, le fece dimenticare i suoi doveri - Beh, quei capelli saranno un ottimo rifugio per gli uccellini, quest'inverno - la forchetta di Hermione risuonò a contatto con il piatto prima che la ragazza alzasse lo sguardo e dicesse - Fred, conto fino a tre, se per allora non te ne sarai andato sarà peggio per te - il ragazzo, rise e non si mosse - Uno, - un altra risata - Due, - si alzò - Tre. - Fred si alzò e iniziò a correre sotto lo sguardo basito dei presenti. Hermione lo seguì camminando fuori dalla sala grande. Una volta nei corridoi prese a corrergli dietro - Ripetilo se hai il coraggio razza di, di, di... Antipatico - Fred rise e si arrestò sul posto reggendosi la pancia. Hermione, presa alla sprovvista gli rovinò addosso e il ragazzo cadde a terra, ma non smise di ridere - Mi vuoi dire che hai? - Chiese la ragazza - Beh, Grangy, Miss so tutto io, che non trova un insulto abbastanza appropriato per descrivermi. Ho mandato in palla il tuo forbitissimo vocabolario, signorina? - Hermione sbuffò - Sbruffone, alzati, se Gazza ci becca a insozzare il pavimento con le mani ci uccide - disse tendendogli una mano - Umh, Hermione lo sai che questi pavimenti sono insozzati dalle nostre scarpe ogni giorno? - Lei annuì, distrattamente - Ma questo non dissuaderà quel vecchio matto dall'appenderci per i pollici nei sotterranei, non trovi? - Fred afferrò la mano della ragazza, ma fece forza affinché perdesse l'equilibrio e finisse anche lei seduta per terra - Già, hai ragione! - Aggiunse poi, preparandosi ad una sfuriata che non arrivò. La risata della ragazza lo stupì e lo contagiò finché da un aula non sbucò la gatta di Gazza - Ops! - Dissero allora. Si alzarono di fretta e corsero verso la torre di Gryffindor mentre la gatta andava a richiamare il suo padrone che non li avrebbe mai raggiunti in tempo. Fermi davanti alla Signora Grassa - Fred, mai più. Non possiamo infrangere le regole o perderemo la coppa delle case e se mi puniscono il mio curriculum sarà segnato a vita e... - Lui la fermò dal suo gesticolare, la guardò negli occhi e disse - Hermione, calmati. Non è successo nulla, ok? Lasciati andare - L'altra si rivolse al ritratto e pronunciò la parola d'ordine e mentre questa si apriva aggiunse - Ma a te non importa e poi tu hai il negozio ora! - Si immobilizzò un secondo prima di entrare, mentre una serie di cose che avrebbe dovuto ricordare le balenò in testa - Giusto, Fred, come mai sei qui, vestito da scuola, fingendo che sia tutto normale? Se non sbaglio Molly non era riuscita a convincere né te né George! - Poi pensò a Lee quella mattina, doveva accorgersi subito che qualcosa non andava. Entrò di tutta fretta senza attendere risposta. L'unica cosa che seppe dire, quando tutti i suoi amici comparvero urlando "Tanti Auguri", fu - Fred, potresti dirmi che giorno è oggi? - La sua voce era piatta, asciutta. Gli occhi erano persi e terrificati. Fissava la torta come se fosse stato qualcosa di molto fastidioso - Il diciannove settembre, Hermione - rispose tranquillamente. Lei si guardò attorno, era riuscita a dimenticarsi del suo compleanno. Nulla di così strano, aveva altro a cui pensare. I M.A.G.O. erano troppo vicini, un anno ancora e poi sarebbe toccato a loro, Voldemort che spuntava un anno sì e uno anche. Non riusciva a capire come gli altri si fossero premurati di ricordargli che ormai erano sei anni che combattevano per la sopravvivenza. Che la sua gioventù era andata. Ora che era maggiorenne le sue responsabilità sarebbero triplicate e lei non poteva permettersi di fermarsi a ridere di una caduta, di conoscere qualcuno che non fossero Ron o Harry, non poteva semplicemente prendersi del tempo per se. Un esempio era stato il pomeriggio con Fred, era volato, eppure non poteva fermarsi, non poteva permettersi di guardare da qualche altra parte. Il suo destino era con Ron come quello di Harry era con Ginny - Non possiamo festeggiare, devo studiare, ho letto tutto il giorno, non va bene, non va bene. E' tutto sbagliato, Fred! - Corse in camera, mentre il suo cuore le urlava che, in fondo, Harry e Ginny avevano potuto scegliere e si erano scelti. Se le cose fossero state diverse lei avrebbe scelto Ron? Non era mai stata sicura della risposta che avrebbe dato a quella domanda, se mai qualcuno glie l'avesse posta. Qualcuno bussò alla porta, di sicuro era Ginny. Nessun ragazzo poteva superare il tranello delle scale. Nonostante non avesse dato il permesso una testa rossa entrò comunque. Hermione, presa da uno scatto di rabbia aveva cominciato a rifare il letto e ora era intenta a sistemare i suoi libri. Il ragazzo ispezionò la stanza con occhio critico - Non credo che ordinando la stanza ti chiarirai le idee Hermione - buttò lì esattamente come se stesse parlando della cena. Lei scrollò le spalle con la medesima noncuranza, per poi alzare la testa - Almeno mi calmo, le idee si chiariscono a chi riflette - l'altro ridacchiò - Vedi, è questo il punto. Tu hai già le idee piuttosto chiare, ma sono cose che non vuoi accettare e per questo nemmeno il tempo può fare nulla. Sei tu, solo tu a decidere - la ragazza alzò un sopracciglio - Questo si che mi tranquillizza, direi - sbottò sarcastica. Il ragazzo allora si sedette a terra - Non è da me che vuoi essere rincuorata, vero Grengy? - Hermione arrossì di botto e si voltò di scatto per non mostrarsi - Non so di cosa tu stia parlando, George - non si accorse del sorriso del ragazzo, troppo presa a tentare di evitare quello sguardo indagatore - Invece lo sai bene, è questo il punto Hermione. Tu sei sempre lì. Nel tuo trespolo alto - a quelle parole la ragazza si alzò bruscamente. Si era seduta vicino la finestra e aveva continuato a fissare l'esterno della scuola - Vuoi sempre avere un certo controllo maniacale sulle cose e sulle persone - ricominciò George - Vivi nella paura di lasciarti andare. Non riesci a guardare le cose da una prospettiva diversa. Vieni, siediti qui - indicò il tappeto su cui era seduto e lei non si fece pregare - Bene, ora prova a pensare a cosa vuol dire la vita per te. La vita non è sofferenza e distruzione o ordine e rigore. La vita è vita e basta e, in quanto tale, porta a sofferenza come a gioia. Non possiamo privarci della poca felicità che ci è concesso avere, soprattutto ora. Non possiamo pesare di combattere una guerra per soddisfare i voleri degli altri. Come non possiamo spingerci ad amare chi non vediamo che come un amico. Dobbiamo avere qualcosa a cui aggrapparci per non affogare in questo mare di depressione e tristezza, di morti meno morti dei vivi. Il potere più grande è dell'amore, lo sappiamo bene, ma non sappiamo cosa succede se non diamo giusto valore all'amore. Finiamo per perdere tutto e non c'è più ragione. Tutto questo tu lo sai, Hermione - e lei lo sapeva, lo sapeva con certezza estrema, era una sicurezza che andava oltre quella del sole che sorgeva ogni mattina e tramontava ogni sera. Oltre quella che la vita e la morte sono le facce della medesima medaglia. Lo sapeva come sapeva che bene e male non potevano esistere indipendenti l'una dall'altra - Cosa dovrei fare, George? Non posso semplicemente saltare fuori dicendo che nessuno a capito nulla. Non posso distruggere le speranze di uno dei miei migliori amici - l'altro continuò a guardare fuori, poi, voltando lo sguardo, così simile a quello del gemello, a incrociarsi con il suo, molto più scuro, disse - Cosa provi per Ron? Lo ami? - Eccola, la domanda che aspettava e temeva. Tutto il suo corpo tendeva negando tutto quello in cui aveva creduto per anni, a cui aveva voluto credere, semplicemente perché era più semplice - Sì - si sentì di rispondere, ma lo sguardo sorpreso di George la costrinse a specificare - Ma solo come avrei potuto amare un mio fratello. Come posso amare Harry e Ron, cioè come due fratelli, due parti a cui non posso rinunciare in quanto se sono ciò che sono è anche e soprattutto grazie a loro - l'espressione di George si rilassò - Pensavo avresti mentito a te stessa e a me, ma, ovviamente, mi sbagliavo. La strega più brillante della sua età non poteva rispondere diversamente da questo. Quello che non riesco a capire perché tu faccia così fatica ad accettare anche il resto - Hermione si alzò con sguardo torvo - Non so a cosa tu stia alludendo, George - il ragazzo la scrutò negli occhi e disse - Proprio a questo. Come diamine riesci a distinguere me e Fred? - La ragazza aprì la bocca, per poi richiuderla senza far uscire una sillaba. L'altro sorrise - Lo sai che sarebbe terribile se tu osassi per timore di un rifiuto? Sarebbe incredibilmente stupido, Grangy. Non ti capirò mai, io... - la frase rimase sospesa, ma Hermione capì perfettamente ciò che intendeva. Non ripose e lo invitò ad uscire dalla stanza assieme a lei. Scendendo non osò alzare lo sguardo da terra. Quando sollevò lo sguardo incrociò due occhi smeraldini che la lessero senza bisogno di chiarimenti. Sentiva su di se anche un paio di occhi azzurri che non voleva incrociare e un altro paio a cui non sapeva dare una definizione. Si avvicinò all'altro gemello e lo abbracciò posando la testa sulla sua schiena. Era molto più alto di lei, ma non quanto Ron, era un divario rassicurante. Fred d'altro canto, non osava muoversi. Aveva gli occhi spalancati e la bocca socchiusa dalla sorpresa. Lanciò un occhiata al fratello e al gemello. Uno emise un sospiro e l'altro lo guardò divertito. Ginny, restia a credere alla piega deprimente che stava assumendo la serata, fece partire la musica. Hermione si risvegliò da quella specie di trance e disse - La McGonagall ci ucciderà! - Gli altri risero di lei e Fred le prese le mani e, senza darle tempo di ribattere, cominciò a farla volteggiare per la sala comune. La serata era stata piuttosto lunga. Erano tutti addormentati. Ron era stravaccato su George che  teneva il braccio sulle spalle di Luna. Neville era steso sul pavimento con una coperta che gli copriva a malapena le gambe. Harry e Ginny erano rannicchiati abbracciati su una poltrona, estranei al mondo. Hermione e Fred erano stesi sul divanetto rosso. Le gambe di Hermione superavano di pochi centimetri il bracciolo del divano, mentre i piedi di Fred sarebbero stati ampiamente fuori dal divano se solo le sue gambe non fossero state intrecciate a quella ragazza. I capelli rossi di Fred erano leggermente lunghi e andavano a confondersi con quelli castani, ricci e crespi di Hermione che gli stava respirando sul collo. Le lunghe braccia di Fred avvolgevano l'esile figura di Hermione che gli si stringeva addosso afferrando con le dita affusolate il maglione che Molly Weasley regalava ogni natale ai membri della famiglia. Una mano di Fred scese giù fino a fermarsi su i fianchi di Hermione. La mano fredda del ragazzo la fece rabbrividire e la svegliò. Sospirò leggermente e arrossì - Bensvegliata, Grengy. La vedo un po' arrossata, sicura di stare bene? - Hermione non si perse d'animo - Benissimo direi, a parte il fatto che abbiamo infranto un paio di regole e sto gelando visto che il fuoco si è spento. - Gli occhi del ragazzo brillarono di malizia e ironia - Avresti potuto dirlo subito, Grangy. Avrei sicuramente cercato e trovato un modo per risolvere la cosa. Vuoi che ci ritiriamo in dormitorio? Dovrebbe ancora essere lì. Dumbledore ci ha permesso di restare fino a lunedì, ma Lee è un chiacchierone - lei lo guardò accigliata, ma lui non smise di sorridere, sicuro di se. Allora Hermione prese coraggio e si avvicinò al viso del ragazzo e poi fu tutto molto più caldo. Aveva il colore dei suoi capelli, quella sensazione di trasporto. Dei suoi occhi. Aveva la ruvidità leggera delle sue mani appena sotto il maglione, a stringerla a se, quasi per paura che scappasse. Con il terrore che scivolasse via con la notte, prima di lasciarsela sfuggire ancora. Prima di sperare, un ultima volta ancora. Aveva il calore delle sue labbra sulle sue, calde e morbide. Il freddo onnipresente sembrava una forza che tentasse di oltrepassare una barriera impenetrabile. Un incantesimo potente che non le fece scordare tutto, ma certamente quel tutto dovette perdere di una certa importanza. Per esempio nessuno si accorse che Harry e Ginny li guardavano stupiti e che il bambino sopravissuto prese la mano della più piccola dei Weasley e la strinse, guardandola poi dolcemente. Nessuno se ne accorse perché nel frattempo George era impegnato a tenere la bocca chiusa a Luna che stava per parlare. Ed era così intento a fissarla negli occhi sbalorditi che la scena attirò lo sguardo perplesso di Neville, che scrollò le spalle pensando che, in fondo, prima o poi sarebbe toccato anche a lui. Lo sguardo di quest'ultimo fu però attratto dall'espressione inorridita di Ron che si spostava da Fred ad Hermione, come se fosse stato possibile decidere dove iniziava l'uno e dove finiva l'altro e non in quella maniera volgare e oscena di chi si mangia la faccia come se non potesse farne a meno, ma in quel modo lento e deciso di chi sembra essere solo l'appendice dell'altro. In quel modo in cui due persone decidono di conoscersi da vicino e di lasciare da parte i se, i ma e i forse. In quel modo speciale in cui le insicurezze e le indecisioni esistono, ma non sono poi così importanti come sembravano. Nonostante tutto, Ron e la sua sensibilità a grandezza cucchiaino fu in grado di interrompere quel momento - Insomma Fred è mia sorella! - I due ridacchiarono e Ron provò a correggersi - Ehm, volevo dire Fred, sei mio fratello, non davanti a me, su! - Tutti risero serenamente. Per una volta l'amore poteva anche decidere di creare una bolla di tranquillità che sarebbe potuta esplodere in un attimo, ma che almeno avrebbe lasciato il ricordo di qualcosa di vero.
*Laaaaampone*
Mi scuso per gli errori, ma open office è stupido e word pad pure .-. Questa fic è stata spontanea quanto lunga da scrivere per mal di testa improvvisi che mi costringevano a smettere di scrivere. Anche lo studio ha tolto tempo, infatti le mie long sono momentaneamente in attesa di aggiornamento e ho 4 capitoli diversi in stesura çAç 
 

Ribellion.

I libri erano caduti a terra senza che lei se ne accorgesse. Qualche povero idiota doveva averla urtata, ma l'avrebbe sentita. Si voltò e notò una zazzera scura - Lee, è vietato correre per i corridoi - il ragazzo si voltò appena, le fece 'ciao, ciao' con la mano e scappò via. La ragazza si appuntò di fargliela pagare il prima possibile, raccolse i libri e si diresse nella sala comune. Era venerdì, il sabato non avevano lezioni e lei avrebbe potuto leggere qualche libro in santa pace. Si mise a letto stringendosi nel pigiama pesante. Lesse un paio di capitoli prima di addormentarsi con il libro sul naso. Presa com'era dalla scuola tendeva a dimenticarsi cose superflue, come che giorno del mese fosse. Peccato per lei che qualcuno, invece, lo sapesse benissimo. La mattina successiva si preannunciava una buona giornata. Il sole era riuscito a vincere sulle onnipresenti nuvole Britanniche. Hermione Granger raccolse i capelli ricci, crespi e ribelli in una coda. Tutto in lei urlava "ordine", tutto tranne quei suoi capelli castani costretti dall'elastico. Il problema fondamentale, le aveva spiegato sua madre una volta, era che erano davvero troppi e per questo non potevano che essere voluminosi e intricati. Lei non se ne curava, aveva portato l'apparecchio per anni senza preoccuparsi del giudizio altrui, i suoi capelli erano qualcosa che faceva parte di lei e dimezzarli non sarebbe comunque servito a molto. Era sicurissima, guardandosi allo specchio, che con un minimo di volontà avrebbe potuto sistemarli perlomeno decentemente se non proprio come al Ballo del Ceppo visto che aveva dovuto coinvolgere Ginny in quella lotta titanica a ogni singolo riccio. In quell'occasione era stata costretta ad ammettere che quel genere di cose non faceva per lei. Il suo tempo era per lo studio, per la lettura, per gli amici e, da molti anni a quella parte, per la sopravvivenza. La sua più grande paura era mostrarsi agli altri per la persona insicura che era, spaventata dalla possibilità che le proprie origini le impedissero di inserirsi in quel mondo a cui sentiva di appartenere con ogni fibra del suo essere. Aveva imparato a rilassarsi leggermente in quegli anni. Grazie all'amicizia di Harry, Ron, Ginny e degli altri Weasley aveva scoperto di non essere inferiore a nessuno per davvero, non per autoconvinzione e orgoglio. Grazie a Luna e Neville aveva imparato ad accettarsi per com'era. Era però cosciente di non essere come nessuno di loro. Non era coraggiosa come Harry, né dolcemente goffa come Ronald, non aveva la forza di Ginny. Non riusciva ad evitare di preoccuparsi del giudizio degli altri come Luna e non riusciva a migliorarsi come aveva fatto Neville in quegli anni. Non riusciva mai a lasciarsi andare totalmente, specie perché quando lo faceva tentavano ad accadere pasticci piuttosto rilevanti. Per esempio, al terzo anno, con la rabbia a guidarla, aveva schiaffeggiato Draco Malfoy, anche se era stato forte questo non aveva comunque potuto salvare Fierobecco, che poi era stato salvato in un secondo momento in modo al limite del legale. O come quando, al quarto anno, aveva accettato l'invito al ballo di Viktor Krum e poi si era sentita attaccare da quello che considerava uno dei suoi amici. Giudicata, ancora e ancora. Traditrice. Inadeguata. Inadatta. Nel posto sbagliato. Si era sentita a disagio pur essendo nel giusto. Era scappata via, le lacrime che scorrevano. Erano state impossibili da trattenere, ma ci aveva provato. Poi, solo l'anno prima, quando aveva invitato Harry a creare un'associazione segreta di esercitazioni magiche per tentare di arginare i danni della megera che quell'anno avevano osato nominare insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. Piton era più competente, meno dispotico e meno finto e melenso. Se doveva scegliere sapeva chi preferiva. Senza dubbio. Eppure, nonostante le precauzioni, le tecniche di comunicazione da lei inventate e l'incantesimo sulla pergamena, erano stati scoperti, puniti, umiliati. No, decisamente non era il caso di lasciarsi andare, mai più. Era difficile quando, per esempio, i gemelli dicevano cose divertenti o inventavano qualcosa di a dir poco geniale. Da una sua parte, la sua testa le diceva che era sbagliato e pericoloso seppur ingegnoso, ma dal suo cuore sgorgava sempre una risata vera che veniva perennemente soffocata in gola, mentre la sua razionalità continuava a ripetere "E' sbagliato e pericoloso. Prima o poi qualcuno si farà male" e lei ripeteva quella tiritera come una filastrocca ogni volta, per il terrore che succedesse qualcosa, per la paura di sentirsi di nuovo fuori posto. Ingrata. Aveva paura di non meritare quel mondo. Presa dalle sue riflessioni scese con calma in Sala Grande e, come si aspettava, non trovò più nessuno. Si riempì il calice di succo di zucca e lo bevve in un sorso. Si volse verso il tavolo degli insegnanti mente imburrava il toast. Solo la professoressa McGonagall e il preside Dumbledore erano ancora ai loro posti e chiacchieravano fittamente. Sentendosi osservati si voltarono e le regalarono, rispettivamente, un gran sorriso, di quelli rari ed orgogliosi, con gli occhi luminosi e vivi e un occhiolino divertito, un mezzo sorriso e un alzata di calice. Incapace di trovare una motivazione per quel comportamento decise semplicemente di rispondere con un debole sorriso che fece ridacchiare sotto i baffi i due insegnanti. La ragazza, sempre più confusa, raccolse la borsa e andò a sedersi in uno dei giardini interni in cui altri studenti si erano radunati per giocare a gobbiglie o agli scacchi magici. Tutti cercavano di godere di quel sole timido che aveva vinto le nubi. Recentemente sia Harry che Ron si allenavano in vista della stagione di Quidditch quindi non si stupì di non averli ancora visti. Di solito seguiva gli allenamenti dagli spalti, ma quel giorno aveva preferito ritagliarsi un momento per se. Non succedeva spesso ormai. Da quel primo anno, da quel troll di montagna, non erano più stati soli. Se questo, spesso, era un bene, a volte diventava pesante convivere con due ragazzi che detestavano lo studio, la lettura e la riflessione, più di un boccino in mano ad un Cercatore avversario. Sorrise, l'aria era tersa e pura. Era così in pace, che non si accorse che Edwige era insolitamente appollaiata sulla sua borsa. La sua mente registrò qualcuno che parlava, ma ci  volle un secondo di troppo perché connettesse - Eh, cos'hai detto Fred, o George? No, direi che sei Fred. - L'altro la guardò stupito e lei gli indicò il collo - Non hai il neo - lui parve sorpreso - Pensavamo che non l'avesse notato nessuno. - Disse George, spuntando da dietro la schiena del gemello - Grengy, che ne dici di prendere la borsa, liberare Edwige da quella lettera e andare in Sala Grande? La leggi dopo, non vorrai mica saltare il pranzo, no? - Lei annuì, non era strano vedere i gemelli importunare Hermione mentre Harry e Ron volavano o giocavano a scacchi, ovviamente fino all'anno prima, quando i ragazzi avevano deciso che i loro studi potevano finire lì. Fred si stupì della distrazione della ragazza, ci avevano sperato, ma non pensavano di potersela cavare con le divise e le abitudini di diversi anni. Insomma si stava parlando pur sempre di Hermione Granger. Era incredibile la poca importanza che si dava. Eppure i capelli crespi e costretti, le unghie cortissime, mangiucchiate durante i momenti di forte stress, gli occhi cerchiati da occhiaie per il troppo studio, il sorriso teso di chi spera solo che vada tutto bene, di andare bene. La divisa in ordine, la cravatta allacciata maniacalmente, la camicia di un bianco impeccabile, la veste chiusa con l'unico bottone, i calzettoni pesanti e le scarpe antiestetiche in pelle nera e lucida. Tutto urlava "Ordine e Rigore", tutto esplicava il carattere cervellotico della ragazza. Gli occhi vigili sembravano pronti a cogliere ogni cosa fuori posto, senza riuscirci con la cosa più evidente. Fred aveva sempre pensato che una persona non avrebbe mai potuto vivere così senza perdere qualcosa di cruciale. Come per esempio il loro ritorno nella scuola. Era questo che l'affascinava di lei. Che lo divertiva, così da spingerlo a scherzare su di lei e con lei, nonostante la sua inflessibilità. George, di solito, lo seguiva per solidarietà. Sapeva che Fred aveva una particolare simpatia per Hermione, ma nessuno dei due riusciva a non riderci su. Erano gli opposti. Eppure Fred era attratto da questa forza invisibile, da quei capelli scomposti, dalle labbra mordicchiate dopo le lezioni e non senza motivo. Hermione era intelligente, ma in maniera troppo convenzionale e non per natura, ma per costrizione. Lui viveva con la volontà di farla rilassare, di farle prendere fiato da quell'immensa recita di perfezione ostentata. Perché lei non era priva di difetti, ma era perfetta così: con lo sguardo acceso, la voglia di conoscere e con quella risata che si fermava sempre troppo presto, sempre prima di giungere alle labbra, ma troppo tardi per non arrivare agli occhi. A pranzo non parlava, era intenta a fissare il vuoto cercando risposte a quel qualcosa che non le tornava e che continuava a sfuggirle come il fumo o l'acqua. Mangiò lentamente, sempre immersa nei suoi pensieri, mentre Fred la osservava sperando che quel qualcosa le sfuggisse ancora per un po', giusto il tempo di un giorno, prima di scivolare via con la notte, prima di lasciarsela sfuggire ancora. Prima di sperare, un ultima volta. Quando la sera giunse le nuvole non erano riuscite a coprire il tramonto rossastro che Hermione non riusciva a smettere di fissare con aria corrucciata - Uno zellino per i tuoi pensieri - disse una voce alle sue spalle - Non credo valgano così poco, Weasley - sospirò Hermione, sorridendo, ma aggiunse - Ho solo l'impressione che mi sfugga qualcosa. E' come se sapessi di dovermi ricordare una cosa ovvia, ma presa dalla routine non riesco a coglierla. - Scrollò le spalle, mentre Fred rideva con gli occhi. Una scintilla divertita li illuminava - Te l'ho sempre detto che sei troppo impegnata, no? - La ragazza lo fissò, poi scoppiò a ridere tirandogli amichevolmente la borsa sullo stomaco - Hey, vorresti offendere? - L'altro ridacchio e prese la borsa di Hermione dicendo - E' ora di cena su, su! - Fred non riusciva a frenarsi. Aveva voglia di ridere, di darle della sciocca per essersi dimenticata di che giorno fosse e magari aveva anche voglia di baciarla, ma questa era un'altra storia. Cenarono ridendo e scherzando - Sai, Hermione, ho sempre apprezzato la tua preoccupazione per gli animali in difficoltà. - Disse, per esempio, a fine serata - Cosa vorresti dire, Fred? Dov'è George? Spero non stia combinando qualcosa e tu non sia il diversivo. - Lui parve non aver sentito l'ultima parte, ma lei sapeva che se glissava allora doveva per forza aver ragione, ciò che il ragazzo disse poco dopo, però, le fece dimenticare i suoi doveri - Beh, quei capelli saranno un ottimo rifugio per gli uccellini, quest'inverno - la forchetta di Hermione risuonò a contatto con il piatto prima che la ragazza alzasse lo sguardo e dicesse - Fred, conto fino a tre, se per allora non te ne sarai andato sarà peggio per te - il ragazzo, rise e non si mosse - Uno, - un altra risata - Due, - si alzò - Tre. - Fred si alzò e iniziò a correre sotto lo sguardo basito dei presenti. Hermione lo seguì camminando fuori dalla sala grande. Una volta nei corridoi prese a corrergli dietro - Ripetilo se hai il coraggio razza di, di, di... Antipatico - Fred rise e si arrestò sul posto reggendosi la pancia. Hermione, presa alla sprovvista gli rovinò addosso e il ragazzo cadde a terra, ma non smise di ridere - Mi vuoi dire che hai? - Chiese la ragazza - Beh, Grangy, Miss so tutto io, che non trova un insulto abbastanza appropriato per descrivermi. Ho mandato in palla il tuo forbitissimo vocabolario, signorina? - Hermione sbuffò - Sbruffone, alzati, se Gazza ci becca a insozzare il pavimento con le mani ci uccide - disse tendendogli una mano - Umh, Hermione lo sai che questi pavimenti sono insozzati dalle nostre scarpe ogni giorno? - Lei annuì, distrattamente - Ma questo non dissuaderà quel vecchio matto dall'appenderci per i pollici nei sotterranei, non trovi? - Fred afferrò la mano della ragazza, ma fece forza affinché perdesse l'equilibrio e finisse anche lei seduta per terra - Già, hai ragione! - Aggiunse poi, preparandosi ad una sfuriata che non arrivò. La risata della ragazza lo stupì e lo contagiò finché da un aula non sbucò la gatta di Gazza - Ops! - Dissero allora. Si alzarono di fretta e corsero verso la torre di Gryffindor mentre la gatta andava a richiamare il suo padrone che non li avrebbe mai raggiunti in tempo. Fermi davanti alla Signora Grassa - Fred, mai più. Non possiamo infrangere le regole o perderemo la coppa delle case e se mi puniscono il mio curriculum sarà segnato a vita e... - Lui la fermò dal suo gesticolare, la guardò negli occhi e disse - Hermione, calmati. Non è successo nulla, ok? Lasciati andare - L'altra si rivolse al ritratto e pronunciò la parola d'ordine e mentre questa si apriva aggiunse - Ma a te non importa e poi tu hai il negozio ora! - Si immobilizzò un secondo prima di entrare, mentre una serie di cose che avrebbe dovuto ricordare le balenò in testa - Giusto, Fred, come mai sei qui, vestito da scuola, fingendo che sia tutto normale? Se non sbaglio Molly non era riuscita a convincere né te né George! - Poi pensò a Lee quella mattina, doveva accorgersi subito che qualcosa non andava. Entrò di tutta fretta senza attendere risposta. L'unica cosa che seppe dire, quando tutti i suoi amici comparvero urlando "Tanti Auguri", fu - Fred, potresti dirmi che giorno è oggi? - La sua voce era piatta, asciutta. Gli occhi erano persi e terrificati. Fissava la torta come se fosse stato qualcosa di molto fastidioso - Il diciannove settembre, Hermione - rispose tranquillamente. Lei si guardò attorno, era riuscita a dimenticarsi del suo compleanno. Nulla di così strano, aveva altro a cui pensare. I M.A.G.O. erano troppo vicini, un anno ancora e poi sarebbe toccato a loro, Voldemort che spuntava un anno sì e uno anche. Non riusciva a capire come gli altri si fossero premurati di ricordargli che ormai erano sei anni che combattevano per la sopravvivenza. Che la sua gioventù era andata. Ora che era maggiorenne le sue responsabilità sarebbero triplicate e lei non poteva permettersi di fermarsi a ridere di una caduta, di conoscere qualcuno che non fossero Ron o Harry, non poteva semplicemente prendersi del tempo per sé. Un esempio era stato il pomeriggio con Fred, era volato, eppure non poteva fermarsi, non poteva permettersi di guardare da qualche altra parte. Il suo destino era con Ron come quello di Harry era con Ginny - Non possiamo festeggiare, devo studiare, ho letto tutto il giorno, non va bene, non va bene. E' tutto sbagliato, Fred! - Corse in camera, mentre il suo cuore le urlava che, in fondo, Harry e Ginny avevano potuto scegliere e si erano scelti. Se le cose fossero state diverse lei avrebbe scelto Ron? Non era mai stata sicura della risposta che avrebbe dato a quella domanda, se mai qualcuno glie l'avesse posta. Qualcuno bussò alla porta, di sicuro era Ginny. Nessun ragazzo poteva superare il tranello delle scale. Nonostante non avesse dato il permesso una testa rossa entrò comunque. Hermione, presa da uno scatto di rabbia aveva cominciato a rifare il letto e ora era intenta a sistemare i suoi libri. Il ragazzo ispezionò la stanza con occhio critico - Non credo che ordinando la stanza ti chiarirai le idee Hermione - buttò lì esattamente come se stesse parlando della cena. Lei scrollò le spalle con la medesima noncuranza, per poi alzare la testa - Almeno mi calmo, le idee si chiariscono a chi riflette - l'altro ridacchiò - Vedi, è questo il punto. Tu hai già le idee piuttosto chiare, ma sono cose che non vuoi accettare e per questo nemmeno il tempo può fare nulla. Sei tu, solo tu a decidere - la ragazza alzò un sopracciglio - Questo si che mi tranquillizza, direi - sbottò sarcastica. Il ragazzo allora si sedette a terra - Non è da me che vuoi essere rincuorata, vero Grengy? - Hermione arrossì di botto e si voltò di scatto per non mostrarsi - Non so di cosa tu stia parlando, George - non si accorse del sorriso del ragazzo, troppo presa a tentare di evitare quello sguardo indagatore - Invece lo sai bene, è questo il punto Hermione. Tu sei sempre lì. Nel tuo trespolo alto - a quelle parole la ragazza si alzò bruscamente. Si era seduta vicino la finestra e aveva continuato a fissare l'esterno della scuola - Vuoi sempre avere un certo controllo maniacale sulle cose e sulle persone - ricominciò George - Vivi nella paura di lasciarti andare. Non riesci a guardare le cose da una prospettiva diversa. Vieni, siediti qui - indicò il tappeto su cui era seduto e lei non si fece pregare - Bene, ora prova a pensare a cosa vuol dire la vita per te. La vita non è sofferenza e distruzione o ordine e rigore. La vita è vita e basta e, in quanto tale, porta a sofferenza come a gioia. Non possiamo privarci della poca felicità che ci è concesso avere, soprattutto ora. Non possiamo pesare di combattere una guerra per soddisfare i voleri degli altri. Come non possiamo spingerci ad amare chi non vediamo che come un amico. Dobbiamo avere qualcosa a cui aggrapparci per non affogare in questo mare di depressione e tristezza, di morti meno morti dei vivi. Il potere più grande è dell'amore, lo sappiamo bene, ma non sappiamo cosa succede se non diamo giusto valore all'amore. Finiamo per perdere tutto e non c'è più ragione. Tutto questo tu lo sai, Hermione - e lei lo sapeva, lo sapeva con certezza estrema, era una sicurezza che andava oltre quella del sole che sorgeva ogni mattina e tramontava ogni sera. Oltre quella che la vita e la morte sono le facce della medesima medaglia. Lo sapeva come sapeva che bene e male non potevano esistere indipendenti l'una dall'altra - Cosa dovrei fare, George? Non posso semplicemente saltare fuori dicendo che nessuno a capito nulla. Non posso distruggere le speranze di uno dei miei migliori amici - l'altro continuò a guardare fuori, poi, voltando lo sguardo, così simile a quello del gemello, a incrociarsi con il suo, molto più scuro, disse - Cosa provi per Ron? Lo ami? - Eccola, la domanda che aspettava e temeva. Tutto il suo corpo tendeva negando tutto quello in cui aveva creduto per anni, a cui aveva voluto credere, semplicemente perché era più semplice - Sì - si sentì di rispondere, ma lo sguardo sorpreso di George la costrinse a specificare - Ma solo come avrei potuto amare un mio fratello. Come posso amare Harry e Ron, cioè come due fratelli, due parti a cui non posso rinunciare in quanto se sono ciò che sono è anche e soprattutto grazie a loro - l'espressione di George si rilassò - Pensavo avresti mentito a te stessa e a me, ma, ovviamente, mi sbagliavo. La strega più brillante della sua età non poteva rispondere diversamente da questo. Quello che non riesco a capire perché tu faccia così fatica ad accettare anche il resto - Hermione si alzò con sguardo torvo - Non so a cosa tu stia alludendo, George - il ragazzo la scrutò negli occhi e disse - Proprio a questo. Come diamine riesci a distinguere me e Fred? - La ragazza aprì la bocca, per poi richiuderla senza far uscire una sillaba. L'altro sorrise - Lo sai che sarebbe terribile se tu osassi per timore di un rifiuto? Sarebbe incredibilmente stupido, Grangy. Non ti capirò mai, io... - la frase rimase sospesa, ma Hermione capì perfettamente ciò che intendeva. Non ripose e lo invitò ad uscire dalla stanza assieme a lei. Scendendo non osò alzare lo sguardo da terra. Quando sollevò lo sguardo incrociò due occhi smeraldini che la lessero senza bisogno di chiarimenti. Sentiva su di se anche un paio di occhi azzurri che non voleva incrociare e un altro paio a cui non sapeva dare una definizione. Si avvicinò all'altro gemello e lo abbracciò posando la testa sulla sua schiena. Era molto più alto di lei, ma non quanto Ron, era un divario rassicurante. Fred d'altro canto, non osava muoversi. Aveva gli occhi spalancati e la bocca socchiusa dalla sorpresa. Lanciò un occhiata al fratello e al gemello. Uno emise un sospiro e l'altro lo guardò divertito. Ginny, restia a credere alla piega deprimente che stava assumendo la serata, fece partire la musica. Hermione si risvegliò da quella specie di trance e disse - La McGonagall ci ucciderà! - Gli altri risero di lei e Fred le prese le mani e, senza darle tempo di ribattere, cominciò a farla volteggiare per la sala comune. La serata era stata piuttosto lunga. Erano tutti addormentati. Ron era stravaccato su George che  teneva il braccio sulle spalle di Luna. Neville era steso sul pavimento con una coperta che gli copriva a malapena le gambe. Harry e Ginny erano rannicchiati abbracciati su una poltrona, estranei al mondo. Hermione e Fred erano stesi sul divanetto rosso. Le gambe di Hermione superavano di pochi centimetri il bracciolo del divano, mentre i piedi di Fred sarebbero stati ampiamente fuori dal divano se solo le sue gambe non fossero state intrecciate a quella ragazza. I capelli rossi di Fred erano leggermente lunghi e andavano a confondersi con quelli castani, ricci e crespi di Hermione che gli stava respirando sul collo. Le lunghe braccia di Fred avvolgevano l'esile figura di Hermione che gli si stringeva addosso afferrando con le dita affusolate il maglione che Molly Weasley regalava ogni natale ai membri della famiglia. Una mano di Fred scese giù fino a fermarsi su i fianchi di Hermione. La mano fredda del ragazzo la fece rabbrividire e la svegliò. Sospirò leggermente e arrossì - Bensvegliata, Grengy. La vedo un po' arrossata, sicura di stare bene? - Hermione non si perse d'animo - Benissimo direi, a parte il fatto che abbiamo infranto un paio di regole e sto gelando visto che il fuoco si è spento. - Gli occhi del ragazzo brillarono di malizia e ironia - Avresti potuto dirlo subito, Grangy. Avrei sicuramente cercato e trovato un modo per risolvere la cosa. Vuoi che ci ritiriamo in dormitorio? Dovrebbe ancora essere lì. Dumbledore ci ha permesso di restare fino a lunedì, ma Lee è un chiacchierone - lei lo guardò accigliata, ma lui non smise di sorridere, sicuro di se. Allora Hermione prese coraggio e si avvicinò al viso del ragazzo e poi fu tutto molto più caldo. Aveva il colore dei suoi capelli, quella sensazione di trasporto. Dei suoi occhi. Aveva la ruvidità leggera delle sue mani appena sotto il maglione, a stringerla a se, quasi per paura che scappasse. Con il terrore che scivolasse via con la notte, prima di lasciarsela sfuggire ancora. Prima di sperare, un ultima volta ancora. Aveva il calore delle sue labbra sulle sue, calde e morbide. Il freddo onnipresente sembrava una forza che tentasse di oltrepassare una barriera impenetrabile. Un incantesimo potente che non le fece scordare tutto, ma certamente quel tutto dovette perdere di una certa importanza. Per esempio nessuno si accorse che Harry e Ginny li guardavano stupiti e che il bambino sopravissuto prese la mano della più piccola dei Weasley e la strinse, guardandola poi dolcemente. Nessuno se ne accorse perché nel frattempo George era impegnato a tenere la bocca chiusa a Luna che stava per parlare. Ed era così intento a fissarla negli occhi sbalorditi che la scena attirò lo sguardo perplesso di Neville, che scrollò le spalle pensando che, in fondo, prima o poi sarebbe toccato anche a lui. Lo sguardo di quest'ultimo fu però attratto dall'espressione inorridita di Ron che si spostava da Fred ad Hermione, come se fosse stato possibile decidere dove iniziava l'uno e dove finiva l'altro e non in quella maniera volgare e oscena di chi si mangia la faccia come se non potesse farne a meno, ma in quel modo lento e deciso di chi sembra essere solo l'appendice dell'altro. In quel modo in cui due persone decidono di conoscersi da vicino e di lasciare da parte i se, i ma e i forse. In quel modo speciale in cui le insicurezze e le indecisioni esistono, ma non sono poi così importanti come sembravano. Nonostante tutto, Ron e la sua sensibilità a grandezza cucchiaino fu in grado di interrompere quel momento - Insomma Fred è mia sorella! - I due ridacchiarono e Ron provò a correggersi - Ehm, volevo dire Fred, sei mio fratello, non davanti a me, su! - Tutti risero serenamente. Per una volta l'amore poteva anche decidere di creare una bolla di tranquillità che sarebbe potuta esplodere in un attimo, ma che almeno avrebbe lasciato il ricordo di qualcosa di vero.

*Laaaaampone*


Mi scuso per gli errori, ma open office è stupido e word pad pure .-. Questa fic è stata spontanea quanto lunga da scrivere per mal di testa improvvisi che mi costringevano a smettere di scrivere. Anche lo studio ha tolto tempo, infatti le mie long sono momentaneamente in attesa di aggiornamento e ho 4 capitoli diversi in stesura çAç.

 

   
 
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